Tribunale di Roma, Sez. 4° Civile

Pres. Dott.ssa F. D’Ambrosio – Rel. Dott.ssa B. Perna

Sentenza 16 settembre 2014

 
Gli interessi moratori rientrano tra quelle prestazioni "accidentali" (e perciò meramente eventuali) sinallagmaticamente riconducibili al futuro inadempimento e destinate ad assolvere, in chiave punitiva, alla funzione di pressione finalizzata alla realizzazione del corretto adempimento del contratto.
 
La diversità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi corrispettivi ed interessi moratori non ne consente il mero cumulo ai fini della valutazione di usurarietà del finanziamento.
 
La possibilità/necessità di un tale cumulo non può trarsi da un’erronea interpretazione del dictum della sentenza n. 350/2013 della Corte di Cassazione e, vieppiù, anche ove quest’ultima avesse realmente stabilito un simile principio, sarebbe comunque da disattendere, per quanto autorevole, in virtù della diversità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi.
 
L'art. 1815 comma 2 c.c. fa riferimento alle prestazioni di natura "corrispettiva” gravanti sul mutuatario a prestazioni collegate allo svolgimento fisiologico del rapporto per cui lo stesso non può mai applicarsi agli interessi moratori che sono relativi alla fase patologica conseguente all'inadempimento, solo eventuale, del mutuatario.
 
L'esistenza di una clausola di salvaguardia esclude in radice la usurarietà del tasso pattuito.
 
Ne discende che, in caso di superamento del tasso soglia per effetto dell’applicazione degli interessi di mora, la soluzione andrà ricercata nella riconduzione di questi ultimi nei limiti del tasso soglia ai sensi degli artt. 1419, comma 2 cc e 1339 cc, trattandosi al più di usurarietà sopravvenuta.
 
Questi sono -in estrema sintesi- i principi espressi dalla IV° Sezione del Tribunale di Roma, in composizione collegiale, con sentenza del 16 settembre 2014, che arricchisce il già vivo dibattito sul tema della rilevanza degli interessi moratori ai fini della valutazione di usurarietà di un contratto di finanziamento.
In particolare è accaduto che, nel corso di un giudizio di opposizione a precetto promosso dal debitore esecutato sul presupposto della usurarietà del contratto fonte del credito della banca procedente, il Tribunale aveva sospesa l’esecutività del titolo, ritenendo sussistente il fumus circa la nullità delle clausole contrattuali che individuavano gli interessi corrispettivi e moratori, cumulando i detti tassi e raffrontando il valore risultante con la soglia di usura. 
Avverso tale provvedimento la banca proponeva reclamo, accolto sulla scorta dell’affermazione dei principi sopra massimati, con sentenza degna di nota per la chiarezza delle argomentazioni con le quali il Tribunale ha corretto – come già accaduto in vari precedenti dei giudici di merito – le interpretazioni distorte della ormai nota sentenza 09/01/2013 n.350 della 1° Sezione Civile della Corte di Cassazione
 
Nella sentenza in commento, il Collegio del reclamo pone in evidenza che il citato precedente di legittimità non afferma la necessità di cumulare tasso corrispettivo e tasso di mora, bensì “si limita ad affermare che anche gli interessi muratori debbano essere sottoposti al vaglio delle disposizioni antiusura e contenute entro le determinazioni dei tassi soglia”.  Avuto riguardo al diritto sostanziale, il Tribunale sottolinea la fondamentale distinzione tra i due tipi di interessi, in termini di natura e funzione, ricordando che quelli di mora non sono connessi alla naturale remuneratività del denaro, bensì costituiscono la predeterminazione della “penalità” per il fatto, imputabile al mutuatario e solo eventuale, del ritardato pagamento.
In considerazione di tale funzione latamente sanzionatoria, non può operarsi il mero cumulo con un valore ontologicamente diverso, quale il tasso corrispettivo. 
Oltretutto l’intero impianto normativo antiusura si fonda sull’integrazione di una norma penale “in bianco”, la quale fa riferimento alle “remunerazioni”, legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale, di guisa che gli oneri non aventi tale natura "corrispettiva" non rilevano ai fini dell'individuazione dei tasso "effettivo" da raffrontare alla soglia.
I Giudici capitolini ne hanno fatto discendere l’illogicità della sommatoria del tasso corrispettivo e del tasso di mora, non essendovi alcuna ragione logica per sostenere la additività dei due tassi, neppure fondandola su una lettura della sentenza di legittimità n.350 del 2013.
In tal senso, viene richiamata la circostanza che la Banca d’Italia, nelle rilevazioni trimestrali dei tassi effettivi globali medi (valore base per la formazione del tasso soglia), omette di calcolare i tassi di mora nel TEG, facendone oggetto di separata rilevazione (comunque non rilevante ai fini della soglia di usura).
 
In estrema sintesi: gli interessi di mora, pur dovendo sottostare alla soglia di usura, non vanno computati ai fini della determinazione del TAEG.
 
Il Tribunale di Roma ha altresì evidenziato che:
1) dall’esame delle pattuizioni si evinceva l’esistenza di una clausola di salvaguardia, che esclude in radice l’usurarietà del tasso pattuito, con la conseguenza che l’eventuale sanzione avrebbe dovuto essere individuata nella riconduzione degli interessi dovuti entro i limiti della soglia;
2) non potendosi escludere in astratto l’esistenza di un credito residuo della banca ed atteso che l’oggetto dell’opposizione ex art. 615 c.p.c. è la contestazione del diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata, le argomentazioni degli opponenti non potevano valere ad escludere tale diritto, tale da giustificare la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo nel suo complesso. 
 
La sentenza in esame si inserisce di diritto tra le pronunzie che aiutano a gettar luce su un argomento oggetto di annosa querelle, tanto che qualcuno ha parlato del “dilemma” degli interessi moratori (cfr. A.DE SIMONE, W.G.CATURANO, Usura bancaria: il “dilemma” degli interessi moratori, in Gazzetta Forense, 2014 fasc.3, pp. 33 e ss., consultabile sul web inhttp://expartecreditoris.it/images/joomd/1410533747Usurabancaria.ildilemmadegliinteressimoratori.Gazzettaforense.pdf ).
Tra i due contrapposti orientamenti (quello, più favorevole ai mutuatari, relativo alla necessità di ricondurre anche gli interessi moratori alla disciplina di cui alla L. n. 108/1996 e quello,  sostenuto dagli istituti bancari, secondo il quale la normativa antiusura non mira a disciplinare la sanzione per l’inadempimento del mutuatario ma le sole remunerazioni del prestito, rispetto alle quali –sole– si applicherebbe la sanzione di cui all’art. 1815, secondo comma, cod. civ.), si era di recente avviato un “filone” di controversie fondato sull’erroneo presupposto che la sentenza n.350/2013 della Corte di Cassazione avesse espresso il “rivoluzionario” principio della additività del tasso di mora e del tasso corrispettivo ai fini della verifica di usurarietà, da compiersi mediante il raffronto del valore risultante dalla detta addizione al tasso soglia, come individuabile ratione temporis.
In realtà la Cassazione si era limitata a stabilire (e non si tratta di poco) la necessità di considerare ANCHE gli interessi di mora (in sé considerati) ai fini del raffronto alla soglia di usura.
I Giudici di legittimità, per la verità, ragionano –nella più recente Giurisprudenza– sulla necessità di tener conto di un dato letterale che sembrerebbe “insuperabile”: l’art. 1 del D.L. 29/12/2000 n.394, convertito con modificazioni nella L. 28/02/2001, nel fornire l’interpretazione autentica dell’art. 1815 cod. civ., sancisce che s’intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo […]. 
 
Nonostante tale inciso normativo e l’autorevole precedente, nella sentenza qui in commento il Tribunale di Roma sembrerebbe porre le premesse per un superamento del detto orientamento, nel senso di una irrilevanza degli interessi di mora ai fini del giudizio di usurarietà.
È ragionevole pensare che il Tribunale di Roma sia comunque addivenuto a tale conclusione poiché vincolato, da un lato, alla sommarietà della cognizione in sede di reclamo sulla concessa misura cautelare-sospensiva e, dall’altro, al petitum delle parti.
In ogni caso, parte della dottrina e della giurisprudenza –partendo da analoghe premesse– ha, ad esempio, intravisto la disciplina del regime dell’eccessività degli interessi di mora non nella sanzione di cui all’art. 1815, comma secondo, cod. civ., bensì in quella di cui all’art. 1384 cod. civ. (riduzione della penale), trattandosi appunto di un debito di natura “risarcitoria”. 
In particolare, senza addivenire alla più radicale applicazione dell’art. 1384 cod. civ., diffusa Giurisprudenza ritiene che interessi moratori ed interessi corrispettivi facciano capo ad autonome pattuizioni; con la conseguenza che, ove i moratori superino il tasso soglia ed i corrispettivi siano stati lecitamente pattuiti entro il limite di usura, la pronuncia di nullità dovrà riguardare la sola clausola degli interessi di mora, “salvando” il diritto del creditore a ricevere le somme dovute a titolo di remunerazione del prestito.