L'Amministratore di sostegno tra interdizione ed inabilitazione: ambiti di applicazione e prospettive future

 

Il problema della tutela giuridica dell'uomo come soggetto del mondo giuridico e nello specifico dei soggetti più deboli, da sempre, e oggetto dell'attenzione del nostro legislatore che riconosce nell'individuo il centro dei diritti e dei doveri previsti e riconosciuti oltre che dal nostro ordinamento giuridico anche dalla Carta Costituzionale (art. 2 Cost.).

Va evidenziato, in proposito, che l'uomo come soggetto di diritto assume un diverso rilievo giuridico a seconda delle varie fasi del suo sviluppo.
Infatti, il dettato normativo statuisce che la posizione giuridica dei singoli individui passa attraverso due diversi tipi di  capacita: quella giuridica e quella d'agire.

La capacita giuridica viene acquisita dal soggetto al momento della nascita, mentre la capacita d'agire si concretizza e viene in essere col compimento della maggiore età in quanto vige una "generale presunzione" secondo la quale con il compimento della maggiore età il soggetto raggiunge quella maturità che lo rende idoneo  a curare consapevolmente i propri interessi. La capacita giuridica va dunque distinta dalla capacita d'agire; queste spesso non coincidono.

La capacita giuridica e l'attitudine "ad essere titolare di situazioni giuridiche soggettive (diritti, obblighi o interessi legittimi)"  e cessa
solo a seguito dell'evento naturale della morte del soggetto. Pertanto, per nessun motivo un individuo può essere privato della capacita giuridica, in tal senso l'art. 22 della Costituzione dispone che "nessuno può essere privato, per motivi politici, della propria capacità giuridica". La capacita d'agire, invece, si snoda nella titolarità di tali situazioni giuridiche e nel potere del loro effettivo esercizio ovvero può consistere  nella idoneità del soggetto a creare, modificare o estinguere, mediante manifestazioni di volontà, uno o più rapporti giuridici.

Tuttavia, nonostante quanto disposto dal dettato di legge: non sempre questo e vero.

Se infatti la capacita giuridica cessa con la vita dell'individuo, per quanto attiene, invece, la capacita d'agire non sempre un soggetto può possederla e disporne fino al momento della propria  morte; può accadere ad esempio che un soggetto seppur maggiorenne, sia privo, in tutto o in parte, di tale capacita, perché sono subentrate della malattie che hanno impedito un completo sviluppo della sua maturità psichica o fisica, o ancora perché lo stesso abbia subito particolari condanne penali.

Per anni, il nostro legislatore e venuto in soccorso a tali situazioni di svantaggio (cercando di adoperare strumenti di tutela che garantissero il singolo e la collettività) attraverso due diversi istituti di protezione: l'interdizione l'inabilitazione.

Queste misure di protezione seppur finalisticamente indirizzate a tutelare i soggetti  incapaci consentendo loro in via diretta o mediata di porre in essere l'attività giuridica, con gli anni e con il mutare della coscienza sociale si sono  dimostrate incomplete e penalizzanti.
Paradossalmente l'interdizione e l'inabilitazione: tutelando non tutelavano.

La dottrina e la giurisprudenza prevalenti hanno evidenziato al riguardo come tramite queste due misure di protezione spesso si giungeva ad escludere totalmente dalla comunità sociale i soggetti incapaci  privandoli quasi completamente della capacita d'agire.

Nella prassi anche se  gli interdetti e gli inabilitati, il più delle volte, sono affiancati da tutori o curatori, nominati con lo scopo di tutelare e proteggere la sfera patrimoniale di codesti soggetti, non c'e chi non veda come consequenzialmente resti privo di tutela l'ambito non prettamente patrimoniale dei soggetti incapaci sottoposti ad interdizione o inabilitazione.

Veniva cosi a formarsi un vuoto normativo di rilevante portata per le conseguenze giuridiche e pratiche che ne scaturivano.

Tale vuoto normativo e stato acutamente colto dal nostro legislatore che nel tentativo di  potenziare la tutela dei soggetti incapaci (mediante la legge 9 gennaio 2004, n.6) l' ha estesa anche alla sfera "non prettamente patrimoniale"creando cosi un terzo istituto di protezione: l'Amministratore di sostegno.

Oggi, non vi e chi non veda come in seguito alla legge 9 gennaio 2004, n. 6 abbiamo un ulteriore strumento di tutela che e sicuramente da preferirsi all'interdizione e all'inabilitazione e che ha riformato profondamente il nostro Codice Civile.

Va rilevato, in merito, che il nostro dettato normativo (in ambito di incapacità legale) distingue tra incapacità relativa e incapacità assoluta.

Al primo tipo di incapacità, fino all'introduzione dell'amministratore di sostegno, era possibile porre rimedio mediante l'inabilitazione del soggetto. Questa forma di tutela e certamente meno grave rispetto all'interdizione ma  e, comunque, una tutela invasiva perché produce una limitazione della capacita di agire dell'inabilitato.

L'inabilitato, infatti, può compiere solo gli atti di ordinaria amministrazione, rendendosi necessaria per quelli eccedenti l'ordinaria
amministrazione la nomina di un curatore; l'inabilitato conserva, quindi, un margine di capacita di agire nota come "capacita legale limitata".

Al secondo tipo di incapacità, (ovvero quella assoluta) si pone rimedio mediante l'istituto dell'interdizione giudiziale (art. 414 c.c.) dichiarata con sentenza in tutti i casi in cui vi sia una"abituale infermità di mente".

La giurisprudenza, in un  primo momento, ha stabilito che per aversi l'interdizione di un soggetto debba riscontrarsi un " vitium et non un morbum" ovvero che e sufficiente che l'infermità produca una incapacità a provvedere ai propri interessi.

Successivamente pero e stato precisato che per la dichiarazione di interdizione non basta una incapacità a provvedere ai propri interessi, ma occorre imprescindibilmente una vera e propria alterazione delle facoltà mentali.

Tra dispute e diatribe giurisprudenziali e dottrinarie si e giunti a considerare l'interdizione un  mezzo di tutela invasivo della personalità del soggetto che, seppur gravemente affetto da disturbi, vede scomparire la sua capacita d'agire al punto che la giurisprudenza prevalente non gli riconosce ne il diritto a contrarre matrimonio, ne quello di riconoscere eventualmente un figlio naturale.

La  sentenza di interdizione produce sic et simpliciter un'incapacità totale di porre in essere qualsiasi negozio sia  esso patrimoniale o  personale o familiare; questo principio e rimasto inderogabile per un tempo troppo lungo, ovvero fino all'emanazione della L. 9-1-2004, n.6.
Inoltre, nonostante l'art. 427, co. 1? c.c., in materia di interdizione, distingua i casi in cui il soggetto e sostituito in tutto e per tutto dal tutore, da quelli in cui, invece, può compiere alcuni atti di ordinaria amministrazione, e chiaro a tutti come la normativa antecedente fosse per vari aspetti penalizzante ed incompleta, e tale e rimasta fino all'entrata in vigore della legge 9 gennaio 2004, n.6 che ha introdotto la figura dell'amministratore di sostegno.

Il nuovo istituto introdotto dalla legge n.6/2004 e stato accolto con grande entusiasmo poiché gli e riconosciuta, senza dubbio, una grande rilevanza sociale; il legislatore con la legge de quo ha saldato un debito di circa vent'anni  partorito dalla legge Bassaglia.

Nelle norme della legge 6/2004 vi e una precisa volizione di riformare profondamente la materia della tutela degli incapaci di agire;
l'interdizione e l'inabilitazione sono state cosi relegate ad un ruolo di mera residualità id est di estrema ratio.

Tuttavia, poiché siamo ancora agli inizi, questo nuovo istituto si presta ad una difficile interpretazione e rende spesso necessaria una analitica esamina delle sue principali caratteristiche e degli eventuali risvolti giuridici.

Preliminarmente occorre comprendere in cosa consisti questa rilevanza sociale che connota tutta la figura dell'amministratore di sostegno.

La rilevanza sociale dell'istituto in questione si concreta non solo nel recepimento nelle nostre norme  di quegli interessi di natura non strettamente patrimoniale ma anche in un ammodernamento continuo di queste.
I soggetti che possono beneficiare di questa normativa sono le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana a causa di una infermità, anche temporanea o transitoria ovvero di una menomazione fisica o psichica.

Più in particolare, riguardo poi la reale funzione di questa misura di tutela, e opportuno precisare che nonostante la locuzione letterale "amministratore di sostegno" non si tratta concretamente di un comune amministratore in senso tecnico, bensì di un soggetto fiduciario del beneficiario; una sorta di assistente o rappresentante.

In questa visuale prospettica, e agevole  dedurre che la natura delle norme della legge n. 6/2004 possa, a buon ragione, identificarsi anche nel positivismo sociale; questo positivismo sociale trova la propria ratio in una serie di diritti posti a fondamento della suddetta legge come ad esempio la tutela della persona, il suo diritto alla salute ed alla integrità fisica.

Si  tende, dunque, a privilegiare la tutela di quei "valori essenziali", ex art. 2 della Cost., che fanno parte della vita sociale non solo del singolo ma anche della collettività.

Secondo poi un diverso orientamento giurisprudenziale, la natura della normativa in esame non racchiude in se  unicamente un positivismo sociale, ma ben può essere, anche e soprattutto, una prima ed in fieri esaltazione del principio di autodeterminazione in quanto la legge consente allo stesso beneficiario di nominare e designare la persona che dovrà badare ai suoi interessi rappresentandolo e assistendolo; questa possibilità e completamente assente sia nel procedimento di interdizione che in quello di
inabilitazione dove non e possibile disporre personalmente e anticipatamente la propria interdizione o inabilitazione a mezzo di atto pubblico o scrittura privata autenticata.

Tuttavia, non si deve omettere di precisare che l'amministratore di sostegno non è sempre nominato  dal soggetto incapace poiché tale facoltà di nomina è riconosciuta anche ai familiari del soggetto bisognoso.

I familiari della persona  che non possa provvedere a se stessa o all'amministrazione del proprio patrimonio  possono chiedere, al giudice tutelare del tribunale del luogo di residenza o domicilio, la nomina dell'amministratore di sostegno che rappresenterà il soggetto impedito, firmando in suo nome ovvero assistendolo semplicemente.

La legge n. 6/2004 è altamente innovativa rispetto alla normativa antecedente relativa alla interdizione ed inabilitazione, anche in
riferimento ai soggetti legittimati a proporre il ricorso idoneo alla nomina dell'amministratore.

Infatti, la nuova normativa introduce alcune rilevanti novità disponendo testualmente all'art 417 c.c. che "L'interdizione o l'inabilitazione possono
essere promosse dalle persone indicate negli artt. 414 e 415 , dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dal tutore o curatore ovvero dal
pubblico ministero. Se l'interdicendo o l'inabilitando si trova sotto la patria potestà o ha per curatore uno dei genitori, l'interdizione o
l'inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del Pubblico Ministero".

Non vi e chi non veda la profonda differenza tra la normativa de quo e quella antecedente dove gli unici soggetti legittimati erano : il coniuge, i parenti entro il quarto grado, gli affini entro il secondo grado e il tutore od il curatore.

Dunque, entrano nel dettato legislativo, a pieno titolo, non solo la persona convivente e lo stesso soggetto debole o anche sano che in virtù di una futura malattia potrebbe disporre in tal senso ma anche il Pubblico Ministero in qualità di titolare di una autonoma azione.

Inoltre, dal testo testo normativo si deduce come il beneficiario non perda in toto le sue capacita; queste non vengono menomate, ma soltanto limitate al compimento di singoli affari o per un determinato lasso temporale.

Al contrario, nell'interdizione ex art. 417 c.c., e nell'inabilitazione ex art. 418 c.c., le capacita del soggetto vengono compresse e nei casi più gravi  annullate.

Da queste prime argomentazioni e possibile dedurre quale sia, in realtà, l'aspetto o lo scopo più importante di questa nuova legge; l'amministratore di sostegno attua una vera e propria umanizzazione del rapporto economico e fiduciario riuscendo ad inglobare nei casi che ne abbisognano anche quelle attività di carattere meramente personale.

Tuttavia, vi sono ancora dei vuoti normativi all'interno di questa legge perché il legislatore non ha disciplinato, all'interno di questo nuovo istituto, la figura del trust o gli aspetti legali dell'assicurazione sulla vita.

Altresì, sempre nel tentativo di delineare la natura giuridica di questa normativa, parte della dottrina prevalente ha affermato che la designazione dell'amministratore di sostegno potrebbe configurare un negozio unilaterale, integrativo ed accessorio del provvedimento del giudice ovvero qualcosa che contribuisce alla formazione dello stesso provvedimento; tutto ciò anche in virtù della molteplicità dei soggetti  beneficiari.

Infatti, possono usufruire dell'amministratore di sostegno moltissimi soggetti nelle più svariate condizioni in quanto questo istituto ricomprende anche casi come quelli dei malati lungodegenti che prima di questa legge erano sprovvisti di una tutela  appropriata; si pensi ad esempio ad un anziano colpito da ictus o affetto da morbo di Alzheimer, o ancora a un soggetto portatore di un handicap sensoriale o in stato di coma ovvero ad un tossicodipendente.

In passato, questi soggetti, come anche i disabili paralizzi e i dealizzati, non potevano usufruire di mezzi di tutela specifici neanche per far fronte alle più elementari o pressanti esigenze di vita.

L'ordinamento giuridico non prevedeva alcuno strumento adeguato, e sia l'interdizione che l'inabilitazione, rappresentando l'estrema ratio, erano poco adattabili a tali condizioni di disagio.

In tali situazioni, ai mille problemi assistenziali si aggiungevano quelli della impossibilita di riscuotere la pensione o i risparmi depositati in banca e persino di firmare una domanda per ricevere assistenza dalla ASL.

Teoricamente, nei casi più gravi, si poteva richiedere l'interdizione, ma le conseguenze erano tali da scoraggiare chiunque dal fare ricorso a tale istituto che si presentava e si presenta tuttora come un' etichetta mortificante che decreta la morte civile della persona, impedendole di sposarsi, di fare testamento, di riconoscere un figlio naturale o di ottenere un pubblico impiego pur quando l'infermità non e tale da giustificare simili limitazioni.

In un'ottica di ampio riconoscimento delle esigenze dei singoli e della collettività era sempre più sentita, nel mondo giuridico e in quello sociale, l'esigenza di una legge che potesse ricomprendere anche tali situazioni di disagio e di turbativa familiare per le quali erano poco appropriate l'interdizione e l'inabilitazione.

La legge 9 gennaio 2004 n. 6 ha, dunque, inglobato nella disciplina della tutela dei "soggetti deboli" anche tutti quei casi in cui un determinato soggetto versi in gravi situazioni fisiche o psichiche che lo riducano in stato di infermità in via transitoria o durevole rispetto ad una persona o ad una situazione.

In questa prospettiva, la ratio ispiratrice della legge sull'amministratore di sostegno sembra rinvenibile anche e soprattutto  nella Carta Costituzionale.

I principi espressi dalla normativa istitutrice dell'amministratore di sostegno si devono considerare come una proiezione dei principi sanciti dagli artt. 2 e 3 della Cost. che riconoscono i diritti inviolabili dell'uomo e il diritto di uguaglianza.
L'art. 3 della Cost., infatti, sancisce che"tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge", introducendo un concetto di uguaglianza in senso assoluto che si riferisce a tutti gli individui.

Se, allora, si interpreta l'art. 3 Cost., nel giusto senso di uguaglianza sostanziale  ne consegue che uguaglianza non significa solo trattare in modo uguale situazioni uguali, ma anche e soprattutto trattare in modo diverso situazioni diverse ed e quindi socialmente e giuridicamente giusto che  ai  malati quali quelli in stato comatoso o colpiti da paralisi o dal morbo di Alzheimer venga riconosciuta una differente tutela rispetto ai soggetti che abbisognano di interdizione (al contrario di quanto accadeva in passato).

Oggi, finalmente, niente più misure totalizzati che determinano la generale privazione della capacita giuridica di agire anche per quei soggetti in cui tale procedimento non e appropriato e necessario; la forma di tutela più idonea a tutelare il soggetto debole o incapace diventa "un vestito da cucire" addosso all'individuo, a discrezione del giudice tutelare, partendo dall'analisi di una molteplicità di aspetti e circostanze; in questa prospettiva, quindi, il problema ermeneutico viene sostanzialmente lasciato alla discrezionalità del giudice chiamato a decodificare la normativa in esame in relazione ai singoli casi.

Ci si chiede se anche gli stranieri possano rientrare o meno in questo ampio programma di protezione rectius se possano usufruire dell'amministratore di sostegno.

Il problema interpretativo, invero, e di notevole rilievo giuridico perché se si opta per la tesi negativa, lo straniero, residente in Italia, non potrà usufruire della nomina di un amministratore di sostegno. Prima facie, nonostante la permanenza di molteplici dubbi interpretativi, e stata ipotizzata la validità  della tesi negativa sostanziandola sulla base del nostro diritto internazionale privato che all'art. 43 della legge 218/95 di riforma del diritto internazionale privato italiano non prevede questa estensione anche per gli stranieri; viceversa, se si opta per la tesi positiva gli stranieri potrebbero usufruirne di tale misura di protezione laddove si applicasse la Convenzione dell'Aja del 2000 in base alla quale tutti i cittadini che risiedono in uno Stato sono sottoposti alla tutela ed alla regolamentazione delle autorità amministrative e giudiziarie di quello Stato e di conseguenza gli stranieri residenti in Italia ben potrebbero adoperare a loro tutela, in caso di bisogno, questo nuovo istituto.

Quasi sicuramente, il problema posto dovrebbe trovare una soluzione positiva e quindi gli stranieri vedono riconosciuto, in toto, il loro diritto alla  nomina dell'amministratore di sostegno proprio in virtù della ratio delle nuove norme che tendono, in ogni circostanza, a tutelare " con la minore limitazione possibile della capacita d'agire" .

Inoltre, tale interpretazione positiva sembra ulteriormente confermata non solo dal  dato di fatto che l'amministratore di sostegno risulta essere presente gia da lungo tempo in diverse legislazioni europee ma anche dagli obiettivi giuridici e sociali che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea del 7 dicembre 2000 si prefigge.

Lo stesso art. 1 della legge n. 6 /2004 ci prospetta questo nuovo istituto come un istituto a geometria variabile in quanto toglie capacità all'individuo solo nella maniera in cui questo e necessario.

Inoltre, l'art. 409 c.c., al riguardo, dispone che " il beneficiario conserva la capacita di agire per tutti quegli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l'assistenza necessaria dell'amministratore di sostegno e che, inoltre, il beneficiario dell'amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana"; su quanto disposto dall'art. 409 c.c.,  nulla questio.

Altri dubbi interpretativi sorgono poi in riferimento all'aspetto procedurale ovvero riguardo alla necessita o meno del ricorrente di
avvalersi di un difensore abilitato al patrocino.

Quest'ultimo problema appare, invece, di difficile soluzione perché da un lato si sostiene che  l'obbligo per il ricorrente di munirsi di un avvocato risulterebbe da una serie di disposizione normative, prima tra tutte l'art. 82 c.p.c., che poi e esplicazione del corollario applicativo del diritto irrinunciabile alla difesa (ex art. 24 della nostra Costituzione), mentre dall'altro lato e stato sostenuto un orientamento negativo che non riconosce la sussistenza di un obbligo assoluto a munirsi del patrocinio di un avvocato in tale procedimento; tuttavia, questo orientamento negativo e del tutto minoritario.

Secondo la dottrina prevalente, il problema posto dovrebbe trovare una soluzione positiva, ritenendo necessaria, per la proposizione per la nomina dell'amministratore di sostegno, l'assistenza di un avvocato iscritto all'Albo Professionale (ex. art. 82 c.p.c.).

Questo filone dottrinario ha trovato riscontro in una serie di decisioni giurisprudenziali tra le quali spicca quella del 21 maggio 2004 ad opera del Tribunale di Padova che ha affermato che la legge n. 6 del 2004  non contiene alcuna disposizione che escluda la necessita della difesa tecnica per il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno; dunque, a codesto procedimento, che coinvolge in primis i diritti della personalità, si applica la regola generale di cui al comma 3, dell'art. 84 del c.p.c.

Il Tribunale di Padova, Sez. I, 21 maggio 2004, al riguardo, ha così statuito  "Nel procedimento di apertura dell'amministratore di sostegno le parti debbono stare in giudizio con il ministero di un difensore trattandosi di un giudizio davanti al Tribunale in funzione di giudice tutelare che attiene allo status e ai diritti delle persone".

Nello stesso senso, poi, deporrebbe anche il novellato art. 720 bis c.p.c. che precisa che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno, si applicano" in quanto compatibili" le disposizioni vigenti per i procedimenti di interdizione e inabilitazione di cui agli artt. 712, 713, 716, 719 e 720 c.p.c.

A sostegno di tale assunto, vi sarebbe una ragione di ordine sostanziale che si rinviene nell'analogia che intercorre con la disciplina in tema di interdizione e di inabilitazione.

Tuttavia, da ulteriore angolo prospettico va evidenziato come l'applicazione delle suddette norme sia subordinata al requisito della compatibilità poiché la disciplina dell'amministratore di sostegno si prefigge fini differenti e ingloba oggetti diversi rispetto a quelli dell'inabilitazione e ancor più dell'interdizione.

D'altronde, e palese come sia differente anche il provvedimento cui questi tre procedimenti tendono; tale ultimo rilievo sarebbe desumibile dal fatto che il legislatore ha voluto dedicare all'amministratore di sostegno un capo autonomo e distinto collocando la normativa della legge 6/2004 all'interno del Capo I? e mantenendo la previgente disciplina in tema di infermità di mente, interdizione e inabilitazione nell'alveo del Capo II? del nostro Codice Civile; laddove il legislatore avesse voluto riprodurre anche per il procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno quello applicabile all'interdizione e all'inabilitazione, non solo avrebbe dovuto farlo espressamente ma avrebbe dovuto scegliere anche una collocazione sistematica ben diversa e, cioè, inserirli nello stesso Capo del Codice Civile.

A questo orientamento positivo si e contrapposto poi un secondo orientamento, totalmente, differente.

L'orientamento negativo mette in rilievo come il procedimento per la nomina dell'amministratore di sostegno non abbia, in realtà, le caratteristiche tipiche di un giudizio contenzioso, e come -inoltre- non richieda l'accertamento di una situazione giuridica, ma unicamente la nomina di un amministratore.

In secondo luogo, a sostegno dell'orientamento che nega valore all'art. 82 del c.p.c., verrebbe in soccorso il 3 comma dello stesso art. 82 c.p.c., laddove si precisa che l'obbligo, per la parte di essere assistita da un procuratore legalmente esercente, sussiste unicamente nei giudizi innanzi al Tribunale ed alla Corte d'Appello, e non, dunque, in un procedimento davanti al Giudice Tutelare qual'è appunto quello per la nomina dell'amministratore di sostegno.

Al riguardo, l'art. 405 del c.c., dispone che competente ad emanare il provvedimento di nomina e appunto il Giudice Tutelare, al quale va, dunque, proposta la domanda con la conseguenza logico-giuridica che non dovrebbe trovare applicazione l'art. 712 del c.p.c. poiché la domanda non può essere proposta innanzi al Tribunale.

Dunque, da una lettura combinata  degli att. 405 c.c. e 712 c.p.c. verrebbe a cadere il primo argomento addotto dal Tribunale di Padova, in quanto il giudice tutelare non è identificabile come organo giurisdizionale, bensì è qualificabile come organo di volontaria giurisdizione.

Ad ulteriore conferma che il suddetto procedimento presenta i requisiti della volontaria giurisdizione rileva poi la regola generale per cui qualora sussistano i requisiti per l'accoglimento della domanda, il procedimento si esaurisce con un decreto di nomina e non con una sentenza come avviene nell'interdizione e nell'inabilitazione.
La ratio di detto decreto e tutta rinvenibile nella volontà di dare  alla nomina dell'amministratore di sostegno un carattere di "non definitività".

E' pacifico, quindi, che il provvedimento sarà sempre modificabile sia dal giudice che lo ha pronunciato, sia, eventualmente, dal giudice superiore adito.

In ogni caso, il giudice dovrà, in concreto, procedere ad esaminare la persona da amministrare e decidere caso per caso, e se ne rinviene la necessita e l'opportunità soddisfare la relativa esigenza di sostegno, protezione o assistenza.

Prima facie, prendendo in considerazione quest'altro aspetto si potrebbe affermare che la struttura del procedimento richiami quella dei procedimenti di interdizione ed inabilitazione poiché anche per  questi e necessario effettuare un esame del soggetto da tutelare. In realtà non e propriamente così perché nel procedimento di nomina dell'amministratore di sostegno non e, espressamente, prevista a pena di nullità la partecipazione del P.M.

Anzi, si è stabilita la prassi per cui il P.M, normalmente, non interviene all'udienza di esame dell'amministrando al contrario di quanto, invece, avviene durante l'esame dell'inabilitando e dell'interdicendo.

In ogni caso, tuttavia, sarà obbligatorio assumere informazioni nel parentado, dai servizi sociali o da altri soggetti che abbiano in cura il soggetto, i quali, oltretutto, sono tenuti a proporre il ricorso, ove siano a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l'apertura del procedimento; viene cosi disattesa , anche nei casi più gravi, l'ipotesi di nomina "inaudita altera parte" (ex. art. 111 Cost.).

Allo scopo di evitare conflitti di interessi interni ovvero onde evitare che uno stesso soggetto svolga il ruolo di controllore-controllato, gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il soggetto beneficiario non potranno essere nominati amministratori di sostegno.

Analizzando questo complesso di norme, la dottrina prevalente ha dedotto e sostenuto che la natura del procedimento di nomina non abbia natura contenziosa anche se  non si può totalmente escludere che -alle volte- tale procedimento possa assumere le caratteristiche proprie del contenzioso.
Si potrebbe verificare l'ipotesi in cui chi deve essere amministrato resista o addirittura l'ipotesi di un tentativo di sfruttamento da parte dei parenti. In tutte queste ipotesi sono ravvisabili gli estremi e le caratteristiche di un procedimento contenzioso, ma  anche in queste ipotesi la nomina dovrà avvenire  mediante un decreto.

In ogni caso, la ratio procedimentale è quella di preservare il più possibile la liberta del Giudice Tutelare che dovrà graduare il
provvedimento a seconda delle esigenze del caso concreto.

Alla luce di tali profili, pertanto, tralasciando il fatto che sicuramente l'assistenza tecnica di un avvocato possa garantire una maggiore tutela, si ritiene tuttavia che il suddetto ricorso possa svolgersi legittimamente anche senza l'assistenza di un avvocato.

Più in particolare, la necessita di avvalersi di un difensore resterebbe eventualmente circoscritta alla fase introduttiva del ricorso ma non sussisterebbe anche nelle successive fasi che portano a compimento la nomina; quanto detto può essere desunto anche dal dettato legislativo laddove all'art. 411 c.c. dispone che lo stesso soggetto debole può personalmente e direttamente  proporre ricorso al giudice per ottenere la nomina di un' a.d.s.

In questo contesto, un altro aspetto procedurale che assume particolare importanza e quello della pubblicità; la comunicazione del decreto di apertura all'ufficiale dello stato civile dovrà avvenire entro 10 giorni.

L'importanza della pubblicità risponde alla logica esigenza di tutelare i terzi id est alla necessita di consentire ai terzi di essere a conoscenza della situazione giuridica della persona con cui devono eventualmente contrattare. Inoltre sia il decreto di apertura cosi come quello di chiusura devono essere annotati nell'apposito registro delle amministrazioni di sostegno ubicato presso le cancellerie dei Giudici Tutelari.

Un altro aspetto importante della disciplina di questo nuovo istituto è quello che disciplina i casi e le modalità di annullabilità degli atti compiuti, usufruendo dell'amministratore di sostegno, dal soggetto beneficiario o dall'amministratore stesso.

Il dettato normativo, infatti, all'art. 412 del c.c., dispone che gli atti compiuti dall'amministratore possono essere annullati su istanza del beneficiario, dei suoi eredi o aventi causa o del P.M..
Inoltre, se possono essere annullati gli atti compiuti dall'amministratore di sostegno e logico che possano essere annullati anche gli atti compiuti personalmente dal beneficiario della misura di protezione in esame.

La condizione essenziale per annullare gli atti posti in essere dal beneficiario e la violazione di disposizioni di legge o del decreto che istituisce l'amministratore di sostegno.
Inoltre occorrerà sempre una istanza da parte dell'amministratore stesso o degli eredi del soggetto debole.

Uno dei problemi giuridico-applicativi, più interessanti e dibattuti tanto in dottrina che in giurisprudenza, di questa nuova legge e se nell'alveo di queste nuove disposizioni normative possano rientrarvi anche questioni riguardo alle quali non esiste una disciplina specifica all'interno delle norme della legge de quo.

Prendiamo, ad esempio, in esame il caso in cui Tizio usufruisce di un amministratore di sostegno e voglia contrarre matrimonio o riconoscere un figlio naturale. Al riguardo vi e un vuoto normativo in quanto in nessuna delle norme della legge vi e una disciplina specifica.
Se ci soffermiamo sul significato dell'incapacità si deve dedurre che incapacità non vuol dire incapacità di amare o di procreare e quindi come conseguenza logico-giuridica del silenzio normativo, al riguardo, si potrebbe anche pensare di dare a questi soggetti incapaci la possibilità di contrarre matrimonio oppure di riconoscere un figlio naturale; fermo restando il vicolo della impugnabilità in caso di violenza o di mancanza di veridicità.

Un altro aspetto sul quale non vi è all'interno della nuova disciplina una esplicita normativa e quello che attiene l'estensione di questo nuovo istituto agli anziani o meno.

Nelle norme della legge 9 gennaio del 2004 n. 6, non e possibile riscontrare alcun esplicito riferimento agli anziani; l'anziano, dunque, non è menzionato ma tuttavia può rientrarvi.

Si e cercato di capire come e perché l'amministratore di sostegno possa essere usufruibile anche dagli anziani.

Inizialmente, non vi e stata univocità di vedute e questa problematica è stata oggetto di diatribe tanto in dottrina che in giurisprudenza.

La prima considerazione che occorre fare al riguardo e che l'anziano in quanto tale non rappresenta una categoria particolare ma e unicamente un soggetto che ha un'età particolarmente avanzata.

Possono, dunque, verificarsi situazioni diversificabili, ed il Giudice Tutelare dovrà sempre effettuare un intervento graduato in relazione alla situazione sottoposta al suo esame.
Se prendiamo in esame il novellato art. 405 c.c.,  notiamo che dal dettato normativo è stata espunta la persona in età avanzata, e quindi basandosi su questo presupposto una parte della dottrina ha sostenuto che l'età avanzata non possa  costituire causa di privazione di quella autonomia necessaria a giustificare l'istituzione di una misura protettiva id est  "senectus ipsa morbus".

Tuttavia, al contrario, la formula utilizzata dall'art. 404 c.c., nell'indicare i presupposti soggettivi necessari per l'istituzione della misura protettiva, sembra avere una ampiezza ed una elasticità tale che a date condizioni potrebbe ricomprendere anche le persone anziane.

In sostanza, secondo un primo orientamento più rigido e restrittivo l'età avanzata non può essere, di per se stessa, presupposto fondante un provvedimento di amministrazione di sostegno; tuttavia, tale orientamento non è pienamente condivisibile perché contrasta in toto con la ratio della legge in questione, con la sua struttura a geometria variabile e con l'umanizzazione del rapporto tra rappresentante e rappresentato e la conseguente depatrimonializzazione del rapporto.

Quindi, senza dubbio, occorre seguire un secondo orientamento in base al quale qualora la vecchiaia possa determinare una limitazione apprezzabile delle funzioni della vita quotidiana sara possibile, nonostante il vulnus legislativo, ricomprendere anche gli anziani tra i soggetti beneficiari dell'amministratore di sostegno.

Anzi, la giurisprudenza prevalente ha affermato che, proprio in tali casi, la finalità dichiarata dalla nuova legge risulta esaltata, essendo possibile tutelare, "con la minor limitazione possibile della capacita di agire" (ex. art. 1 c.c.), la beneficiaria persona anziana che risulti priva di autonomia nell'espletamento di talune funzioni della vita quotidiana; inoltre, anche se in taluni casi ben si potrebbero applicare gli istituti dell'interdizione o inabilitazione, sembra preferibile la scelta del nuovo istituto di protezione civilistica in quanto duttile e più elastico nella nuova ottica di protezione delle persona umana.
Infatti, l'amministratore di sostegno svolgerebbe un ruolo di assistenza senza pregiudicare la persona dell'anziano che cosi non sarebbe escluso dal consorzio civile; sicché le sue residue energie psico-fisiche non vengono modificate bensì sviluppate e salvaguardate.

D'altronde, tale impostazione interpretativa di ampio respiro, sembra coerente con i fatti giuridici che in concreto si possono verificare nella vita di tutti i giorni soprattutto prendendo in considerazione la molteplicità delle vicende umane. E' chiaro, dunque, come ci si trovi di fronte ad un nuovo modo di intendere il diritto; un diritto più vivo, più umano, più sensibile al sentire di ogni
singolo individuo e delle esigenze di questo.
Un diritto che tramite il nuovo istituto sembra, anche, in un futuro vicino, poter travalicare la rigidita normativa anche in ambito di disciplina del diritto familiare poiche menzionando"i conviventi del beneficiario" apre uno spiraglio ad un futuro riconoscimento della famiglia di fatto; si è aperta dunque una finestra sul futuro che molto difficilmente sara chiusa.

E proprio in prospettiva di un futuro più attento nel dare risposte (per troppo tempo taciute) alle richieste socioculturali dei soggetti deboli e dei loro familiari potrebbe trovare attuazione la proposta-progetto del Prof. P. Cendon che ha acutamente e sensibilmente individuato nell'istituto dell'amministratore di sostegno la possibilità di vedere abrogate l'interdizione e l'inabilitazione, ormai, relitti di un diritto tecnicistico, poco orientato costituzionalmente e in questo campo spesso antieuropeo.

Del resto ancora oggi, il criterio di valutazione della graduazione della infermità non e esplicato in maniera chiara nella nostra legislazione e quindi e comprensibile optare per una forma di  protezione flessibile e rapida della persona e dei suoi interessi familiari e patrimoniali tanto più che le tre misure di tutela presenti nel nostro c.c. sono circolari e  non possono coesistere in nessuna circostanza.

Se infatti accada che per un interdetto od un inabilitato si renda, successivamente, necessaria la nomina di un amministratore di sostegno e consentito proporre l'istanza di nomina ma solo congiuntamente a quella di revoca della interdizione e dell'inabilitazione; si creano cosi iter processuali lunghi e costosi sia per il malato che per i suoi cari. Se il processo di interdizione comporta elevati costi al contrario l'amministrazione di sostegno è una misura gratuita seppure in determinati casi a discrezione del giudice tutelare potra essere stabilito un compenso per l'amministratore.

Dunque, inglobare le tre misure in una sola misura, nell'ottica della proposta del Prof. Cendon, rafforzerebbe la prospettiva di ampio orizzonte gia abbozzata nella legge 6/2004 ovvero costituirebbe una prosecuzione o meglio un completamento della stessa tanto più che non verrebbe neppure violato il principio di ugualianza sostanziale (ex.art.3 Cost.); infatti sarà sempre il giudice con la sua discrezionalita a modulare diversi tipi di amministrazione di sostegno in relazione  ai diversi casi di incapacità.

Non si tratterebbe, dunque, di mettere in atto una misura monolitica ma piuttosto di creare "un contenitore"; varie species di amministratori appartenenti ad un unico genus e con un unico scopo quello di tutelare i vari soggetti sulla base delle esigenze di ciascuno.
Con la legge 6/2004 il diritto si e aperto al futuro, spettera ora agli organi parlamentari cogliere il senso di questo nuovo sentire attraverso una operazione non di smantellamento ma di snellimento e ringiovanimento e soprattutto di massimizzazione tra gli effetti e le  le misure di protezione dei soggetti più deboli.

Autore: Dott.ssa Emanuela Tato - tratto dal sito: www.diritto.it