Cass. pen. 22 giugno 2004, n. 28007

Pres. Marrone ' Rel. Marini

La Corte osserva

S.L. ha proposto ricorso per cassazione, a mezzo del difensore, avverso la sentenza in epigrafe, con la quale la Corte di appello ha confermato la di lui condanna alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione, oltre pene accessorie, inflittagli dal Tribunale di Avellino, con sentenza 30 gennaio 2002, quale responsabile dei reati di cui agli artt. 216, 220, 219 e 223 l. fall., commessi nella qualifica di amministratore unico della s.r.l. I. 2000 fallita in data 28 agosto 1997.

Il ricorrente, quali mezzi di annullamento, ha dedotto inosservanza o erronea applicazione degli artt. 216 e ss. R.D. n. 267/42 (l. fall.) e 192 c.p.p. sia in ordine alla prova di. sussistenza dei fatti di bancarotta - essendo invero insufficiente l'unico indizio rappresentato dall'incapacità dell'imputato di fornire giustificazione circa la sorte dei beni e delle scritture contabili - sia in ordine alla soggettiva imputazione dei fatti medesimi in presenza di una condotta di "spettatore inerte" e di amministrazione soltanto "apparente" della società fallita; ha quindi successivamente depositato una memoria, sottoscritta dal difensore, con la quale ribadisce ulteriormente il denunciato vizio, con preminente rilievo circa il cattivo governo della regola di cui all'art. 192 codice di rito.

Premette, questa Corte, che gli episodi di bancarotta risultano testualmente ascritti al ricorrente nella qualifica di amministratore solo "formale" (quella, cioè, del classico "testa di legno" assegnatagli dall'effettivo dominus della società, il coimputato V.A., nonché in concorso con costui (nei cui confronti il procedimento è stato definito con sentenza di patteggiamento ex art. 444 codice di rito).

Ciò premesso, va anzitutto rilevato che, quanto alla bancarotta fraudolenta patrimoniale è fondato il motivo di impugnazione laddove il ricorrente censura che il dolo del reato sia stato affermato in via soltanto presuntiva.

Vero è, infatti, che, la sentenza da atto, incensurabilmente, che è stata accertata la disponibilità in capo all'imprenditore, prima del fallimento, di determinati beni (dalla pronuncia di primo grado risultanti consistere in tre autoveicoli, liquidità e beni acquistati nell'anno 1995), il mancato reperimento dei quali lo S. non ha saputo in alcun modo giustificare e, dunque, tale circostanza, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta fraudolenta, autorizza il giudice di merito a dedurre che i beni stessi siano stati dolosamente distratti, gravando sul fallito l'obbligo giuridico di fornire dimostrazione della destinazione dei beni acquisiti al suo patrimonio (v., fra le tante: Cassazione Sezione quinta, 7569/99, J.; Cassazione Sezione quinta, 7726/93, B. ed altri; Cassazione Sezione quinta, 644/87, L.); e, dunque, è esente da vizi la conclusione che i fatti distrattivi siansi realmente verificati.

E, peraltro, sotto il profilo soggettivo, deve considerarsi che il ricorrente è stato pacificamente ritenuto - e già nel capo di imputazione - come un mero prestanome dell'amministratore di fatto (V.A.), sicché sotto detto profilo, la riconducibilità all'amministratore di diritto (c.d. "testa di legno") dei fatti distrattivi commessi dall'amministratore di fatto circostanza che la sentenza da per ammessa - avrebbe richiesto, se non la prova che l'imputato avesse avuto consapevolezza dei singoli episodi distrattivi, almeno la generica consapevolezza di tali eventi «fermo restando che tale consapevolezza non può presumersi in base al semplice dato di avere il soggetto acconsentito a ricoprire formalmente la carica» (Cassazione Sezione quinta, 10465/99, Cassazione Sezione quinta, 3328/98).

Nella specie, l'impugnata sentenza ha fatto proprio uso di una tale presunzione, come è reso evidente laddove ha argomentato che « ... la circostanza che l'imputato si sia prestato ad assumere la carica di amministratore apparente dimostra proprio che egli era ben consapevole del fine illecito perseguito dall'effettivo dominus V. A.» e che « ... lo S., quand'anche fosse stato uno sprovveduto, non poteva non rendersi conto che l'offerta della carica di amministratore doveva necessariamente avere altra finalità...».

Tale motivazione non è soltanto "insoddisfacente" perché non è automatico che ogni accettazione della carica di amministratore formale celi un disegno criminoso dell'amministratore di fatto (potendo questi trovarsi in una condizione che non gli consenta la gestione in prima persona) ma, in realtà, denuncia come insufficiente la prova del dolo richiesto, sia pure come generico, ai fini di riconducibilità all' amministratore di diritto dei fatti distrattivi commessi dall'amministratore di fatto e, poiché nulla di più è ricavabile dalla pronuncia di primo grado, sul punto la sentenza impugnata, ricorrendo l'ipotesi di cui all'art. 530, comma 2, codice di rito, deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

Non ha fondamento, viceversa, la stessa censura in punto di bancarotta fraudolenta documentale.

Vero è, infatti, che anche per detto addebito la sentenza utilizza l'identico argomento secondo cui lo S. «non poteva non rendersi conto della sottrazione delle scritture contabili» ma, in tal caso, l'individuazione della generica consapevolezza circa la condotta dell'amministratore di fatto può dirsi logicamente colta, nella sia pur sintetica espressione adottata dai secondi giudici, considerato il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le scritture e, quindi, coerentemente desunta dalla volontaria abdicazione a tal dovere specifico in uno al dato oggettivo della estromissione "fisica" delle scritture di legge dall'area del suo immediato e costante controllo.

Consegue che, limitatamente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale e con la formula sopra riferita - precisato che i motivi di ricorso non hanno riguardato l'ulteriore addebito di cui all'art. 220 l. fall. (omissione dell'obbligo ex art. 16, n. 3, l. fall.) - la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio ai sensi dell'art. 620, lettera 1) codice di rito, potendosi infatti provvedere alla determinazione della pena senza sostituire giudizi di merito ma unicamente recuperando la massima estensione delle attenuanti generiche prevalenti, esclusa dal giudice di merito con evidente riferimento all'aggravante ex art. 219 l. fall. data dall'ulteriore fatto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Adottati nel resto gli stessi criteri determinativi e conservato l'aumento per la continuazione con il reato ex art. 220 l. fall., la pena è ridotta ad anni 2 e mesi 1 di reclusione (p.b. anni 3 di reclusione ridotta di un terzo per le attenuanti generiche ed aumentata ex art. 81 c.p.).

PQM

La Corte, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all'ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale perché il fatto non costituisce reato e, per l'effetto, riduce la pena ad anni due e mesi uno di reclusione.