Autonomia e subordinazione

Autore: dott. Pierluigi Rausei - tratto da: Diritto e pratica del lavoro, 11 / 2008, p. 707

1. QUALIFICAZIONE DEL RAPPORTO

Si è formata una rilevante giurisprudenza in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro alla luce delle differenti tutele, giuridiche ed economiche, e delle diverse discipline che conseguono al riconoscimento della natura autonoma o subordinata di una prestazione lavorativa, a maggior ragione in considerazione del fatto che il problema della qualificazione del rapporto si pone non già per le ipotesi assolute o standard del tipo, ma proprio per quelle che si muovono fra gravi margini di incertezza in posizioni di border line, in una sorta di "zona grigia", ai confini fra autonomia e subordinazione.

 

1.1 Elaborazione giurisprudenziale

Cass. civ., sez. lav., 9 giugno 1998, n. 5710

L'attività umana, economicamente rilevante, può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo, i quali si distinguono per la presenza, nel primo del vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, vincolo la cui esistenza va apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione.

 

Trib. Santa Maria Capua Vetere, 9 gennaio 2007

Posto che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto tanto di un rapporto di lavoro autonomo, quanto di un rapporto di lavoro subordinato, principale elemento di distinzione, al fine di individuare la natura dell'attività prestata, è dato dalla ricorrenza dell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, rilevando gli altri indici rivelatori solo in via sussidiaria.

La Suprema Corte (seguita dai giudici di merito) ha posto già da tempo a fondamento della propria indagine finale circa la corretta qualificazione dei rapporti di lavoro l'affermazione secondo cui il lavoro dell'uomo non si identifica quale autonomo o subordinato in ragione delle mansioni svolte, ma soltanto in base all'effettiva dimostrazione della sussistenza del vincolo di subordinazione.

 

Cass. civ., sez. lav., 12 dicembre 2001, n. 15657

Costituisce punto decisivo per la determinazione della natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro: a) la necessità di indagare sull'effettiva volontà negoziale delle parti emergente, oltre che dal nomen iuris, dalla valutazione globale degli elementi che caratterizzano le cennate modalità di svolgimento del rapporto; b) l'obbligo di accertare fondamentalmente l'esistenza del vincolo di subordinazione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall'emanazione di ordini specifici, oltre che dall'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e di controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative; c) in ogni caso, l'opportunità di fare riferimento al criterio dell'effettività in merito alle modalità di esecuzione del rapporto quale indice dell'inserimento della prestazione lavorativa nella organizzazione di impresa. In particolare, l'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l'assoggettamento (cd. "vincolo di subordinazione ") del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento dell'organizzazione aziendale che deve essere concretamente apprezzato in relazione alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione; mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva.

L'indagine condotta dai giudici di legittimità deve ripercorrere l'iter logico-giuridico seguito, coerentemente e adeguatamente argomentato, dal giudice di merito. Questa analisi non può che muovere da un approccio "diagnostico" volto ad indagare i profili di riconoscibilità della fattispecie lavoristica esaminata. In conseguenza di ciò il Supremo Collegio giunge a scandire i passaggi dell'indagine circa la sussistenza del vincolo di subordinazione che muove dalla volontà delle parti e dal nomen juris dalle stesse adottato in sede di autoqualificazione, ma poi si spinge a dare concreta prevalenza al criterio di effettività riguardo alle effettive modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e al reale assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. D'altra parte, alla luce di questa pronuncia è possibile elencare gli indici presuntivi, sintomatici e accessori, di generale applicazione da parte della giurisprudenza: eterodirezione ed eterodeterminazione delle modalità di esecuzione, anche con riferimento al tempo e al luogo, della prestazione; inserimento stabile e imposto del lavoratore nell'organizzazione produttiva dell'impresa; utilizzo obbligatorio di locali, mezzi e strutture fornite dal datore di lavoro, secondo le regole da questi dettate; assenza di autonomo rischio imprenditoriale; obbligo di osservanza di un preciso orario di lavoro e di presenza giornaliera, con conseguente imposizione di giustificare ritardi e assenze; continuità della prestazione come stabile messa a disposizione del datore di lavoro da parte del lavoratore delle proprie energie lavorative; retribuzione predeterminata nella misura e corrisposta a cadenza fissa; retribuzione delle ore di lavoro straordinario; riconoscimento e fruizione di periodi di ferie; esclusività della prestazione; esercizio di mansioni meramente esecutive.

Bibliografia: Franceschelli, Nuove forme di prestazione dell'attività lavorativa: la "zona grigia" tra lavoro autonomo e subordinato, in Mass. giur. lav., 1988, 408 s.; Menghini, Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza in Subordinazione e autonomia: vecchi e nuovi modelli, in Quad. dir. lav. Rel. ind., 1998, 143 s.; Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro. II. Il rapporto di lavoro, Cedam, Padova, 2004, 5-10; Lepore, Gli indici giurisprudenziali di identificazione della fattispecie lavoro subordinato in Santoro Passarelli (a cura di), Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale. Il lavoro privato e pubblico, Ipsoa, Milano, 2006, 33-47; Lunardon, La subordinazione, in C. Cester (a cura di), Il rapporto di lavoro subordinato: costituzione e svolgimento, in F. Carinci (diretto da), Diritto del lavoro. Commentario, Utet giuridica, Milano, 2007, 3-38.

 

1.2 Disponibilità del tipo negoziale

Corte cost., 31 marzo 1994, n. 115

Non è consentito al legislatore autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l'applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato. I principi, le garanzie e i diritti stabiliti dalla Costituzione in questa materia, infatti, sono e debbono essere sottratti alla disponibilità delle parti. Affinché sia salvaguardato il loro carattere precettivo e fondamentale, essi debbono trovare attuazione ogni qual volta vi sia, nei fatti, quel rapporto economico-sociale al quale la Costituzione riferisce tali principi, tali garanzie e tali diritti. Pertanto, allorquando il contenuto concreto del rapporto e le sue effettive modalità di svolgimento - eventualmente anche in contrasto con le pattuizioni stipulate e con il "nomen iuris " enunciato - siano quelli propri del rapporto di lavoro subordinato, solo quest'ultima può essere la qualificazione da dare al rapporto, agli effetti della disciplina ad esso applicabile.


Corte cost., 29 marzo 1993, n. 121

Non è comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l'inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall'ordinamento per dare attuazione ai principi, alle garanzie e ai diritti dettati dalla Costituzione a tutela del lavoro subordinato.


Cass. civ., sez. lav., 25 maggio 1998, n. 5214

L'art. 13 della legge n. 498 del 1992 è stato ritenuto costituzionalmente legittimo con sent. Cost. n. 115 del 1994 nella sola opzione ermeneutica che ne neghi l'idoneità preclusiva dell'accertamento giurisdizionale di una situazione reale di svolgimento del rapporto di lavoro in maniera conforme a quanto stabilito originariamente dai contraenti; tale difetto di conformità tra il "nomen juris " attribuito al rapporto e il reale svolgimento dello stesso può emergere indifferentemente sia dalla prova diretta dell'elemento della subordinazione, sia da quella indiziaria, ossia relativa alla presenza di indici rivelatori della predetta subordinazione, atteso che, in entrambi i casi, è raggiunto l'identico risultato - compatibile con la normativa speciale e con la lettura "costituzionale" della norma - della dimostrata subordinazione del lavoratore al potere direttivo e gerarchico del datore di lavoro.

Che l'effettività della prestazione lavorativa, vale a dire le concrete modalità di espletamento della prestazione lavorativa prevalgano in senso assoluto, su qualsiasi dichiarazione contrattuale in senso contrario, è dimostrato anche dai pronunciamenti della Corte costituzionale in materia di qualificazione e di disciplina del lavoro subordinato. Con due importanti pronunce, relative a disposizioni di legge di fatto "microsettoriali", nel tentativo di fornire una interpretazione adeguata ai canoni costituzionali, il giudice delle leggi è, infatti, intervenuto a puntualizzare la natura e il rango di livello costituzionale dei principi di inderogabilità delle tutele di diritto del lavoro, segnalando come le concrete modalità di svolgimento del rapporto debbano necessariamente prevalere anche sulla eventuale qualificazione dello stesso effettuata dalla legge. L'assunto così formulato, ribadito anche dalla Suprema Corte, sancisce l'indisponibilità del tipo negoziale da parte del legislatore e, quindi, l'assoluta libertà del giudice del lavoro di qualificare il rapporto sottoposto al suo giudizio in ragione del concreto assetto realizzato fra le parti, senza che il legislatore possa aprioristicamente vincolarlo a un particolare e predeterminato tipo contrattuale. D'altro canto, se è pur vero che i principi posti dagli artt. 35-40 Cost. non possono riferirsi soltanto al lavoro subordinato, ma al lavoro inteso in tutte le sue forme e applicazioni, non si può neppure negare che gli stessi consentono di individuare nella Carta costituzionale una nozione di subordinazione configurata in ragione dello statuto protettivo del lavoratore, come persona e finanche come contraente tendenzialmente meno forte rispetto alla controparte negoziale, senza che se ne possa, tuttavia, concettualizzare il significato e la definizione in modo definitivo e permanente.

Bibliografia: D'Antona, Limiti costituzionali alla disponibilità del tipo contrattuale nel diritto del lavoro, in Arg. dir. lav., 1995, 63 s.; Scognamiglio, La disponibilità del rapporto di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., 2001, 95 s.; Ghera, Subordinazione, statuto protettivo e qualificazione del rapporto di lavoro, in Garofalo, Ricci (a cura di), Percorsi di diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2006, 323 s.

 

1.3 Metodi di qualificazione

Cass. civ., sez. lav., 2 settembre 2000, n. 11502

In relazione alla configurabilità, da un lato, di una nozione giuridica di subordinazione nella prestazione di lavoro (che dà rilievo alla messa a disposizione da parte del lavoratore delle proprie energie a favore del datore di lavoro, con l'assoggettamento al suo potere direttivo e disciplinare), e, dall'altro, di elementi sintomatici della situazione di subordinazione (quali la continuità dello svolgimento delle mansioni, il versamento a cadenze periodiche del relativo compenso, la presenza di direttive tecniche e di poteri di controllo e disciplinari, il coordinamento dell'attività lavorativa rispetto all'assetto organizzativo aziendale all'alienità del risultato, l'esecuzione del lavoro all'interno della struttura dell'impresa con materiali ed attrezzature proprie della stessa, l'osservanza di un vincolo di orario, l'assenza di rischio economico), il giudizio relativo alla qualificazione di uno specifico rapporto come subordinato o autonomo ha carattere sintetico (nel senso che, rilevati alcuni indici significativi, li valuta nel loro assieme, in relazione alle peculiarità del caso concreto) e integra un giudizio di fatto censurabile, in sede di legittimità, solo per ciò che riguarda sia la individuazione dei caratteri identificativi del lavoro subordinato, mentre è insindacabile, se sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la scelta degli elementi di fatto cui attribuire, da soli o in varia combinazione tra loro, rilevanza qualificatoria sia la riconduzione o meno degli stessi allo schema contrattuale del lavoro subordinato.

 

Cass. civ., sez. lav., 28 settembre 2002, n. 14071

Quando il carattere distintivo non sia agevolmente apprezzabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto, occorre far riferimento ad altri criteri, complementari e sussidiari, sintomatici della subordinazione. In tal caso, il procedimento logico di qualificazione del rapporto, consistente nella riconduzione della fattispecie concreta alla fattispecie legale tipica, cui consegue l'applicabilità della disciplina relativa, passa anche attraverso l'indagine della concreta sussistenza degli indici rivelatori della subordinazione, i quali, benché privi di valore decisivo (se individualmente considerati), ben possono essere valutati globalmente come indizi gravi, precisi e concordanti della subordinazione, con l'ulteriore precisazione che la mancanza di taluno di essi non può di per sé considerarsi argomento esaustivo dell'assenza della subordinazione.

Assolutamente di rilievo e prevalente è l'orientamento giurisprudenziale in base al quale non è sufficiente uno soltanto degli indici sintomatici di subordinazione per qualificare il rapporto di lavoro, ma occorre che ricorrano più indici contestualmente, i quali, fra loro connessi, evidenzino l'assetto giuridico in concreto posto in essere e voluto dalle parti. Analoga posizione viene assunta dalla Suprema Corte anche con riferimento agli elementi sussidiari (indici accessori) della subordinazione, i quali sono ritenuti utili ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro non considerati singolarmente, ma soltanto all'esito di una valutazione globale e complessiva rispetto alla quale risultino riconoscibili come indizi "gravi, precisi e concordanti " di un vincolo di subordinazione effettivamente sussistente.

 

Cass. civ., sez. lav., 3 giugno 1998, n. 5464

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato deve considerarsi che i requisiti essenziali del rapporto di lavoro subordinato consistono nell'assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro - potere che deve estrinsecarsi in specifici ordini (e non in semplici direttive, compatibili anche con il lavoro autonomo), oltre che nell'esercizio di un'assidua attività di vigilanza e controllo sull'esecuzione dell'attività lavorativa e nello stabile inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale del beneficiario della prestazione, mentre altri elementi, come l'obbligo di un orario e l'incidenza del rischio economico dell'attività lavorativa, hanno carattere sussidiario e sono utilizzabili, ai fini della qualificazione del rapporto come autonomo o subordinato, specialmente quando nella fattispecie concreta non emergano elementi univoci a favore dell'una o dell'altra soluzione; la valutazione così operata dal giudice di merito è censurabile in sede di legittimità limitandosi alla determinazione dei criteri astratti e generali da applicare al caso concreto, mentre costituisce apprezzamento di fatto come tale insindacabile in detta sede, se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici o giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto in controversia nell'uno o nell'altro schema contrattuale.

Nell'opera di qualificazione del rapporto di lavoro possono essere utilizzati due metodi distinti quello "sillogistico" (o sussuntivo) e quello "tipologico". Dottrina e giurisprudenza prevalenti sembrano orientate per il ricorso al metodo sussuntivo che comporta un giudizio di identità o di piena conformità del caso concreto al modello astratto disegnato dall'art. 2094 cod. civ., utilizzando il metodo del sillogismo giuridico. Peraltro, vanno rilevate le posizioni dottrinali che vedono nel differente metodo tipologico uno strumento di maggior adattamento alla realtà socio-economica, attraverso il ricorso al tipo normativo, anziché al tipo legale.

Bibliografia: Biagi, Tiraboschi, Istituzioni di diritto del lavoro, Giuffré, Milano, 2004, 106-111; Nogler, Metodo tipologico e qualificazione dei rapporti di lavoro subordinato, in Riv. it. dir. lav., 1990, I, 206; Mengoni, La questione della subordinazione in due trattazioni recenti, in Riv. it. dir. lav., 1986, I, 15; Ichino, Il lavoro subordinato: definizione e inquadramento, in Schlesinger (a cura di), Il Codice Civile. Commentario, Giuffré, Milano, 1992, 32 s.

 

2. INDICI SINTOMATICI

La qualificazione del rapporto di lavoro, dunque, guarda al momento funzionale (il rapporto) e non già a quello genetico (il contratto) della prestazione di lavoro e del matching fra datore di lavoro e lavoratore. Da questo punto di osservazione, d'altra parte, i giudici hanno individuato, nel tempo, gli indici che possono apparire, combinati fra loro, sintomatici o rivelatori della sussistenza di un vincolo di subordinazione: l'eterodirezione, e cioè l'assoggettamento gerarchico all'esercizio dei tipici poteri datoriali, l'eterodeterminazione, vale a dire la sottoposizione al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro, l'inserimento organico.

2.1 Nomen juris e volontà delle parti

Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2007, n. 6622

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non si deve prescindere dalla volontà delle parti contraenti, dovendosi tenere presente il nomen juris utilizzato, il quale non ha rilievo assorbente, poiché deve considerarsi il comportamento complessivo delle parti, anche posteriore alla conclusione del contratto, e in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali circa le caratteristiche e le modalità della prestazione, è necessario dare prevalenza agli elementi di fatto.


Cass. civ., sez. lav., 18 aprile 2007, n. 9264

Il riferimento al "nomen iuris" dato dalle parti al contratto di lavoro appare di utilità nelle fattispecie in cui i caratteri differenziali tra due o più figure negoziali non appaiono facilmente tracciabili, anche con riferimento al lavoro subordinato, non potendosi negare che quando la volontà negoziale si è espressa in modo libero e in forma articolata, concretizzandosi in un documento che individua le modalità dei rispettivi diritti ed obblighi, il giudice deve accertare in maniera rigorosa se quanto dichiarato nel documento contrattuale si sia tradotto nella realtà di fatto attraverso un coerente comportamento delle parti.

 

Cass. civ., sez. lav., 29 maggio 1996, n. 4948

Il principio per cui ai fini della distinzione tra rapporto di lavoro autonomo e subordinato, è necessario avere riguardo all'effettivo contenuto del rapporto stesso, indipendentemente dal "nomen iuris" usato dalle parti non implica che la loro dichiarazione di volontà in ordine alla fissazione di tale contenuto debba essere stralciata nell'interpretazione del contratto e che non debba tenersi conto del relativo affidamento reciproco delle parti, costituendo per contro tale dichiarazione, anche in relazione al suddetto affidamento, in presenza di modalità esecutive non incompatibili con l'espletamento in forma autonoma della prestazione di lavoro, un elemento di carattere fondamentale e prioritario, per risolvere le situazioni di ambiguità fattuale.

 

Cass. civ., sez. lav., 23 luglio 2004, n. 13884

Ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato non deve prescindersi dalla volontà delle parti contraenti e, sotto questo profilo, va tenuto presente il "nomen juris" utilizzato, il quale però non ha un rilievo assorbente, poiché deve tenersi altresì conto, sul piano della interpretazione della volontà delle stesse parti, del comportamento complessivo delle medesime, anche posteriore alla conclusione del contratto, ai sensi dell'art. 1362, secondo comma, cod. civ., e, in caso di contrasto fra dati formali e dati fattuali relativi alle caratteristiche e modalità della prestazione, è necessario dare prevalente rilievo ai secondi. Tuttavia, quando sia proprio la conformazione fattuale del rapporto ad apparire dubbia, non ben definita o non decisiva, l'indagine deve essere svolta in modo tanto più accurato sulla volontà espressa in sede di costituzione del rapporto.

 

App. Roma, 23 agosto 2005

Il principio per cui, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è necessario aver riguardo all'effettivo contenuto del rapporto stesso, indipendentemente dal nomen juris usato dalle parti, non implica che - specialmente nei casi caratterizzati dalla presenza di elementi compatibili con l'uno e con l'altro tipo di rapporto - la dichiarazione di volontà delle parti stesse in ordine alla fissazione di detto contenuto, o di un elemento di esso qualificante ai fini della distinzione medesima, debba essere stralciata nell'interpretazione del precetto contrattuale e che non debba tenersi conto del relativo affidamento delle parti e della disciplina giuridica del rapporto da esse voluta nell'esercizio della loro autonomia contrattuale. Così, allorché, nel regolare i loro reciproci interessi, abbiano dichiarato di voler escludere l'elemento della subordinazione, non si può pervenire ad una diversa qualificazione del rapporto, se non si dimostra che in concreto tale elemento si sia di fatto realizzato nello svolgimento del rapporto medesimo.

 

Trib. Milano, 12 gennaio 2002

Quando una prestazione lavorativa è idonea ad essere effettuata sia in regime di autonomia che di subordinazione, per capire la vera natura del rapporto, deve in primo luogo essere accertata la volontà delle parti, quindi verificare se queste hanno dichiarato di voler escludere la subordinazione, fatto ciò è possibile giungere ad una diversa qualificazione del rapporto, solo se si dimostra che tale subordinazione si è di fatto realizzata in fase di esecuzione, con l'assoggettamento del lavoratore al potere del datore di lavoro di disporre della prestazione e controllarne intrinsecamente lo svolgimento, restando esclusa l'utilizzabilità di elementi compatibili con l'uno o l'altro tipo di rapporto quali, la continuità della prestazione, l'inesistenza di un rischio e di un'organizzazione d'impresa, orario predeterminato, retribuzione fissa.

Soprattutto in considerazione delle difficoltà crescenti relative alla qualificazione dei rapporti di lavoro, la giurisprudenza è tornata nei tempi più recenti a rivalutare il "nomen juris" quale indice di riferimento e di elaborazione. Se, infatti, fino alla prima metà degli anni Ottanta la giurisprudenza era solita ignorare la volontà formalmente espressa dalle parti all'atto della stipula del contratto di lavoro, in seguito si è formato un consistente orientamento giurisprudenziale che pondera il voluto contrattuale con le effettive modalità di esecuzione del rapporto, in modo da considerare imprescindibile l'indagine circa l'effettiva volontà delle parti e la corrispondenza di essa al "nomen juris" prescelto e utilizzato. Anzi, da parte della magistratura di merito da un lato ci si è spinti a pretendere un'indagine più accurata sulla stessa volontà delle parti nei casi di dubbia qualificazione, dall'altro si è finito per attribuire al "nomen juris" e alla volontà un ruolo dirimente nei casi in cui non si riesca a pervenire, utilizzando gli altri indici, ad una differente qualificazione del rapporto.

Bibliografia: Pellacani, Autonomia individuale e rapporto di lavoro. La divergenza fra il programma contrattuale e il concreto atteggiarsi del rapporto, Giappichelli, Torino, 2002; Romei, Prestatore di lavoro subordinato. Commento all'art. 2094 c.c., in Amoroso, Di Cerbo, Maresca (a cura di), Il Diritto del Lavoro. I. Costituzione, Codice civile e leggi speciali, Giuffré, Milano, 2007, 577-578.

2.2 Eterodirezione (potere gerarchico e disciplinare)

Cass. civ., sez. lav., 30 gennaio 2007, n. 1893

Per la qualificazione del rapporto di lavoro, elemento che contraddistingue il lavoro subordinato rispetto a quello autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto, è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia e inserimento nell'organizzazione aziendale.

 

Trib. Napoli, 4 gennaio 2007

Principale indice di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro subordinato è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo specifico e al controllo disciplinare del datore di lavoro, con limitazione dell'autonomia organizzativa all'interno della gestione aziendale.

 

Cass. civ., sez. lav., 19 maggio 2006, n. 11880

Requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, ai fini della distinzione dal rapporto di lavoro autonomo, è il vincolo di soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall'emanazione di ordini specifici e dall'esercizio di una assidua attività di vigilanza e di controllo dell'esecuzione delle prestazioni lavorative.

 

Cass. civ., sez. lav., 27 gennaio 2005, n. 1682

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato gli elementi quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario di lavoro, la cadenza fissa del corrispettivo, l'assoggettamento a controlli, non sono decisivi, essendo riconoscibili anche nel lavoro autonomo, specie se nella forma di collaborazione continuativa; unici elementi rilevanti sono invece l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, che si esplica con ordini specifici e non con semplici direttive di carattere generale, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro e l'inserimento stabile del lavoratore nell'organizzazione aziendale.

 

Cass. civ., sez. lav., 13 maggio 2004, n. 9151

L'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato consiste nell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, che si estrinseca in specifiche disposizioni, le quali si risolvono nell'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.

 

Cass. civ., sez. lav., 17 dicembre 2003, n. 19352

Il rapporto di lavoro subordinato è caratterizzato da un pregnante vincolo di natura personale, che impone al dipendente di assoggettarsi al potere organizzativo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, ponendo a disposizione di questi le proprie energie lavorative, adeguandosi ai suoi ordini e sottoponendosi al suo controllo nello svolgimento della prestazione.

L'assoggettamento personale del lavoratore al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro (cd. "eterodirezione ") è considerato dalla giurisprudenza maggioritaria il principale indice rivelatore della subordinazione. Il connotato peculiare del rapporto di lavoro subordinato, dunque, è individuato preliminarmente nel vincolo di dipendenza gerarchica, ancor prima che tecnica o funzionale, rispetto alle posizioni di potere datoriali. Il vincolo di assoggettamento gerarchico, rilevante per il suo carattere personale e per il dato oggettivo dell'inserimento del lavoratore in modo continuativo e sistematico nell'organizzazione aziendale con un diretto e pressante controllo da parte del datore di lavoro è, pertanto, l'elemento distintivo prioritario del rapporto di lavoro subordinato. Vi è un vincolo di subordinazione quando il lavoratore è assoggettato al potere unilaterale del datore di lavoro di indicargli, attraverso ordini precisi e tassativi, le concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa conformandola alle specifiche esigenze organizzative aziendali.

Bibliografia: Pedrazzoli, Democrazia industriale e subordinazione. Poteri e fattispecie nel sistema giuridico del lavoro, Giuffré, Milano, 1985; Spagnuolo Vigorita, Le apparenti contraddizioni del nostro ordinamento in tema di subordinazione, in Pedrazzoli, Lavoro subordinato e dintorni. Comparazioni e prospettive, Il Mulino, Bologna, 1989, 93 s.

 

2.3 Eterodeterminazione (potere direttivo e organizzativo)

Cass. civ., sez. lav., 28 maggio 2007, n. 12368

Ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro è elemento essenziale la subordinazione intesa come vincolo di soggezione personale del prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, che inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative e non già soltanto al loro risultato.

 

Cass. civ., sez. lav., 7 ottobre 2004, n. 20002

L'elemento idoneo a caratterizzare il rapporto di lavoro subordinato e a differenziarlo da altri tipi di rapporto è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, tenendo presente che il potere direttivo non può esplicarsi in semplici direttive di carattere generale (compatibili con altri tipi di rapporto), ma deve manifestarsi in ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa e che il potere organizzativo non può esplicarsi in un semplice coordinamento (anch'esso compatibile con altri tipi di rapporto), ma deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale.

 

Cass. civ., sez. lav., 9 giugno 1994, n. 5590

Ai fini della valutazione della sussistenza del vincolo della subordinazione - che costituisce l'elemento determinante ai fini della distinzione fra lavoro autonomo e subordinato e che va inteso come un vincolo di natura personale che assoggetta il prestatore al potere direttivo del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia - non è necessaria, per riscontrare il profilarsi in concreto del suddetto potere direttivo e del connesso potere di controllo del datore di lavoro in ordine allo svolgimento delle prestazioni lavorative affidate ai collaboratori, la presenza costante e continua di questo nei luoghi di svolgimento di tali prestazioni, dovendosi considerare che la continuità e la frequenza delle direttive e dei controlli vanno correlate sia alla natura delle prestazioni - assumendo rilievo, sotto tale profilo, la natura intellettuale e professionale delle stesse - sia al ruolo dei prestatori di lavoro nell'ambito dell'impresa ed ai loro rapporti con l'imprenditore, sul piano delle capacità e della fiducia.

 

Cass. civ., sez. lav., 21 maggio 2004, n. 9764

Con riferimento alle prestazioni di contenuto intellettuale, che non richiedono alcuna organizzazione imprenditoriale né postulano un'assunzione di rischio a carico del lavoratore, il criterio fondamentale per l'accertamento della natura (autonoma o subordinata) del rapporto di lavoro è costituito dall'esistenza di un potere direttivo del datore di lavoro che, pur nei limiti imposti dalla connotazione professionale della prestazione lavorativa, abbia un'ampiezza di estrinsecazione tale da consentirgli di disporre, in maniera piena, della stessa nell'ambito delle esigenze proprie della sua organizzazione produttiva.

 

Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 1987, n. 2788

L'elemento della subordinazione non può essere astrattamente configurato nell'inserimento del lavoratore nella organizzazione imprenditoriale, ma dovendo, invece, risultare dalla ingerenza che sulla esecuzione della prestazione di lavoro esercita il potere direttivo dal datore di lavoro e dalle modalità di esecuzione della prestazione.

Un secondo criterio distintivo fondamentale utilizzato dalla giurisprudenza quale indice essenziale interno di subordinazione, è dato dalla cd. "eterodeterminazione ", vale a dire dall'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro. Tale ulteriore indice, peraltro, si accompagna generalmente a quello già menzionato della cd. "eterodirezione ", evidenziando le diverse gradazioni e attenuazioni con le quali può estrinsecarsi il vincolo di subordinazione: se è vero che esso non può derivare dalle semplici direttive programmatiche e da un mero estrinseco controllo sull'attività lavorativa, è parimenti vero che il controllo può presentarsi in forma attenuata e le direttive possono offrirsi in termini di specificità e comunque essere ricollegabili all'esercizio del potere datoriale di conformazione. D'altro canto, sia l'analisi "qualitativa " (tipologia degli interventi datoriali), sia quella "quantitativa " (numero di interventi) condotta sul potere direttivo, non sono in grado di fornire certezze e parametri di riferimento sicuri, proprio in ragione della necessaria indagine, caso per caso, circa le modalità di cui si estrinsecano i poteri del soggetto che riceve la prestazione di lavoro.

Bibliografia: Lunardon, La subordinazione cit., 9-11; Perulli, Subordinazione e autonomia, in Perulli (coordinato da), Il rapporto individuale di lavoro: costituzione e svolgimento, in Carinci (a cura di), Il lavoro subordinato, in Bessone (diretto da), Trattato di diritto privato, Giappichelli, Torino, 2007, vol. XXIV, t. II, 13-19.

 

2.4 Inserimento organico

Cass. civ., sez. lav., 9 ottobre 2006, n. 21646

Elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale.

 

Cass. civ., sez. lav., 13 febbraio 2004, n. 2842

Requisito fondamentale del rapporto di lavoro subordinato - ai fini della sua distinzione dal rapporto di lavoro autonomo - è il vincolo della subordinazione. L'esistenza di tale vincolo, che consiste per il lavoratore in uno stato di assoggettamento gerarchico, e per il datore di lavoro nel potere di direzione con il consequenziale inserimento del lavoratore nella organizzazione aziendale, va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell'incarico conferito al lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che caratteri dell'attività lavorativa come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa, le modalità di erogazione della retribuzione e la stessa durata dell'attività non assumono valore decisivo, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato che con quello di lavoro autonomo o parasubordinato.

 

Cass. civ., sez. lav., 25 ottobre 2004, n. 20669

Ai fini della configurabilità del lavoro subordinato e la distinzione da quello autonomo, sono decisivi l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con la conseguente limitazione della sua autonomia e il suo inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre la qualificazione del rapporto compiuta dalle parti nella iniziale stipulazione del contratto non è determinante, stante la idoneità, nei rapporti di durata, del comportamento delle parti ad esprimere sia una diversa effettiva volontà contrattuale, sia una nuova diversa volontà.

 

Cass. civ., sez. lav., 9 aprile 2004, n. 6983

I caratteri distintivi del rapporto di lavoro subordinato sono costituiti dall'inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro (con conseguente limitazione di autonomia) e tali caratteri sono i medesimi per qualunque tipo di lavoro, pur potendo essi assumere aspetti e intensità diversi in relazione alla maggiore o minore elevatezza delle mansioni esercitate o al contenuto (più o meno intellettuale e/o creativo) della prestazione pattuita.

Dando eco ad una autorevole posizione dottrinale, la giurisprudenza ha inteso rilevare l'essenzialità dell'inserimento (cd. "organico " o "strutturale ") del lavoratore nella struttura organizzativa del datore di lavoro al fine di qualificare in termini di subordinazione il rapporto di lavoro. D'altro canto la stessa dottrina è nel tempo intervenuta per evidenziare come il criterio dell'inserimento sia troppo fluido e generico per identificare il vincolo di subordinazione, rischiando piuttosto di dilatarne, in modo indiscriminato, la fattispecie. Per questa via, la giurisprudenza ha seguitato a richiamare l'indice dell'inserimento nell'organizzazione dell'impresa quale elemento della subordinazione, tuttavia collegandolo all'assoggettamento ai poteri datoriali in ogni caso, sia in termini strutturali, di oggettiva presenza nell'impresa, sia in termini funzionali di collegamento alla complessiva organizzazione produttiva o commerciale del datore di lavoro.

Bibliografia: Persiani, Riflessioni sulla giurisprudenza in tema di individuazione della fattispecie di lavoro subordinato, in Studi in onore di Santoro Passarelli, Jovene, Napoli, 1972, 841-879; Ichino, Il contratto di lavoro, in Cicu, Messineo (diretto da), Mengoni (continuato da), Trattato di diritto civile e commerciale, Giuffré, Milano, 2000, vol. XXVII, t. 2, I, 271-275; Ghera, Diritto del lavoro, Cacucci, Bari, 2006, 48-49.

3. INDICI SUSSIDIARI

Fra gli indici sussidiari più ricorrenti si possono richiamare: la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario di lavoro, la periodicità e la misura della retribuzione, la soggezione socio-economica, l'assunzione del rischio.

3.1 Continuità della prestazione

Cass. civ., sez. lav., 5 maggio 2004, n. 8569

Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione, ed, al fine della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall'assoggettamento del prestatore all'esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell'orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di auto-organizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro.

 

Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 2004, n. 15275

L'elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, assumendo la funzione di parametro normativo di individuazione della natura subordinata del rapporto stesso, è l'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l'assenza di rischio, la continuità della prestazione, l'osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e non decisiva.

Un primo indice sussidiario per la qualificazione del rapporto di lavoro in termini di subordinazione è individuato nella continuità della prestazione. Si tratta, invero, di una continuità "giuridica" e non "materiale", sebbene non manchino pronunce giurisprudenziali che fanno esplicito richiamo della materialità della continua messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. D'altro canto il riferimento alla continuità rappresenta l'emblema della ricerca giurisprudenziale di un valido sostituto (o surrogato) del criterio sintomatico dell'assoggettamento, sia esso "gerarchico " o "tecnico ", utile per indagare il concreto svolgimento della prestazione lavorativa secondo un vincolo di dipendenza.

 

3.2 Oggetto della prestazione

Cass. civ., sez. lav., 25 febbraio 2000, n. 2171

Nelle situazioni ove, per la particolare attività, alcuni aspetti (orari, mansioni) non assumono natura rigida, il mero inserimento del lavoratore nell'azienda non è parametro di qualificazione della subordinazione, né può costituire elemento esclusivo per dedurre la subordinazione stessa; il parametro di qualificazione si risolve, quindi, necessariamente negli elementi (non diversamente deducibili) dei quali l'inserimento è mera conseguenza: la sussistenza e la permanenza dell'obbligo del lavoratore di mantenere a disposizione del datore l'attività lavorativa nella sua indifferenziata materialità (come "operae ") e la sussistenza e la permanenza del suo conseguente assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro stesso.

 

Cass. civ., sez. lav., 27 novembre 2002, n. 16805

Un rapporto di lavoro subordinato può essere sostituito da uno di lavoro autonomo a seguito di uno specifico negozio novativo, ma l'effettività di siffatta novazione presuppone, oltre alla enunciazione ad opera delle parti di un diverso "nomen juris ", quale indice della concorde volontà di mutare il regime giuridico derivante dall'accordo precedente, anche un effettivo mutamento dello svolgimento delle prestazioni lavorative come conseguenza del venir meno del vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, ancorché rimanga eventualmente identico il contenuto della prestazione.

L'oggetto della prestazione rileva quale indice sussidiario di subordinazione sia con riferimento alla distinzione fra obbligazione di mezzi (operae) e obbligazione di risultato (opus), sia con riguardo alla obiettiva identificazione della prestazione lavorativa nella specificità delle mansioni concretamente svolte. La giurisprudenza più recente ricorre all'analisi oggettiva della prestazione prevalentemente alla luce delle modalità di esecuzione della stessa.

 

3.3 Rischio "d'impresa"

Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 2004, n. 9060

L'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato va individuato nella prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell'imprenditore, che sopporta il rischio dell'attività svolta.

 

Cass. civ., sez. lav., 29 aprile 2003, n. 6673

Ai fini della distinzione del rapporto di lavoro subordinato da quello autonomo, la sussistenza del rischio viene in rilievo quando si prospetti l'ipotesi che il prestatore di opera possa in realtà rivestire la qualità di imprenditore e, come tale, prestare un'attività autonoma all'interno o comunque a favore dell'impresa committente, ma non quando si tratti di prestazione di attività di carattere professionale, perché, in tale ipotesi, non si pone un problema di distribuzione del rischio tra il committente e il professionista il quale non ha un proprio rischio di impresa, ma è soggetto alla sola eventualità dell'inadempimento o dell'insolvenza della controparte. Nei casi in cui la qualificazione del rapporto si riveli di difficile e non sicuro apprezzamento, deve farsi riferimento alla volontà espressa dalle parti nel contratto.

Strettamente legato all'oggetto della prestazione è l'indice sussidiario relativo alla misura della incidenza personale del rischio anche in ragione della presenza di un'organizzazione di carattere imprenditoriale in capo al prestatore di lavoro. Tale indice viene utilizzato dalla giurisprudenza sul presupposto che il rischio economico d'impresa nel rapporto di lavoro subordinato deve integralmente ricadere sul datore di lavoro.

3.4 Orario di lavoro

Cass. civ., sez. lav., 13 febbraio 2007, n. 3090

Quando la prestazione ha una particolare natura tecnica che sfugge, nella sua specificità, alla competenza del datore di lavoro, ai fini della qualificazione del rapporto come subordinato assumono rilievo altri elementi, tra i quali il tempo, come oggetto delle direttive, che investono aspetti esterni alla prestazione in sé, esprimendosi in vincoli di presenza ed orario, sia come parametro della retribuzione, commisurata alla durata del suo svolgimento.

 

Cass. civ., sez. lav., 20 gennaio 2004, n. 849

L'osservanza di un orario di lavoro, come del resto la cadenza e la misura fissa della retribuzione o l'assenza di rischio, costituiscono elementi meramente sussidiari ai fini dell'accertamento della natura, subordinata o meno, di un rapporto di lavoro, giacché l'elemento distintivo del rapporto di lavoro subordinato consiste nell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro con conseguente limitazione dell'autonomia del lavoratore medesimo e suo inserimento nell'organizzazione aziendale.

 

Cass. civ., sez. lav., 9 dicembre 2002, n. 17534

La previsione di un rigido orario per la prestazione lavorativa costituisce sicura estrinsecazione del potere direttivo del creditore del servizio (e quindi della natura subordinata del rapporto di lavoro) solo quando sia espressione dell'autonomia decisionale nell'organizzazione aziendale e non quando inerisca alla prestazione richiesta, tale da dover essere espletata, per sua natura, in tempi non modificabili, che anche il lavoratore autonomo, debitore del risultato, sia tenuto a rispettare.

Senza dubbio non trascurabile, nella disamina giurisprudenziale circa la qualificazione del rapporto di lavoro, appare l'indice relativo alla sussistenza di un vincolo di orario. Per quanto risulti consolidato l'orientamento che vuole irrilevante la presenza o l'assenza del vincolo d'orario, tuttavia la prova di un orario di lavoro imposto obbligatoriamente al lavoratore viene ritenuta utile quale manifestazione del potere direttivo del datore di lavoro, specie se connesso all'obbligo di giustificazione delle assenze.

 

3.5 Forma della retribuzione

Cass. civ., sez. lav., 29 novembre 2007, n. 24903

Elemento indefettibile del rapporto di lavoro subordinato è la subordinazione, da intendersi quale il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro che riguarda le modalità concrete di svolgimento dell'attività lavorativa e non soltanto il risultato di essa. Gli altri elementi generalmente considerati rivelatori dell'esistenza della subordinazione, quali la collaborazione, l'osservanza di un orario di lavoro, la continuità della prestazione, l'inserimento nell'organizzazione aziendale, l'assenza di rischio imprenditoriale e la forma della retribuzione, hanno un carattere sussidiario e sono meramente indiziari. Essi, infatti, non assumono un valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto; tuttavia, possono essere valutati nella loro globalità quali indici, appunto, dell'esistenza di un vincolo di subordinazione ogniqualvolta l'accertamento dello stesso non risulti altrimenti agevole, a causa delle peculiarità delle mansioni svolte dal prestatore di lavoro.

 

Cass. civ., sez. lav., 13 maggio 2004, n. 9151

Il nomen iuris attribuito dalle parti oppure l'iscrizione del lavoratore nell'albo delle imprese artigiane o in una gestione previdenziale separata, come del resto la cadenza e la misura fissa della retribuzione o l'assenza di rischio, costituiscono elementi meramente sussidiari ai fini dell'accertamento della natura, subordinata o meno, di un rapporto di lavoro.

Scarsa rilevanza, infine, trova l'elemento relativo alle modalità, al tempo e alla forma della retribuzione, che non assume in giurisprudenza un ruolo di primo piano, ma piuttosto finisce generalmente in coda alle elencazioni degli indici radicalmente residuali.

Bibliografia: Menghini, Subordinazione e dintorni: itinerari della giurisprudenza cit.; Lunardon, La subordinazione cit.

 

 

Autore: dott. Pierluigi Rausei - tratto da: Diritto e pratica del lavoro, 11 / 2008, p. 707