Le convivenze non fondate sul matrimonio:
prospettive di riforma e confronto
con la legislazione straniera

 

Relazione che il Dott. Gianluca Grasso, Giudice del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gozzo (ME), ha tenuto il 10/03/2007 all'incontro di studi sul tema «I rapporti familiari non fondati sul matrimonio», tenutosi presso l'Aula Magna della Corte d'Appello di Messina, nell'ambito del programma di formazione decentrata per la magistratura ordinaria.


1. Dalla convivenza alle convivenze.
Queste brevi riflessioni intendono appuntarsi sulla questione della possibile disciplina del fenomeno delle convivenze poste al di fuori del matrimonio nell'ordinamento giuridico italiano. Per fare questo appare opportuno analizzare il tema attraverso lo spettro della legislazione straniera; ciò, almeno, per due ragioni. La prima è che la disciplina delle convivenze non fondate sul matrimonio introdotta in altri sistemi giuridici ha inevitabilmente influenzato il dibattito interno, favorendo l'idea della necessità di una sua regolamentazione anche nell'ordinamento italiano. La seconda ragione è data dal fatto che guardare a modelli già vigenti e alla loro applicazione nei rispettivi sistemi di riferimento offre un'importante misura di valutazione della bontà del modello stesso al fine di una eventuale disciplina del fenomeno nel nostro sistema, oltre a costituire un'interessante pietra di paragone per valutare le proposte di disciplina attualmente in discussione.
Il tema delle convivenze non fondate sul matrimonio, in particolare di quella situazione che descrittivamente viene indicata come famiglia di fatto, e la loro possibile disciplina giuridica non costituiscono una novità nel dibattito giuridico[1]. Se il fenomeno dei rapporti paraconiugali ha da sempre interessato il diritto[2], sin dal diritto romano, nella seconda metà del XX secolo, in ragione dei mutamenti sociali che hanno inciso sulla struttura della famiglia[3], esso ha dato luogo ad una serrata riflessione culminata nella disciplina normativa rinvenibile in talune esperienze giuridiche. Sul piano delle idee, fra i diversi convegni e i momenti collettivi di riflessione, va senz'altro ricordato, in questa sede, l'incontro di studio, organizzato dal Consiglio d'Europa presso l'Università degli studi di Messina nel 1981 sul tema «Les problèmes juridiques posés par les couples non mariés»[4].
Il nostro sistema giuridico non ha ancora una disciplina organica del fenomeno delle convivenze, pur essendo ormai presenti nell'ordinamento italiano diverse disposizioni che disciplinano singoli aspetti dei rapporti giuridici facenti capo ai conviventi e dovendosi registrare numerosi arresti giurisprudenziali volti ad estendere garanzie previste per l'ambito coniugale ai legami more uxorio. L'insieme di tali situazioni giuridiche hanno indotto la dottrina ad una ricostruzione sistematica della materia, giungendo a riconoscere piena rilevanza al fenomeno delle convivenze non fondate sul matrimonio.
La questione del rilievo delle convivenze, tuttavia, si pone negli ultimi anni in termini in parte nuovi rispetto a quanto sin qui emerso, in ragione della molteplicità dei significati che assume il termine "convivenza" nella realtà sociale e, di riflesso, in quella giuridica[5]. Le convivenze di cui si discorre non sono più soltanto quelle di un uomo ed una donna che decidono di vivere come se fossero marito e moglie, ma di persone dello stesso sesso che stabiliscono un progetto di vita in comune, di più persone che decidono di vivere insieme perchè legate da un rapporto familiare "altro" rispetto a quello tipico delle forme di famiglia occidentale, come nel caso della poligamia, di persone che non legate da vincoli di tipo paraconiugale decidono di vivere insieme per superare o limitare le difficoltà della vita, come nel caso di amici, di parenti non legati da vincoli coniugali, di un anziano e di una badante. Bisogna allora chiedersi se la questione della disciplina delle convivenze non fondate sul matrimonio debba necessariamente estendersi a quest'ambito più ampio appena delineato o se possa, invece, essere circoscritta a quel settore maggiormente definito delle convivenze paraconiugali. Sulla strada da prima indicata si è incamminato il Governo italiano attraverso la presentazione del disegno di legge in tema di "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi". Nel corso della riflessione si avrà modo di analizzare il progetto e le sue finalità.
Al di fuori del mio intervento verrà posta la questione dell'ammissibilità e del rilievo dei c.d. contratti di convivenza, nonché la disciplina vigente delle convivenze paraconiugali. Non si tratterà, inoltre, della specifica questione dell'ammissibilità del matrimonio tra persone dello stesso sesso e delle discipline introdotte al riguardo in alcuni paesi europei. Oggetto specifico di queste annotazioni è la prospettiva di disciplina nel nostro ordinamento del fenomeno delle convivenze non fondate sul matrimonio alla luce delle esperienze straniere più significative. Per fare questo intendo partire dall'analisi delle discipline vigenti in altri sistemi giuridici, onde poter vagliare con maggiore cognizione di causa la necessità di una regolamentazione del fenomeno e le possibili linee evolutive del nostro ordinamento.
Sul piano metodologico intendo avvalermi dell'insegnamento di Francesco Santoro-Passarelli, secondo cui il giurista può svolgere la sua opera in due modi; attraverso l'interpretazione dell'ordinamento vigente o intervenendo sulle prospettive de jure condendo[6]. Quando interpreta il diritto vigente, il giurista è esclusivamente interprete e non può adattare la norma al proprio sentire. Viceversa, discutendo delle prospettive di riforma, il giurista può farsi portatore delle proprie idee al fine di affermarle.

2. Profili comparati di legislazione europea.
L'introduzione di specifiche discipline dedicate alla regolamentazione del fenomeno delle convivenze, specie paraconiugali, costituisce un fenomeno diffuso nell'esperienza giuridica comparata. Ipotesi di regolamentazione si riscontrano, pressoché, in tutti i continenti. L'analisi, in questa sede, si limiterà alle esperienze più significative presenti negli Stati aderenti all'Unione Europea. Da un lato va evidenziata la progressiva affermazione nell'ordinamento italiano di modelli giuridici sulle tematiche familiari che sono stati anticipati da altre esperienze europee, dall'altro non può essere ignorata l'incidenza dell'ordinamento comunitario sul diritto interno anche sul piano del diritto di famiglia[7].

2.1. Il diritto europeo: il piano sovranazionale.
Prima di procedere al vaglio della legislazione dei singoli Stati è, peraltro, necessario fornire alcuni cenni degli interventi sul piano sovranazionale, nell'ambito della Convenzione Europea Diritti dell'Uomo e dell'ordinamento comunitario.

2.1.1. La Convenzione Europea Diritti dell'Uomo.
In tema di famiglia, l'art. 12 della Convenzione Europea Diritti dell'Uomo (C.E.D.U.), prevede il diritto per uomini e donne in età adulta di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali e regolando l'esercizio di tale diritto. Nella Convenzione, dunque, matrimonio e famiglia tendono a coincidere, esprimendo la Carta una concezione tradizionale della famiglia. L'articolo in questione demanda alle discipline nazionali la scelta del contenuto della regolamentazione dei rapporti di natura familiare.
Il rilievo delle altre unioni passa attraverso disposizioni diverse, che danno rilievo alla posizione del singolo e ai sui diritti. Emerge, in tal senso il rilievo dell'art. 8 che riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza. Partendo da tale diversa prospettiva, il Consiglio d'Europa con la raccomandazione n. 924 del 1° ottobre 1981 aveva affermato la necessità di garantire la dignità delle persone omosessuali. Tuttavia, la lettura privilegiata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sulla base dell'art. 12 dà rilievo ad una nozione tradizionale di famiglia, quale relazione eterosessuale che nasce dal vincolo legale del matrimonio[8].

2.1.2. Gli interventi delle Istituzioni comunitarie.
Le Istituzioni comunitarie non hanno una competenza diretta in tema di disciplina sostanziale del matrimonio e dei rapporti di convivenza. La materia, infatti, è riservata alle scelte di ciascuno Stato membro. La stessa Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea approvata a Nizza il 7 dicembre 2000 prevede all'art. 9 che «Il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l'esercizio». Tuttavia, frequenti sono stati gli interventi delle Istituzioni comunitarie riferibili al tema in questione.
Su di un piano squisitamente politico e non vincolante per gli Stati membri o per le Istituzioni comunitarie si pongono diverse risoluzioni del Parlamento europeo[9] con le quali si è chiesta agli Stati membri l'eliminazione di ogni discriminazione e di ogni disparità di trattamento a danno degli omosessuali, invitando la Commissione a presentare una proposta di raccomandazione sulla parità di diritti per gli omosessuali. In tal senso, la richiesta ha riguardato, alternativamente, l'eliminazione degli ostacoli frapposti al matrimonio di coppie omosessuali o l'introduzione di un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni.
Contraria, tuttavia, ad un parallelismo tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali è la giurisprudenza della Corte di Giustizia che sottolinea la specificità del concetto di matrimonio, secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, inteso come un'unione tra due persone di sesso biologico diverso[10].
Sul piano dell'armonizzazione va segnalato l'impegno concreto della Commissione ad introdurre una disciplina comunitaria di tutto il diritto internazionale privato in materia di famiglia. Tale posizione risulta chiaramente dall'esame del Libro Verde sul conflitto di leggi in materia di regime patrimoniale dei coniugi, compreso il problema della competenza giurisdizionale e del riconoscimento reciproco COM/2006/0400 def[11]. È importante notare che con questo documento la Commissione non si riferisce ai regimi matrimoniali in senso stretto, richiamandosi espressamente anche alle altre forme di unione al di fuori di un vincolo matrimoniale. La  Commissione osserva, infatti, che «l'aumento significativo del numero di coppie non sposate negli Stati membri si risolve in un corrispondente aumento delle situazioni giuridiche internazionali che le riguardano». In  particolare, già ora applicabili con riferimento alle coppie di fatto sono le norme comunitarie in tema di responsabilità genitoriale di cui al regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, e le disposizioni adottate in materia di obbligazioni alimentari ai sensi del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio. Sulla base del libro verde pubblicato nel 2006 la Commissione ha dunque invitato a presentare commenti e suggerimenti sia con riferimento alla giurisdizione e al riconoscimento delle decisioni che in tema di legge applicabile, avendo riguardo sia al rapporto matrimoniale che alle altre unioni.
Sul piano interpretativo va rilevato che la dottrina[12], sulla base del dato testuale dell'art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, ha evidenziato una chiara apertura al riconoscimento di forme di convivenza diverse dal matrimonio. In realtà, se tale interpretazione risulta corretta, prescindendosi in questo caso dall'esplicito riferimento alla diversità del sesso presente nell'art. 12 della CEDU, è anche vero che spetta, comunque, a ciascuno Stato membro, e alla sovranità che fino a ora viene ad essi riconosciuta, l'introduzione di leggi nazionali volte a disciplinare il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia. Va inoltre osservato che la Carta dei diritti dell'Unione Europea di Nizza non possiede, attualmente, un valore cogente per i singoli ordinamenti ma soltanto programmatico, poiché non è stata approvata con le forme tipiche delle norme comunitarie previste dai trattati ed essendo ancora sub judice la sua rilevanza generale all'interno del Trattato costituzionale dell'Unione Europea, il cui progetto è stato momentaneamente accantonato per le difficoltà di ratifica riscontrate in diversi Stati membri.
La strada per superare le differenze ancora esistenti tra le diverse forme di convivenza è da qualcuno rintracciata nell'art. 13 del Trattato istitutivo della Comunità Europea che, a seguito delle modifiche introdotte col Trattato di Amsterdam, prevede una disposizione di carattere generale in tema di discriminazione[13]. A tal fine la norma stabilisce che «fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferito alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali». Si discute, peraltro, del rilievo della disposizione, escludendosi da una parte della dottrina il rilievo sostanziale della norma, per cui in base ad essa non potrebbero porsi degli obblighi agli Stati membri[14]. Può comunque affermarsi che una cosa sono le discriminazioni perpetrate nei confronti di coloro che manifestano un orientamento sessuale diverso dal comune[15], che non risultano più ammissibili, altra è l'equiparazione della coppia omosessuale alla famiglia e allo status, nonché ai diritti che ne conseguono.

2.2. La legislazione degli Stati membri dell'Unione Europea.
Al di là di quanto comunemente si crede, la maggioranza degli Stati membri ancora non ha una legislazione specifica in tema di convivenze non fondate sul matrimonio. Sono infatti una decina gli Stati membri la legge prevede forme di contratti o di partenariati registrati da un'autorità pubblica[16]. Il primo Stato che ha introdotto una specifica disciplina in materia è la Danimarca (1989), seguita dalla Svezia (1994), dai Paesi Bassi (1997), dal Belgio (1998), da alcune comunità autonome della Spagna, dalla Francia (1999), dalla Germania (2001), dalla Finlandia (2001), dal Portogallo (2001), dal Lussemburgo (2004) e dal Regno Unito (2005).
Tra gli ordinamenti che hanno introdotto una specifica regolamentazione delle convivenze[17] è possibile delineare, a grandi linee, due aree di riferimento in considerazione del tipo di intervento realizzato[18].
Al primo ambito sono riconducibili quelle discipline che istituzionalizzano la convivenza, introducendo un rito che sanziona il legame in termini ufficiali. Il sistema prevede, in questi casi, l'estensione quasi analogica alle convivenze delle norme previste in tema di matrimonio. Il modello legislativo di specie è costituito da un insieme disposizioni, in genere non derogabili, la cui applicazione discende dalla scelta delle parti di dar luogo ad una convivenza registrata. In questo ambito vanno ricomprese le discipline dei paesi nordici in genere, quali la Danimarca, la Svezia e la Finlandia oltre alla Germania. Il modello in questione si caratterizza per il fatto che la disciplina è tendenzialmente destinata a regolamentare, in via esclusiva, le unioni formate da persone dello stesso sesso.
Alla seconda area vanno ricondotte quelle legislazioni che introducono una disciplina del contratto e della sua rilevanza giuridica, attribuendo alle parti stipulanti maggiore libertà nella determinazione degli effetti giuridici discendenti dalla loro unione. La sua disciplina si riferisce sia alle coppie eterosessuali che a quelle dello stesso sesso. Esempi riconducibili a tale ambito sono rappresenti nella legislazione belga e in quella francese.
Particolare attenzione nella trattazione delle diverse discipline sarà dedicata proprio alla legislazione francese, relativa ai patti civili di solidarietà (Pacs), che in un certo immaginario giuridico sono considerati un buon modello di riferimento per la regolamentazione del fenomeno delle convivenze nel nostro ordinamento.

2.2.1. La disciplina nei paesi nordici: Danimarca, Svezia e Finlandia.
La prima disciplina organica in Europa in tema di rapporti di convivenza è stata approvata dal Parlamento danese nel 1989[19]. La legge 1 giugno 1989, n. 372 introduce la «registeret partnerskab», la partnership registrata dinanzi ad un ufficiale di stato civile. All'istituto possono accedere due persone dello stesso sesso (art. 1). Almeno un membro della coppia deve essere di nazionalità danese e deve risiedere nel paese. Le cittadinanze norvegese, svedese e islandese sono considerate come equipollenti a quella danese. Una persona che abbia previamente contratto matrimonio o che sia partner di una convivenza registrata non può contrarre matrimonio finché sussista il precedente matrimonio o la partnership. L'unione registrata è assimilata al matrimonio e comporta gli stessi effetti legali (art. 3) ad eccezione di talune norme specificamente indicate in tema di adozione, incapacità e tutela e di quelle relative ai coniugi sulla base del loro sesso (art. 4). Per sciogliere l'unione registrata si applicano le regole del divorzio consensuale che si svolge attraverso una procedura di carattere amministrativo (art. 5).
Il modello danese ha influenzato la disciplina degli altri paesi nordici.
In Svezia una prima forma di registrazione è stata prevista nel 1988 al fine di garantire alle unioni civili eterosessuali ed omosessuali taluni diritti in tema di proprietà sulla casa comune e dei beni acquistati, per uso comune, nel corso della convivenza. In particolare la legge disciplina le relazioni giuridiche della coppia (omosessuale o eterosessuale) riguardo la casa comune e i beni acquistati, per uso comune, nel corso della convivenza.
A tale disciplina ha fatto seguito la legge sulla partnership registrata, emanata il 23 giugno 1994, basata sul modello danese. La legge prevede che due persone dello stesso sesso possono chiedere la registrazione della loro convivenza (Capitolo 1, Sezione 1). La registrazione si potrà effettuare se almeno uno dei conviventi è cittadino svedese residente in Svezia (Capitolo 1, Sezione 2). Requisito necessario è la maggiore età. Non possono registrare la loro unione coloro che hanno legami di parentela in linea retta o i fratelli e sorelle germani. In caso di fratelli o sorelle consanguinei o uterini, vi deve essere il permesso del Governo o dell' autorità indicata dal Governo. Non si può effettuare la registrazione se la persona è coniugata o già registrata come convivente. La registrazione può essere effettuata da un Giudice legalmente qualificato presso la corte distrettuale o da una persona preposta dal consiglio amministrativo della contea (Capitolo 1, Sezione 8). La procedura richiede la presenza di testimoni (Capitolo 1, Sezione 6) ed entrambi i conviventi devono essere presenti contemporaneamente al momento della registrazione. Ciascuno di loro separatamente, in risposta a una domanda fattagli dalla persona preposta alla registrazione, dichiarerà di acconsentire alla registrazione. La persona preposta alla registrazione dichiarerà in seguito che loro sono conviventi registrati. La registrazione è nulla se non si è effettuata nei termini descritti o se la persona preposta alla registrazione non era autorizzata a portarla a compimento. La convivenza registrata si scioglie o per la morte di uno dei conviventi o per decisione giudiziale (Capitolo 2, Sezione 1). Allo scioglimento si applicano le disposizioni del capitolo 5 del Codice del matrimonio (Capitolo 2, Sezione 2). Gli effetti giuridici della convivenza registrata sono gli stessi del matrimonio (Capitolo 3, Sezione 1), ad eccezione di talune disposizioni in tema di inseminazione artificiale e di quelle la cui applicazione comporti un trattamento speciale di un coniuge a ragione del suo sesso. La possibilità di adottare minori, anche se figli dell'altro convivente, è stata introdotta con la legge del 5 giugno 2002.
In Finlandia le convivenze registrate (Registered Partnership Act) sono disciplinate dalla legge 9 novembre 2001, n. 250[20]. la normativa prevede che la registrazione è consentita a due persone dello stesso sesso che devono aver compiuto 18 anni (Capitolo 1). Ai fini della registrazione (Capitolo 4) almeno uno dei conviventi deve essere cittadino finlandese e residente in Finlandia o entrambe le parti devono risiedere in Finlandia da almeno due anni. Può altresì chiedere la registrazione i cittadini di uno Stato in cui sia prevista la registrazione della convivenza. La convivenza registrata fra persone dello stesso sesso è valida in Finlandia se lo è nello Stato in cui la registrazione ha avuto luogo. La registrazione è di competenza della stessa autorità incaricata di celebrare i matrimoni civili. Su tale linea, la legge propone una piena equiparazione dell'istituto della unione registrata al matrimonio salvo diversamente stabilito. In tal senso, i limiti legali al matrimonio derivanti dai rapporti di sangue si applicano anche alle unioni registrate. Ancora, lo scioglimento dell'unione registrata avviene sulla base delle disposizioni previste dalla legge sul matrimonio (Capitolo 2, Sezione 7), così come la disciplina degli effetti legali (Capitolo 3, Sezione 8). Non si estendono invece alle coppie omosessuali la disciplina sulla paternità e le altre previsioni che si basano esclusivamente sulla diversità di sesso degli sposi. Altresì escluse dall'ambito di applicazione sono le disposizioni in tema di adozione e di assunzione di un nome familiare comune (Capitolo 3, Sezione 9).

2.2.2. La legge olandese sulla registered partnership.
Nei Paesi Bassi[21] la legge del 5 luglio 1997 sulla registered partnership (Geregistreerd partnerschap), in vigore dal 1° gennaio 1998, attribuisce ad ogni coppia, indipendentemente dal sesso dei conviventi, il diritto di registrare la loro unione alternativamente alla celebrazione di un matrimonio[22].
La registrazione è consentita a quelle coppie di cui una almeno abbia la cittadinanza olandese, ovvero la propria residenza o domicilio abituale nello Stato dei Paesi Bassi. Una volta effettuata la registrazione, al rapporto di convivenza si applicano le stesse disposizioni previste per il matrimonio in tema di diritti e doveri dei coniugi e di regime patrimoniale. In particolare, se le parti non decidono diversamente, si applica loro il regime della comunione legale dei beni. Fanno eccezione i beni acquisiti attraverso atto di donazione o per via testamentaria, quando si preveda che l'attribuzione non è fatta alla comunione.
Diversamente dal matrimonio, tuttavia, l'unione registrata può essere sciolta senza alcun intervento del Giudice[23]. Lo scioglimento della convivenza, infatti, può avvenire per mutuo consenso, attraverso un accordo delle parti che preveda la cessazione del rapporto, seguito da una dichiarazione relativa al fatto della cessazione e al momento in cui è avvenuta, con la certificazione di uno o più avvocati o notai. L'accordo può prevedere il pagamento di un assegno di mantenimento, la regolamentazione del godimento dell'immobile di residenza comune, la divisione della comunione. Lo scioglimento produce i suoi effetti dal momento che la dichiarazione di scioglimento viene iscritta nel registro di stato civile. L'iscrizione, a pena di inefficacia, deve avvenire entro tre mesi dalla conclusione dell'accordo. La legge 21 dicembre 2000 consente anche alle coppie registrate di adottare figli minori, purché vi sia stata una convivenza di almeno tre anni (art. 227 BW).

2.2.3. La legislazione tedesca in tema di registrazione delle convivenze.
Nell'ordinamento tedesco, se la Legge Fondamentale tutela esplicitamente le famiglie fondate sul matrimonio (art. 6), dottrina e giurisprudenza hanno individuato nella disposizione che protegge i diritti del singolo aventi rilevanza sociale (art. 2) lo strumento per tutelare le situazioni di convivenza more uxorio[24].
Per venire incontro alle richieste delle coppie dello stesso sesso che si sentivano discriminate dalla mancanza di un riconoscimento formale del loro rapporto, il legislatore ha approvato la legge sulla cessazione delle discriminazioni delle unioni omosessuali, Lebenspartnerschaftsgesetz del 16 febbraio 2001, che contiene la disciplina della convivenza registrata nell'ambito dell'art. 1[25]. Tale normativa ha superato anche il vaglio della Corte costituzionale tedesca, che ha respinto le questioni di costituzionalità sollevate da alcuni Länder in riferimento al contrasto con l'articolo 6 della Legge Fondamentale e con il principio di eguaglianza (art. 3, co. 1 e 3). Nella sentenza del 17 luglio 2002[26], la Corte ha specificato che la tutela riservata al matrimonio non impedisce l'introduzione di una disciplina specifica per altre forme di convivenza. In ragione proprio della diversità delle unioni considerate, alcun pregiudizio potrebbe derivare per il rapporto coniugale. Sotto altro profilo, la Corte non ha rilevato alcuna violazione del principio di uguaglianza, poiché solo persone di sesso diverso possono contrarre un matrimonio mentre la convivenza registrata è riservata, unicamente, alle coppie dello stesso sesso.
Secondo la disciplina vigente possono accedere all'istituto della convivenza registrata due persone dello stesso sesso che dichiariano, dinanzi all'Autorità competente[27], di volere condurre una convivenza a vita. Le dichiarazioni devono essere rese personalmente e alla contemporanea presenza dei due conviventi. Limiti per la costruzione di una convivenza sono contenuti nel § 1, relativamente alla minore età, allo stato libero, ai rapporti di parentela o al mancato impegno sull'obbligo di assistenza e di sostegno reciproco. È altresì richiesta una dichiarazione sul regime patrimoniale prescelto. Non vi è l'obbligo per i conviventi di portare un nome comune ma ciò è loro comunque consentito.
Riguardo al regime patrimoniale, i conviventi possono dichiarare di scegliere il regime di comunione degli incrementi (§ 1363 BGB) o la disciplina fissata in un contratto di convivenza ai sensi del § 7. Con una disciplina che in qualche modo, ricorda la nostra comunione de residuo, in caso di regime patrimoniale di comunione degli incrementi, non diventano patrimonio comune i beni che i conviventi hanno all'inizio del rapporto o che acquisiscono durante il suo svolgimento. In  tale situazione ciascun convivente gestisce da sé il proprio patrimonio. La compensazione degli incrementi ottenuti si ha soltanto al momento della cessazione del rapporto patrimoniale. In  alternativa, ai conviventi è data la possibilità di costituire un contratto di convivenza. In caso di inefficacia della scelta operata, si applicherà il regime della separazione dei beni.
La disciplina introduce, altresì, il diritto al mantenimento in caso di scioglimento dell'unione (§ 12).
Sul piano successorio, il legislatore ha introdotto una disciplina affine a quella prevista per il coniuge (§ 10). In tal senso, il convivente è considerato erede legittimo accanto ai parenti di primo grado per un quarto dell'asse, mentre accanto ai parenti secondo grado o agli ascendenti di secondo grado la quota spettante è pari alla metà. In assenza di tali successibili, il convivente ha diritto all'intera eredità.

2.2.5. Il pluralismo autonomistico dell'ordinamento spagnolo in tema di coppie di fatto. Cenni sul taluni profili delle diverse discipline regionali.
In materia di convivenze al di fuori del matrimonio[28], nel sistema giuridico spagnolo non vi è un'unica legge nazionale che regolamenta il fenomeno delle convivenze, essendo stata la materia oggetto di interventi territorialmente circoscritti ad opera delle autonomie che compongono lo Stato spagnolo[29]. Si assiste, così, in Spagna ad una legislazione a macchia di leopardo, differenziata da regione a regione con sfumature diverse. Numerose sono le Comunità autonome, con competenze nel diritto civile[30], che hanno introdotto discipline specifiche per le unioni di fatto, estendendo tale disciplina anche alle coppie omosessuali.
Tra di esse vi sono: la Catalogna (l. 15 luglio 1998 n. 10, sulle unioni stabili), l'Aragona (l. 26 marzo 1999 n. 6, relativa alle coppie stabili e non sposate), la Navarra (l. forale 3 luglio 2000 n 5, per l'eguaglianza giuridica delle coppie stabili), la Comunità Valenziana (l. 6 aprile 2001 n. 17, con cui si regolano le unioni di fatto), le Baleari (l. 19 dicembre 2001 n. 11, sulle coppie stabili), Madrid (l. 19 dicembre 2001 n. 11, sulle unioni di fatto), l'Asturia (l. 23 maggio 2002 n. 4, sulle coppie stabili), l'Andalusia (l. 16 dicembre 2002 n. 5, sulle coppie di fatto), le Canarie (l. 6 marzo 2003 n. 5, per la regolamentazione delle coppie di fatto), l'Estremadura (l. 20 marzo 2003 n. 5, sulle coppie di fatto), il Paese Basco (l. 7 maggio 2003 n. 2, che disciplina le coppie di fatto) e la Cantabria (l. 16 maggio 2005 n. 1, che disciplina le coppie di fatto).
Le Comunità autonome in questione hanno deciso di introdurre una loro disciplina a seguito del fallimento della proposta di introdurre una disciplina organica a livello statale[31]. Le discipline si presentano alquanto eterogenee per contenuti[32], ma tutte mirano al riconoscimento formale della convivenza anche con riferimento alle coppie dello stesso sesso. Nell'impossibilità, in questa sede, di analizzare compiutamente tutte le diverse discipline verranno trattati alcuni aspetti specifici, come il riconoscimento delle unioni, i regimi patrimoniali, i diritti successori e la facoltà di adottare[33].
Per quanto concerne il riconoscimento delle unioni, questo può avvenire attraverso l'iscrizione nell'apposito registro o, in via automatica, attraverso la prosecuzione della convivenza per un determinato periodo di tempo, generalmente indicato in uno o due anni, fatta eccezione dei casi in cui sia nata della prole, per cui il riconoscimento prescinde da vincoli temporali. Tale automatica istituzionalizzazione, anche prescindendo dal consenso delle parti, è prevista, ad esempio, nella legislazione della Catalogna, della Navarra, delle Canarie e dell'Asturia. Intento del legislatore, in questo caso, è di stabilire una regolamentazione minima del fenomeno delle convivenze a tutela della parte debole, soprattutto a seguito della cessazione del rapporto.
In merito ai rapporti patrimoniali, le disposizioni regionali introducono per le convenzioni tra conviventi i medesimi limiti previsti per il regime matrimoniale. Tali accordi, pertanto, non possono essere contrari ai contenuti minimi fissati dalla legge, al buon costume, né possono incidere sull'eguaglianza dei diritti spettanti ai conviventi. Tuttavia, differenziate sono le singole discipline relative alle situazioni patrimoniali, non del tutto assimilabili ai rapporti scaturenti dal matrimonio. Maggiore, infatti, è l'autonomia contrattuale riconosciuta ai conviventi. In via di estrema approssimazione possono distinguersi discipline in cui è presente l'affermazione del principio della libertà dei patti (Andalusia, Asturia), da quelle in cui si introducono principi minimali utilizzabili in caso di mancata conclusione dell'accordo (Catalogna, Aragona, Navarra, Paese Basco).
Sul piano successorio riconoscono la posizione del convivente nella successione ab intestato la Navarra e il Paese Basco, mentre alcuni effetti sono presenti nella legislazione della Catalogna e dell'Aragona, in quest'ultimo caso anche una possibilità di testare in comune.
Sotto il profilo dell'adozione, la stessa è attualmente consentita, a prescindere dal sesso dei conviventi, in Aragona, Navarra, Paese Basco, Cantabria e Catalogna. Le disposizioni in oggetto sono state approvate in attuazione del «diritto civile proprio» riconosciuto alle Comunità in questione[34].

2.2.6. La disciplina belga sulla cohabitation légale.
La legge del 23 novembre 1998 introduce nell'ordinamento belga la coabitazione legale (cohabitation légale), apportando talune modifiche al codice civile[35]. Sono  stati pertanto inseriti gli artt. 1475-1479   nel libro III del Codice civile, sotto il Titolo V bis, intitolato «Della coabitazione legale».
Coabitazione legale, innanzitutto, è la situazione di vita comune di due persone che abbiano prestato una dichiarazione mediante un documento scritto, ai sensi dell'art. 1476, dinanzi all'ufficiale dello stato civile del domicilio comune. Per poter prestare una dichiarazione di coabitazione legale, le due parti debbono non essere vincolate da matrimonio o da altra coabitazione legale ed essere capaci di stipulare contratti ai sensi della disciplina vigente. Il documento scritto deve contenere: 1) la data della dichiarazione; 2) i nomi, cognomi, luogo e data di nascita e sottoscrizione delle due parti; 3) il domicilio comune; 4) la menzione della volontà delle parti di coabitare legalmente; 5) la menzione che le due parti sono già conoscenti del contenuto degli artt. 1475-1479, e relativi proprio alla disciplina della coabitazione legale; 6) se del caso, la menzione della convenzione di cui all'art. 1478, conclusa tra le parti. L'ufficiale di stato civile controlla che le due parti abbiano adempiuti i requisiti di legge che disciplinano la coabitazione legale e, in caso affermativo, iscrive la dichiarazione nel registro della popolazione (art. 1476 § 1).
Riguardo ai diritti e ai doveri scaturenti dalla situazione di convivenza, la legge si limita a disciplinare i profili patrimoniali (artt. 1477 e 1478). In particolare, si prevede l'estensione delle previsioni dedicate al matrimonio in tema di immobile destinato ad abitazione comune, tra cui il divieto di disporne senza il consenso dell'altro convivente e l'obbligo del locatore di comunicare la disdetta ad entrambi i conviventi. I conviventi legali concorrono alle spese della vita comune in proporzione delle loro risorse. In tal senso, ogni debito contratto dai conviventi legali per i bisogni della vita comune e dei figli da loro allevati obbliga solidalmente anche l'altro convivente. Tuttavia, costui non è obbligato per le spese che siano eccessive rispetto alle risorse dei conviventi.
La  legge prevede un regime di comunione limitata  a quei beni di cui nessuno dei conviventi legali possa dimostrare la titolarità ed i redditi che da essi provengono (art. 1478). In tal senso, ciascuno dei conviventi legali conserva i beni di cui possa dimostrare la proprietà, i redditi provenienti da tali beni ed i redditi del suo lavoro. È peraltro data facoltà ai conviventi di disciplinare le modalità della loro coabitazione legale mediante patto, che non può contenere disposizioni contrarie all'art. 1477, all'ordine pubblico, al buon costume o alle norme relative la potestà parentale, la tutela e alle norme che disciplinano l'ordine legale per la successione. Questo patto è steso mediante atto pubblico davanti al notaio ed è oggetto di menzione al registro della popolazione.
A tutela delle posizioni dei singoli conviventi, allorquando si verifichino situazioni atte a turbare il rapporto di convivenza, è prevista la possibilità del ricorso al Giudice di pace che disporrà, a domanda di una delle parti, i provvedimenti urgenti e provvisori relativi all'occupazione della residenza comune, alla persona ed ai beni dei conviventi e dei figli ed alle obbligazioni legali e contrattuali dei due conviventi (art. 1479). Il Giudice di pace stabilisce la durata delle misure da lui disposte che cesseranno di produrre effetti dal giorno della cessazione della convivenza legale, attuata secondo le forme previste dalla stessa disciplina all'art. 1476. Dopo la cessazione della coabitazione legale, e purché la domanda sia stata presentata entro i tre mesi da tale cessazione, il Giudice di pace emana i provvedimenti urgenti e provvisori resi necessari da tale cessazione. Egli stabilisce la durata dei provvedimenti emanati, che comunque non può andare oltre l'anno.
Per quanto concerne lo scioglimento dello stato di coabitazione, questo si verifica quando una delle parti contrae matrimonio, decede o quando vi è posta fine di comune accordo o con atto unilaterale (art. 1476 § 2). In caso di cessazione volontaria, è necessaria una dichiarazione scritta consegnata contro rilascio di una ricevuta all'ufficiale di stato civile che contenga: 1) date della dichiarazione; 2) nomi, cognomi, luoghi e date di nascita delle due parti e sottoscrizioni delle due parti o della parte che rende la dichiarazione; 3) domicilio delle due parti; 4) la menzione della volontà di porre fine alla coabitazione legale. La legge disciplina, altresì, le modalità con cui la dichiarazione di cessazione viene portata a conoscenza dell'ufficiale di stato civile e dell'altra parte, nel caso in cui vi sia stata una dichiarazione unilaterale[36]. L'ufficiale di stato civile iscrive la cessazione della coabitazione legale nel registro della popolazione.

2.2.7. Il pacte civil de solidarité: la via francese alla disciplina delle convivenze.
L'istituto giuridico del patto civile di solidarietà (Pacs) è stato introdotto nell'ordinamento transalpino dalla legge n. 99-944 del 15 novembre 1999[37]. La legge è composta da quindici articoli. Le disposizioni possono essere ripartite, sommariamente, in due ambiti. Da un lato gli articoli da uno a tre, che inseriscono nel codice civile la disciplina essenziale del patto civile di solidarietà e che definiscono il concubinato. Dall'altro le disposizioni successive che estendono ai contraenti del Pacs alcune garanzie, in passato riconosciute soltanto alle persone sposate o ai conviventi di fatto. In questa sede ci si soffermerà solo sulla disciplina di parte generale.
Il corpus della normativa viene inserito nel primo Libro del codice civile, mediante il Titolo XII «Del patto civile di solidarietà e del concubinato». Il Titolo si suddivide in due Capi. Il primo è dedicato al patto di solidarietà mentre il secondo contiene il solo articolo definitorio del concubinato. Tale allocazione non è certo casuale, poiché il legislatore, introducendo una novella nel libro delle persone, ha inteso attribuire all'istituto piena cittadinanza nell'ambito del diritto di famiglia. Il capo primo si apre con una definizione del patto civile di solidarietà (art. 515-1), che viene qualificato come «un contratto concluso da due persone fisiche maggiorenni, di sesso differente o del medesimo sesso, per organizzare la loro vita in comune». Si tratta di un contratto tipizzato che viene sottoposto, comunque, alla disciplina di parte generale del codice civile, riguardo a quei profili che non sono stati specificamente disciplinati. I soggetti che possono stipulare tale accordo sono due persone fisiche ed è indifferente se esse siano di sesso diverso o abbiano la medesima appartenenza sessuale[38]. La legge richiede, inoltre, che le persone siano maggiorenni e che non siano poste sotto tutela, prevedendo, altresì, casi di esclusione analoghi a quelli previsti per il matrimonio[39].
Riguardo ai profili formali dell'atto, la normativa prescrive che il Pacs debba essere iscritto nel registro della cancelleria del Tribunale nel cui territorio le parti hanno fissato la loro residenza comune. A tal fine i contraenti effettuano una dichiarazione congiunta al cancelliere, allegando, a pena di irricevibilità, la convenzione stipulata in duplice copia, gli atti dello stato civile che permettano di verificare l'assenza degli impedimenti su menzionati (ex art. 515-2), nonché un certificato della cancelleria del luogo di nascita attestante che le parti non sono già legate da altro Pacs. La dichiarazione congiunta viene iscritta in un apposito registro della cancelleria e menzionata, altresì, presso il Tribunale del luogo di nascita di ciascuna parte. Il cancelliere firma e data i due esemplari originali della convenzione e li restituisce ai contraenti. Per modificare il contenuto del patto si deve seguire l'intero iter descritto.
Avendo trattato delle modalità di conclusione del patto e della legittimazione a sottoscriverlo, è necessario ora riferirne del contenuto. Secondo la legge, il patto ha ad oggetto l'organizzazione della vita comune dei contraenti. La disciplina, al riguardo, stabilisce un nucleo minimo di disposizioni non derogabili, al fine, soprattutto, di tutelare i terzi. Per il resto si rinvia all'autonomia negoziale. Se viene prescritto, infatti, che le parti si diano aiuto reciproco e materiale, le modalità di tale prestazione sono stabilite nel patto. Nulla viene quindi detto sugli aspetti personali della vita comune e si fa solo accenno ad una medesima residenza, riguardo all'individuazione del Tribunale presso la cui cancelleria il patto andrà iscritto. Oltre a quello generico dell'aiuto reciproco, alcun obbligo la legge fissa riguardo ai rapporti personali e tace del tutto in ordine alla filiazione. Non è richiesto alcun vincolo di fedeltà.
Più interessanti i profili patrimoniali dell'istituto. In relazione al regime dei beni, il legislatore ha stabilito che i mobili di arredamento acquisiti a titolo oneroso successivamente alla conclusione del patto, o la cui data d'acquisto non può essere stabilita, si presumono indivisi. Gli altri beni acquisiti a titolo oneroso dopo la conclusione del patto, si presumono in comunione per metà. Le parti possono, tuttavia, derogare a tale regime, facendone menzione nel singolo atto di acquisto o al momento della sottoscrizione del patto di solidarietà. Nei confronti dei terzi, invece, l'art. 515-4, comma secondo, prescrive per le parti un vincolo di solidarietà, in ragione dei debiti assunti da uno dei contraenti per i bisogni correnti della vita e per le spese relative all'alloggio comune. Il contenuto di tale vincolo dovrà essere specificato dalla giurisprudenza, avendo riguardo alla disciplina dei contratti.
Le ultime disposizioni di parte generale si riferiscono allo scioglimento del patto. La rottura può essere volontaria o legata ad un certo evento indicato dalla legge. Innanzi tutto il patto può sciogliersi per mutuo consenso. In questo caso la dichiarazione congiunta e scritta dovrà essere registrata presso il Tribunale di residenza di una delle parti. Di tale iscrizione si fa menzione a margine del contratto e da questo momento il patto è risolto. Lo scioglimento può altresì originare da una decisione unilaterale che andrà notificata alla controparte e indirizzata alla cancelleria del Tribunale presso cui è stato iscritto il patto. Questo si scioglierà tre mesi dopo la notifica. Ulteriore ipotesi è costituita dal matrimonio di una delle parti. Pur essendo prevista la notifica della scelta all'altro contraente e la comunicazione alla cancelleria del Tribunale, lo scioglimento si verifica alla data del matrimonio. Il patto si dissolve altresì per la morte di uno dei contraenti e gli effetti decorrono dalla data del decesso. Ipotesi a sé stante è quella relativa al contraente posto sotto tutela successivamente alla stipula del Pacs[40].
Se il legislatore ha definito un quadro articolato dei casi di scioglimento, altrettanto non può dirsi per le conseguenze che ne scaturiscono. La liquidazione dei diritti e delle obbligazioni risultanti dal patto, infatti, sono affidate ad un accordo fra le parti. In sua mancanza sarà il Giudice a stabilire gli effetti dello scioglimento, fatto salvo il risarcimento del danno eventualmente subito. Ciò sta a significare che l'intervento dell'Autorità Giudiziaria è necessario non solo quando non sia stato raggiunto un accordo, ma anche quando l'accordo non possa essere raggiunto, come nel caso di morte di una delle parti. È fatta salva l'ipotesi in cui il patto abbia previsto, a monte, le modalità di liquidazione. Al di fuori della disciplina del Pacs, in apposito capitolo, il II del Titolo XII del Libro primo del codice civile, il legislatore pone il concubinato. All'istituto è dedicato un solo articolo, il 515-8 con cui si definisce la fattispecie. Il concubinato, secondo la legge, è un'unione di fatto, caratterizzata da una vita in comune che presenta un carattere di stabilità e di continuità, tra due persone, di sesso differente o dello stesso sesso, che vivono in coppia.
Come si è avuto modo di appurare, osservandone l'impianto normativo, la disciplina introdotta con la 1. n. 99-944 è molto complessa e articolata. Per far acquisire al contratto efficacia esterna si richiede l'espletamento di varie formalità e si individuano, minuziosamente, i casi di scioglimento del patto. La dottrina francese si pone realtà in termini alquanto critici nei riguardi della disciplina introdotta dal legislatore, rilevando le incongruenze e i limiti del risultato raggiunto[41]. Significativamente, in relazione alla questione se la disciplina in oggetto abbia introdotto una sorta di matrimonio deteriorato ovvero una convivenza migliorata, si è risposto che essa ha dato luogo ad una convivenza deteriorata[42].
Sotto il profilo tecnico giuridico emerge, innanzi tutto, la macchinosità dell'istituto. Il patto, infatti, pur non essendo un negozio formale, richiede l'espletamento di una precisa procedura di registrazione al fine del raggiungimento dell'inopponibilità. Senza tale adempimento il contratto esiste, è valido, ma non può essere opposto ai terzi. Inoltre, attraverso l'istituzione di un registro specifico si crea uno stato civile parallelo a quello esistente. Sul punto non si deve tacere del fatto che senza le pubblicazioni precedenti alla conclusione dell'accordo si impedisce ai terzi di opporsi a tale contratto. Sul piano del regime dei beni acquisiti dopo la stipula dell'accordo, la regola presuntiva ma derogabile della indivisione pare prospettare all'orizzonte una consistente quota di liti non solo tra ex conviventi, ma anche in sede successoria, poiché la normativa nulla stabilisce in tal senso. Su altro fronte è doveroso menzionare le lacune presenti nel testo di legge. Molte questioni rimangono irrisolte e, per una possibile soluzione, si rinvia implicitamente al giudizio della magistratura. Non si risolve il problema della filiazione, sia essa naturale, adottiva o medicalmente assistita. Non si chiarisce l'ipotesi della curatela e dei poteri di stipula del patto in tal caso. Nel disciplinare lo scioglimento del contratto, la legge indica i casi senza specificarne le conseguenze e non poche difficoltà applicative sorgeranno per i patti non registrati e per quelli in cui lo scioglimento non è stato formalizzato. Il problema più grave, per altro, sotto il profilo ermeneutico, attiene all'interpretazione di tutte quelle norme, al di fuori della disciplina del Pacs e ad essa anteriori, in cui si fa riferimento alla vita coniugale o alla persona celibe. Saranno applicabili o meno ai soggetti che hanno stipulato un patto civile di solidarietà? Un vantaggio concesso ai coniugi dovrà essere garantito anche alle parti contraenti di un Pacs? Potrà essere considerato celibe un soggetto che abbia sottoscritto un patto di convivenza? Siamo di fronte ad un interessante ed intricato problema interpretativo. La Corte costituzionale, dopo aver affermato la non incidenza del testo sul diritto delle persone e sulle questioni di status, ha sostenuto che la soluzione va ricercata volta per volta, in relazione all'oggetto del testo considerato. La legge, quindi, assegna al potere giudiziario una delega pressoché in bianco sulla materia, ampliando i confini della discrezionalità del Giudice tanto da farli sconfinare nel possibile arbitrio. Se la cosa appare paradossale in un ordinamento di diritto positivo basato sulla divisione dei poteri, l'ossimoro è ancora più evidente nella terra di Montesquieu in cui il Giudice, secondò tradizione, è «la bocca della legge». In realtà, se il silenzio rispetto alla filiazione può avere un significato strategico, dovuto al forte impatto sociale che avrebbe provocato l'improvvisa introduzione della facoltà per persone dello stesso sesso di accedere all'adozione o alla procreazione medicalmente assistita, senza il passaggio di un ragionevole lasso di tempo dalla legittimazione di tale forma di convivenza, le lacune relative alle conseguenze dello scioglimento del patto sono indice di una cattiva qualità del testo.

2.2.8. La disciplina portoghese sui rapporti di convivenza: il regime differenziato dell'economia comune e delle unioni di fatto.
In Portogallo[43] la prima disciplina sulle unioni civili è stata emanata nel 1999 (Lei n. 135/99 de 28 agosto). Questa legge è stata sostituita nel 2001 dalla Lei n. 7/2001, de 11 maio, adopta medidas de protecção das uniões de facto, a cui è stata affiancata la Lei n. 6/2001, de 11 de maio, adopta medidas de protecção das pessoas que vivam em economia commum. Le due leggi approvate nel 2001 non si escludono a vicenda, poiché la Lei n. 6/2001 regolamenta le situazioni giuridiche di economia comum («economia comune») mentre Lei n. 7/2001 è dedicata alla União de facto («unione di fatto»).
La Lei n. 7/2001 disciplina la situazione giuridica di due persone, indipendentemente dal sesso, che vivano in unione di fatto da più di due anni (art. 1). La legge stabilisce taluni diritti a favore dei conviventi, riconoscendo la loro situazione di fatto, senza introdurre alcuna forma di registrazione né di disciplina dell'accordo di convivenza. Tra le situazioni riconosciute equiparando la posizione dei conviventi a quella dei coniugi, vi sono (art. 3): il beneficio della preferenza nei trasferimenti dei dipendenti pubblici, il diritto al godimento di ferie, permessi e congedi familiari, la tutela della residenza comune, l'applicazione del regime delle imposte sui redditi, la protezione in caso di morte sotto il profilo previdenziale e in caso di incidenti sul lavoro. Per le situazioni enunciate ma non specificamente disciplinate dalla legge, è stata prevista una delega al Governo per la loro attuazione (art. 9). Per quanto concerne lo scioglimento, la convivenza si scioglie in caso di morte di uno dei conviventi, in caso di matrimonio o per volontà di uno o di entrambi i conviventi (art. 8). Nell'ipotesi di cessazione volontaria, il riconoscimento dei diritti spettanti in caso di separazione richiede l'esperimento della separazione legale.
Secondo la Lei n. 6/2001, l'economia commum è la situazione di persone che vivano in comunione di vitto e alloggio da più di due anni ed abbiano stabilito un genere di vita in comune basato sull'assistenza reciproca o la ripartizione delle risorse (art. 2). Per la sua valida costituzione è necessaria la partecipazione di almeno un maggiorenne e l'istituto è dedicato a nuclei di due o più persone. La situazione di economia comune dà luogo al riconoscimento di taluni diritti, maggiormente circoscritti rispetto a quelli riconosciuti dalla Lei n. 7/2001, tra cui quelli in tema di preferenza nei trasferimenti dei dipendenti pubblici, diritto al godimento di ferie, permessi e congedi familiari, la tutela della residenza comune, l'applicazione del regime delle imposte sui redditi (art. 4).

3. Il fenomeno delle convivenze non fondate sul matrimonio nell'ordinamento giuridico italiano: quali prospettive di riforma?
Analizzando nel nostro ordinamento la questione delle convivenze non fondate sul matrimonio il dato iniziale e minimo è che non si può escluderne la rilevanza giuridica. L'ordinamento già riconosce un'articolata tutela alle convivenze paraconiugali, sia in ragione degli interventi del legislatore, sia ad opera della giurisprudenza che con la sua attività interpretativa ha consentito di adeguare il diritto al fatto, fornendo tutela a specifiche situazioni di bisogno. Stando così le cose bisogna chiedersi se sia effettivamente necessaria una disciplina organica.
Prima di cercare di fornire delle risposte sulla base delle diverse opinioni emerse nel dibattito dottrinario, bisogna confrontarsi con un dato di fatto, rappresentato dalla reiterata presentazione in Parlamento, fin dalla fine degli anni '80, di disegni e di proposte di legge in materia di unioni civili. Nessuna delle proposte, finora, è stata coronata da successo[44]. Nella presente legislatura, l'attuale maggioranza politica ha fatto della disciplina delle convivenze un cavallo di battaglia, inserendo anche nel testo del programma di Governo la regolamentazione dei diritti individuali dei conviventi. Diversi sono i progetti posti all'attenzione del Parlamento.
Presso il Senato sono pendenti dieci disegni di legge sulle cosiddette unioni civili[45]. Oltre al progetto presentato dal Governo (ddl n. 1339[46]) sono in discussione i seguenti ddl: (18) Franco ed altri. - Norme sul riconoscimento giuridico delle unioni civili; (62) Malabarba. - Norme in materia di unione registrata, di unione civile, di convivenza di fatto, di adozione e di uguaglianza giuridica tra i coniugi; (472) Ripamonti. - Disposizioni in materia di unioni civili; (481) Silvestri. - Disciplina del patto civile di solidarietà; (589) Biondi. - Disciplina del contratto d'unione solidale; (1208) Boccia ed altri. - Normativa sulle unioni civili e sulle unioni di mutuo aiuto; (1224) Manzione. - Disciplina del patto di solidarietà; (1225) Russo Spena ed altri. - Norme in materia di unione registrata, di unione civile, di convivenza di fatto, di adozione e di uguaglianza giuridica tra i coniugi; (1227) Russo Spena ed altri. - Disciplina delle unioni civili.
Presso la Camera dei deputati, invece, risultano presentate le seguenti proposte di legge: AC 33 (Grillini ed altri) «Disciplina del patto civile di solidarietà»; AC 1060 (Moroni) «Istituzione del patto civile dì solidarietà e disciplina della famiglia di fatto»; AC 1155 (Buemi) «Disciplina delle unioni di fatto»; AC 1563 (De Simone ed altri) «Disciplina delle unioni civili»; AC 2148 (Balducci) "Disciplina del patto civile di solidarietà e norme in materia di tutela giuridica delle coppie di fatto e dei nuclei stabili di persone"; AC 2177 (Lucà, Lenzi) «Riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte di unioni di fatto».
Maggiormente avanzato risulta l'iter parlamentare al Senato, ove la Commissione Giustizia ha iniziato l'esame dei disegni di legge in materia di riconoscimento giuridico delle unioni civili nella seduta di mercoledì 10 gennaio 2007 con la relazione del Presidente Cesare Salvi. La discussione generale sui disegni di legge è stata rinviata in seguito all'esame del testo governativo. All'esito, la Commissione dovrà decidere se adottare una delle proposte come testo base o affidare ad un comitato ristretto la redazione di un testo unificato.
In questa sede, pur nell'incertezza delle decisioni che saranno adottate in sede di Commissione, si procederà a tratteggiare i punti salienti delle proposte parlamentari e del progetto governativo.

3.1. Le diverse proposte parlamentari.
Le proposte presentate in Parlamento si presentano alquanto differenziate, sia per contenuti che per tecnica legislativa prescelta[47].
Si va da interventi minimali, talora confinanti nello stretto ambito del diritto civile[48], tesi a dare uno statuto giuridico essenziale alle coppie di fatto, ad interventi di ampio respiro afferenti all'intera materia familiare, introducendo modifiche anche al sistema dell'affiliazione e dell'adozione[49]. Talune proposte istituzionalizzano il rapporto di convivenza attraverso modalità del tutto analoghe a quelle della celebrazione del rito del matrimonio, mentre altre prediligono una registrazione limitata ai soli effetti probatori[50] o il profilo contrattuale affidato alla registrazione notarile[51].
In ragione dell'approccio prescelto variano, di conseguenza, le situazioni giuridiche riconosciute. Dalla piena assimilazione agli effetti del matrimonio[52] si giunge fino al riconoscimento mirato di diritti[53]. Ampio, inoltre, è il ventaglio delle denominazioni degli istituti prescelti, in relazione al contenuto della disciplina che si intenderebbe introdurre. Si va così, dalla «unione registrata[54]» alla «unione civile[55]», alle «unioni di mutuo aiuto[56]», al «patto civile di solidarietà[57]», alla «famiglia di fatto[58]», al «contratto d'unione solidale[59]», alle «unioni di fatto[60]», al «contratto di convivenza[61]», alle «coppie di fatto e nuclei stabili di persone[62]», alla «convivenze di fatto[63]».

3.2. Il disegno di legge in tema di «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi».
Il disegno di legge in tema di «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi»  (Di.co.) è stato varato dal Consiglio dei ministri l'8 febbraio scorso[64]. Il testo, composto da 14 articoli, disciplina le modalità attraverso cui dare rilievo alla situazione di fatto della convivenza e contiene il riconoscimento di diritti e doveri in capo ai conviventi che osservino le modalità di registrazione previste dalla legge stessa. Alcuni diritti hanno efficacia immediata, mentre altri sono condizionati al decorso di un certo periodo di tempo. Il provvedimento contiene alcune norme precettive e di immediata applicazione, mentre altre prevedono una delega o un rinvio della regolamentazione alla sede normativa competente.
L'intento del Governo è la disciplina dei diritti e dei doveri delle singole persone stabilmente conviventi. Nelle intenzioni, pertanto, non si è voluto proporre un simil-matrimonio o una disciplina concorrente con quella della famiglia legittima. Per verificare se le intenzioni sono state rispettate è necessario vagliare il contenuto nel testo.
Sotto il profilo strutturale, il provvedimento può essere suddiviso in tre ambiti. Il primo nucleo di norme (artt. 1-3) attiene ai soggetti destinatari della disciplina e ai presupposti necessari per poter accedere ai diritti contenuti nel testo (art. 1). In questo ambito sono ricomprese le disposizioni relative alle esclusioni (art. 2) e alle sanzioni previste in caso di dichiarazioni mendaci (art. 3). Il secondo ambito attiene ai diritti e agli obblighi discendenti dalla situazione di convivenza (artt. 4-12). Residuano, infine, le disposizioni transitorie e finali (art. 13), nonché la copertura finanziaria (art. 14).

3.2.1. La certificazione della situazione di convivenza.
L'art. 1 costituisce la norma portante dell'intero testo, introducendo in via generale la nozione di diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi, individuandone il presupposto nella situazione di fatto e fissando le forme attraverso cui tale situazione può essere provata[65]. Sotto il profilo costituzionale, il testo si chiama alla giurisprudenza che ha dato rilievo alle convivenze more uxorio sulla base dell'art. 2 della Carta, che tutela i diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali ove vi si svolge la sua personalità. In tale prospettiva, così come indicato nella relazione introduttiva, non si è inteso perseguire alcuna equiparazione con l'istituto della famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.).
Riguardo ai soggetti destinatari delle norme in questione, il Governo predilige una nozione ampia di convivenza, che si estende al di là del rapporto paraconiugale. Titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla legge in oggetto sono, infatti, ai sensi dell'art. 1, «due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio, parentela in linea retta entro il primo grado, affinità in linea retta entro il secondo grado, adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno». Fermo restando che la convivenza in questione può essere iniziata solo da due persone capaci, la situazione disciplinata dalla legge si estende anche alle coppie dello stesso sesso, ai rapporti di amicizia o di solidarietà tra due persone, ai rapporti di parentela oltre il primo grado in linea retta e di affinità oltre il secondo grado. Il rapporto di convivenza può dunque sorgere anche tra nonno e nipote, tra zio e nipote o tra fratelli. Non possono essere considerati conviventi ai sensi della disciplina in questione coloro che sono parte di un rapporto tipico di assistenza, come la tutela, curatela o amministrazione di sostegno. Esclusa, inoltre, l'ipotesi della poligamia, ammessa implicitamente forse per una svista nella prima redazione del testo[66]. Ulteriori esclusioni sono contenute nell'art. 2[67].
Nell'intento del legislatore ciò che rileva ai fini dell'applicazione della disciplina in esame non è l'accordo o il patto tra i conviventi, ma la situazione di fatto tra loro esistente. Se l'esercizio dei diritti e delle facoltà previsti dalla legge presuppone, dunque, l'attualità della convivenza (art. 1 comma 4), il loro godimento è subordinato alla sua "certificazione". Secondo quanto prospettato, il meccanismo previsto dall'art. 1, comma 2, che richiama le disposizioni vigenti in tema di risultanze anagrafiche, non avrebbe alcun valore costitutivo del rapporto di convivenza, né attribuirebbe alcuno status, poiché l'anagrafe serve, semplicemente, "a fotografare" una realtà, mentre è lo stato civile che ha la funzione di registrare gli status[68]. La dichiarazione resa da ciascun convivente, pertanto, servirebbe, a dare la prova del rapporto di convivenza. La funzione probatoria della registrazione anagrafica discende dalla circostanza che non solo è fatta salva la prova contraria sulla sussistenza degli elementi costitutivi della convivenza e delle cause di esclusione, ma chiunque ne abbia interesse può fornire la prova che la convivenza è iniziata successivamente o è terminata in data diversa rispetto alle risultanze anagrafiche (art. 1, co. 2). La dichiarazione di convivenza deve, peraltro, essere contestuale.
Qualora ciò non avvenga il convivente che l'ha resa ha l'onere di darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'altro convivente (art. 1, co. 3). La mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della legge in questione. L'ufficio dell'anagrafe, pertanto, riporterà le dichiarazioni dei conviventi in una scheda che è già prevista, ovverosia quella della "famiglia anagrafica", che, ai sensi dell'art. 4, co. 1, le D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 comprende «un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune».
Sotto l'art. 3 sono ricomprese diverse ed eterogenee sanzioni a tutela della veridicità delle dichiarazioni anagrafiche. Accanto alla sanzione penale di natura residuale («Salvo che il fatto costituisca più grave reato») che discende da chi «chiede l'iscrizione anagrafica in assenza di coabitazione ovvero dichiara falsamente di essere convivente ai sensi della presente legge» al fine di beneficiare delle disposizioni, si prevede che i pagamenti eseguiti sono ripetibili ai sensi dell'art. 2033 c.c. Si prevede, inoltre, che la falsa dichiarazione produce la nullità degli atti conseguenti. Le disposizioni esaminate, invero, non appaiono determinanti, poiché l'ordinamento già sanziona le false dichiarazioni e i pagamenti senza causa sono ovviamente ripetibili ai sensi dell'art. 2033 c.c. Dubbi, peraltro, sussistono in ordine all'esatto ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice[69]. La  nullità degli atti conseguenti appare scontata, inoltre, se riferita al godimento di diritti che discendono proprio da quella situazione che risulta essere falsa.

3.2.2. Diritti e doveri dei conviventi.
La situazione di convivente certificata ai sensi dell'art. 1 fa sorgere i diritti e i doveri previsti dagli articoli seguenti. A ben considerare il sistema prevede quasi esclusivamente diritti, essendo l'unico obbligo puntualmente previsto quello di assistenza alimentare di cui all'art. 14, che peraltro sorge se la convivenza perdura da almeno tre anni e vincola la parte soltanto in proporzione alla durata della convivenza stessa.
Passando all'analisi dei diritti, dobbiamo distinguere quelli che possono essere goduti senza limiti di tempo dai diritti che, per essere esercitati, richiedono che la convivenza perduri da un certo periodo di tempo.
Nel primo ambito, quello dei diritti che possono essere goduti fin dal momento della dichiarazione anagrafica, si annoverano: l'assistenza per malattia o ricovero (art. 4), le decisioni in materia di salute e in caso di morte (art. 5), il permesso di soggiorno (art. 6), l'assegnazione di alloggi di edilizia pubblica (art. 7), la partecipazione agli utili dell'impresa (art. 9) e la riduzione della tassa di successione (art. 7).
Necessitano, invece, del decorso di un certo lasso di tempo: la successione nel contratto di locazione (art. 8), le agevolazioni e le tutele in materia di lavoro (art. 9), i trattamenti previdenziali e pensionistici (art. 10) nonché i diritti di successione (art. 11).
La maggior parte delle disposizioni che contengono i diritti enumerati hanno un loro contenuto precettivo di immediata applicazione; altre, quelle relative all'assegnazione di alloggi di edilizia pubblica, alle tutele in materia di lavoro e di tipo previdenziale, assumono rilievo programmatico e di principio, necessitando che i soggetti competenti emanino le relative norme. Il sistema, inoltre, fa salvi i diritti e gli obblighi previsti da altre disposizioni vigenti per le situazioni di convivenza, sulla base dei presupposti e delle modalità dalle stesse previste (art. 13).

3.2.2.1. Diritti senza limiti di tempo.
L'esame delle singole disposizioni evidenzia che diversi diritti sono già previsti dalle norme vigenti, per cui la loro previsione risulta in gran parte superflua.
In ordine all'assistenza per malattia o ricovero (art. 4) nessuna legge impedisce di visitare o accudire il convivente in caso di malattia o ricovero[70]. É il paziente che decide da chi farsi assistere. La questione risulta maggiormente delicata quando il paziente non può manifestare una sua volontà. L'art. 4 prevede, a tal fine, che le strutture ospedaliere «disciplinano le modalità di esercizio del diritto di accesso del convivente per fini di visita e di assistenza nel caso di malattia o ricovero dell'altro convivente». La disposizione, dunque, puntualizza un diritto già esistente al fine di superare ogni incertezza.
Sempre riferito all'ambito della tutela del diritto alla salute è il contenuto dell'art. 5. La disposizione prevede che «ciascun convivente può designare l'altro quale suo rappresentante: a. in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e volere, nei limiti previsti dalle disposizioni vigenti, per quanto attiene alle decisioni in materia di salute; b. in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie, nei limiti previsti dalle disposizioni vigenti». La designazione viene effettuata mediante atto scritto e autografo. In  caso di impossibilità a redigerlo, viene formato un processo verbale alla presenza di tre testimoni, che lo sottoscrivono. In realtà, già oggi l'Autorità Giudiziaria può indicare l'altro convivente come il soggetto deputato alle decisioni in merito ai trattamenti sanitari urgenti dell'altro convivente. La disposizione intenderebbe superare ogni discrezionalità del singolo Giudice, ma, invero, una decisione che non voglia, di per sé, risultare irragionevole deve necessariamente tener conto dell'esistenza di un convivente[71]. Per quanto concerne la donazione degli organi, il convivente ha già il diritto di decidere in assenza di indicazioni del diretto interessato, parificando la legge il convivente al coniuge ai fini dell'opposizione alla donazione degli organi (art. 23, secondo comma, l. n. 91/99). La norma, sul punto, intenderebbe estendere a tutti i conviventi, anche quelli dello stesso sesso, il diritto in questione[72].
L'art. 6 prevede che il cittadino straniero extracomunitario o apolide, convivente con un cittadino italiano o comunitario, che non ha un autonomo diritto di soggiorno, può chiedere il rilascio di un permesso di soggiorno per convivenza. Per l'attuazione della norma si rinvia ad un regolamento ministeriale[73]. Analogamente, il cittadino dell'Unione europea, convivente con un cittadino italiano, che non ha un autonomo diritto di soggiorno, ha diritto all'iscrizione anagrafica di cui all'art. 9 del decreto legislativo di attuazione della direttiva 2004/38/CE.
La previsione in tema di assegnazione di alloggi di edilizia pubblica, di cui all'art. 7, risulta del tutto superflua. Già oggi le leggi e i bandi regionali tengono conto delle situazioni di convivenza per l'assegnazione degli alloggi[74]. Inoltre, la previsione, di mero principio, riguarda una materia devoluta esclusivamente alle legislazione regionale.
Altro diritto viene riconosciuto dall'art. 9, co. 2, riguardo alla partecipazione agli utili dell'impresa dell'altro convivente. La disposizione prevede, infatti, che «Il convivente che abbia prestato attività lavorativa continuativa nell'impresa di cui sia titolare l'altro convivente può chiedere, salvo che l'attività medesima si basi su di un diverso rapporto, il riconoscimento della partecipazione agli utili dell'impresa, in proporzione dell'apporto fornito». Dal punto di vista della tecnica legislativa va osservato che la norma introduce una previsione speciale che incide sull'istituto dell'impresa familiare delineato nell'art. 230 bis c.c. senza alcun raccordo con la disposizione già vigente. Al di là dei limiti di drafting legislativo va osservato che la Suprema Corte di Cassazione[75] ha affermato, attraverso un'interpretazione adeguatrice, che anche nella famiglia di fatto consistente in una convivenza more uxorio «ove un'attività lavorativa sia stata svolta nell'ambito dell'impresa ed un corrispettivo sia stato erogato dal titolare, occorrerà distinguere la fattispecie del lavoro subordinato e quella della compartecipazione all'impresa familiare, senza che possa più avere ingresso alcuna causa gratuita della prestazione lavorativa per ragioni di solidarietà familiare». La norma in questione, dunque, risulta meramente riproduttiva di un orientamento giurisprudenziale.
Sul piano tributario, infine, la tassa di successione, che oggi per il convivente è fissata all'8%, scende al 5% (art. 11, co. 5[76]), un punto percentuale in più rispetto alla successione del coniuge e un punto percentuale in meno rispetto alla successione di fratelli e sorelle[77].

3.2.2.2. Diritti soggetti a limiti di tempo.
Accanto ai diritti immediatamente fruibili fin dal momento della registrazione anagrafica, il progetto ne annovera altri che possono essere esercitati soltanto se sia trascorso un certo lasso di tempo dall'emersione della situazione di convivenza. Si tratta di diritti affievoliti che per ragioni di opportunità il legislatore ha inteso attribuire soltanto a quelle convivenze che mostrino una loro stabilità in ragione del tempo trascorso. Alcune  disposizioni hanno efficacia immediata, a vantaggio di coloro che nei termini stabiliti dalla disposizioni transitorie facciano emergere una situazione di convivenza già in atto, mentre altre previsioni richiedono l'emanazione di una disciplina di settore, come accade in tema di agevolazioni e tutele in materie di lavoro o di trattamenti previdenziali e pensionistici.
Riguardo alle disposizioni immediatamente precettive, l'art. 8 prevede che «in caso di morte di uno dei conviventi che sia conduttore nel contratto di locazione della comune abitazione, l'altro convivente può succedergli nel contratto, purché la convivenza perduri da almeno tre anni ovvero vi siano figli comuni». La norma si applica anche nella diversa ipotesi di cessazione della convivenza a vantaggio del convivente che intenda subentrare nel rapporto di locazione. Tale articolo generalizza quanto già riconosciuto dalla Corte Costituzionale in caso di morte del conduttore e di cessazione della convivenza qualora vi sia prole naturale (sent. n. 404/1988[78]) introducendo, peraltro, un requisito di durata minima del rapporto per il riconoscimento di un diritto che, in assenza di registrazione, spetta al convivente senza alcun limite temporale. In  questo modo, dunque, si introduce un'ingiustificata disparità tra le stesse situazioni. Se, tuttavia, i diritti riconosciuti aliunde spettano anche ai conventi registrati (art. 13), che significato assume la disposizione in oggetto e quale è la sua effettiva portata? In ogni caso i conviventi possono già oggi decidere di essere entrambi titolari del contratto di locazione, rendendo in tal modo la successione automatica.
In tema di agevolazioni e tutele in materie di lavoro, l'art. 9, co. 1, prescrive, in chiave programmatica, che la «legge e i contratti collettivi disciplinano i trasferimenti e le assegnazioni di sede dei conviventi dipendenti pubblici e privati al fine di agevolare il mantenimento della comune residenza, prevedendo tra i requisiti per l'accesso al beneficio una durata almeno triennale della convivenza». In base alla disciplina vigente il convivente, come il coniuge, ha diritto ad un permesso retribuito di tre giorni lavorativi all'anno in caso di decesso o documentata grave infermità del convivente, purché la stabile convivenza con il lavoratore o la lavoratrice risulti da certificazione anagrafica (art. 4 legge 8 marzo 2000, n. 53).
L'art. 10, invece, in tema di trattamenti previdenziali e pensionistici, in vista del riordino della normativa, stabilisce che il legislatore dovrà regolamentare «i trattamenti da attribuire al convivente, definendo un requisito di durata minima della convivenza, commisurando le prestazioni alla durata della medesima e tenendo conto delle condizioni economiche e patrimoniali del convivente superstite». Al di là della formula utilizzata, eccessivamente ampia e generica, deve evidenziarsi che la norma in oggetto non costituisce una delega in senso stretto, giacché il vincolo non è rivolto al Governo per l'esercizio di un'attività delegata, ma al legislatore e quindi al Parlamento stesso. La norma, invero, introduce un principio guida della legislazione al di fuori della sua sede naturale, giacché la stessa avrebbe dovuto figurare tra i principi oggetto della delega al riordino del sistema pensionistico.
L'ultima disposizione che rileva riguardo ai diritti che possono essere esercitati soltanto in caso di una prolungata convivenza è l'art. 11, in tema di diritti successori. Attualmente il convivente non figura tra i legittimari e il modo per garantire un lascito al proprio partner consiste nella redazione di un testamento, nominando il convivente proprio erede per la quota disponibile. Il progetto governativo non preoccupandosi del corpus di norme già vigenti in tema di successioni ed organicamente contenute nel codice civile, introduce una nuova figura di legittimario, il convivente il cui rapporto duri almeno da nove anni. In questo caso, ai sensi del secondo comma dell'art. 11, «il convivente ha diritto a un terzo dell'eredità se alla successione concorre un solo figlio e ad un quarto se concorrono due o più figli. In caso di concorso con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri, al convivente è devoluta la metà dell'eredità». In mancanza di figli, di ascendenti, di fratelli o sorelle, al convivente si devolvono i due terzi dell'eredità, e, in assenza di altri parenti entro il terzo grado in linea collaterale, l'intera eredità (art. 11, co. 3). La norma, inoltre, fatti salvi i diritti dei legittimari, attribuisce al convivente ultra novennale «i diritti di abitazione nella casa adibita a residenza della convivenza e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni». Tali diritti gravano sulla quota spettante al convivente.

3.2.3. Disposizioni transitorie e finali.
Al fine di non penalizzare le situazioni di convivenza già in atto, sotto il profilo del godimento di quei diritti che sorgono soltanto dopo che la convivenza perduri da un certo periodo, l'art. 13 prevede che entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, può essere fornita la prova di una data di inizio della convivenza anteriore a quella delle risultanze anagrafiche di cui all'art. 1, comma 2, fatta eccezione, per ragioni evidentemente di bilancio, per i diritti previdenziali e pensionistici. La disposizione precisa che nel computo di tale termine devono essere esclusi i periodi in cui per uno o per entrambi i conviventi sussistevano i legami che avrebbero impedito la registrazione della convivenza, oltre alle cause di esclusione di cui all'art. 2.
Per quanto concerne la prova della convivenza da parte di chi era legato al rapporto di coniugio, in attesa della pronuncia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili, l'art. 13, co. 4, prevede che entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza ciascuno dei conviventi o, in caso di morte intervenuta di un convivente, da parte del superstite, può fornire la prova di una data di inizio della convivenza anteriore a quella della iscrizione anagrafica comunque successiva al triennio di separazione calcolato a far tempo dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del Tribunale ed alla domanda di divorzio. Quindi, per i coniugi che hanno ottenuto il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, la convivenza rileva e può essere dimostrata soltanto per i periodi successivi al triennio di separazione e alla domanda di divorzio.
I diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previsti dalle disposizioni vigenti a favore dell'ex coniuge cessano quando questi risulti convivente ai sensi della presente legge. I diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previsti dalla presente legge cessano qualora uno dei conviventi contragga matrimonio.

3.2.4. Tiziano o Duchamp? Analisi delle criticità del progetto sui Di.co.
Il programma dell'Unione, sottoscritto sul punto senza l'Udeur, prevede il «riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà delle persone che fanno parte delle unioni di fatto». Se il ddl sui Di.co. non è elencato tra i nuovi punti programmatici del Governo presentati alle Camere in occasione della verifica della fiducia disposta a seguito dell'esito negativo della votazione al Senato sulla politica estera, ciò non vuol dire che il progetto di regolamentazione della materia sia stato accantonato. Come precisato dal Governo, non era necessario riproporlo tra i punti programmatici perché il relativo testo era già stato varato dal Consiglio dei Ministri e inviato al Parlamento per la sua trattazione[79]. Spetta ora alle Camere decidere cosa farne, ma la prima valutazione datane dal presidente della Commissione Giustizia del Senato, Cesare Salvi, non è delle più positive.
Secondo il ministro Giuliano Amato, il progetto messo a punto dal Governo assomiglia ad un quadro di Tiziano, che cambia di riflesso a seconda del lato dal quale lo si osservi. In realtà, esaminato il progetto, se volessimo trovare una metafora effettivamente appropriata lo dovremmo forse paragonare ad una composizione dada di Marcel Duchamp, in cui la ruota di bicicletta capovolta ed attaccata su di uno sgabello, ad un'attenta analisi critica, al di là dell'ironia e della provocazione, rimane pur sempre una ruota di bicicletta capovolta attaccata su di uno sgabello, anche se figura nelle massime collezioni di arte moderna e contemporanea.
Analizzando il testo va, innanzitutto, notato che l'acronimo prescelto non è dei più riusciti, poiché "Di.co.", che nelle intenzioni dei compilatori sintetizza l'ampia locuzione "Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi", coniuga insieme soltanto la prima e l'ultima delle parole che compongono frase. In realtà, maggiormente calzante sarebbe stato il richiamo ai soli "Diritti dei conviventi", atteso che il testo, a fronte di un ampio numero di diritti, enuclea un solo dovere, l'obbligo di assistenza alimentare di cui all'art. 12, che, peraltro, assume rilievo solo dopo tre anni dall'inizio della convivenza e vincola la parte proporzionalmente alla durata del rapporto[80].
Secondo il Governo «il disegno di legge non prevede alcun nuovo istituto giuridico o strumento amministrativo che possa ledere i diritti della famiglia o prefigurare istituti paramatrimoniali». In tal senso, il testo si pone «nel rispetto dell'art. 29 della Costituzione e nella linea già tracciata dalla giurisprudenza costituzionale».
A ben considerare, il meccanismo previsto dal Governo per l'accertamento della situazione di fatto della convivenza tradisce, nella sua struttura, 1'ambiguità di fondo del disegno. Per non introdurre espressamente una istituzionalizzazione e un riconoscimento di una dichiarazione congiunta di convivenza, il testo prospetta una duplice ma distinta dichiarazione proveniente singolarmente da ciascuno dei conviventi. Non è prevista, al riguardo, e deve considerarsi implicitamente vietata la dichiarazione congiunta. Qualora, poi, la dichiarazione all'ufficio di anagrafe non sia effettuata contestualmente, il convivente che l'ha resa ha l'onere di darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento all'altro convivente. La mancata comunicazione preclude la possibilità di utilizzare le risultanze anagrafiche a fini probatori ai sensi della presente legge. Di là dal fatto in sé considerato dell'adempimento postale, il meccanismo dichiarazione più raccomandata darà senz'altro luogo a situazioni di incertezza, oltre che a possibili abusi[81]. È valida, ad esempio, una compiuta giacenza? E se la raccomandata fosse presa dallo stesso convivente che ha fatto la dichiarazione o da altro convivente, non interessato alla dichiarazione, ma che abita, comunque, sotto lo stesso tetto? In che termini la persona nei cui confronti è stata rivolta la dichiarazione può opporsi?
La presenza di una dichiarazione unilaterale, inoltre, amplifica i dubbi sulla fattispecie che sta alla base degli effetti giuridici indicati dalla legge[82]. Si tratta di un mero fatto giuridico, di un negozio unilaterale (recettizio o meno?) o di un atto giuridico?
Nelle intenzioni del Governo la dichiarazione di convivenza ha una valenza meramente ricognitiva di una situazione di fatto in essere.
Sotto tale profilo, il provvedimento crea una netta differenziazione tra le convivenze che accedono alla registrazione e quelle la cui rilevanza rimane sul piano del mero fatto. Al riguardo ci si deve chiedere se la previsione di una disciplina delle convivenze registrate ponga dei problemi di legittimità costituzionale e di discriminazione rispetto alle medesime situazioni di fatto per le quali non vi sia stata la medesima dichiarazione ricognitiva[83], trattando in maniera diseguale situazioni del tutto analoghe. Se in entrambi i casi ciò che conta è la situazione di fatto, ovverosia il perdurare della convivenza, perché, dunque, trattare in maniera diversa la stessa situazione, a seconda che sia o meno oggetto di dichiarazione anagrafica, se il fatto della dichiarazione ha una valenza meramente probatoria della situazione in essere. Come differenziare, d'altronde, coloro che abbiano reso una duplice dichiarazione di convivenza ai sensi dell'art. 1 e coloro che, invece, nella medesima situazione di fatto di conviventi abbiano semplicemente provveduto ad attestare la loro coabitazione ai sensi della medesima disciplina dell'anagrafe, ma senza ricorrere alle forme prescritte dall'articolo in esame?
Se nelle intenzioni del Governo la registrazione all'anagrafe non assume carattere costitutivo ma di mera prova del rapporto di fatto in essere, anche le coppie conviventi che non abbiano proceduto alla registrazione secondo le forme dell'art. 1 potrebbero accedere ai benefici previsti dalla legge stessa nel momento in cui dimostrassero l'esistenza di fatto del rapporto secondo le regole consuete della prova. Se, peraltro, ciò non fosse possibile, limitando espressamente il testo il godimento dei diritti discendenti da tale legge alla registrazione anagrafica così come descritta nell'art. 1, questo sta a significare che la registrazione non assume rilievo sul piano meramente probatorio del rapporto di fatto in essere, ma si pone come condizione necessaria e imprescindibile per accedere ai benefici di legge. La valenza della dichiarazione, pertanto, assume carattere costitutivo dello status di convivenza registrata ed è in tutto e per tutto una dichiarazione di volontà. Sotto questo profilo non si può ragionevolmente sostenere che il disegno di legge governativo non abbia previsto «alcun nuovo istituto giuridico o strumento amministrativo» o che il testo non lasci «prefigurare istituti paramatrimoniali».
Il ricorso alla disciplina già vigente della registrazione anagrafica costituisce un mero escamotage per raggiungere un fine del tutto diverso da quello originariamente prefigurato e dar luogo, attraverso una fictio juris, ad un nuovo istituto giuridico, quello della convivenza registrata. La situazione ricorda il diritto romano classico quando le forme sacramentali dell'età arcaica venivano utilizzate al fine di dare veste giuridica a situazioni inedite e a renderle, pertanto, giuridicamente rilevanti. Ma il sistema giuridico romano è alquanto diverso dal nostro, che non si basa più sulle formule sacramentali elaborate dalla casta sacerdotale.
Fine della registrazione anagrafica è quello di accertare la residenza del singolo soggetto o della famiglia. Scopo della duplice dichiarazione di convivenza o della dichiarazione accompagnata dall'avviso dell'avvenuta dichiarazione con ricevuta di ritorno è quello di ottenere lo status di convivente registrato, da cui discendono i diritti specificamente indicati e previsti dalla legge stessa. sul punto bisogna osservare che i diritti e doveri della famiglia legittima derivano non dalla registrazione anagrafica ma dalla celebrazione del matrimonio.
Che la dichiarazione di convivenza dia luogo ad un vero e proprio status di "convivente registrato" trova specifico riscontro nelle disposizioni contenute nel quinto e nel sesto comma dell'art. 13. In base al comma quinto dell'art. 13, «i diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previsti dalle disposizioni vigenti a favore dell'ex coniuge cessano quando questi risulti convivente ai sensi della presente legge». A contrario, i diritti patrimoniali, successori o previdenziali e le agevolazioni previsti dalla legge in questione cessano qualora uno dei conviventi contragga matrimonio. Lo status di "convivente registrato" si acquista al momento e per effetto della registrazione e viene meno quando cessa la convivenza per decisione comune, per decisione del singolo e, a fortiori, a seguito di celebrazione del matrimonio.
Al di là delle disposizioni meramente riproduttive di norme già vigenti nel nostro ordinamento, la formulazione degli articoli contenuti nel progetto rischia di incrementare in maniera cospicua il contenzioso soprattutto del Giudice ordinario, sia sul versante penale che su quello civile[84]. Secondo le sezioni unite della Corte di Cassazione spettano alla giurisdizione del Giudice ordinario le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione[85]. Tali controversie, infatti, coinvolgono situazioni di diritto soggettivo, e non di mero interesse legittimo, attesa la natura vincolata dell'attività amministrativa ad essa inerente. Tuttavia, la normativa in questione nulla dispone sul piano processuale, riguardo alla competenza, o al rito da applicare nel caso di contenzioso tra conviventi. Nulla è previsto in caso di scioglimento del rapporto, delle cause di cessazione e degli effetti scaturenti, al di là dell'obbligo alimentare di cui all'art. 12. Tra le diverse previsioni, sotto il profilo dell'incertezza giuridica, e quindi dei risvolti patologici, vanno segnalati: il complesso e ambiguo meccanismo previsto per l'emersione della situazione di convivenza, considerando che la dichiarazione anagrafica può essere messa in discussione da una prova contraria fornita da chiunque vi abbia interesse; il carattere estremamente vago della previsione penale; gli interventi in materia di successioni senza modificare gli articoli del codice civile e il conflitto con gli altri legittimari; la questione del rapporto tra le previsioni in tema di passaggio dalla separazione o divorzio alla situazione di convivenza, considerando il delicato profilo della cessazione dei diritti scaturenti dalla precedente posizione e l'insorgenza di quelli nuovi; la delicata questione dei permessi di soggiorno; gli abusi che in genere possono derivare dalla disciplina che per il godimento dei relativi diritti pretende una mera dichiarazione. Sotto il profilo finanziario va, infine, evidenziato che l'intervento complessivo non è a costo zero, avendo il Governo previsto, ai fini della necessaria copertura finanziaria un onere pari ad euro 4 milioni e 600 mila per l'anno 2008 ed euro 5 milioni a decorrere dall'anno 2009 (art. 14).
Le considerazioni sin qui effettuate mostrano, in realtà, le reali intenzioni del legislatore, al di là dell'involucro formale che si è inteso portare all'attenzione dell'opinione pubblica. Si è voluto proporre, apparentemente, un sistema diretto a disciplinare tutte le forme di convivenza, non necessariamente paraconiugali, prospettando un modello valido anche per i rapporti tra nonno e nipote, tra fratelli, tra amici. In realtà il provvedimento risulta effettivamente diretto a garantire la posizione delle convivenze paraconiugali e, in gran parte, delle unioni omosessuali. Ciò lo si ricava dal tenore dei diversi articoli che compongono il testo di legge; tali disposizioni, infatti, risultano del tutto superflue se riferite all'ambito delle convivenze tra persone legate da rapporti di parentela, perché o la legge già riconoscere loro queste prerogative (successione legittima, assistenza, benefici legati all'edilizia popolare) o le stesse non appaiono conducenti rispetto ai bisogni di una "convivenza" tra parenti. La mera amicizia, inoltre, sfugge alla regolamentazione giuridica e due amici difficilmente decideranno di convivere stabilmente e di registrare la loro situazione.
In realtà, le disposizioni previste dal testo risultano in gran parte superflue anche se riferite alle sole convivenze more uxorio, perché la legge e la giurisprudenza in gran parte già riconoscono loro i diritti enucleati. Diversa è la questione nei riguardi dei conviventi dello stesso sesso, perché nei loro confronti non vi sono disposizioni espressamente tese a disciplinare il caso.
In tal senso non si è avuto il coraggio di proporre esplicitamente un tale disegno, mascherando l'intento dall'idea di voler regolamentare ogni forma di convivenza non fondata sul matrimonio, cercando di conciliare l'inconciliabile e di ridurre ad unità situazioni del tutto eterogenee e che ricevono nel sistema attuale una tutela differenziata.

3.3. È davvero necessaria una disciplina delle convivenze non fondate sul matrimonio?
Dopo esserci confrontati con il dato di fatto della presentazione di diverse proposte di disciplina dei rapporti di convivenza, bisogna chiedersi se questa regolamentazione sia effettivamente necessaria. La conclusione non è così scontata come potrebbe sembrare in apparenza. Al riguardo, è possibile enucleare, in estrema sintesi, almeno tre differenti opzioni[86].
La prima[87] è quella dell'introduzione di una disciplina organica delle unioni civili, attraverso l'applicazione analogica delle disposizioni previste in tema di matrimonio[88] o di norme comunque derivanti dalla disciplina del rapporto coniugale, adattate alle peculiarità della situazione di fatto della convivenza. La previsione di un simil-matrimonio pone dei problemi di costituzionalità.
A Costituzione invariata, infatti, le convivenze e la famiglia legittima sono fattispecie diverse e in alcun modo assimilabili[89]. Entrambe hanno un rilievo costituzionale, ma diversa è la loro rilevanza all'interno dell'ordinamento. Dall'analisi del testo costituzionale emerge un favor inequivocabile per la famiglia legittima fondata sul matrimonio, e questo non lo si può nascondere a meno di non voler negare la realtà normativa vigente. Alla famiglia legittima fondata sul matrimonio la Costituzione dedica specificamente tre articoli (29, 30 e 31); nessun articolo è espressamente dedicato al fenomeno delle convivenze e a quelle paraconiugali nello specifico. Ciò non esclude la rilevanza implicita delle convivenze nell'ampio ambito dell'art. 2 Cost. che riassume nella sua ampia formula ogni ipotesi di formazione sociale, dalla famiglia al sindacato, dall'associazione non riconosciuta alla società di mutuo soccorso, dal partito politico all'organizzazione religiosa.
L'intervento organico, a ben considerare, contrasta con l'essenza stessa del fenomeno delle convivenze di fatto, che per lo più rifuggono dall'idea di una loro istituzionalizzazione. La convivenza registrata, inevitabilmente, dà luogo ad un simil-matrimonio o ad un matrimonio di serie B, come è stato efficacemente affermato. Sotto tale profilo, soluzioni di tipo scandinavo che equiparino, quasi in toto, la disciplina dell'unione civile a quella del matrimonio sarebbero affette da incostituzionalità.
Posizione diversa[90] ha auspicato un intervento circoscritto e residuale, diretto a tutelare la parte debole del rapporto in quelle situazioni di effettivo bisogno, al fine di evitare ingiustificate lesioni dei diritti delle singole persone che intraprendono una convivenza, come accade al momento della cessazione del rapporto.
La questione, peraltro, che qui si pone coinvolge il rapporto tra libertà e responsabilità[91]. L'intervento legislativo valorizza la responsabilità ma finisce per svilire la libertà, la scelta di autonomia che sta alla base della decisione di non volersi vincolare di fronte alla società con la celebrazione di quel rito civile che è il matrimonio. Una tutela limitata esclusivamente a coloro che intendano registrarsi rischia di costituire un rimedio inefficace proprio per quelle situazioni di effettivo bisogno che, in concreto, rimangono sul piano del mero fatto e per le quali non vi è alcuna richiesta di registrazione. Introdurre, d'altronde, una disciplina legale per chi decide di non registrarsi rappresenta una palese violazione della scelta di autonomia. Non condivisibile, pertanto, è la scelta effettuata da alcune Comunità autonome della Spagna che estendono alle coppie di fatto una certa disciplina a prescindere dalla registrazione.
Diverso è il discorso per coloro che non possono sposarsi per impedimento temporaneo o permanente. In questi casi, tuttavia, ci si deve chiedere se le tutele sul piano normativo e giurisprudenziale già presenti nell'ordinamento non siano sufficienti a garantire l'interesse di tali conviventi. Se la risposta è positiva, quale è la ragione giustificativa per l'introduzione di un'ulteriore disciplina? Se ciò non fosse vero, è necessario, comunque, introdurre una nuova disciplina di settore?
Si è visto che le scelte operate in Europa sono molto differenziate e variano da disciplina a disciplina le posizioni giuridiche soggettive riconosciute ai conviventi. Si va, infatti, da una regolamentazione totale all'introduzione di poche regole di garanzia, valorizzando il più possibile la scelta dei conviventi sul piano che le proprio, ovverosia quello del diritto privato.
La strada, allora, maggiormente rispettosa della libertà e dell'autonomia delle parti è forse quella della terza opzione, favorevole ad un intervento mirato, diretto a disciplinare singoli casi in cui è necessario rafforzare la tutela rispetto a quanto non sia già previsto. Per il resto, l'autonomia delle parti già consente la stipula di contratti di convivenza[92], leciti nel rispetto dei limiti dell'ordinamento e, in particolare, dell'articolo 1322 c.c.[93] In tale ottica potrebbe anche valorizzarsi, come è stato auspicato, l'istituto del trust, la cui ammissibilità nell'ordinamento italiano è peraltro discussa in assenza di elementi di estraneità[94].
Discorso a parte, forse, va fatto per le coppie dello stesso sesso. La questione delle unioni omosessuali, in realtà, potrebbe essere superata attraverso un'interpretazione adeguatrice che permetta di estendere i diritti attualmente riconosciuti ai conviventi more uxorio anche alle coppie dello stesso sesso[95]. In tal senso vi sono già state pronunce della giurisprudenza dirette ad assimilare le due situazioni[96].
Il tema, tuttavia, del riconoscimento pubblico delle coppie omosessuali coinvolge i fondamenti del nostro ordinamento e della società. In particolare, la questione attiene al rilievo pubblico da attribuire ad una data situazione di fatto[97]. Se la situazione considerata riveste interesse pubblico, lo Stato ha il dovere proteggerla e di promuoverla; al contrario, se la situazione corrisponde ad un interesse soltanto privato, lo Stato deve limitarsi a garantirne il suo libero svolgimento. In tal senso ciascun individuo è libero di manifestare ed esercitare la propria sessualità come meglio crede, nel rispetto delle leggi penali[98]. Questo, tuttavia, non vuol dire che lo Stato debba riconoscere rilievo pubblico ad ogni situazione affettiva, che per sua natura costituisce una situazione privata. La famiglia fondata sul matrimonio, pur essendo, innanzitutto, un fatto privato e affettivo, nondimeno soddisfa un interesse pubblico primario in quanto assicura l'ordine delle generazioni. Il vincolo tra coniugi, in tal senso, non è mai un fatto meramente privato, essendogli riconosciuto dallo Stato, in ragione della stabilità del vincolo, il compito di generare, accudire e sostenere le generazioni future[99]. Per questo motivo la Costituzione sceglie di garantire e proteggere la famiglia fondata sul matrimonio in maniera privilegiata rispetto ad altre situazioni. Una cosa è la discriminazione di una certa situazione, altra è la sua promozione sociale. Perché, allora, d'altronde, non riconoscere, sulla base degli artt. 2, 3, 6 e 8 Cost., in una società multietnica e multiculturale le aspirazioni, i diritti e le libertà di ogni gruppo o minoranza che rivendichi il riconoscimento del "proprio" diritto di famiglia, sotto la specie dei cosiddetti «diritti di gruppo»[100], che attengono alla tutela della sopravvivenza della loro cultura, e quindi il riconoscimento, ad esempio, della poligamia o del diritto familiare musulmano in genere? A nulla sul punto varrebbe il rilievo della preminenza dei diritti fondamentali dell'individuo, giacché anche il diritto al mantenimento della propria identità culturale può essere annoverato tra i diritti fondamentali della persona.  

 Autore: Dott. Gianluca Grasso


Note:

[1] Molteplici sono i contributi dati dalla dottrina ai temi qui indicati; tra i diversi studi: AA.VV., La famiglia di fatto, Atti del Convegno di Pontremoli 27-30 maggio, Montereggio 1977; G. Furgiuele, Libertà e famiglia, Milano, 1979, 281 ss.; F. Prosperi, La famiglia non «fondata sul matrimonio», Camerino-Napoli, 1980; E. Roppo, La famiglia senza matrimonio. Diritto e non diritto nella fenomenologia delle libere unioni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1980, 697 ss.; F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano 1983; AA.VV., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli 1988; A. Falzea, Problemi attuali della famiglia di fatto, in AA.VV., Una legislazione per la famiglia di fatto?, Napoli 1988, 52 ss.; A. Mazzocca, La famiglia di fatto. Realtà attuale e prospettive, Roma 1989; F. D'Angeli, La famiglia di fatto, Milano 1989; M. Bernardini, La convivenza fuori dal matrimonio, Padova 1992; M. Dogliotti, Famiglia di fatto, in Digesto disc. priv., sez. civ., VIII, Torino, 1992, 196 ss.; F. D. Busnelli-M. Santilli, La famiglia di fatto, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian-G. Oppo-A. Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, 757 ss.; F. D'Angeli, La tutela della convivenza senza matrimonio, Torino 1995; F. Bile, La famiglia di fatto nella giurisprudenza della Cassazione, in Riv. dir civ., 1996, I, 645 ss.; M. De Luca, La famiglia non coniugale, Padova 1996; G. Autorino-Stanzione, Diritto di famiglia, Torino, 1997, 18 ss.; M. Fortino, Diritto di famiglia . I valori, i principi, le regole, Milano, 1997, 60 ss.; M. Franzoni, Le convenzioni patrimoniali tra i conviventi more uxorio, in Il diritto di famiglia, in Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, II, Torino, 1997, 461 ss.; R. Tommasini, La famiglia di fatto, in Trattato di diritto Privato diretto da M. Bessone, IV, t. I, Torino 1999, 499 ss.; G. Ferrando, Gli accordi di convivenza: esperienze a confronto, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 163 ss.; L. Balestra, Gli effetti della dissoluzione della convivenza, in Riv. dir. priv., 2000, 488 ss.; G. Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano 2001; F. Grillini-M. R. Marella (a cura di), Stare insieme. I regimi giuridici della coppia tra status e contratto, Napoli 2001; V. Franceschelli, Famiglia di fatto, voce dell'Enc. dir., aggiornamento VI, Milano 2002, 365 ss.; M. F. Tommasini. La rilevanza dei rapporti familiari non istituzionalizzati, in Dir. form., 1, 2003, 69 ss.; C. Manassero, Nuovi spazi di tutela per i conviventi, in Giur. merito, 2003, 6, 1327; S. Asprea, La famiglia di fatto in Italia e in Europa, Milano 2003; A. Pellarini, La famiglia di fatto, Milano 2003; C. Petitti, I diritti nelle famiglie di fatto: attualità e futuro, in Familia, 2003, 1021; L. Balestra, La famiglia di fatto, Padova 2004; M. Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra discipline straniere e diritto interno, Milano 2005.

[2] F. D. Busnelli-M. Santilli, La famiglia di fatto, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian-G. Oppo-A. Trabucchi, VI, 1, Padova, 1993, 760 ss.

[3] F. D. Busnelli, La famiglia e l'arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, 509 ss.; V. Scalisi, La "famiglia" e le "famiglie", in AA.VV., La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo. Bilanci e prospettive, Padova 1986, 280 ss.

[4] I lavori sono stati pubblicati nel volume Actes du 11ème Colloque de Droit Européen du Conseil de l'Europe. Les problèmes juridiques posés par les couples non mariés, Strasbourg, 1982. Sul convegno di studi cfr. M. Astone, Ancora sulla famiglia di fatto: evoluzione e prospettive, in Dir. Famiglia, 1999, 1462 ss.

[5] Per una recente analisi in chiave statistica e sociologica del fenomeno delle convivenze riferito alle coppie di fatto, a livello europeo e nel contesto italiano, cfr. E. Schnabl, Le coppie di fatto alla "conquista" della carta dei diritti, in Il Sole 24 Ore - Famiglia e Minori, 1 marzo 2007, n. 3, 13.

[6] Cfr. A. Cataudella, Francesco Santoro-Passarelli: Giurista Cattolico, in Iustitia, 2006, 453 che espressamente cita l'ultima lezione di diritto civile tenuta a Roma il 24 maggio 1972 e pubblicata con lo scritto «Senso di un insegnamento», nonché l'intervento a chiusura del Convegno di Messina e Taormina su «Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia» (3-8 novembre 1981), pubblicato col titolo «Quid iuris».

[7] Se l'intento che si intende perseguire è quello di analizzare le legislazioni straniere nell'ottica di individuare un possibile modello per la disciplina interna, presenta un'utilità limitata discorrere di comparazione nella materia de qua con sistemi giuridici americani, africani, asiatici o dell'Oceania, stante la diversità culturale, maggiormente accentuata in tema di questioni familiari, che intercorre tra il nostro sistema giuridico e quelli presenti nei continenti segnalati. Diverso avrebbe potuto essere l'oggetto dell'analisi se altra fosse stata la finalità prefissata, come nel caso in cui si fossero voluto perseguire intenti puramente scientifici e svincolati da una finalità applicativa e pratica. Ma la comparazione non ha un unico fine, dovendosi preliminarmente chiarire il fine che si intende raggiungere con lo studio e l'analisi della legislazione straniera, e il nostro intento è quello di vagliare le discipline altrove esistenti per valutare l'utilizzo di tali modelli nel sistema giuridico italiano e raffrontare le discipline straniere con i progetti attualmente sul tappeto. In tal senso si prediligeranno le normative di civil law rientranti nell'area culturale europea, anche al di là dell'ambito strettamente comunitario. Il rimando va all'insegnamento di R. Sacco, Introduzione al diritto comparato, 4 ed., Torino 1990.

[8] Riguardo alla posizione delle coppie omosessuali, l'estensione di alcune tutele previste per la famiglia tradizionale passa attraverso l'art. 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che vieta discriminazioni riguardanti il godimento dei diritti delle libertà riconosciuti dalla convenzione. Tra le varie fonti d'ingiustificata discriminazione vi è quella del sesso. Cfr. M. Castellaneta, Lo Stato può prevedere benefit anche per coppie omosessuali "lasciando fuori" i fratelli, in Famiglia e Minori, 1 marzo 2007, n. 3, 94 ss.

[9] Risoluzione dell'8 febbraio 1994 sulla parità dei diritti per gli omosessuali e le lesbiche nella Comunità, in Rass. dir. civ., 1996, 253 ss.; Risoluzione del 17 settembre 1996 sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'UE nel 1994; Risoluzione dell'8 aprile 1997 sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'UE nel 1995; Risoluzione del 17 febbraio 1998 sul rispetto dei diritti dell'uomo nell'UE nel 1996; Risoluzione del 16 marzo 2000; Risoluzione sulla situazione dei diritti fondamentali nell'Unione europea (2002) del 4 settembre 2003. Cfr. N. Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa, in Foro it., 2005, V, 260 ss. In termini critici sulla Risoluzione dell'8 febbraio 1994 P. Schlesinger, La risoluzione del parlamento europeo sugli omosessuali, in Corr. giur., 1994, 393 ss. Sul tema cfr. altresì S. Balletti, Le coppie omosessuali, le istituzioni comunitarie e la Costituzione italiana, in Rass. dir. civ., 1996, 241 ss. La questione delle rilievo dei pronunciamenti del Parlamento europeo è trattata incidentalmente anche da L. Balestra, Un recente convegno francese sulle convivenze fuori dal matrimonio, in Familia, 2002, 439 ss.

[10] Secondo Corte giustizia CE, 31 maggio 2001, n. 122, Regno Svezia e altro c. Cons. Ue, in Riv. notariato, 2002, 1263 con nota E. Calò, La Corte di giustizia accerchiata dalle convivenze, è legittimo il rifiuto del Consiglio dell'Unione europea di concedere il beneficio dell'assegno di famiglia ad un dipendente facente parte di un'unione stabile registrata con un altro uomo sia perché il termine "matrimonio", secondo la definizione comunemente accolta dagli Stati membri, designa una unione tra due persone di sesso diverso, sia perché la situazione esistente negli Stati membri della Comunità quanto al riconoscimento delle unioni stabili tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso è caratterizzata da una estrema eterogeneità normativa. Sul tema cfr. altresì M. Bonini Baraldi, Società pluraliste e modelli familiari: il matrimonio di persone dello stesso sesso in Olanda, in Familia, 2001, 419 ss.

[11] http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2006/com2006_0400it01.doc.

[12] Cfr. G. Ferrando, Famiglia e matrimonio, in Familia, 2001, 939 ss.; P. Zatti, Familia, familiae - declinazioni di un'idea i. la privatizzazione del diritto di famiglia, in Familia, 2002, 9 ss.; G. Cosco, Convivenza fuori dal matrimonio: profili di disciplina nel diritto europeo, in Dir. fam. pers., 2006, 357 ss.

[13] E. Calò, Le convivenze registrate nelle legislazioni dei paesi dell'unione europea, in Riv. notariato, 2000, 1059 ss.

[14] L. Flynn, The implications of article 13 EC - after Amsterdam, will some forms of discrimination be more equal than others?, in Common Market Law Review, 1999, 1127 cit. da E. Calò, Le convivenze registrate nelle legislazioni dei paesi dell'unione europea, cit., 1059 ss. che, peraltro, ritiene che la disposizione contribuisca «alla valutazione del contenuto dell'ordine pubblico internazionale».

[15] E. Battaglia, «Sesso» e «orientamento sessuale» nell'interpretazione dell'art. 141 CE alla luce della sentenza K. B. c. Regno Unito, in Dir. un. eur., 2004, 599 ss.

[16] Per un panorama delle diverse discipline europee, E. Calò, La Corte di giustizia accerchiata dalle convivenze, in Riv. notariato, 2002, 1272 ss.; J. I. Alonso Perez, "Unioni civili", "unioni di fatto" e altre convivenze. Rassegna della legislazione europea, in Quad. dir. pol. eccles., 2003, I, 343 ss.; G. Cosco, Convivenza fuori dal matrimonio: profili di disciplina nel diritto europeo, cit., 357 ss. E. Calò, Le convivenze registrate in Europa. Verso un secondo regime patrimoniale della famiglia, Milano 2000, 83 ss.

[17] I testi delle discipline europee sono disponibili in lingua originale o in traduzione sul sito web del Laboratorio Europeo sul Matrimonio e le Unioni Registrate (L.E.M.U.R.) http://www.lemur.unisa.it.

[18] Cfr. G. Oberto, contratti di convivenza e diritti del minore, in Dir. fam. pers., 2006, 242 ss. In termini parzialmente diversi, F. Macioce, PACS. Perché il diritto deve dire no, Alba 2006, 39 ss. che differenzia un primo gruppo caratterizzato dalle ipotesi di estensione analogica dell'istituto matrimoniale alle convivenze (Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlandia e Germania), un secondo ambito in cui la scelta del legislatore è stata quella di introdurre il principio dell'irrilevanza del sesso degli sposi (Olanda, Belgio e Spagna), un terzo gruppo in cui la disciplina è caratterizzata dalla possibilità di regolamentare gli aspetti patrimoniali personali della convivenza attraverso un accordo (Francia e Belgio).

[19] F. Finocchiaro, La legge danese 7 giugno 1989 n. 372 sulla partnership omosessuale registrata, in Dir. eccl., 1990, I, 319 ss.

[20] M. Savolainen, Registered Partnership Act Adopted in Finland, in Familia, 2002, 775 ss.

[21] La legge 21 dicembre 2000 ha introdotto nei Paesi Bassi il matrimonio fra persone dello stesso sesso.

[22] E. Calò, Le convivenze registrate in Europa. Verso un secondo regime patrimoniale della famiglia, cit., 99 ss.

[23] Cfr. M. Bonini Baraldi, Società pluraliste e modelli familiari: il matrimonio di persone dello stesso sesso in olanda, cit., 419 ss.

[24] F. Ferrari, La convivenza more uxorio nei paesi di lingua tedesca: una comparazione, in Dir. fam. pers., 1992, 431 s.; G. Cosco, Convivenza fuori dal matrimonio: profili di disciplina nel diritto europeo, cit., 370.

[25] C. Caricato, La legge tedesca sulle convivenze registrate, in Familia, 2002, 501 ss.

[26] Il testo della sentenza può essere rinvenuto sul sito web http://www.bundesverfassungsgericht.de/entscheidungen/frames/ls20020717_1bvf000101. Critiche nei confronti della pronuncia sono state sollevate da F. D. Busnelli, La famiglia e l'arcipelago familiare, cit., 524 ss.

[27] L'individuazione dell'autorità competente e delle norme relative alla procedura di registrazione con la precisazione dei documenti necessari è devoluta alla competenza dei singoli Länder, cfr. C. Caricato, La legge tedesca sulle convivenze registrate, cit., 501 ss.

[28] In questa sede non si tratterà delle recenti innovazioni introdotte nell'ordinamento spagnolo in tema di matrimonio, in base alle quali è stata superata la distinzione del sesso come elemento qualificante l'istituto del matrimonio. Si tratta della l. 1° luglio 2005 n. 13, di modifica del codice civile in materia di diritto a contrarre matrimonio che ha introdotto nell'ordinamento spagnolo il matrimonio tra persone dello sesso. Sul tema: AA.VV., La legge spagnola sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la tutela delle coppie omosessuali in Italia, in Foro it., 2005, V, 256 ss. con saggi di: R. Romboli, Note introduttive; N. Pignatelli, Nozione di matrimonio e disciplina delle coppie omosessuali in Europa; M. Carrillo, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali ed i principî costituzionali; E. Exposito Gomez, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali e la Costituzione spagnola; V. E. Lauroba, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali ed i principî del diritto civile spagnolo.

[29] J. I. Alonso Perez, La famiglia di fatto in spagna: legislazione regionale, in Giur. merito, 2006, 2052 ss.; E. Roca Trias (a cura di), Estudio comparado de la regulación autonómica de las parejas de hecho: soluciones armonizadoras, Madrid 2005.

[30] Le competenze in materia di legislazione civile regionale sono riconosciute dalla carta costituzionale all'art. 149.1.8. Tale disposizione, sebbene riservi allo Stato la legislazione civile, garantisce la conservazione, la modificazione lo sviluppo del diritto civile statuario presente nelle singole comunità autonoma e di dove questo già esistesse al momento dell'entrata in vigore della carta costituzionale cfr. J. I. Alonso Perez, La famiglia di fatto in Spagna: legislazione regionale, cit., 2054 ss. Tuttavia, non è così pacifica in dottrina la competenza in capo alle Comunità autonoma per disciplinare le unioni di fatto. In tal senso, si sostiene che la disciplina delle convivenze non faceva parte di nessuno e di regionali preesistenti e che, comunque, la disciplina dei rapporti giuridico civili riguardanti le forme di matrimonio gli obblighi contrattuali spettano alla competenza esclusiva dello Stato. Le Comunità che non hanno una loro specifica competenza in tema di diritto civile si sono basate su altri titoli competenziali, come la difesa della famiglia o l'art. 149.1.1, E. Lauroba, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali ed i principî del diritto civile spagnolo, cit., 272 ss.

[31] E. Lauroba, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali ed i principî del diritto civile spagnolo, cit., 272 ss. Sono tuttavia presenti nell'ordinamento statale disposizioni sparse in discipline speciali che estendono alle coppie non sposate a taluni diritti riconosciuti a coloro che contraggono matrimonio. Si pensi alla disciplina in tema di adozione congiunta (l. 21/87), di riproduzione assistita (l. 35/88) e di successione nel contratto di locazione del convivente del locatario defunto (l. 29/94).

[32] La legge catalana, ad esempio, disciplina separatamente le convivenze eterosessuali da quelle omosessuali, mentre gli altri sistemi in genere introducono una disciplina unica per le unioni civili.

[33] Diffusamente, J. I. Alonso Perez, La famiglia di fatto in Spagna: legislazione regionale, cit., 2052 ss.

[34] E. Lauroba, La legge spagnola sul matrimonio tra omosessuali ed i principî del diritto civile spagnolo, cit., 272 ss.

[35] E. Calò, Le convivenze registrate in Europa. Verso un secondo regime patrimoniale della famiglia, cit., 78 ss.

[36] La dichiarazione di cessazione di comune accordo è consegnata all'ufficiale di stato civile del comune del domicilio delle due parti o, nel caso in cui le parti non siano domiciliate nello stesso comune, all'ufficiale di stato civile del comune del domicilio di una di esse. In tal caso, l'ufficiale di stato civile notifica la cessazione, entro otto giorni e per lettera raccomandata, all'ufficiale di stato civile del domicilio dell'altra parte. La dichiarazione unilaterale di cessazione è consegnata all'ufficiale di stato civile del comune di domicilio delle due parti o, quando le parti non sono domiciliate nello stesso comune, all'ufficiale di stato civile del comune del domicilio della parte che emette la dichiarazione. L'ufficiale di stato civile notifica la cessazione all'altra parte entro otto giorni e mediante ufficiale giudiziario e, se fosse conveniente, la notifica, entro lo stesso termine e con lettera raccomandata, all'ufficiale di stato civile del comune del domicilio dell'altra parte.

[37] Il testo è consultabile anche sul sito web del Governo francese: http://www.legifrance.gouv.fr. La versione italiana è presente sulla Riv. crit. dir. priv., 2000, 152 ss. La produzione dottrinale sul PACS è ampia. Tra i contributi apparsi nella dottrina italiana cfr. F. Grillini, Omosessuali e diritti. Il Pacs in Francia e il confronto con la situazione italiana, in Riv. crit. dir. priv., 2000, 183 ss.; F. Piccaluga, Famiglia di fatto e concubinage: la recente disciplina del patto sociale di solidarietà (pacs), in Fam. dir., 2000, 417 ss.; P. Vitucci, «Dal dì che nozze ...» Contratto e diritto della famiglia nel pacte civil de solidarité, in Familia, 2001, 713 ss.; A. Ambanelli, La disciplina del pacte civil de solidarité e del concubinage, in Nuova giur. civ. comm., 2001, II, 75 ss.; G. Grasso, La disciplina francese dei patti civili di solidarietà: cronaca di una legge superflua, in Dir. e giur., 2001, 88 ss.; C. Minasso, Il patto civile di solidarietà e la situazione italiana, in http://www.diritto.it/articoli/civile/minasso.html, 2002, F. Piccaluga, Famiglia di fatto e contratto: il pacte civil de solidarité, in Contr. e impr., 2002, 115 ss. Per i riferimenti nella dottrina francese cfr. G. Grasso, La disciplina francese dei patti civili di solidarietà: cronaca di una legge superflua, cit., 88 ss.

[38] Non possono concludere un Pacs le persone giuridiche né possono sussistere accordi con più di due contraenti. Originariamente, alcune proposte legislative estendevano il Pacs ai gruppi di persone, ma tale possibilità non è divenuta testo normativo.

[39] Vengono esclusi i minori, anche quelli emancipati, mentre nulla viene detto con riferimento all'inabilitato, li dove, nell'istituto del matrimonio, la disciplina consente l'atto, purché vi sia l'autorizzazione del curatore. Sul piano degli impedimenti, si vieta la conclusione del Pacs fra ascendenti e discendenti in linea diretta, tra soggetti legati in linea diretta e collaterali fino al terzo grado incluso. Lo stesso divieto cade su coloro che siano già sposati o che abbiano già concluso un altro Pacs.

[40] In questo caso è data facoltà al tutore, secondo un preciso procedimento, di disporne la dissoluzione (a. 506-1).

[41] L. Balestra, Un recente convegno francese sulle convivenze fuori dal matrimonio, cit., 439 ss.

[42] L'affermazione è di Luc Mayaux, riportata in L. Balestra, Un recente convegno francese sulle convivenze fuori dal matrimonio, cit., 439 ss.

[43] In sintesi: UNIONI CIVILI/3. Le "Uniòes de facto" portoghesi, in http://www.professionisti24.ilsole24ore.com.

[44] Tra le prime di legge vanno richiamate la n. 1677 del 9 ottobre 1987 (Calvanese ed altri) e la n. 2340 del 12 febbraio 1988 (Cappiello ed altri). Cfr. F. Gazzoni, Commento alle proposte di legge: «Disciplina della famiglia di fatto», «Nuove norme in materia di diritto di famiglia», in Rass. dir. civ., 1989, 239 ss. Nelle Legislature successive le proposte di disciplina si sono fatte più numerose. Durante la XII Legislatura (15 aprile 1994 - 8 maggio 1996) sono state presentate tre proposte di legge, nel corso della XIII (21 aprile 1996 - 26 febbraio 2001) sono state otto e sedici nel corso della XIV Legislatura. Cfr. A. Alfani, Il riconoscimento delle unioni civili - dalle prime proposte di legge ai pacs, in http://www.lapraticaforense.it/articolo.php?idcat=23&idart=47

[45] Il testo completo delle proposte, così come il resoconto stenografico delle sedute della Commissione Giustizia e rinvenibile sul sito web http://www.senato.it.

[46] Il 21 febbraio è stato comunicato che il ddl presentato dal Governo sui «Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi» (Di.co.) veniva assegnato proprio alla Commissione Giustizia di Palazzo Madama (ddl n. 1339). Il suo esame è iniziato il 6 marzo con la relazione del Presidente Salvi.

[47] Una sintesi delle diverse proposte parlamentari, in chiave schematica, è contenuta in A. Corrado, Confronto aperto sulle altre proposte presentate in Parlamento, in Il Sole 24 Ore - Famiglia e Minori, 1 marzo 2007, n. 3, 23 ss. L'analisi di alcuni testi è sviluppata da T. Marvasi, Nella costruzione normativa la famiglia "tradizionale" resta il punto di riferimento, in Il Sole 24 Ore - Famiglia e Minori, 1 marzo 2007, n. 3, 29 ss.

[48] S589 dell'8 giugno 2006, Biondi.

[49] S62 del 28 aprile 2006, Malabarba relativamente all'istituto dell'unione civile e dell'unione registrata.

[50] S472 Ripamonti, in tema di unione civile, e S62 del 28 aprile 2006, Malabarba riguardo alla convivenze di fatto

[51] S589 dell'8 giugno 2006, Biondi.

[52] S62 del 28 aprile 2006, Malabarba.

[53] S589 dell'8 giugno 2006, Biondi.

[54] S62 del 28 aprile 2006, Malabarba; S1225 del 19 dicembre 2006, Russo Spena; C1562 del 2 agosto 2006, De Simone.

[55] S62 del 28 aprile 2006, Malabarba; S1225 e S1227 del 19 dicembre 2006, Russo Spena; C1562 e C1563 del 2 agosto 2006 , De Simone; C1246 del 2 agosto 2006, Capezzone.

[56] S1208 dell'11 dicembre 2006, Boccia.

[57] S481 del 22 maggio 2006, Silvestri; C33 del 28 aprile 2006 , Grillini.

[58] C1060 del 9 giugno 2006, Moroni.

[59] S589 dell'8 giugno 2006, Biondi.

[60] C1155 del 16 giugno 2006, Buemi.

[61] C1730 del 28 settembre 2006, Rivolta.

[62] C2148 del 19 gennaio 2006,Calducci.

[63] S62 del 28 aprile 2006, Malabarba; S1225 del 19 dicembre 2006, Russo Spena; C1562 del 2 agosto 2006 , De Simone.

[64] Il testo, unitamente alle relazioni di accompagnamento può essere consultato sul sito web http://www.governo.it

[65] Cfr. Relazione governativa.

[66] L'attuale comma 7 dell'art. 1 prevede che il soggetto la cui convivenza sia stata dichiarata secondo le modalità previste dalla disposizione non possa avviare un'altra procedura anagrafica.

[67] Art. 2 (Esclusioni) 1. Le disposizioni della presente legge non si applicano alle persone: a) delle quali l'una sia stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell'altra o sulla persona con la quale l'altra conviveva ai sensi dell'articolo 1, comma 1, ovvero sulla base di analoga disciplina prevista da altri ordinamenti; b) delle quali l'una sia stata rinviata a giudizio, ovvero sottoposta a misura cautelare, per i reati di cui alla lettera a); e) legate da rapporti contrattuali, anche lavorativi, che comportino necessariamente l'abitare in comune.

[68] Già F. D'Angeli, la tutela delle convivenze senza matrimonio, Torino 2001, 519 aveva suggerito di utilizzare la certificazione dell'anagrafe al fine di fornire la prova del momento iniziale della convivenza. L'A., peraltro, evidenzia la necessità di provare gli ulteriori requisiti (coabitazione, comunione di vita materiale e spirituale, stabilità) configurare una convivenza more uxorio.

[69] Come osservato dal Presidente Salvi, l'ipotesi della falsa dichiarazione di essere conviventi "ai sensi del presente disegno di legge" rischia di estendersi anche ai casi in cui l'affetto non è più ricambiato.

[70] In assenza di legge, tuttavia, evidenzia la relazione governativa, «è possibile ad altri familiari opporsi alla presenza del convivente e le carte dei servizi delle strutture ospedaliere e di assistenza pubbliche e private possono non prevedere tale diritto».

[71] L'art. 424 c.c. prevede che in caso di incapacità, il Giudice nomina un tutore, preferendo il coniuge o il convivente.

[72] Relazione governativa.

[73] Da adottarsi «secondo le modalità e le condizioni stabilite da apposito regolamento da adottarsi, ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità e con il Ministro delle politiche per la famiglia, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge».

[74] Analizzando le leggi regionali in materia, S. Marchetti, Verso un diritto regionale della famiglia?, in Familia, 2005, 985 ss. osserva che quasi tutte presentano una disposizione dal seguente tenore: "Agli effetti della presente legge per nucleo familiare si intende la famiglia costituita dai coniugi e dai figli legittimi, naturali, riconosciuti ed adottivi e dagli affiliati con loro conviventi. Fanno altresì parte del nucleo il convivente more uxorio, gli ascendenti, i discendenti, i collaterali fino al terzo grado, purché la stabile convivenza con il richiedente abbia avuto inizio due anni prima della data di pubblicazione del bando di concorso e sia dimostrata nelle forme di legge". La norma è dettata dall'art. 2, L.r. Emilia-Romagna 16 marzo 1995, n. 13; conforme l'art. 5 L.r. Toscana 96/96; l'art. 7 L.r. Calabria 32/96; l'art. 11, 6° comma, L.r. Lazio 12/99; l'art. 6, 4° comma, L.r. Liguria 10/94; l'art. 2, 2° comma, L.r. Molise 12/98; l'art. 2, 2° comma, L.r. Piemonte 46/94; l'art. 3, 1° comma, L.r. Piemonte 46/95; l'art. 3, 1° comma, L.r. Piemonte 22/01; l'art. 4, 5° comma, L.r. Umbria 33/96; l'art. 5, 1° comma, L.r. Valle d'Aosta 39/95; l'art. 2, 4° comma, L.r. Veneto 10/96; art. 3, 2° comma, L.r. Basilicata 20/97; l'art. 7 L.r. Marche 44/97; l'art. 2, 3°comma, L.r. Campania 18/97; l'art. 1 L.r. Abruzzo 56/98; art. 3, 2° comma, L.r. Basilicata 31/99.

Con sent. n. 559/1989 (Corte cost. 20 dicembre 1989, n. 559, in Foro it., 1990, I, 1465) la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimita costituzionale dell'art. 18, primo e secondo comma, della legge della Regione Piemonte 10 dicembre 1984, n. 64 (Disciplina delle assegnazioni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica ai sensi dell'art. 2, comma secondo, della legge 5 agosto 1978, n. 457, in attuazione della deliberazione C.I.P.E. pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 348 in data 19 dicembre 1981), nella parte in cui non prevede la cessazione della stabile convivenza come causa di successione nella assegnazione ovvero come presupposto della voltura della convenzione a favore del convivente affidatario della prole.

[75] Cass. 15 marzo 2006, n. 5632.

[76] Quando i beni ereditari di un convivente sono devoluti all'altro convivente, l'aliquota sul valore complessivo netto dei beni prevista dall'articolo 2, comma 48, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, è stabilita nella misura del cinque per cento sul valore complessivo netto eccedente i 100.000 euro.

[77] Relazione governativa.

[78] Con tale pronuncia (Corte cost. 7 aprile 1988, n. 404, in Foro it., 1988, I, 2515; in Dir. famiglia, 1988, 1559, con nota di A. Scalisi, Il «diritto» all'abitazione del convivente more uxorio nella successione del contratto locativo) la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui non prevede tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio e nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di locazione al conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del gia convivente quando vi sia prole naturale.

[79] In realtà, è agevole riscontrare che la posizione assunta dal Governo rappresenta un compromesso, dettata dall'esigenza di non scontentare nessuna delle diverse anime che compongono l'attuale incerta maggioranza. È infatti evidente che anche altri punti del programma richiedono un passaggio parlamentare, analogamente al ddl sui Di.co., ma sulla questione delle unioni civili il Governo ha preferito non esporsi ulteriormente, facendo salvo quanto sin qui operato, avendo messo in moto l'esame parlamentare del testo, ma tirandosi fuori da un impegno diretto ed esplicito a sostegno del progetto durante il passaggio alle Camere.

[80] Il dovere di prestarsi assistenza e solidarietà materiale e morale, pur espressamente indicato nella sintesi del Governo presentata dal Dipartimento per i diritti e le pari opportunità, non è previsto da nessuna disposizione del testo.

[81] Secondo l'Organismo Unitario dell'avvocatura è quantomeno «discutibile il criterio scelto dell'invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento per formalizzare il rapporto di convivenza in caso di dichiarazione non contestuale». Organismo Unitario dell'avvocatura, "Dico" o non "Dico"... per ora prevalgono la confusione, le lacune e le incongruenze, a danno dei diritti cittadini, 12 febbraio 2007, in http://www.oua.it/comunicati/comunicati_2006/new.asp?id=149

[82] Cfr. il resoconto stenografico della relazione del presidente Salvi alla Commissione Giustizia del Senato.

[83] Secondo N. Lipari, Riflessioni sul matrimonio a trent'anni dalla riforma del diritto di famiglia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 715 ss. «non si può pensare di risolvere il problema semplicemente attraverso una registrazione del rapporto di fatto alla quale ricondurre i medesimi effetti della celebrazione del matrimonio, perché non si può escludere, in linea di principio, che vi siano coppie che rifiutano la registrazione. Sarebbe probabilmente costituzionalmente illegittima una disciplina che riservasse a queste ultime un trattamento deteriore rispetto alle coppie registrate».

[84] Secondo l'Organismo Unitario dell'avvocatura, "Dico" o non "Dico"... per ora prevalgono la confusione, le lacune e le incongruenze, a danno dei diritti cittadini, 12 febbraio 2007, in http://www.oua.it/comunicati/comunicati_2006/new.asp?id=149, le previsioni legislative contenute nel progetto «presentano gravi lacune ed incongruenze».

[85] Cassazione civile, sez. un., 19 giugno 2000, n. 449, in Giust. civ. Mass., 2000, 1179.

[86] In termini in parte diversi, F. D. Busnelli-M. Santilli, La famiglia di fatto, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian-G. Oppo-A. Trabucchi, cit., 791 ss; F. D'Angeli, la tutela delle convivenze senza matrimonio, cit., 150 ss.; R. Tommasini, La famiglia di fatto, in Trattato di diritto Privato diretto da M. Bessone, cit., 501 s.

[87] G. Gandolfi, Alcune considerazioni de iure condendo sulla famiglia naturale, in Foro it., 1974, V, 211 ss.

[88] L'applicazione analogica è stata ipotizzata da G. Furgiuele, Libertà e famiglia, cit., 285.; F. Prosperi, La famiglia non «fondata sul matrimonio», cit., 245. La tesi, peraltro, è stata criticata in ragione della diversità strutturale della famiglia di fatto rispetto a quella legittima, lì dove nella prima ha rilievo il rapporto mentre la seconda si fonda sull'atto del matrimonio cfr. R. Tommasini, La famiglia di fatto, in Trattato di diritto Privato diretto da M. Bessone, cit., 503 s.

[89] G. Giacobbe, Famiglia: molteplicità di modelli o unità categoriale, in Dir. fam. pers., 2006, 1219 ss.

[90] E. Roppo, Come tutelare la famiglia di fatto?, in Pol. dir., 1980, 20 ss.; ID., voce Famiglia, III), Famiglia di fatto, in Enc. giur., XIV, Roma 1989, 2 ss.

[91] F. D. Busnelli-M. Santilli, La famiglia di fatto, in Commentario al diritto italiano della famiglia, diretto da G. Cian-G. Oppo-A. Trabucchi, cit., 797; F. D'Angeli, la tutela delle convivenze senza matrimonio, cit., 160 ss.; M. F. Tommasini. La rilevanza dei rapporti familiari non istituzionalizzati, in Dir. form., cit., 85.

[92] R. Tommasini, La famiglia di fatto, in Trattato di diritto Privato diretto da M. Bessone, cit., 512 ss.; A. Zoppini, Tentativo d'inventario per il "nuovo" diritto di famiglia: il contratto di convivenza, in Riv. crit. dir. priv., 2001, 335 ss. Diffusamente: G. Oberto, Contratti di convivenza e contratti tra conviventi «more uxorio», in Contratto e impresa, 1991, 369 ss.; Id., I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, in http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/contrattidiconvivenza2/contrattidiconvivenza2.htm; Id., Contratti di convivenza e contratti tra conviventi more uxorio, in http://www.geocities.com/CollegePark/Classroom/6218/contrattidiconvivenza/contrattidiconvivenza.htm.

[93] Favorevole alla valorizzazione dell'autonomia privata è F. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, cit. 150 ss. Posizione contraria a qualunque intervento è invece quella di A. Trabucchi, Il ritorno all'anno zero: il matrimonio come fonte di disparità, in Riv. dir. civ., 1975, II, 488 ss.;

[94] M. Lupoi, Lettera a un notaio conoscitore dei trust, in Riv. notar., 2001, 1168; D. Cenni, Il fondo patrimoniale, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da P. Zatti, III, Regime patrimoniale della famiglia, a cura di Franco Anelli e Michele Sesta, Milano, 2002, 648. Con maggiori riserve, G. Oberto, Trust e autonomia negoziale nella famiglia, in http://caselaw.lp.findlaw.com/cgi-bin/getcase.pl?court=us&vol=203&invol=56; Id., I contratti di convivenza tra autonomia privata e modelli legislativi, cit. che ritiene doversi preferire la strada dei contratti di convivenza. Sul rilievo dei negozi destinati ad avere effetti post mortem, in mancanza di una specifica disciplina dei rapporti successori tra conviventi, G. Oberto, Famiglia di fatto e convivenze: tutela dei soggetti interessati e regolamentazione dei rapporti patrimoniali in vista della successione, in Fam. dir., 2006, 611 ss. il quale esprime, in questa sede, maggior favore per l'ammissibilità del trust interno nell'ambito della famiglia di fatto.

[95] M. Bonini Baraldi, Società pluraliste e modelli familiari: il matrimonio di persone dello stesso sesso in Olanda, cit., 419 ss. osserva come in Italia, per "famiglia di fatto" la dottrina intende, in genere, la situazione di convivenza paraconiugale fra persone di sesso diverso. Sulla condizione omosessuale: G. De Marzo, I diritti delle coppie omosessuali nella vigente legislazione italiana, e F. Dal Canto, Matrimonio tra omosessuali e principî della Costituzione italiana, in AA.VV., La legge spagnola sul matrimonio tra persone dello stesso sesso e la tutela delle coppie omosessuali in Italia, in Foro it., 2005, V, 275; Il Tribunale di Latina con decreto, 10-06-2005 in Foro it., 2006, I, 287 ss.; in Fam. dir., 2005, 411 ss. con note di P. Schlesinger, Matrimonio tra indivisui dellos tesso sesso contratto all'estero e M. Bonini Baraldi, Il matrimonio fra cittadini a italiani dello stesso sesso contratto all'estero non è trascrivibile: inesistente, invalido o contrario all'ordine pubblico? ha rifiutato la trascrizione del matrimonio fra cittadini italiani dello stesso sesso celebrato in Olanda sul presupposto dell'inesistenza giuridica nell'ordinamento italiano di un matrimonio fra persone dello stesso sesso e della sua contrarietà all'ordine pubblico. M. F. Tommasini. La rilevanza dei rapporti familiari non istituzionalizzati, in Dir. form., cit., 83 s. ha escluso la possibilità per i cittadini italiani, dello stesso sesso o di sesso diverso, di stipulare nell'ordinamento italiano convivenze registrate sulla base della legislazione straniera, attesa la contrarietà di tali discipline ai principi del nostro ordinamento sulla scorta del diritto internazionale privato.

[96] Trib. Roma, sez. III, 20 novembre 1982, in Riv. giur. ed., 1983, I, 959 in tema di successione nel contratto di locazione di immobile e Trib. Firenze 11 agosto 1986, in Nuovo dir., 1988, 321 sulla irripetibilità, ai sensi dell'art. 2034 c.c., delle obbligazioni adempiute durante la propria relazione. Cfr. M. Bonini Baraldi, Società pluraliste e modelli familiari: il matrimonio di persone dello stesso sesso in Olanda, cit., 419 ss.

[97] F. Macioce, PACS. Perché il diritto deve dire no, cit., 77 ss. Il ragionamento è chiaramente sviluppato, senza alcun fideismo, nel documento del Pontificio Consiglio per la Famiglia, Famiglia, matrimonio e "unioni di fatto", in http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/family/documents/rc_pc_family_doc_20001109_de-facto-unions_it.html

[98] F. Macioce, PACS. Perché il diritto deve dire no, cit., 82.

[99] F. Macioce, PACS. Perché il diritto deve dire no, cit., 81.

[100] Cfr. F. Belvisi, Diritti e giustizia in una società multiculturale. le sfide al diritto nell'italia di oggi, in Dir. eccl., 2002, 435 ss. Sulla richiesta di omologazione di un atto di kafala di diritto islamico, quale ipotesi di affidamento minorile, nel nostro ordinamento, Corte app. Bari, 16 aprile 2004, decr., in Fam. dir., 2005, 61 ss. con nota di R. Celli, La kafala di diritto islamico: prospettive di riconoscimento nell'ordinamento italiano. Tale decisione, peraltro, ha sfiorato solo incidentalmente la questione della compatibilità dell'istituto, avendo dichiarato inammissibile l'istanza.