Il danno da lesione all'onore ed alla reputazione quale "danno-evento" 

Commento alla sentenza del Tribunale di Marsala del 03/07/2007

 

1. La vicenda. Il fatto da cui si è originata la pronuncia in commento è presto riassunto. Un uomo denuncia un sostituto procuratore della Repubblica al CSM, al Presidente della Repubblica ed al locale Procuratore generale. La bruciante accusa - siamo in Sicilia - è di collusione con la mafia, collusione che si sarebbe manifestata attraverso la benevola archiviazione di un procedimento, sorto da un esposto del medesimo denunciante, a carico di un politico locale. Non pago di avere indirizzato la denuncia agli organi competenti, il denunciante si dedica altresì ad un opera di volantinaggio di essa nella città in cui il sostituto procuratore presta servizio. La denuncia, infine, è raccolta da un giornale locale, che né dà ampia notizia.

Segue la scontata domanda risarcitoria del danno patrimoniale e non patrimoniale proposta dal sostituto procuratore nei confronti del denunciante, che si costituisce e si difende come può.

Il giudice riconosce l'attitudine della condotta del denunciante a ledere l'onore e la reputazione del sostituto procuratore e, in parziale accoglimento della sua domanda, gli liquida (a fronte di una richiesta di un miliardo di vecchie lire) la somma di ? 80.000,00 per danno non patrimoniale, disponendo inoltre la pubblicazione della sentenza.

Un ultimo aspetto del fatto va segnalato - vedremo infine il perché - prima di passare all'esame della questione giuridica posta dalla pronuncia. La citazione per risarcimento del danno risale al 1992, la sentenza è stata pronunciata nei giorni scorsi: 15 anni per produrre qualche documento, sentire qualche testimone, richiedere informazioni sugli esiti della denuncia.

2. Il danno all'onore e alla reputazione secondo il tribunale. La pronuncia in commento può essere agevolmente distinta in due segmenti: il primo concernente il giudizio sulla sussistenza della lesione dell'onore e reputazione del sostituto procuratore; il secondo concernente l'identificazione del danno risarcito al medesimo.

Ebbene, la prima parte della sentenza non richiede commenti o approfondimenti, evidente essendo che il denunciante, nell'attribuire al sostituto procuratore comportamenti dei più censurabili - gratuitamente, visto che nessuna delle autorità coinvolte risulta avere assunto qualche iniziativa - con espressioni di per se stesse offensive, avesse leso il suo onore e reputazione.

La seconda parte della sentenza, invece, si diffonde in una lunga disamina dell'astratta configurabilità del danno all'onore e alla reputazione come danno-conseguenza, configurabilità che il giudice, ponendosi in consapevole contrasto con la giurisprudenza di legittimità, reputa di escludere.

Il tribunale di Marsala, in buona sostanza, ritiene che la linea di demarcazione tra la lesione di interessi giuridicamente protetti quali l'onore e la reputazione (ovverosia il danno-evento) e le conseguenze dannose di quella lesione (ovverosia il danno-conseguenza) sia troppo labile e sfuggente e che, dunque, esigere dal danneggiato l'esatta verifica del danno-conseguenza possa risolversi in una sostanziale sanzione di irrisarcibilità del danno non patrimoniale.

Di qui la medesima pronuncia sembra voler dire la sua sull'intera categoria del danno non patrimoniale, che - se ben si comprende - parrebbe dover rinunciare alla nozione stessa di danno-conseguenza. Ciò sarebbe vero, in particolare, per il danno esistenziale, il quale si atteggerebbe «come ogni alterazione coatta e contra ius dell'agere del soggetto, anche a prescindere da una modificazione permanente delle sue abitudini di vita e delle sue scelte relazionali». Questa impostazione, secondo il giudice, corrisponderebbe ad un'opinione dottrinale che può forse essere identificata in quella di Pierluigi Monateri, il quale ebbe a suo tempo ad intendere il danno esistenziale come lesione di un civil right, indipendente dalle sue ricadute.

3. Il diverso atteggiamento della S.C.. Non siamo del tutto certi che il tribunale di Marsala intendesse riferirsi a Pierluigi Monateri. E siamo ancora meno certi che quest'ultimo riproporrebbe inalterata la stessa opinione oggi, dopo che la giurisprudenza di legittimità ha ampiamente fatto proprio il punto di vista «consequenzialista». Siamo invece convinti che, individuata dalla S.C. la giusta direzione, la barra «consequenzialista» debba essere mantenuta ben ferma.

Sappiamo che l'inveterata distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza è stata ad un dato momento negata - per ragioni che qui non è il caso di rammentare - dalla storica Corte cost. 14 luglio 1986, n.184, in tema di danno biologico. Ma sappiamo anche che Corte cost. 27 ottobre 1994, n. 372 - che pure non definiremmo storica - ha ribadito che il risarcimento del danno discende dalla dimostrazione che «la lesione ha prodotto una perdita di tipo analogo a quello indicato dall'art. 1223 c.c., costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale (non patrimoniale), alla quale il risarcimento deve essere (equitativamente) commisurato». Parimenti, sappiamo che la celeberrima Cass. 31 maggio 2003, n. 8828 - la sentenza che ha reinterpretato in chiave costituzionale l'art. 2059 c.c. - riferendosi al danno non patrimoniale ha ripetuto a chiare lettere che: «Volendo far riferimento alla nota distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza si tratta di danno-conseguenza».

E, ancora, sappiamo che l'apoteosi «consequenzialista» si è celebrata con la fondamentale Cass., Sez. un., 24 marzo 2006, n. 6572, nella quale leggiamo che «per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l'illecito . provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità».

Non basta. La ventata «consequenzialista» ha raggiunto finanche il danno morale, che pareva ineluttabilmente rinserrato nella tralaticia definizione di «turbamento dell'animo transeunte». Qui il tribunale di Marsala rammenta a proposito Cass. 3 aprile 2001, n. 4881, la quale ha appunto preso posizione sulla configurazione del danno da illegittima levata di protesto come danno-conseguenza. Ma ben maggiore interesse desta in argomento la recente Cass. 15 marzo 2007, n. 5987, la quale ci insegna che è arbitraria la automatica liquidazione del danno morale in misura percentuale del danno biologico, giacché in tal modo è violato il principio del risarcimento totale del danno subito dal danneggiato, il quale ha diritto ad un'equità circostanziata e ponderata, attenta alle sue effettive condizioni umane post-sinistro.

La S.C., insomma, spiega che quel «turbamento dell'animo transeunte», non è un'entità astratta o - come ci dice la sentenza in commento - impalpabile: é fatto invece di una sua precisa materia, quantunque il giurista non sia abituato a discorrerne. Talvolta si tratta di rabbia per il torto subito, talvolta di lacrime versate sul cuscino, talvolta di ripiegamento su se stessi, talvolta di abulia, e così via. Spesso della combinazione di diversi stati d'animo di diversa coloritura, peso ed intensità.

Di qui è man mano emersa la configurazione «consequenzialista» dello stesso danno biologico. Numerose pronunce hanno infatti negli ultimi tempi - in senso sostanzialmente corretto - ribadito la non risarcibilità del danno esistenziale in presenza del risarcimento del danno biologico (Cass. 20 aprile 2007, n. 9510; Cass. 9 novembre 2006, n. 23918; Cass. 19 maggio 2006, n. 11761; Cass. 15 luglio 2005, n. 15022). Ciò perché, in tale frangente, il riconoscimento del danno esistenziale si tradurrebbe in una inammissibile duplicazione risarcitoria. Ed in che cosa risiede la duplicazione? È presto detto: il risarcimento del danno biologico subito per la rottura (ad esempio) di un braccio copre tutte le normali perdite di tipo areddituale-relazionale che vi sono connesse: ne sarà compromesso lo scrivere, il guidare, lo svolgere attività sportive, e così via. Nulla alla vittima, perciò, sotto tale aspetto, per danno esistenziale, con il che sarebbero risarcite una seconda volta le stesse perdite. Evidente, dunque, sotto tale profilo, l'affinità del danno esistenziale e del danno biologico: anzi, a voler essere esatti, dovremmo dire che il danno biologico è un particolare danno esistenziale derivante, quale danno-conseguenza, dalla lesione di un particolare interesse, l'interesse salute.

Un ultimo versante - cui allude anche il tribunale di Marsala - merita di essere ricordato: quello del danno non patrimoniale delle persone giuridiche. Possono esse subire danno non patrimoniale? Danno biologico ovviamente no. Danno morale neppure, secondo il responso di Cass. 4 giugno 2007, n. 12929, che ha analizzato approfonditamente il problema, affermando che il risarcimento del danno non patrimoniale spetta anche alle persone giuridiche in caso di lesione di loro diritti fondamentali, equiparabili ai diritti fondamentali delle persone fisiche, quali il diritto all'esistenza, all'identità, al nome, all'immagine, alla reputazione. La lesione di tali diritti, in particolare, lungi dal colpire «il sentire delle persone attraverso le quali l'ente agisce e meno che mai un non configurabile "sentire" dell'ente», dando luogo all'insorgenza di un danno morale, determina - si badi bene - un «obbiettivo mutamento delle condizioni dell'agire dell'ente»: ovvero - se si trattasse di persone fisiche e non di persone giuridiche - un danno esistenziale connotato come conseguenza della lesione.

Neppure vale collocare il danno patrimoniale e quello non patrimoniale su piani distinti, come pare ritenere il tribunale di Marsala. L'uno e l'altro, in realtà, manifestano differenze disciplinari tutto sommato trascurabili: si differenziano molto meno, per dirla chiara, di quanto non si differenzino il danno emergente e il lucro cessante.

4. Quali conseguenze? Veniamo al dunque. La distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza risponde non solo (e non tanto) ad un'esigenza di coerenza dogmatica, che pure non merita di essere sottovalutata. Risponde soprattutto - almeno agli occhi dell'operatore pratico - ad un esigenza di funzionalità, dal momento che consente di mettere a fuoco, di illuminare, mercè l'analisi delle trasformazioni, interne ed esterne, occorse nella vita del danneggiato, il danno che questi abbia effettivamente patito. Senza di che diviene impossibile stabilire con qualche plausibilità per quale ragione al danneggiato spettino x euro e non y. Ed allo stesso fine sarebbe una conquista se le sentenze si dilungassero più sull'indagine minuziosa del fatto che - come sovente accade - su disquisizioni, talvolta un po' faticose, in diritto.

E allora: quali in questo caso le conseguenze patite dal nostro sostituto procuratore? Additato come sodale di mafiosi, gli amici gli hanno tolto il saluto? I conoscenti lo hanno scansato? Non ha più ricevuto inviti alle cene del Rotary o dei Lions? Lo zio prete gli ha intimato di pentirsi ricordandogli le parole di Papa Giovanni Paolo II? La fidanzata lo ha costretto a mandare a memoria gli atti della commissione antimafia ed a vedere il Salvatore Giuliano di Francesco Rosi tutti i sabato? Questo dal lato danno esistenziale. Oppure l'ingiusta offesa ha generato nella vittima rabbia, o sfiducia nel prossimo, o disistima di se stesso, o vergogna, mutismo e isolamento? Questo dal lato danno morale.

Impossibile rispondere, dal momento che lo stesso danneggiato, stando alla lettura della sentenza, non ha indicato alcuna conseguenza. Ma avrebbe potuto ragionevolmente indicarle nel 1992, epoca di introduzione della lite? Poteva prevedere quale sarebbe stato l'assetto della giurisprudenza tre lustri dopo, epoca di pronuncia della sentenza? Naturalmente no. Difficile stabilire, allora, se l'esigenza di decidere secondo giustizia non facendo gravare sull'attore - secondo il noto principio chiovendiano - la durata del processo abbia in qualche misura indotto il giudice, in questo caso, a sposare una tantum l'impostazione «eventista» in luogo di quella «consequenzialista». Se così fosse, vi sarebbe un buon motivo per condividere la pronuncia.

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Autore: Dott. Mauro Di Marzio - tratto da "Il Quotidiano Giuridico" 11/09/2007