L'operatività del regresso e della surroga ai fini del recupero del credito, con particolare riferimento al contesto fallimentare

Con il termine "regresso" viene indicato lo strumento tecnico che l'ordinamento mette a disposizione del soggetto che adempie l'obbligazione, al fine di rimuovere il conseguente depauperamento patrimoniale.
Tale mezzo non viene disciplinato come azione di carattere generale nel sistema del codice civile, salvo volerlo far coincidere con l'azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. (in tal senso, D'Orazi Flavoni , Fideiussione, mandato di credito, anticresi, Tratt. Grosso - Santoro Passarelli , V, Milano 1961, p. 43), cosa che pare doversi escludere.
Il legislatore si limita a tipizzare in via generale ed astratta ipotesi eterogenee, accomunate dalla medesima ratio ispiratrice: poiché il solvens non è il titolare (esclusivo) dell'interesse passivo sottostante l'obbligazione adempiuta, al medesimo viene riconosciuto un potere di reazione finalizzato al recupero totale o parziale di quanto pagato (Campobasso, voce Regresso (azione di), in Enc. Giuridica Treccani, vol. XXVI).
Al regresso si può, quindi,  attribuire una funzione ridistributiva legata alla necessità di dividere il sacrificio patrimoniale fra una pluralità di soggetti, in modo che ciascuno risponda in modo speculare al proprio interesse nella vicenda obbligatoria (Sicchiero, Regresso e surrogazione legale, in Contratto e Impresa 1996,  998 e ss.).
Vi sono ipotesi nelle quali l'adempimento dell'obbligazione si pone come "atto dovuto" nei confronti del creditore, posto a carico di più condebitori tutti personalmente obbligati ad eseguire la stessa prestazione (obbligazione solidale passiva, art. 1292 c.c.).
In altri casi, invece, l'elemento plurisoggettivo esprime la semplice dissociazione fra il titolare dell'interesse passivo (il debitore) ed il terzo che interviene nella vicenda obbligatoria limitando il proprio impegno alla prestazione di una garanzia reale (terzo datore di ipoteca o di pegno).
Infine, occorre tenere presente che il diritto di regresso può anche fondarsi sul rapporto contrattuale intercorrente fra i debitori (mandato, società, gestione di un affare altrui) ed in tal caso il suo contenuto sarà determinato in conformità a tale titolo (Bianca, Diritto Civile, Milano 1990,   vol. IV p. 717).

Casi nei quali il regresso opera: obbligazioni solidali - fideiussione - prestazione di garanzia reale da parte di un terzo
Il campo di applicazione preferenziale del regresso è il settore delle obbligazioni solidali, nel quale esso si pone come strumento istituzionale, anche se non esclusivo (su tale punto v. infra), destinato a ripartire fra i coobbligati il carico economico della prestazione eseguita da uno di essi (art. 1292 c.c.).

Per comprendere come operi  il meccanismo del regresso occorre tenere presente che l'obbligazione solidale, considerata sotto il profilo esterno (ex latere creditoris), si presenta come un insieme di patrimoni soggetti alla libera aggressione del creditore fino all'integrale soddisfazione delle ragioni vantate dal medesimo (il creditore ha diritto di pretendere contemporaneamente da tutti i condebitori l'intero e può ottenere tanti titoli esecutivi quanti sono i debitori. Conferma di ciò si ha nella disciplina fallimentare, dove il creditore può concorrere per l'intero nel fallimento di tutti i debitori falliti fino all'integrale soddisfacimento delle proprie pretese, cfr. art. 61,1, L.F. Il creditore, inoltre, può mantenere tali insinuazione anche a seguito di riscossioni parziali ed in caso di concordato -art. 135 L.F.. Se invece il creditore riceva pagamenti parziali prima del fallimento da parte di uno dei condebitori, l'insinuazione potrà essere chiesta per il credito residuo - art. 62, 1 L.F.).

Sotto il profilo interno, afferente il rapporto intercorrente fra i condebitori, l'obbligazione solidale si divide fra tutti gli obbligati, a meno che non sia stata assunta nell'interesse esclusivo di uno di essi, come accade nella fideiussione.

Poiché il creditore si può indifferentemente rivolgere a ciascun coobbligato per l'intero e l'adempimento da parte di uno ha efficacia liberatoria anche per gli altri, il solvens   potrà recuperare dai condebitori parte dell'esborso, e comunque potrà chiedere solo la differenza fra quanto pagato e la quota interna a suo carico  (cfr. art. 1298 c.c. in base al quale l'obbligazione solidale si divide pro quota fra i coobbligati ed art. 1299 c.c. che espressamente consente al solvens di ripetere dai coobbligati la parte gravante su ciascuno di essi).

In caso di pagamento parziale, si ritiene in giurisprudenza che al condebitore solvente spetti il regresso solo se la somma pagata ecceda la sua quota nei rapporti interni e nei limiti di tale eccedenza (Cass. 19.1.1984, n. 459 in Giustizia Civile 1984, I, p. 1812 e ss.).

Nell'obbligazione solidale i coobbligati non sanno chi di loro sarà chiamato ad adempiere con soddisfazione delle pretese creditorie; tuttavia fin dalla nascita del rapporto obbligatorio essi conoscono esattamente qual'è l'impegno economico massimo che saranno tenuti a sostenere ex latere debitoris (non rientra nel concetto di solidarietà passiva l'ipotesi dell'obbligazione sussidiaria, laddove il debitore sussidiario è tenuto al pagamento solo se il debitore principale non abbia adempiuto oppure quando il di lui patrimonio sia risultato incapiente. Nel primo caso, il c.d. beneficium ordinis, è necessario che il creditore, prima di aggredire il condebitore, abbia chiesto l'adempimento al debitore principale; nel secondo caso, il c.d.  beneficium excussionis, è necessario che il creditore abbia intrapreso in modo insoddisfacente le azioni esecutive sul patrimonio del debitore principale).

L'art. 1950 c.c. costituisce applicazione della regola ora enunciata con una (vistosa) eccezione sotto il profilo "quantitativo". Poiché la fideiussione è riconducibile alla categoria delle obbligazioni solidali ad interesse esclusivo (del debitore), il regresso esercitato dal fideiussore escusso non patisce alcuna limitazione, avendo ad oggetto l'esatto ammontare della prestazione di garanzia eseguita.

Pertanto, mentre nelle obbligazioni solidali ad interesse comune il regresso è parziario, nella fideiussione l'obbligazione di rimborso è solidale (se il pagamento è stato effettuato dal debitore nel cui interesse esclusivo l'obbligazione è stata contratta nulla questi potrà pretendere dal condebitore in garanzia: in tal senso Cass. 25.2.1987, n. 1990 in Giustizia Civile Mass. 1987, fasc.2.) e ritorna parziale in caso di confideiussione per la ripartizione del debito interna al gruppo (art. 1954 c.c.).

Nelle obbligazioni solidali e nella stessa fideiussione la posizione del creditore risulta rafforzata dalla presenza di più soggetti che rispondono personalmente per l'adempimento della stessa prestazione.

Diverso è il discorso nel caso di prestazione di una garanzia reale da parte di un terzo.

Nel nostro ordinamento, la realizzazione coattiva del diritto del creditore in caso di mancato spontaneo adempimento da parte del debitore, ruota intorno alla possibilità di aggredire il complesso dei beni e dei diritti di cui il debitore stesso è titolare. Di regola, non è concepibile un debito senza responsabilità, tanto vero che le obbligazioni c.d. naturali, che non consentono di agire per il risarcimento del danno in caso di inadempimento, non rientrano nella categoria delle obbligazioni (Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli Roma 1987, p. 605).

Vi sono tuttavia situazioni normative che costituiscono eccezioni a tale principio, tra cui la prestazione di garanzia reale da parte del terzo non debitore, nelle quali la responsabilità (del terzo) sussiste a prescindere dall'esistenza di un debito proprio.

In tali casi molto diffusi nella prassi, basti pensare ai gruppi societari ed alla prestazione di garanzie per i debiti di società consociate, si realizza una dissociazione tra la figura del debitore che è il soggetto passivo del rapporto garantito ed il proprietario del bene dato in garanzia che è il soggetto passivo del rapporto di garanzia (Presti, La posizione del creditore garantito con ipoteca su bene di proprietà di un terzo: il caso del concordato del debitore, in Diritto Fallimentare 1993, I, 21 ss., ove si analizzano gli effetti prodotti sulla garanzia dall'assoggettamento del debitore alla procedura concordataria e, quindi, dalla natura concorsuale del credito assistito dalla garanzia stessa).

Il terzo assume una responsabilità limitata al bene oggetto di garanzia -  che si traduce "nell'ampliamento" del patrimonio del debitore c.d. principale aggredibile dal creditore - ed è semplicemente tenuto a tollerare l'azione esecutiva del creditore contro il proprio bene (ha ben evidenziato la diversa posizione del terzo rispetto al fideiussore la sentenza della Cass.  6.5.1994, n. 4420 in Banca, Borsa e Titoli di Credito  95, II, p. 293 ss., nella parte in cui ha affermato che, pur essendo sia il terzo che il fideiussore garanti di un debito altrui, il fideiussore risponde con tutti i cespiti del patrimonio - il creditore gode della garanzia patrimoniale generica del debitore principale e del fideiussore - mentre il terzo risponde solo nei limiti del bene dato in garanzia.  Secondo Cass. 11.11.1977, n. 4890 in Giurisprudenza Italiana, 1978, I, p. 243 ss., alla posizione del terzo datore d'ipoteca si può equiparare quella del terzo acquirente dell'immobile ipotecato il quale subentra nel vincolo ipotecario e nella situazione di soggezione all'azione esecutiva del creditore sull'immobile stesso).

Anche in questa ipotesi, nonostante il terzo non possa dirsi "coobbligato", il regresso rappresenta lo strumento con il quale viene ridistribuito l'onere economico sostenuto da un solo soggetto.

L'art. 2871 c.c., infatti, attribuisce espressamente al terzo datore di ipoteca che abbia pagato i creditori iscritti oppure sofferto l'espropriazione, il regresso contro il debitore, contro ciascun  debitore  in solido per l'intero, contro i fideiussori e contro gli altri terzi datori per la loro rispettiva porzione.

Al terzo datore di ipoteca viene equiparato dalla giurisprudenza il terzo datore di pegno, anche al quale pertanto spetta l'azione di regresso di cui all'art. 2871 c.c. (Cass. 4.12.1985, n. 6073, in Rep. Foro Italiano, 1985, voce "Pegno").

Sul piano normativo non vi è pertanto alcuna distinzione - sotto il limitato profilo che qui interessa del diritto di regresso (occorre infatti tenere presente che la diversità strutturale delle figure giuridiche di garanzia ora esaminate si traduce nell'inapplicabilità all'una della disciplina dettata per l'altra. In giurisprudenza esclude che al terzo datore sia applicabile l'art. 1953 c.c., Cass. 6.5.1994, n. 4420 cit.; escludono invece che sia applicabile l'art. 1957 c.c., Cass. 13.4.1990, n. 846 in Giurisprudenza Italiana, 1961, I, p. 340 ss. e App. Milano 29.12.1992 , in Banca Borsa e Titoli di Credito, 1994, II, p. 35 ss.) - fra fideiussore e terzo datore di garanzia reale, in quanto l'art. 1950 c.c. trova il suo equivalente nell'art. 2871 c.c. .

Anzi, attenendosi al mero dato testuale ed ipotizzando il concorso di una fideiussione con una garanzia reale prestata da un terzo per lo stesso credito, si potrebbe giungere addirittura ad ipotizzare una prevalenza del terzo datore rispetto al fideiussore nel gioco delle rivalse reciproche.

L'art. 2871 c.c. attribuisce, infatti, al terzo garante che abbia adempiuto il regresso verso i fideiussori senza alcuna limitazione proporzionale ("il terzo datore ha regresso contro i fideiussori del debitore. Ha  inoltre regresso contro gli altri terzi datori per la loro rispettiva porzione ..."), mentre gli artt. 1950 e 1954 c.c. riconoscono al fideiussore il diritto di regresso per l'intero verso il debitore principale e solo pro-quota verso gli eventuali altri garanti in solido (art. 1954 c.c. "... il fideiussore che ha pagato ha regresso contro gli altri fideiussori per la loro rispettiva porzione ..." ).

Si potrebbe pertanto essere indotti a ritenere che i terzi datori, dopo aver pagato o sofferto l'espropriazione,  possano aggredire i condebitori fideiussori in rivalsa totale, mentre invece i fideiussori adempienti possano rivalersi solo pro-quota contro i terzi oppure meramente avvalersi delle garanzie prestate dai terzi datori in via di surroga.

La dottrina propende per una considerazione paritetica delle categorie, ammettendo la possibilità di regresso reciproco ma solo parziario e con l'esclusione della rivalsa totale (Gorla, Commentario al c.c. Scialoja Branca, Libro VI, p. 602; D. Rubino, L'ipoteca, Trattato Cicu Messineo, Milano 1956, p. 479).

Tale conclusione sarebbe giustificata dall'analogia delle situazioni facenti capo ai soggetti che hanno spontaneamente assunto l'obbligo di garantire un terzo (anche se in un caso rispondendo con l'intero patrimonio, nell'altro limitatamente al bene concesso) e dall'uguaglianza fra le norme dell'art. 1955 e dell'art. 2869 c.c. sul c.d. beneficium cedendarum actionum, spettante sia al fideiussore che al terzo datore.

Quindi, tutti i garanti di un debito altrui, sia a titolo personale che reale, sono posti sul medesimo piano, salva eventuale deroga convenzionale, trattandosi di norme dispositive.

Si consideri tuttavia la sentenza della Cassazione 11.11.1977, n. 4890 (cit.) che espressamente esclude la sussistenza di un vincolo di solidarietà fra debitore principale e fideiussore da un lato, e terzo datore di ipoteca dall'altro.

Secondo la Corte, in presenza di un credito garantito sia da fideiussione che da ipoteca concessa da un terzo, quest'ultimo, in caso di pagamento, potrà agire in regresso per l'intero nei confronti del debitore principale, del fideiussore nonché, in caso di più fideiussori solidali, verso ciascuno di costoro sempre per l'intero.

La negazione del vincolo di solidarietà tra le due categorie di garanti porta ad interpretare restrittivamente l'art. 1954 c.c.: escluso che il fideiussore adempiente possa agire in regresso verso altri condebitori che non siano impegnati solidalmente, questi potrà avvalersi solo della surrogazione nei confronti dei terzi datori di garanzia reale.

Il problema dei rapporti reciproci fra le categorie di garanti per un debito altrui non è, quindi, pacificamente risolto e, soprattutto, non è privo di risvolti pratici.

E' evidente, infatti, che ove al fideiussore venga riconosciuta una posizione più debole rispetto a quella del terzo datore di garanzia, il garante potrà avere interesse ad adottare le eventuali possibili misure atte ad evitare detta soccombenza. Ad esempio, il fideiussore potrebbe essere interessato alla sostituzione della garanzia con un deposito cauzionale o con un collaterale di denaro.

Il regresso e la surroga

Il solvens, sia esso coobbligato o terzo datore di garanzia, è legittimato ad agire in regresso contro gli altri condebitori e, per espressa volontà della legge, a surrogarsi nei diritti spettanti al creditore soddisfatto (il solvens subentra nei diritti che competono al creditore al momento dell'adempimento e non anche nei diritti che il creditore aveva originariamente verso il debitore, in tal senso Presti, op.cit., p. 32. Secondo Cass. 2.10.1997, n. 9635, in Fallimento 1998, p. 1047 ss., con nota di  Panzani, Regresso del fideiussore nei confronti del fallito e compensazione, l'acquisto del credito avviene con effetto retroattivo, nel senso che il credito in cui si subentra presenterà le stesse caratteristiche che aveva nel rapporto tra creditore e debitore principale.).

In base all'art. 1203 n.3 c.c., la surrogazione opera ipso iure (e, quindi, indipendentemente da un atto dichiarativo in tal senso, cfr. Cass. 24.11.1981, n. 6240 in Giustizia Civile Mass. 1981, fasc. 11.) a favore di chi, essendo tenuto con altri o per altri all'adempimento, ha interesse a soddisfare il creditore.

Si tratta, in sostanza, di una delazione voluta dalla legge in base all'avvenuto pagamento, che si traduce nella modificazione del lato attivo del rapporto obbligatorio, ferma restando l'immutabilità dell'oggetto dell'obbligazione (Betti, Teoria generale delle obbligazioni, III, 2, Milano 1955; la surroga non può essere ricondotta al concetto di acquisto del credito per atto fra vivi perché manca il nesso derivativo secondo Cass. 7.8.1962, n. 2424 in Diritto Fallimentare 1962, II, 789; Cass. 2.8.1994,  n. 7181,  ivi 1985, II, p. 280 ss.).

Il solvens subentra nell'esercizio del diritto di credito con tutti gli accessori al medesimo connessi e con le stesse garanzie reali e personali, sempre che siano state rispettate le formalità necessarie (parla di "surrogazione nei diritti, nel pegno, nelle ipoteche e nei privilegi del creditore" l'art. 1955 c.c. in tema di fideiussione).

Per espressa disposizione di legge la surrogazione ha effetto anche "contro i terzi che hanno prestato garanzia per il debitore" (art. 1204 c.c.).

Ciò vuol dire che il solvens può avvalersi  anche delle garanzie prestate da terzi a favore del debitore principale, purché detti terzi non siano vincolati da un diretto rapporto obbligatorio verso il solvens stesso. In tale ultima ipotesi (tipico il caso del fideiussore che risulti controgarantito dall'ipoteca o dal pegno concesso dal terzo: dopo l'escussione il fideiussore potrà aggredire il terzo non in via di surroga bensì direttamente)., infatti il solvens potrà rivolgersi nei loro confronti con l'azione diretta (cfr. App. Milano 20.2.1990  in Giustizia Civile 1990, I, p.1610 e ss.).

Per l'operatività della surrogazione ex art. 1204 c.c. non é necessario che il solvens sia stato partecipe del rapporto dal quale la garanzia ha  tratto origine. Occorre tuttavia che "sussista un legame tra il credito soddisfatto ed il rapporto dal quale  trae origine la garanzia che il solvens vorrebbe ora volgere a proprio favore: tale per cui il terzo contro il quale tale garanzia venga fatta valere possa essere definito a propria volta un garante della posizione soddisfatta dal solvens." (cfr. Cass. 29.1.1997, n. 916 in Giustizia Civile 1997, I, p. 2182 ss.).

Si ritiene comunemente che la surrogazione per pagamento di cui all'art. 1203 n.3 c.c. operi anche a favore del terzo datore di garanzia reale, poiché la disposizione normativa riguarda anche coloro che sono obbligati propter rem, in forza di un vincolo che assoggetta un loro bene ad esecuzione forzata per un debito altrui sì da essere posti nell'alternativa di pagare il debito o subire la procedura esecutiva (Bianca, op.cit., vol. IV, Milano 1990, p. 353; Cass. 15.11.1972, n. 3404 in Foro Italiano 1973, I, 1492; Cass. 11.11.1977, n. 4890, cit.).

La surrogazione divide con il regresso la medesima finalità: anch'essa mira a riversare il depauperamento patrimoniale subito dal solvens, differenziandosene tuttavia per ampiezza e contenuto.

L'individuazione dei rapporti intercorrenti fra i due strumenti e le possibili interazioni è essenziale al fine di stabilire in concreto quanto possa essere conseguito a titolo di regresso e quanto a titolo di surroga nel concorso fra le due azioni.

La soluzione di tale questione è strettamente legata alla individuazione della natura giuridica del credito di regresso in rapporto al diritto facente originariamente capo al creditore soddisfatto ed influenza anche la definizione dell'ulteriore questione concernente il "momento" nel quale avvalersi del regresso in caso di fallimento del debitore c.d. principale.

Una parte della dottrina individua nel regresso lo strumento di attuazione del diritto di surrogarsi nella posizione del debitore, poiché il diritto fatto valere in via di regresso sarebbe comunque e sempre lo stesso diritto spettante al creditore (Fragali, Fideiussione Mandato di credito, Comm. c.c. Scialoja Branca, artt. 1939-1969. Bologna Roma 1964, p. 358 ss.; U. Salvestroni, La solidarietà fideiussoria, Padova, 1977 p. 127 ss.; Cass. 2.3.1973, n. 577 in Foro Italiano 1973, I, 2126. In giurisprudenza hanno affermato che l'azione di regresso "è in sostanza un'azione di surrogazione",  Cass. 3.3.1973, n. 577 e Cass. 18.3.1982, n.1762, in Giustizia Civile Mass.   1982, fasc. 3.) .

Considerazioni di ordine sistematico inducono ad escludere che la distinzione fra i due strumenti abbia una valenza meramente definitoria.

A parte l'espressa scelta legislativa di creare due specifici mezzi accomunati dalla stessa finalità,  occorre tenere presente che la surrogazione può operare anche in base ad un pagamento parziale,  mentre l'estensione di tale possibilità anche al regresso, nel silenzio della legge, è presa in considerazione dalla sola giurisprudenza.

Inoltre, la surrogazione non è possibile quando la prestazione abbia carattere infungibile  e, comunque offrirebbe al solvens una più estesa ed efficace tutela delle proprie ragioni (cfr. Buccisano, La surrogazione per pagamento, Milano 1958, p. 59 ss. e Falqui Massidda, voce Fideiussione, in Enc Giuridica Treccani vol. XIV, Roma 1991, secondo il quale vi sarebbe solo una parziale identità di contenuto fra i due istituti) .

Il diritto di regresso sarebbe quindi un diritto nuovo ed autonomo, che verrebbe acquistato al momento del pagamento (Rubino, Comm. c.c. Scialoja Branca, artt. 1285-1320, Bologna Roma 1963, p. 233).

Tuttavia, sul punto appare necessario un approfondimento. Occorre distinguere tra diritto ed azione di regresso.

Il diritto è coevo alla nascita dell'obbligazione solidale ed è inerente ai rapporti interni fra coobbligati che, pur acquisendo una specifica rilevanza esterna solo al momento del pagamento, nascono anch'essi con il perfezionamento del rapporto obbligatorio (Di  Majo, voce Obbligazioni solidali (e indivisibili), in Enc. del Diritto, vol. XXIX, Milano 1979, p. 319 ss.).

Diversamente l'azione, intesa come mezzo attraverso il quale far valere il diritto in via giurisdizionale è condizionata all'effettivo adempimento (Perrone, Fideiussore escusso e credito di regresso, in Il  Fallimento 1991, p. 777 ss.).

Il fideiussore è quindi titolare di un diritto che diverrà azionabile con il pagamento.

Chiarito ciò, è importante tentare di coordinare i due mezzi, tenendo presente che il soggetto cui è assicurato il diritto di agire contro i consorti rafforza la possibilità di realizzare detto diritto se può mantenere intatte le garanzie che già spettavano al creditore (Sicchiero, op. cit. p. 1005).

Tradotto in termini concreti, ciò vuol dire che il solvens subentra nel diritto di credito facente capo all'accipiens e gli spetta anche una pretesa creditoria nei confronti del debitore avente titolo nell'azione di regresso (Bianca, op. cit., p. 362).

Tuttavia il solvens non potrà conseguire attraverso la surrogazione più di quanto gli spetti in virtù del regresso.

Nell'applicazione pratica di tale principio vi è chi ritiene che al solvens che agisce in regresso la surrogazione serva solo per avvalersi delle garanzie che assistevano il credito e chi sostiene invece che con la surrogazione il solvens possa recuperare quanto abbia pagato (l'intero nella fideiussione; detratta la quota a proprio carico nelle obbligazioni solidali ad interesse comune) e con il regresso gli interessi e le spese (nel primo senso, cfr. Sicchiero p. 1016; la seconda tesi è espressa da  Bianca, op. cit. p. 364, il quale evidenzia l'espressa previsione del recupero di interessi e spese dal giorno del pagamento contenuta nell'art. 1950 c.c.).

Il tempo del regresso (c.d regresso anticipato) e della surroga

In una situazione esoconcorsuale un problema di questo tipo non ha alcuna ragione di porsi, in quanto una volta effettuato il pagamento il solvens potrà avvalersi di entrambi gli strumenti per recuperare l'esborso sostenuto, con i limiti quantitativi sopra indicati.

La patologia fallimentare influisce invece sulla "tempistica", ponendo questioni risolte in modo antitetico dalla giurisprudenza di legittimità da un lato e da quella di merito dall'altro.

La vexata quaestio che puntualmente si propone concerne la possibilità per il fideiussore, il coobbligato solidale in genere oppure il terzo datore di garanzia non escussi di essere ammessi al passivo fallimentare del debitore in via di riserva, subordinatamente all'integrale soddisfazione delle ragioni del creditore (con sentenza del 17.10.1991, in Il Fallimento 1992 p. 193 ss. con nota critica di Oliva,  il Trib. di Milano ha escluso la riconducibilità del credito del terzo datore di ipoteca non escusso alla figura del credito condizionale e ha negato la possibilità di insinuarlo al passivo fallimentare del debitore con riserva).

La Cassazione, nelle pronunzie che si sono succedute a distanza di anni (Cass. 10.7.1978, n. 3439 in Giustizia  Civile 1979, I, 531 ss. ; Cass. 5.7.1988, n. 4419 in Banca Borsa e Titoli di Credito 1991, II, p. 26 ss.; Cass. 12.7.1990, n. 7222 in Giurisprudenza  Italiana 1991, 1, p. 175 ss.; Cass. 27.6.1998, n. 6355, in Il Fallimento, 1999, p. 525; in dottrina v. per tutti Lo Cascio, Il credito di regresso del fideiussore fallito può essere insinuato al passivo del fallimento del debitore con riserva?,  Il fallimento. Casi e Questioni, Caso n.11, Sez. 8 ed ivi gli ulteriori riferimenti),  ha ritenuto che il credito di regresso del fideiussore non ancora escusso debba essere ammesso al passivo fallimentare del debitore con riserva, attuando in tal modo una sorta di "prenotazione" sull'attivo fallimentare che si tradurrà in vera e propria partecipazione alla ripartizione in caso di escussione della garanzia e di integrale soddisfacimento delle pretese creditorie. Il pagamento determina lo scioglimento della riserva e la sostituzione del solvens nella posizione concorsuale del creditore soddisfatto.

Il presupposto da cui muove la Cassazione è l'equiparazione del credito di regresso del fideiussore non escusso con il genus dei "crediti condizionali di cui all'art. 55, comma III, L.F.", dei quali peraltro viene proposta una nozione più ampia rispetto a quella civilistica (art. 1353 c.c.).

Il credito condizionale - nel pensiero della Corte - non è solo quello la cui efficacia è subordinata al verificarsi di un evento futuro ed incerto ma anche quello la cui stessa esistenza dipende dal verificarsi dell'evento. Quindi, dovrebbe essere ammesso al passivo anche il credito di regresso del fideiussore non escusso anche se meramente potenziale fino a quando il fideiussore non abbia soddisfatto le pretese creditorie in luogo del debitore fallito.

L'esattezza della tesi sarebbe confermata, secondo la Corte, dall'analisi dei rimedi che competono al fideiussore al di fuori dell'ambito concorsuale.

Secondo quanto previsto dall'art. 1953 c.c. il fideiussore ancora prima di aver subito l'escussione è legittimato ad agire contro il proprio debitore affinché questi lo liberi oppure presti le garanzie necessarie alla salvaguardia dell'esercizio del diritto di regresso da parte sua, tra l'altro, quando il debitore sia divenuto insolvente.

Non vi sarebbero i motivi per limitare o escludere questa forma di autotutela riconosciuta al fideiussore (cosa che attesta l'importanza attribuita dal legislatore allo strumento del regresso) quando lo scenario di riferimento muta e ci si muove nell'ambito della procedura concorsuale.

Sia la dottrina che la giurisprudenza di merito contestano la regolarità dell'iter logico seguito dalla Cassazione e, di conseguenza, l'esattezza delle conclusioni raggiunte per tutelare la posizione del fideiussore non escusso (Trib. Roma 29.10.1981 in Diritto Fallimentare 1982, II, p. 181 con nota di Di Gravio, Il fideiussore escusso dopo il fallimento del debitore e la ragione della sua esclusione al passivo; Trib. Verona 2.7.1986 in Giustizia Civile 1987, I, p. 967 e ss.; Trib. Verona 4.4.1987 in Giurisprudenza di Merito 1988, I, p. 1028; Trib. Bologna 25.6.1991 in Il Fallimento 1992, p. 77 e ss. con nota di Bozza, Regresso del fideiussore non escusso verso il debitore fallito; Trib. Genova 4.3.1992, in Il Fallimento, 1992, p. 955 con nota di  Millozza ed ivi ulteriori riferimenti bibliografici).

Si ritiene innanzitutto inaccettabile la forzatura della nozione di credito condizionale che consegue a questa interpretazione.

La condizione, quale elemento accidentale del negozio giuridico, è un avvenimento futuro ed incerto cui le parti possono subordinare l'efficacia o la risoluzione di un contratto o di un singolo atto (art. 1353 c.c.), non anche l'esistenza stessa del contratto o dell'atto sub condicione, che resta ferma ed incontrovertibile.

Inoltre, si osserva che la posizione della Cassazione è solo dettata da un'esigenza di generica equità e di tutela di aspettative creditorie ritenute meritevoli e si traduce, sotto il profilo pratico, nella lesione delle ragioni dei soli creditori certi, che devono aspettare anni per vedersi liquidare una sparuta somma in moneta fallimentare (Rossi, nota a Cass. 2.10.1997, n. 9635 in Il Corriere Giuridico, 1998, p. 547 ss.). L'equiparazione di un credito all'altro porta all'esecuzione di accantonamenti (accantonamenti in sede di riparto parziale ex art. 113 n.3 L.F. pari all'intero importo insinuato per ogni ipotesi di riparto parziale; deposito per il riparto finale ex art. 117 e art. 113 n. 2 L.F.; diritto di voto sulla proposta di concordato preventivo ex art. 127, comma I, L.F.) che condizionano fortemente la ripartizione dell'attivo e determinano un rallentamento nella definizione della procedura che contraddice la contrapposta esigenza di chiudere nel più breve termine il procedimento (Millozza, op. cit.)..

Infine si ritiene che il credito del fideiussore non possa essere definito "concorsuale" in quanto il fideiussore prima del pagamento è titolare di una mera aspettativa (Millozza, op. cit. ).

La soluzione di tale aspetto problematico presuppone, innanzitutto, la corretta individuazione della natura giuridica del credito di regresso.

Se, come in precedenza evidenziato, il diritto di regresso preesiste alla apertura della procedura concorsuale perché deriva da una obbligazione precedentemente assunta, per la quale è, in un certo senso, rimasta in sospeso solo l'attualità e l'esigibilità dipendente dal pagamento integrale in favore del creditore, il credito che ne deriva ha natura concorsuale (esclude che il credito del coobbligato possa considerarsi credito successivo alla procedura concorsuale anche se il pagamento sia avvenuto dopo il fallimento, Ferrara, Il fallimento, Milano 1974, p. 327 ss., il quale evidenzia che tale credito è congenito all'obbligazione solidale anche se i presupposti si verificano in un momento successivo).

Da ciò consegue che il titolare di tale diritto, la cui sola azionabilità dipende dal pagamento, può essere ammesso al passivo con riserva a condizione che non vi abbia già trovato ingresso il creditore (in tal senso Bozza, op. ult. cit., secondo il quale la limitazione opera anche in presenza di più coobbligati, per cui ciascun credito di regresso può trovare ingresso a condizione che non trovi collocazione  un altro credito di regresso. Il  Trib. Verona 2.7.1986 cit. valorizza invece il ruolo della surrogazione e ritiene del tutto inutile l'ammissione con riserva. Se l'escussione interviene prima della dichiarazione di fallimento il fideiussore si insinua direttamente; se invece l'escussione interviene dopo, il fideiussore si surroga nei diritti vantati dal creditore e deve semplicemente ottenere la sostituzione nell'iscrizione al passivo - cui non osta l'improcedibilità ex art. 52 L.F. poiché il solvens non acquista un nuovo diritto. Analogamente,  Rossi, op. cit.).

Ove si negasse tale ammissione subordinata alla mancata insinuazione da parte del creditore,  il coobbligato non escusso rischierebbe di restare privo di qualsiasi tutela (ad esempio se l'escussione avvenisse dopo la distribuzione dell'attivo al solvens verrebbe preclusa la possibilità di partecipare ai riparti mediante gli accantonamenti.  In teoria dovrebbe sopperire all'inerzia del creditore l'art. 1957 c.c., tuttavia specialmente nelle fideiussioni prestate a favore delle banche tale norma viene frequentemente disapplicata con la conseguente inoperatività delle decadenze ivi previste, cfr. Bozza, op.cit. p. 85.).

Se invece il creditore si è insinuato, il solvens, una volta escussa la garanzia, surrogandosi nella posizione del creditore soddisfatto subentrerà in un diritto idoneo a partecipare al concorso e, quindi, parteciperà allo stato passivo del debitore al posto del creditore, senza dover presentare una nuova domanda.

Sarà in tal caso sufficiente la mera variazione dell'iscrizione ordinata dal Giudice Delegato dopo che l'intenzione di avvalersi del regresso sia stata esternata agli organi della procedura (Pretura Nocera Inferiore 23.3.1987 (ord.) in Giurisprudenza di Merito 1988, p. 1032 ss., con nota di De Marinis, La magistratura di merito nega nuovamente l'ammissione al passivo con riserva del fideiussore)..

Credito di regresso e credito fondato sulla surroga spettanti al fideiussore: compensazione del credito spettante al fideiussore in conseguenza del pagamento del comune creditore con il debito gravante sul medesimo nei confronti del fallito (debito restitutorio)
La qualificazione del credito di regresso da ultimo proposta si rivela di una qualche utilità anche in relazione alla controversa possibilità di opporre in compensazione il credito di regresso spettante al  fideiussore non escusso.

Se infatti tale diritto si ricollega, dal punto di vista genetico, alla nascita dell'obbligazione solidale e si può ragionevolmente considerare come diritto acquistato ab origine, non potrà trovare applicazione l'art. 56 L.F. con le limitazioni cronologiche ivi previste per ammetterne l'opponibilità in sede concorsuale.

In tal senso si è pronunciata Cassazione (sent. 2.10.1997, n. 9635 in Il Fallimento 1998, p. 1047 ss., con nota di  Panzani, Regresso del fideiussore nei confronti del fallito e compensazione ed in Il Corriere Giuridico 1998, p. 547 ss. con nota di  Rossi;  cfr. anche Cass. 2.8.1994, n. 7181 in Il Fallimento, 1995, p. 280 ss., con osservazioni di  Fabiani), secondo la quale il credito di regresso del fideiussore (credito di natura concorsuale) non è riconducibile nella categoria dei crediti acquistati "per atto fra vivi" cui si riferisce la citata norma (contra, Trib. Torino 11.4.1997 ord., in Il Fallimento 1998, p. 78 ss., con nota di Terenghi, Pagamento del fideiussore e operatività della compensazione)..

Pertanto, al fine di opporre in compensazione il credito di rivalsa - per il quale devono comunque sussistere i requisiti di cui all'art. 1243 c.c., con l'unica eccezione della contestuale scadenza per la quale l'art. 56 L.F. introduce una espressa deroga - assume rilievo esclusivo il momento nel quale è  intervenuto l'adempimento del fideiussore.

E' necessario, cioè, che il fideiussore sia stato escusso prima della sentenza dichiarativa di fallimento, perché la compensabilità sorge solo al momento dell'effettivo pagamento.

Da questo punto di vista, la sentenza conferma la precedente Cass. 7181/94 (cit.) che, secondo l'orientamento consolidato in materia (da ultimo, Cass. S.U. 16.11.1999, n. 775/99/SU, in Il Fallimento 2000, p. 333 e ss. con osservazioni di Schlesinger; Cass. 28.8.2001, n. 11288, ivi, 2002, p. 615 e ss.) , ritiene che l'operatività della compensazione sia subordinata alla riconducibilità della relazioni di debito - credito ai medesimi soggetti ed al verificarsi dell'evento che ha dato luogo alla contemporanea titolarità della posizione di debito - credito prima della sentenza dichiarativa di fallimento.

Identiche conclusioni valgono per la  surrogazione.

Anche in tal caso, infatti, il subingresso nella posizione del creditore avviene - con le stesse caratteristiche che aveva nel rapporto tra creditore e debitore principale - per volontà della legge e non ex contractu, in via automatica e con l'esclusione di ogni e qualsivoglia nesso derivativo. Tuttavia, se il pagamento è intervenuto dopo la sentenza dichiarativa di fallimento, la surrogazione non farà acquistare al credito una qualità nuova (la compensabilità legata alla coesistenza della posizione di debitore e creditore), che nasce solo con il pagamento del debito del fallito.

Ampiezza della surrogazione: il subingresso nelle garanzie che assistono il credito in caso di fallimento del debitore

Il peculiare meccanismo operativo della surrogazione che si traduce nel subingresso del solvens nei diritti del creditore soddisfatto e nelle annesse garanzie.

Da ciò consegue - e la dottrina formatasi sul diverso problema dell'ammissione al passivo del credito di regresso ne è la dimostrazione - che, qualora il diritto del creditore abbia natura concorsuale, il solvens surrogato potrà avvalersi di un credito già insinuato al passivo e verrà pagato in moneta fallimentare.

Tuttavia, per le specifiche modalità operative del subingresso nelle garanzie e nel caso particolare di credito assistito da garanzia ipotecaria, la giurisprudenza attribuisce valore rilevante alla relazione temporale tra il verificarsi della surrogazione e la data di apertura della procedura concorsuale.

Qualora infatti la surrogazione intervenga dopo il fallimento, pur non negandosi astrattamente il subingresso nella posizione concorsuale del creditore soddisfatto sia per il diritto di credito che per la garanzia ipotecaria con lo stesso grado, si pongono due distinti problemi: se il solvens debba comunque presentare un'autonoma domanda di insinuazione al passivo e quale sia l'efficacia dell'annotazione dell'ipoteca nei confronti della massa.

Sotto il primo profilo la giurisprudenza ritiene pacificamente che il terzo adempiente debba ottenere una nuova insinuazione a suo nome per avvalersi dei benefici derivanti dalla pregressa insinuazione del creditore, non essendo sufficiente la mera comunicazione agli organi della procedura dell'intervenuto subingresso - operante lo ricordiamo ex lege ' (ritiene inammissibile la traslazione della domanda di insinuazione a favore di un terzo estraneo al procedimento di verifica del crediti, Cass. 25.7.1992, n. 8992, in Il Fallimento 1993, p. 55 e ss.. In particolare, in tale pronuncia la presentazione di un'autonoma domanda di insinuazione da parte del solvens sarebbe giustificata dalla necessità di consentire la definizione delle questioni particolari connesse al pagamento parziale ed alla surrogazione in  favore del terzo datore di ipoteca, che trovano il loro naturale ingresso nella verificazione dello stato passivo).  Inoltre per poter essere ammesso al passivo in via privilegiata, facendo valere il subingresso nell'ipoteca nei confronti dei terzi - tra cui in particolare modo i creditori concorrenti - il solvens sarà tenuto anche ad annotare il trasferimento del vincolo ipotecario ai sensi dell'art. 2843 c.c. (Cass. 12.9.1997, n. 9023 in Giustizia Civile, Mass. 1997, p. 1961; Cass. 25.7.1992 n. 8983 in Il Fallimento 1993, p. 55 ss. per un'ipotesi di subingresso del terzo datore; Cass. 7.5.1992 n. 5420 in Giurisprudenza Commerciale 1993, II, p. 485 ss., con nota di  Presti, Annotazione del subingresso ipotecario e fallimento del proprietario del bene; Cass. 14.2.1980 n. 1060 in Diritto Fallimentare, 1980, II, p. 248 ss., secondo la quale l'annotazione fatta eseguire dopo la dichiarazione di fallimento è efficace solo nei rapporti diretti con il fallito e può pertanto essere azionata solo dopo la chiusura del fallimento. Ad identiche conclusioni giunge Trib. Verona 29.1.1988 in Nuova Giurisprudenza Civile e Commerciale 1989, p. 224 ss.).

Tuttavia, secondo la giurisprudenza largamente dominante l'adempimento di tale formalità prima dell'instaurazione della procedura concorsuale è condizione di opponibilità alla massa, in applicazione dell'art. 45 L.F. (Cass. 14.2.1980, n. 1060 cit. ; Cass. 7.5.1992, n. 5420 cit.).

Pertanto, il coobbligato o terzo datore di garanzia reale che paga il creditore subentra ipso iure nella posizione facente capo al medesimo ex art. 1203 n.3 c.c., ma viene ammesso al passivo solo in via chirografaria nel caso in cui non abbia ottemperato alla formalità dell'annotazione ipotecaria prima della dichiarazione di fallimento (Trib. Bergamo, 22.6.2001 in Gius, 2001, p. 2418 e ss.; App. Catania 20.3.1993, in Diritto Fallimentare 1993, II, p. 856 ss. con nota di Macrì, Pagamento con surrogazione e obbligo del solvens di insinuarsi al passivo nel fallimento del debitore)..

Contro tale impostazione, la Cassazione 8993/92 (cit. ) ha sottolineato che l'annotazione è comunque possibile anche dopo il fallimento, in quanto nella fattispecie non troverebbe applicazione l'art. 45 L.F.: con il subingresso nell'ipoteca non si costituisce un nuovo diritto di garanzia in grado di recare pregiudizio alle ragioni della massa bensì si attua una semplice sostituzione dell'originaria iscrizione (in dottrina ritiene che l'annotazione sia opponibile anche dopo la dichiarazione di fallimento, Boero, Le ipoteche, in Giur. Sist. di Diritto Civile e Commerciale fondata da Bigiavi, Torino 1984, p. 128. Giunge alla medesima conclusione, con puntuale ricostruzione della natura giuridica dell'annotazione del subingresso Presti, in nota a Cass. 5420/92 e 8983/92 cit.).

Occorre tenere presente che questa tesi, pregevole in quanto semplifica le formalità a carico del coobbligato adempiente, è comunque minoritaria.

 

Autore: Dott.ssa Antonella Cesaroni - tratto dal sito: http://fallimento.ipsoa.it/