LA CASSAZIONE GIUDICA LA CLAUSOLA "CLAIMS MADE" COME UN PATTO ATIPICO IMMERITEVOLE DI TUTELA AI SENSI E PER GLI EFFETTI DELL'ART. 1322 CO. 2° C.C.

 

Con la sentenza n. 10506 del 26/04/2017, la III Sezione della Cassazione Civile, con l’ottima penna del Giudice Relatore Dott. Marco Rossetti, ha affrontato il tema  della validità delle clausole c.d. claims made, presente in larga parte delle polizze sanitarie e dei modelli, attualmente in uso, di copertura delle responsabilità civili (professionali e non), considerando tali clausole “immeritevoli di tutela” ai sensi e per gi effetti dell'art. 1322 co. 2° cod. civ. in quanto realizzano un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore ponendo l'assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione.

Come noto, la clausola “claims made” ("a richiesta fatta") prevede che la garanzia operi solo se la richiesta risarcitoria avvenga durante la durata del contratto (anche se il danno si sia verificato prima della decorrenza del contratto stesso).

Un diverso regime di garanzia è quello del contratto “losses occurring” o “act committed”, che prevede l’indennizzabilità dei danni derivanti da fatti commessi dall’assicurato nel periodo di vigenza della garanzia, a prescindere (secondo lo schema dell’art. 1917  cod. civ.) dalla data in cui il danneggiato abbia formalizzato la propria richiesta.

Riassumendo molto molto sinteticamente, nel primo caso (claims made) è la richiesta che deve ricadere durante il periodo assicurativo; mentre nel secondo (losses occurring) è il danno, invece, che deve verificarsi nel periodo assicurato.

Giova preliminarmente ricordare che, della validità della clausola “claims made”, si sono occupate in precedenza le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9140 del 6 maggio 2016 che ha stabilito che:

1)  la clausola claims made, nella parte in cui consente la copertura di fatti commessi dall'assicurato prima della stipula del contratto, non è nulla;

2) la clausola claims made, nella parte in cui subordina l'indennizzabilità del sinistro alla circostanza che il terzo danneggiato abbia chiesto all'assicurato il risarcimento entro i termini di vigenza del contratto, non è vessatoria;

3) la clausola claims made, pur non essendo vessatoria, potrebbe tuttavia risultare in singoli casi specifici “non diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico", ai sensi dell'art. 1322 cod. civ. Quest'ultima valutazione va compiuta in concreto e non in astratto, valutando:

3.a) se la clausola subordini l'indennizzo alla circostanza che sia il danno, sia la richiesta di risarcimento da parte del terzo avvengano nella vigenza del contratto;

3.b) la qualità delle parti;

3.c) se la clausola possa esporre l'assicurato a "buchi di garanzia".

Quindi le Sezioni Unite, stabilendo che la clausola claims made, non rendendo il contratto privo di rischio, non ne comporta la nullità ex art. 1895 cod. civ. e che la stessa clausola non è vessatoria ai sensi dell’art. 1341 cod. civ., lascia aperto l’esame, da effettuarsi caso per caso, se detta clausola possa dirsi anche "diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela" ai sensi dell’art. 1322 cod. civ.

Il caso specifico di cui si è occupato il Giudice di legittimità nella sentenza n. 10506/17 riguarda l’ipotesi di diniego dell’indennizzo -da parte dell’Assicuratore- per i danni causati dall'assicurato in costanza di contratto, ma dei quali il terzo danneggiato abbia chiesto il pagamento dopo la scadenza del contratto.

Per concludere che tale tipo di clausola non supera il vaglio di meritevolezza richiesto dall’art. 1322 cod. civ., la Corte si è avvalsa di un approfondimento del Relatore Dott. Rossetti che è partito dalla Relazione al Codice Civile: sarà immeritevole ogni patto contrario alla coscienza civile, all'economia, al buon costume od all'ordine pubblico (così la Relazione al Codice, § 603, II capoverso, ripreso e consacrato negli artt. 2, secondo periodo; 4 co. 2° e 41 co. 2° della Costituzione) riconoscendosi che l'autonomia negoziale delle parti non è sconfinata, bensì circoscritta entro il limite della meritevolezza, travalicato il quale l'ordinamento cessa di apprestarle tutela.

Affinché dunque un patto “atipico” possa dirsi immeritevole ex art. 1322 cod. civ., non è necessario che contrasti con norme positive: in tale ipotesi sarebbe infatti di per sé nullo ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. L'immeritevolezza discenderà invece dalla contrarietà (non del patto, ma) del risultato che il patto atipico intende perseguire con i princìpi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati. Partendo dal Diritto Romano (non omne quod licet, honestum est), il Dott. Rossetti compie un excursus molto interessante ricordando come siano stati ritenuti "immeritevoli" quei contratti o patti contrattuali che, pur formalmente rispettosi della legge, avevano per scopo o per effetto di:

§attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l'altra (arrivando -nei fatti- a ridurre il periodo effettivo di copertura assicurativa, dal quale resteranno verosimilmente esclusi tutti i danni causati dall’assicurato nella prossimità della scadenza del contratto);

§porre una delle parti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all'altra;

§costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti.

Più nello specifico, la censura della Cassazione si è rivolta a:

§ la clausola, inserita in una concessione di derivazione di acque pubbliche, che imponeva al concessionario il pagamento del canone anche nel caso di mancata fruizione della derivazione per fatto imputabile alla P.A. concedente, per contrarietà al principio di cui all'art. 41 co. 2° Cost. (Cass. S.U. sent. n. 4222 del 17/02/2017);

§ il contratto finanziario che addossava alla banca vantaggi certi e garantiti ed al risparmiatore non garantiva alcuna certa prospettiva di lucro (Cass. Sez. VI, ord. n. 19559 del 30/09/2015);

§il contratto atipico stipulato tra farmacisti, in virtù del quale gli aderenti si obbligavano a non aprire al pubblico il proprio esercizio commerciale nel giorno di sabato, in quanto contrastante con la "effettiva realizzazione di un assetto concorrenziale del mercato" (Cass. Sez. III, sent. n. 3080 del 08/02/2013);

§ la clausola, inserita in un mutuo di scopo per l'acquisto d'un bene materiale, che obbligava il mutuante al pagamento delle rate persino nel caso di mancata consegna del bene da parte del venditore (Cass. Sez. III, sent. n. 12454 del 19/07/2012);

§ la clausola contrattuale che vietava al conduttore di ospitare stabilmente persone non appartenenti al suo nucleo familiare, in quanto contrastante coi doveri di solidarietà (Cass. Sez. III, sent. n. 14343 del 19/06/2009);

§ il contratto fiduciario in virtù del quale una banca, presso cui il cliente aveva depositato somme di denaro su un libretto di risparmio ed aperto un conto corrente, poteva liberamente compensare l'attivo del primo con il passivo del secondo (Cass. Sez. I, sent. n. 1898 del 19/02/2000);

§ il patto parasociale in virtù del quale i soci firmatari si obbligavano, in occasione delle deliberazioni assembleari di nomina degli amministratori e dei sindaci, a votare in conformità alle indicazioni formulate da uno di essi (Cass. Sez. I, sent. n. 9975 del 20/09/1995).

In tale ottica, la clausola che escluda la garanzia di un danno richiesto dopo la scadenza della polizza, ma verificatosi nella vigenza di essa, è immeritevole di tutela, sotto tutti gli aspetti enucleati. Essa, infatti, attribuisce all'Assicuratore un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita. E' praticamente impossibile (di certo inusuale) che la vittima d'un danno abbia la prontezza e il cinismo di chiederne immediatamente il risarcimento al responsabile. Ciò determina un’inevitabile discrasia tra il tempo per il quale è stipulata l'assicurazione (e verosimilmente pagato il premio) e il tempo nel quale può avverarsi il rischio. Oltretutto, nel caso della responsabilità professionale del Medico, gli effetti dannosi ben possono manifestarsi a distanza anche di molto tempo dal momento in cui venne tenuta la condotta colposa fonte di danno.

È vero che tale iato ricorre anche in altri tipi di contratti assicurativi (es. nei trasporti marittimi, nei quali la copertura inizia al momento della caricazione anche se il contratto è stato stipulato prima di tale momento), ma è altresì vero che in quei contratti, prima dell’inizio della copertura, o dopo la sua fine, non è possibile l’avveramento del rischio (la merce non può essere perduta dal vettore prima della caricazione o dopo la scaricazione), mentre nell’assicurazione della responsabilità civile sanitaria è ovviamente possibile che l’assicurato causi danni a terzi anche negli ultimi mesi, o giorni, od ore precedenti la scadenza del contratto.

Aggiungasi che la clausola claims made fa dipendere la prestazione dell'Assicuratore della responsabilità civile non solo da un evento futuro ed incerto ascrivibile a colpa dell'assicurato, ma altresì da un ulteriore evento futuro ed incerto dipendente solo dalla volontà del terzo danneggiato: la richiesta di risarcimento. L'avveramento di tale condizione esula del tutto dalla sfera di dominio, dalla volontà e dall'organizzazione dell'assicurato, che non ha su essa ha alcun potere di controllo. Ciò determina, secondo la Suprema Corte, conseguenze paradossali, che l'ordinamento non può, ai sensi dell’art. 1322 cod. civ., avallare.

La prima è che la clausola in esame fa sorgere nell'assicurato l'interesse a ricevere prontamente la richiesta di risarcimento, in aperto contrasto col principio (desumibile dall'art. 1904 cod. civ.) secondo cui il rischio assicurato deve essere un evento futuro, incerto e non voluto.

La seconda conseguenza paradossale è che la clausola claims made pone l'assicurato nel seguente dilemma: sapendo di avere causato un danno, se tace e aspetta che sia il danneggiato a chiedergli il risarcimento, perde la copertura; se sollecita il danneggiato a chiedergli il risarcimento, viola l'obbligo di salvataggio di cui all'art. 1915 cod. civ. Da ultimo, ma non per ultimo, la clausola claims made può costringere l'assicurato a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti. Infatti, elevando la richiesta del terzo a "condizione" per il pagamento dell'indennizzo, legittima l'Assicuratore a sottrarsi alle proprie obbligazioni ove quella richiesta sia ritardata rispetto alla scadenza della polizza (ovvero alla sua risoluzione da parte dell’Assicuratore). Da ciò consegue che se l'assicurato adempia spontaneamente la propria obbligazione risarcitoria prima ancora che il terzo glielo richieda (come correttezza e buona fede gli imporrebbero), l'Assicuratore potrebbe rifiutare l'indennizzo assumendo che mai nessuna richiesta del terzo è stata rivolta all'assicurato, sicché è mancata la condicio iuris cui il contratto subordina la prestazione dell'assicuratore (Cass. Sez. III, sent. n. 5791 del 13/03/2014).

Esito paradossale, posto che quanto più l'assicurato è zelante e rispettoso dei propri doveri di solidarietà sociale, tanto meno sarà garantito dall'Assicuratore.

Con la sentenza n. 10506/17 la Corte detta quindi il seguente principio di diritto: “la clausola c.d. claims made, inserita in un contratto di assicurazione della responsabilità civile stipulato da un'azienda ospedaliera, per effetto della quale la copertura esclusiva è prestata solo se tanto il danno causato dall'assicurato, quanto la richiesta di risarcimento formulata dal terzo, avvengano nel periodo di durata dell'assicurazione, è un patto atipico immeritevole di tutela ai sensi dell'art. 1322, comma secondo, c.c., in quanto realizza un ingiusto e sproporzionato vantaggio dell'assicuratore, e pone l'assicurato in una condizione di indeterminata e non controllabile soggezione”.

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