R E P U BB L I C A  I T A L I A N A       
SENTENZA N. 74/2005

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE CALABRIA

Composta dai seguenti magistrati:
dott. Domenico Oriani                                     Presidente
dott.ssa Rossella Scerbo                              Consigliere
dott. Domenico Guzzi                                      Referendario relatore

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di responsabilita, iscritto al n. 599/EL  del registro di Segreteria, promossi dal Procuratore regionale della Corte dei Conti nei confronti di:

-     Pellicano Demetrio, nato a Reggio Calabria il 10 aprile 1950;

-     Camera Antonio, nato a Reggio Calabria il 4 ottobre 1945;

-     Porcino Maria Pia, nata a Reggio Calabria il 20 giugno 1991;

-     Pensabene Giovanni, nato a Reggio Calabria il 29 marzo 1951;

-     Quattrone Giuliano, nato a Reggio Calabria il 30 giugno 1954;

-     Falduto Giuseppe, nato a Reggio Calabria il 20 ottobre 1961;

tutti rappresentati e difesi, con distinte memorie, dall'avv. Mario De Tommasi, presso il cui studio in Reggio Calabria, via Castello n? 1, hanno eletto domicilio;

-     Nicolo Alessandro, nato a Reggio Calabria l'8 marzo 1961;

rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Violi, presso il cui studio in Reggio Calabria, via Paolo Pellicano n. 18, e anche domiciliato;

-  Caridi Carmelo, nato a Reggio Calabria il 14 aprile 1938;

-     Minniti Francesco, nato a Reggio Calabria il 10 marzo 1954;

non costituiti.

Uditi, nella pubblica udienza del 9 novembre 2004, il relatore Referendario dr. Domenico Guzzi, l'avv. M. De Tommasi e la dott.ssa Rossella Cassaneti, Sostituto Procuratore Generale.

Esaminati gli atti e i documenti tutti della causa.

Ritenuto in

F A T T O

La Procura regionale presso questa Sezione giurisdizionale, con atto depositato il 16 febbraio 2002, ha citato in giudizio Caridi Carmelo, Pellicano Demetrio, Pensabene Giovanni, Camera Antonio, Minniti Francesco, Nicolo Alessandro,  Falduto Giuseppe, Quattrone Giuliano, Porcino Maria Pia, componenti la Giunta comunale di Reggio Calabria, in quanto li ha ritenuti responsabili di un danno erariale pari a  Lire 23.738.853 cagionato al Comune di cui erano assessori.

Nella ricostruzione del fatto, il Requirente ha evidenziato che la ditta Carriago Vincenzo, previa autorizzazione concessa dalla Giunta comunale con la deliberazione n. 3876 del 25 settembre 1991, ha realizzato  lavori di somma urgenza per il ripristino di arredi stradali ed infrastrutture fognarie danneggiate da un nubifragio che aveva interessato il perimetro urbano, interventi per i quali veniva contestualmente assunto un impegno di spesa pari a Lire 101.254.720.

Ad intervenuta esecuzione, l'Ufficio tecnico ha proceduto a contabilizzare i lavori, liquidandoli in Lire 56.844.515, ma non avendo ottenuto il pagamento di quanto dovuto, con atto di citazione notificato l'11 febbraio 1994, l'impresa conveniva in giudizio il Comune che decideva di resistere  con deliberazione della Giunta comunale n. 975 del 12 marzo 1994.

Il 14 febbraio 1997, il giudice istruttore presso il Tribunale di Reggio Calabria ha emesso l'ordinanza n. 177/97 con la quale, ai sensi dell'art. 186 quater del c.p.c., ha ordinato al Comune di pagare all'impresa il credito legittimamente vantato, oltre alle maggiori somme per rivalutazione monetaria, interessi, spese  legali e cosi per complessive Lire 86.655.013.

Secondo la Procura Regionale, il maggior onere sopportato dal Comune, dovuto alla differenza tra quanto complessivamente pagato e l'originario debito verso l'impresa Carriago, dedotto l'importo di Lire 6.491.645 liquidato dal Tribunale a titolo di rivalutazione (a questo riguardo il Requirente formula espressa riserva di agire nei confronti dei responsabili), costituisce un danno erariale pari appunto a Lire 23.738.853 (Lire 23.318.853 cui devono aggiungersi Lire 420.000 per il collegio di difesa comunale).

Detto danno sarebbe da porre a carico degli odierni convenuti, indubbiamente responsabili per avere "inopinatamente quanto avventatamente deciso di resistere in giudizio di fronte alla giusta pretesa del Carriago", tanto che la "decisione ha tutti i caratteri della lite temeraria" (cfr. atto di citazione).

Gli amministratori, nel momento in cui hanno deciso di resistere all'azione legale intentata dalla Ditta Carriago, avrebbero secondo il requirente compiuto una scelta di mala gestio con il solo evidente intento di dilazionare nel tempo il pagamento del credito maturato.

Di tal che risulterebbe evidente, oltre al  nesso di causalita, anche l'elemento soggettivo della colpa grave, soprattutto in considerazione della liquidazione dei lavori disposta dall'Ufficio tecnico comunale, per cui  la Giunta non avrebbe potuto fare altro che procedere al pagamento con tempestivita e senza cercare quei cavilli legali che all'evidenza si sono rivelati inutili e privi di qualsiasi positivo effetto per il Comune, se non quello di aggravare ulteriormente la sua posizione debitoria.

Al riguardo parte attrice ha sostenuto che essendovi stato l'impegno di spesa non ricorre alcuna violazione dell'art. 23 della legge n. 144/1989, norma che ha appunto previsto che i lavori di somma urgenza, ove non preceduti dalla deliberazione contenente anche l'assunzione dell'impegno contabile, sono qualificati quali debito personale di colui che ha ordinato la spesa se non sanati mediante apposita deliberazione nei successivi trenta giorni o entro la fine dell'esercizio.

Ai convenuti e stato quindi  notificato l'invito a dedurre  emesso ai sensi dell'art. 5, comma 1, del d.l. n. 453 del 15/11/1993, convertito con legge n. 19 del 14 gennaio 1994.

Alle ipotesi accusatorie non hanno dedotto i sigg.ri Pellicano, Minniti e Pensabene, mentre gli altri assessori hanno depositato le loro deduzioni difensive e all'atto di citazione successivamente notificato si sono opposti Giuliano Quattrone, Antonio Camera,  Porcino Maria Pia, Pellicano Demetrio, Pensabene Giovanni e Giuseppe Falduto, tutti costituiti con il patrocinio dell'avv. Mario De Tommasi.

Il convenuto Nicolo Alessandro si e invece costituito con memoria a firma dell'avv. Giovanni Violi.

Per i propri assistiti l'avv. De Tommasi ha dedotto:

-     l'inammissibilita dell'atto di citazione in quanto e ancora pendente dinanzi al giudice civile il procedimento volto ad accertare il fondamento giuridico del credito vantato dalla ditta Carriago;

-     nel merito, l'infondatezza della pretesa attrice giacche, data la violazione della  disposizione di cui all'art. 23 della legge n. 144/1989, il rapporto obbligatorio contrattuale, per il venir meno del rapporto di immedesimazione organica, deve essere imputato direttamente alla persona fisica dell'amministratore o del funzionario che ha ordinato la spesa;

-     la natura non temeraria della lite intentata dagli amministratori comunali giacche, secondo anche giurisprudenza contabile ampiamente citata, essa rileva tutte le volte in cui la proposizione di domande giudiziali sia palesemente infondata, caratteristica che non e possibile configurare nel caso di specie, sicche mancherebbe o comunque non sarebbe provata la colpa grave.

L'avv. Violi ha anch'egli evidenziato la congruita della scelta di resistere in giudizio alla luce dell'evidente violazione del menzionato art. 23 della legge n. 144/1989, anche in considerazione del fatto che in base all'art. 96 del c.p.c., elemento determinante al fine di accertare la temerarieta della lite e quello relativo alla mala fede o colpa grave nell'agire o resistere in giudizio.

Siffatti elementi, secondo il difensore, non sono stati certo acclarati dal giudice ordinario per cui non si vede come possa essere sostenuta dal Procuratore regionale la gravita della colpa del proprio assistito rispetto ad una scelta ritenuta congrua nel giudizio civile.

Per le ragioni sopra riportate, entrambi i difensori hanno chiesto per i propri assistiti il proscioglimento da ogni addebito.

All'udienza del 27 settembre 2000, questa Sezione giurisdizionale ha emesso l'ordinanza n. 456/2001 con la quale ha disposto un supplemento di istruttoria mediante l'acquisizione, presso  l'Ufficio tecnico del Comune di Reggio Calabria, di tutta la documentazione illustrativa della contabilita dei lavori eseguiti dalla ditta Carriago, unitamente ad un rapporto in ordine alle ragioni del mancato  pagamento di quanto dovuto all'imprenditore.

Il 22 gennaio 2003, l'avv. De Tommasi ha depositato un'ulteriore memoria difensiva con la quale, nell'insistere sulla contraddittorieta ed illogicita dell'atto di citazione, ha posto in rilievo la mancata esecuzione dell'ordinanza istruttoria emessa da questo Giudice e nel rinnovare la richiesta di rigetto della domanda attrice ha, in subordine, chiesto la sospensione del processo onde acquisire la documentazione  gia richiesta al Comune di Reggio Calabria.

In esito all'udienza del 13 febbraio 2003, il Collegio ha emesso l'ordinanza n. 148/2003 con cui ha disposto l'acquisizione di copia della deliberazione  adottata dalla Giunta comunale con il n. 3876 del 25 settembre 1991, di copia della documentazione tecnica amministrativa riguardante la contabilita dei lavori eseguiti dalla ditta Carriago e liquidati il 21 febbraio 1992 dall'Ufficio tecnico comunale per un importo di Lire 56.844.515 ed un rapporto informativo a cura del competente Comando della Guardia di Finanza relativo ai motivi che non hanno portato al tempestivo pagamento del credito.

In esecuzione di detta ordinanza, il Comando Nucleo Regionale di Polizia Tributaria ha depositato copia della citata deliberazione, copia di alcune note di corrispondenza  tra i diversi uffici del Comune di Reggio Calabria relativamente alla trattazione del procedimento di liquidazione delle fatture esibite dalla ditta Carrigo e una relazione informativa sui fatti di causa.

A cio ha fatto seguito una memoria dell'avv. De Tommasi, depositata il 28 ottobre 2004, con cui il legale ribadisce l'eccezione di inammissibilita  in quanto e ancora sub iudice  l'opposizione all'ordinanza emessa dal giudice civile ai sensi dell'art. 186 quater del c.p.c., mentre nel merito ripropone la richiesta di assoluzione dei propri assistiti per mancanza dell'elemento soggettivo della colpa grave.

All'odierna udienza pubblica, il legale, nel riportarsi a quanto eccepito e sostenuto nei citati scritti difensivi, ha ulteriormente argomentato sulla necessita che il procedimento venga sospeso in attesa della definizione del giudizio di opposizione all'ordinanza emessa dal giudice istruttore civile, nonche sulla mancanza di qualsiasi connotazione colposa nelle condotte degli amministratori del Comune di Reggio Calabria, dovendo tenere presente che essi  assunsero le redini dell'amministrazione con il dichiarato obiettivo di imprimere una svolta rispetto al precedente modo di amministrare, che troppo spesso si era trovato al centro di indagini giudiziarie per contiguita o collusioni con la criminalita organizzata di stampo mafioso, per cui, anche alla luce della giurisprudenza di questa Sezione intervenuta su casi analoghi, non si puo che considerare esente da colpa grave la condotta degli amministratori.

Il Pubblico Ministero d'udienza ha invece ribadito la richiesta di condanna rassegnata con l'atto di citazione. In particolare ha sostenuto che la scelta effettuata dagli amministratori convenuti, lungi dal poter essere considerata insindacabile nel merito della sua discrezionalita, ha esposto il Comune ad un danno erariale invero attuale, a nulla rilevando che allo stato sia ancora pendente il giudizio di opposizione all'ordinanza che ha condannato l'ente al pagamento. Se a cio si aggiunge che la Giunta aveva dalla sua il tempo di valutare adeguatamente gli effetti che sarebbero derivati dalla scelta di opporsi al decreto ingiuntivo della ditta Carriago, non si puo che convenire, secondo il Sostituto Procuratore Generale, sulla responsabilita risarcitoria degli amministratori nei cui confronti e giusto che si adotti comunque una  pronuncia definitiva, sia perche non avrebbe ragion d'essere la richiesta di sospensione formulata dalla difesa, sia perche un ulteriore ritardo nella definizione della vertenza sarebbe all'evidenza in contrasto con l'ormai radicato principio costituzionale che ha previsto la cosiddetta  ragionevole durata dei processi.

Considerato in

D I R I T T O

La questione oggetto del presente giudizio riguarda la scelta operata dai componenti la Giunta comunale di Reggio Calabria con la deliberazione n. 975 del 12 marzo 1994, con cui venne deciso di resistere all'atto di citazione in giudizio della ditta Carriago Vincenzo, decisione che  la Procura regionale ha definito improvvida e chiaramente finalizzata a dilazionare nel tempo il pagamento di un credito che l'impresa aveva invece titolo a vedere soddisfatto, mentre le difese dei convenuti, sia pure con diverse argomentazioni, l'hanno invece presentata come il frutto di un'adeguata ponderazione a difesa degli interessi comunali, siccome altrimenti esposti al rischio di un grave danno erariale per via della palese violazione che altri amministratori e funzionari avrebbero commesso del disposto di cui all'art. 23 del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66/1989, convertito con legge 24 aprile 1989, n. 144.

Detta norma ha infatti previsto che   gli amministratori e i dipendenti degli enti locali, che hanno consentito prestazioni onerose in assenza del preliminare impegno contabile e della delibera di autorizzazione adottata dal competente organo dell'amministrazione, diventano debitori in proprio ed a loro debbono essere indirizzate le pretese dei creditori, salvo che la spesa venga regolarizzata entro i successivi trenta giorni o entro la fine dell'esercizio, termini che la costante giurisprudenza contabile ha poi chiarito essere perentori, atteso che la locuzione "entro la fine dell'esercizio" segna non un'estensione del primo termine (trenta giorni), ma una sua abbreviazione nel caso in cui l'esercizio finanziario dovesse avere termine prima che siano decorsi  trenta giorni da quando il debito e stato contratto.

Cio posto, risulta evidente la necessita che il Collegio si pronunci sul punto, giacche se dovesse accertarsi che l'odierna fattispecie si caratterizza per la violazione del citato art. 23 della legge n. 144/1989 da parte di funzionari o amministratori che hanno ordinato alla ditta Carriago l'esecuzione di lavori pubblici senza la necessaria copertura contabile, la conclusione non potrebbe che essere quella di considerare tutt'altro che improvvida la scelta operata dagli attuali convenuti ed anzi ritenerla necessaria a difesa dell'erario comunale.

Dall'esame degli atti di causa e segnatamente della deliberazione della Giunta comunale n. 3876 del 25 settembre 1991, emerge che i "lavori di somma urgenza per il ripristino di arredi stradali e fognari del territorio comunale danneggiati dal nubifragio del 17 settembre 1991" (tale e l'oggetto della deliberazione) sono stati autorizzati e regolarmente impegnati per Lire 101.254.720, IVA compresa, sul capitolo 4390.

Cio ha evidentemente consentito all'ufficio tecnico di affidare l'esecuzione dei lavori alla ditta Carriago, consegnandoli il 10 ottobre 1991 (affidamento che, come ha condivisibilmente evidenziato il giudice civile con l'ordinanza n. 177/1997, e avvenuto nel rispetto della normativa prevista dall'art. 70 del n. R.D. 25 maggio 1895 n. 350); di redigere  il 19 febbraio 1992 la contabilita finale e la relativa liquidazione per l'importo di Lire 56.844.515, di cui Lire 9.076.015 per IVA; di trasmettere il successivo 28 aprile 1992 i relativi atti alla segreteria dell'Ufficio LL. PP. del Comune per "il seguito di competenza" (nota n. 1224 del 7 marzo 1994 indirizzata all'ufficio contenzioso e all'ufficio ragioneria); mentre ha permesso all'Ufficio di ragioneria di affermare (nota 2134 del 16 marzo 1994 indirizzata all'ufficio contenzioso) "che la somma di Lire 56.844.515 risulta regolarmente impegnata al cap. 4390 art. I bilancio 91 con delibera n. 3876/91".

Da tutto cio deriva l'inaccoglibilita della tesi difensiva proposta sia dall'avv. De Tommasi che dall'avv. Violi nei rispettivi atti di costituzione in ordine all'asserita violazione dell'art. 23 della legge n. 144/1989.

Va parimenti respinta la tesi sostenuta dall'avv. Violi, secondo il quale la scelta di resistere in giudizio, siccome frutto di una valutazione del tutto discrezionale, e sottratta a qualsiasi sindacato di merito da parte della magistratura contabile

Come e noto, il principio della insindacabilita delle scelte discrezionali e stato introdotto dall'art. 3, comma 1?, punto 1, lett. a) del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito con la legge di conversione 20 dicembre 1996 n. 639, di modifica dell'art. 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Detta norma ha stabilito che "la responsabilita dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di contabilita pubblica e personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l'insindacabilita nel merito delle scelte discrezionali".

Tale disciplina ad avviso del Collegio conduce ad alcune fondamentali deduzioni.

In primo luogo, e di tutta evidenza che il giudice contabile,  nel valutare le condotte degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici al fine di accertare la loro eventuale responsabilita amministrativa per danno erariale, non puo sostituirsi alla stessa amministrazione e ripercorrere l'iter argomentativo seguito nelle scelte discrezionali gia operate, essendo tenuto infatti a rispettare la sfera di autonomia decisionale nella gestione degli interessi da amministrare.

L'altra considerazione da farsi e che l'insindacabilita delle scelte amministrative e in perfetta sintonia con uno dei principi cardine del nostro ordinamento pubblicistico,  quello che prevede la cosiddetta separazione dei poteri, per cui non puo essere ammessa alcuna ingerenza od invasione della funzione giurisdizionale negli ambiti di competenza della cosiddetta amministrazione attiva e dunque deve essere esclusa ogni possibilita per il giudice di ricostruire e a suo modo ripercorrere i passaggi motivazionali che hanno portato l'amministratore pubblico ad adottare una scelta piuttosto che un'altra.

In presenza di una lesione causata all'integrita patrimoniale dell'ente amministrato, il Collegio ritiene pero che l'insindacabilita delle scelte amministrative non possa essere spinta fino al punto da costituire un'area entro la quale ogni atto o fatto di amministrazione attiva possa essere sottratto al sindacato giurisdizionale.

Opinando in tal senso, infatti, si giungerebbe all'inammissibile conseguenza di ammettere che i principi del buon andamento dell'azione amministrativa e della tutela dell'integrita erariale possano configurarsi non piu come  insopprimibili valori dell'ordinamento pubblicistico, ma come  mere petizioni di principio, dai contorni e dagli scopi non ben definiti.

Stando cosi le cose, la conclusione non puo che essere quella secondo la quale il principio della insindacabilita delle scelte discrezionali trovi senz'altro  affermazione in presenza di atti all'evidenza adeguati rispetti ai fini pubblici che si intende perseguire; ma in presenza di  condotte che denotano il ricorso dell'amministratore a scelte tanto illogiche quanto palesemente inadeguate rispetto agli interessi in gioco, si da risolversi in decisioni sostanzialmente arbitrarie, il giudice ha viceversa il diritto-dovere di conoscere siffatti comportamenti, ben inteso con il solo obiettivo di appurare l'inadeguatezza delle decisioni adottate, inopinatamente foriere, per quel che interessa questa magistratura, anche di danno all'erario (cfr., da ultimo, Cass. Civ. Sez. Unite 6.5.2003, n. 6851).

Quanto sin qui evidenziato vale, ovviamente, anche nel caso in cui il problema sia quello di valutare la condotta di amministratori pubblici che hanno deciso di resistere ad un'azione legale avviata contro il Comune da essi rappresentato.

In tal caso, infatti, la questione che rileva ai nostri fini non e certo rappresentata dalla soccombenza nel giudizio civile in cui si e costituito l'ente, giacche e fin troppo ovvio che cio, almeno per una delle parti,  costituisce il naturale epilogo di qualsiasi vertenza giudiziaria.

Il problema e invece quello di accertare se gli amministratori comunali di Reggio Calabria, nel momento in cui hanno deciso di costituire l'ente nel giudizio intentato dalla ditta Carriago, avessero il dovere e la possibilita di valutare ex ante l'epilogo di quel giudizio in modo da procedere ad una scelta quanto piu possibile ponderata alla luce delle eventuali conseguenze di natura finanziaria che avrebbero interessato il Comune (cfr. Corte dei conti Sez.IIa Centrale 18.1.2001, n. 36)..

Sul punto va evidenziato, quand'anche ce ne fosse bisogno, che la scelta di resistere quando l'ente sia citato in un giudizio civile non costituisce certo l'oggetto di un atto vincolato a cui gli amministratori non possono sottrarsi e conseguentemente, in risposta al quesito che precede, non v'e dubbio  che la costituzione in giudizio di un ente locale esprima un atto di amministrazione attiva che, al pari degli altri,  senz'altro impone una attenta, quanto prudente  ponderazione degli interessi in gioco al solo fine di prevedere le possibili conseguenze in termini di vantaggi e di  svantaggi patrimoniali per il Comune.

Nel caso di specie non pare che cio sia avvenuto.

Al riguardo va detto che l'attenzione del Collegio e  indubbiamente colpita dal fatto che gli odierni convenuti si siano determinati a deliberare la costituzione in giudizio con la deliberazione n. 975 del 12 marzo 1994 senza pero pretendere dai competenti uffici la benche minima istruttoria che li mettesse in condizione di compiere una scelta amministrativa quanto piu possibile avveduta per gli interessi comunali.

Dalla narrativa della citata deliberazione emerge, infatti, che l'intendimento era quello di resistere in giudizio per i motivi che poi il collegio di difesa avrebbe successivamente esplicitato, come se quella di resistere in giudizio fosse il frutto di una scelta preconcetta da adottarsi sempre e comunque, salvo  rimettere ai legali del Comune l'individuazione dei motivi della costituzione in giudizio.

E che questo fosse l'obiettivo degli assessori reggini trova conferma, oltre che  negli  atti di causa, da cui appunto non emerge che la deliberazione sia stata preceduta da un'adeguata istruttoria, anche nella tesi difensiva proposta dall'avv. De Tommasi nel corso dell'odierno dibattimento.

Il difensore, invero con suggestiva argomentazione, ha sostanzialmente sostenuto che gli amministratori convenuti facevano parte di un'amministrazione (notoriamente conosciuta come la "Giunta Falcomata" dal nome del defunto sindaco di Reggio Calabria) che tra i suoi obiettivi aveva anche quello di segnare una decisa svolta con il passato modo di amministrare la citta, dando cosi vita ad un'amministrazione sicuramente affrancata dalle collusioni con la criminalita organizzata di stampo mafioso che in precedenza avevano condizionato le scelte operate, per cui quella di resistere ad un giudizio civile avviato da una impresa, peraltro nota per essere stata al centro di importanti procedimenti penali per mafia, non poteva che costituire la scelta piu saggia per la salvaguardia degli interessi comunali.

A questo riguardo l'avv. De Tommasi ha richiamato l'attenzione del Collegio sulla giurisprudenza di questa Sezione che in passato, in situazioni del tutto analoghe a quella che caratterizza l'odierna controversia, ha mostrato di condividere questa linea difensiva, assolvendo gli amministratori dalle imputazioni mosse dalla Procura regionale per mancanza di colpa grave.

Il Collegio e ovviamente a conoscenza dell'orientamento manifestato in passato da questa Sezione, che in casi come quello di specie si e pronunciata nel senso di ritenere "provato che la scelta compiuta dalla Giunta fu condizionata dalla preoccupazione di effettuare un pagamento ingiustificato, nonche di esporsi ad indagini penali senza che in tale decisione possa ravvisarsi - come sostenuto da parte attrice- una facile rinuncia ad amministrare effettuata senza alcuna ponderazione" (404/2002 del 16 marzo 2002 e n. 408/2002 del 13 giugno 2002); e di affermare che "tra l'altro si deve riconoscere il condizionamento psicologico che  ai componenti della giunta guidata dal sindaco Falcomata, non solo nel caso di specie e degli altri in discussione all'odierna udienza ma in generale nella materia di lavori pubblici connessi alla gestione del "decreto Reggio" derivava dalle inchieste giudiziarie in corso; e perfettamente credibile che, come  sostenuto dalla difesa, la giunta a fronte di situazioni che presentavano un margine di incertezza abbia deciso di uniformare le proprie scelte ad una linea di prudenza..nel che oltretutto trova spiegazione la mancanza di motivazione", da intendersi della deliberazione di costituzione in giudizio (cfr.902/2003 dell'11 maggio 2003 - 913/2003 dell11 maggio 2003 - n. 914/2003 dell'11 maggio 2003).

Siffatto orientamento giurisprudenziale, sebbene esprima in modo assolutamente condivisibile, da un lato,  il convincimento che la criminalita organizzata di stampo mafioso potesse inquinare il buon andamento dell'attivita amministrativa di un Comune e, dall'altro, evidenzi la massima considerazione verso quegli amministratori che mostravano di voler tenere indenni gli interessi pubblici da ogni possibile condizionamento, non e pero ad avviso del Collegio meritevole di essere seguito nella misura in cui si spinge al punto di ammettere che e ontologicamente esente da colpa grave l'amministratore che si determina ad un atto privo di motivazione ed inopinatamente fonte di danno erariale, perche psicologicamente condizionato dalle inchieste giudiziarie in corso, dalla nefasta fama della gestione dei fondi derivanti dal cosiddetto "decreto Reggio" o dall'esigenza di evitare qualsiasi coinvolgimento in indagini penali.

Trattasi, per come enunciate nelle sentenze in rassegna, di situazioni che indubbiamente sono tali da destare notevole preoccupazione nel buon amministratore, costringendolo ad affrontare gli ardui compiti cui e chiamato con poca serenita e con ancor piu coraggio, ma ritiene il Collegio che  per la loro evidente genericita non possono essere portate a ragione delle scelte operate da una Giunta comunale subentrante ogni qual volta sia chiamata a gestire situazioni avviate dalla precedente amministrazione, quasi a ritenere scontato che i nuovi amministratori siano chiamati ad adottare le loro decisioni sotto la costante pressione di una vis compulsava, che per quanto non sia immediatamente riferibile al caso da trattare e si presenti dunque tutt'altro che definita nella causa e nei contorni, resta comunque in grado di esercitare un grave condizionamento dell'azione amministrativa.

Se cio si ritenesse possibile, si dovrebbe coerentemente configurare per colui che ha accettato un mandato amministrativo locale  un'inevitabile  rinuncia ad amministrare, che si esprime anche nell'adozione di deliberazioni non adeguatamente ponderate e foriere di una logica amministrativa che porta sempre a privilegiare la scelta che,  prima facie ed all'apparenza, si presenta come la meno peggio.

Ma non sempre tali decisioni sono quelle piu convenienti per gli interessi da amministrare, essendo ben vero il contrario, proprio perche esse sono il frutto di una valutazione che non ha tenuto conto delle possibili, quanto prevedibili   conseguenze di siffatte scelte, effetti che, quando risultano dannosi per l'erario come nel caso di specie,  si possono senz'altro evitare mediante una piu accorta e diligente disamina della questione amministrativa e dunque di una doverosa ponderazione della questione da trattare, valutazione che e infatti possibile proprio per la mancanza di una specifica e definita fonte di coartazione nell'attivita amministrativa.

E si che nel caso di specie questa  possibilita ricorreva anche sotto il profilo temporale.

Infatti, sgombrato il campo dalle presunte limitazioni  che sarebbero derivate dai condizionamenti ambientali (non si saprebbe altrimenti come definire la situazione cui si e fatto riferimento anche alla luce della citata giurisprudenza di questa Sezione), c'e da dire che la ditta Carriago ha citato in giudizio il Comune di Reggio Calabria con atto che e stato notificato l'11 febbraio 1994.

La notazione e importante in quanto serve a marcare una netta differenza tra la situazione in cui si sono trovati ad operare gli odierni convenuti e quella che ha visto protagonisti gli amministratori reggini per altri fatti dannosi per i quali sono stati citati in giudizio ma  poi assolti dalla Sezione  con le sentenze prima citate.

In quei casi, infatti, nei confronti del Comune erano  stati notificati altrettanti decreti ingiuntivi per il pagamento delle somme risultanti dalle fatture esibite dalle ditte creditrici, ossia atti volti ad instaurare un procedimento monitorio che, a differenza dell'ordinaria citazione, notoriamente non consente al soggetto intimato di avere a disposizione un tempo particolarmente ampio per  valutare se convenga o meno fare opposizione (e cio puo in qualche modo contribuire a spiegare il perche la citata giurisprudenza abbia ritenuto determinanti le altre situazioni di condizionamento cui s'e fatto cenno per escludere la colpa grave a carico dei convenuti).

Nel caso all'esame, invece, l'iniziativa legale intrapresa dalla ditta Carriago avrebbe senz'altro permesso agli amministratori  di esercitare, causa cognita le loro prerogative di assessori comunali, il che avrebbe consentito loro di  accertare  che l'intervento di ripristino dei danni causati dall'evento alluvionale del 17 novembre 1991 era stato preceduto  da un regolare stanziamento di fondi, da un altrettanto corretto impegno di spesa e dalla formale autorizzazione rilasciata all'ufficio tecnico per l'affidamento dei lavori di somma urgenza, e quindi  avrebbero agevolmente dedotto sia che non vi era stata alcuna violazione dell'art. 23 della legge n. 144/1989, sia che l'aggiudicazione nei confronti della ditta Carriago risultava esente da vizi alla luce di quanto previsto dall'art. 70 del R.D. n. 350/1895, come del resto opportunamente e inevitabilmente considerato dal giudice istruttore presso il Tribunale di Reggio Calabria con l'ordinanza n. 177/1997; ancora, gli amministratori avrebbe senz'altro riscontrato che i lavori erano stati regolarmente eseguiti, che non vi erano state contestazioni al riguardo e che il 19 febbraio 1992 l'Ufficio tecnico aveva liquidato il credito residuo dell'impresa per Lire 56.844.515.

Ma la condotta degli amministratori deve essere presa in considerazione anche successivamente al 12 marzo 1994, atteso che, per quanto si andra ad evidenziare, il danno sarebbe stato evitato se solo gli assessori avessero mostrato un minimo di interesse agli sviluppi concreti della loro decisione,  tanto piu ove si consideri  che con la citata deliberazione n. 975/1994 si decise di resistere nel giudizio avviato dalla ditta Carriago "a prescindere", ossia senza fornire la benche minima indicazione dei motivi per cui si  era ravvisata la necessita di opporsi alla citazione, ma, come gia notato, demandando siffatto compito al collegio di difesa.

Interessandosi dunque della vicenda amministrativa, osserva il collegio che gli assessori avrebbero potuto facilmente  prendere atto della nota in data 16 luglio 1994 con la quale il Dirigente dell'Ufficio Affari Generali faceva presente all'Ufficio Contenzioso, che invece era dell'idea di propugnare la tesi della violazione dell'art. 23 della legge n. 144/1989, che oltre a non essere nella condizione di indicare alcuno che avesse violato detta norma, un'eventuale "evocazione in giudizio (dei soggetti ritenuti evidentemente responsabili della mancata osservanza dell'art. 23) si dimostrerebbe dannosa, superflua e non necessaria con conseguenti responsabilita sotto il profilo amministrativo e contabile" .

In tutta questa vicenda e evidente che anche i componenti dell'ufficio legale del Comune di Reggio Calabria non sono esenti da censure, in quanto chiaramente responsabili di una gestione della pratica quantomeno inappropriata ad assicurare la salvaguardia degli interessi comunali, ma tuttavia si deve tenere conto che, stando almeno a quanto emerge dagli atti e segnatamente dalla deliberazione comunale in rassegna, gli assessori non si sono certo preoccupati di incaricare l'ufficio legale di svolgere una formale istruttoria prima di decidere se costituirsi in giudizio, anzi, sulla scorta di quanto sin qui osservato, emerge l'esatto contrario e conseguentemente va detto che, a quel punto, i legali del Comune altro non potevano fare se non dare esecuzione alla decisione della Giunta, sia pure perseguendo una linea difensiva che come si e dimostrato era palesemente insostenibile.

Stando cosi le cose, si tratta di capire se la decisione di resistere in giudizio, ossia della condotta amministrativa che ha portato ad una decisione giudiziale a sua volta causa di una prevedibile, quanto evitabile diminuzione patrimoniale del Comune, possa considerarsi frutto di una decisione connotata dall'elemento soggettivo del dolo o della colpa grave che la legge richiede per poter affermare la responsabilita amministrativa in capo ad un amministratore comunale.

Sul punto, sebbene per mancanza di prova specifica non si possa affermare che gli amministratori reggini abbiano agito con la consapevolezza delle negative conseguenze della loro condotta, effetti previamente valutati e tuttavia voluti, e dunque con dolo, non vi e pero dubbio che il loro comportamento sia stata caratterizzato da una grave negligenza, certamente foriera di colpa grave.

Alla luce della ricostruzione del fatto e soprattutto di come avrebbero dovuto agire gli amministratori se solo avessero tenuto in debita considerazione gli interessi erariali dell'ente rappresentato, ad avviso del Collegio non vi e altro modo se non quello di considerare la condotta da essi osservata come palesemente in contrasto con il piu elementare dei canoni di prudenza che deve invece ispirare l'azione del buon amministratore, quello cioe di supportare ogni sua scelta con tutti quegli elementi che e possibile previamente acquisire per potersi poi determinare nel modo piu avvisato possibile, essendo indubbiamente tale quello improntato a prevedere le conseguenze delle decisioni che si intende adottare.

La colpa grave nel modo sin qui considerato non e dunque dovuta alla mancanza di un'adeguata motivazione a sostegno della deliberazione di resistere in giudizio, quanto al fatto che gli amministratori abbiano deciso di non riconoscere in ogni caso il credito della ditta Carriago, semplicemente rinunciando a compiere ogni valutazione od accertamento sulla legittimita della pretesa esercitata dall'imprenditore nei confronti del Comune e di conseguenza anche sul prevedibile esisto della vertenza giudiziaria, i cui contorni e la cui natura sono sin troppo evidenti, nei termini sin qui descritti (soprattutto con riferimento alla mancata violazione dell'art. 23 della legge n. 144/1989), per ritenere che il giudizio di opposizione pendente davanti al Tribunale di Reggio Calabria sull'ordinanza n. 177/1997 possa risolversi favorevolmente nei confronti del Comune. Sotto questo profilo e dunque da respingere l'eccezione di inammissibilita dell'atto di citazione formulata dall'avv. De Tommasi nella memoria di costituzione e la richiesta di sospensione del giudizio contabile che il legale ha avanzato con l'ulteriore memoria difensiva del 22 gennaio 2003 e ribadito nel corso dell'odierna udienza, domande che il Collegio non ritiene di condividere, tenuto conto di quanto sin qui osservato, del danno erariale indubbiamente subito dal Comune, dell'autonomia del giudizio contabile rispetto agli altri procedimenti giudiziari e delle esigenze connesse alla ragionevole durata dei processi.

In conclusione deve essere affermata la responsabilita per il danno cagionato al Comune di Reggio Calabria da parte degli odierni convenuti, a cui carico deve essere posta un'obbligazione risarcitoria che, a fronte del danno correttamente determinato dalla Procura regionale in euro 12.260,09 (Lire 23.738.853), il Collegio quantifica a carico di ogni convenuto nella misura di euro 1362,23.

P . Q. M

La Sezione, definitivamente pronunciando, condanna Pellicano Demetrio, Camera Antonio, Porcino Maria Pia, Pensabene Giovanni, Quattrone Giuliano, Falduto Giuseppe, Nicolo Alessandro, Caridi Carmelo e Minniti Francesco a risarcire il danno cagionato al Comune di Reggio Calabria  che si liquida per ognuno in euro  1362,23.

Tale importo dovra inoltre  essere aggiornato sulla base della svalutazione monetaria rilevata dall'indice ISTAT nel periodo compreso tra la data della domanda giudiziale e quella della pubblicazione della presente sentenza e successivamente aumentato degli interessi legali da tale ultima data fino al pieno ed effettivo soddisfo.

Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese di giudizio che sino alla pubblicazione della presente sentenza si liquidano in  * E. 982,67 *  

* novecentoottantadue/67 *.

Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.

Cosi deciso nella Camera di consiglio del 9 novembre 2004.

      IL GIUDICE ESTENSORE   
f.to Domenico Guzzi                                                    ILPRESIDENTE                             f.to Domenico Oriani

Depositata il 25/01/2005

IL DIRIGENTE

Dott. Maurizio Arlacchi

                                                                 f.to Coll. Amm.vo Stefania Vasapollo