IL DANNO DA RITARDATO ADEMPIMENTO

caratteristiche e modalità di sua determinazione

 


Il ritardato adempimento di una obbligazione causa al creditore un danno, consistente nella perduta disponibilità della somma (o di altra utilità dovuta) nel periodo tra la scadenza dell'obbligazione e l'effettivo adempimento.

I criteri di liquidazione del danno da ritardato adempimento hanno costituito una delle questioni più tormentate della responsabilità civile. Oggi tuttavia tale questione può ritenersi assestata su princìpi sufficientemente chiari e condivisi sul piano teorico, e razionalmente equi sul piano pratico.

Il danno da ritardato adempimento deve essere inquadrato nella categoria giuridica delle sanzioni civili quindi nell'ambito di quella che è prevista come una pena civile per il mancato o ritardato adempimento di un'obbligazione.

Trattasi di un obbligo che si affianca all'obbligo principale di adempimento in quanto il legislatore ha previsto che, indipendentemente dalla fonte del rapporto obbligatorio, sia essa contrattuale o extracontrattuale, una volta accertata l'esistenza del rapporto giuridico obbligatorio ed il conseguente obbligo di adempimento, il mancato o ritardato adempimento deve essere sanzionato con la condanna al risarcimento di tutti quei danni conseguenti a tale evento.

Più in generale possiamo dire che, come dall'illecito penale viene la condanna ad una pena, dall'illecito amministrativo l'applicazione di una sanzione amministrativa, dall'illecito civile ( sia esso contrattuale che extracontrattuale) deriva l'obbligo al "totale" risarcimento dei danni.

Tutto il lavoro della dottrina e della giurisprudenza nei decenni passati si è quindi concentrato per cercare di definire i parametri e le modalità per giungere ad una liquidazione che sia il più vicino possibile al completo ristoro economico del creditore ed in particolare del creditore danneggiato da un illecito extracontrattuale, come nel caso del sinistro automobilistico, evitando contemporaneamente di concedere al creditore una somma maggiore del danno effettivamente subito.

Le problematiche che la giurisprudenza ha dovuto affrontare in tal senso derivano principalmente dal fatto che, nel caso di liquidazione del danno per equivalente, quindi di un danno non risarcibile in forma specifica, ma con la liquidazione di una somma pecuniaria che sostituisce il bene non più ripristinabile, oggetto del credito è sempre un'obbligazione pecuniaria a cui, tuttavia, non può applicarsi il c.d. principio nominalistico (valido per le obbligazioni che hanno ad oggetto una somma di danaro già determinata al momento in cui sorge l'obbligazione), per l'espressa esclusione dell'art. 1224 c.c. contenuta nell'art. 2056 c.c.

In tal senso è stata quindi elaborata dalla giurisprudenza una categoria giuridica denominata "obbligazione di valore" dove a differenza dell'obbligazione tipica c.d. "di valuta" la somma di danaro dovuta deve prima essere determinata con riferimento al valore del bene perduto.

La differenza sostanziale tra le due categorie consiste nel fatto che, mentre nelle obbligazioni di "valuta", il danno da ritardo nell'adempimento viene risarcito con il riconoscimento dell'obbligazione accessoria del pagamento degli interessi dal giorno della mora del debitore, come stabilito dall'art. 1224 c.c. ed il maggior danno subito dal creditore, ad esempio per la svalutazione del danaro nel periodo di mora, con la rivalutazione del credito attuata sulla base anche di presunzioni, ai sensi del secondo comma dell'art. 1224 c.c., nel caso di obbligazioni di "valore", la rivalutazione del credito che viene determinato e liquidato al momento della decisione (quindi in un momento successivo a quello in cui è sorta l'obbligazione), non ha più una funzione risarcitoria del maggior danno oltre quello gia risarcito con gli interessi, e la stessa mora, che in questo caso è automatica (art. 1219 c.c.), non  ha niente a che vedere con la rivalutazione monetaria.

Infatti in questo caso la rivalutazione monetaria è dovuta non a causa della mora, ma per effetto della natura stessa del credito di valore, in quanto la somma di danaro viene determinata al momento della liquidazione e quindi in corrispondenza di un valore economico reale.

Da ciò deriva quindi che il Giudice, nel determinare la liquidazione del danno, deve, in applicazione dell'art. 1223 c.c., da un lato liquidare il valore del bene perduto (danno emergente) e dall'altro deve riconoscere l'ulteriore danno da ritardo (lucro cessante) riconoscendo d'ufficio anche la rivalutazione monetaria, quindi, deve compensare, con l'attribuzione di interessi, il conseguimento della somma liquidata in ritardo rispetto al sorgere dell'obbligazione ( cioè al momento del fatto) in quanto il ritardo ha comunque arricchito il patrimonio del debitore che non paga subito con correlativo lucro cessante di chi dovrebbe ottenerlo e non ne ha la disponibilità.

Da qui la necessità di individuare i criteri che devono essere seguiti per la liquidazione, in considerazione del fatto che nel caso di illecito extracontrattuale, l'obbligazione sorge al momento del fatto e di conseguenza da quel momento il danneggiante è costituito in mora (mora ex re) con conseguente diritto del creditore ad essere compensato per tale mora ma la liquidazione di interessi sulla somma liquidata (quindi già rivalutata al momento della liquidazione), con decorrenza dalla data del fatto, comporterebbe un arricchimento indebito del creditore che andrebbe così a ricevere di più del danno effettivamente subito.

Su tale questione è intervenuta la sentenza  delle Sezioni Unite della  Corte di cassazione n° 1712/95 con la quale vengono individuati i criteri da seguire per la liquidazione del danno derivante dal ritardo nel pagamento di somme liquidate in sede di risarcimento dei danni per responsabilità extracontrattuale.

Riassumendo brevemente i principi dettati dalla Corte Suprema e recepiti dai giudici di legittimità possiamo dire che il giudice ha innanzi tutto due possibilità di liquidare il danno derivante dal ritardo nell'adempimento di un'obbligazione di valore:

1.      trasformare in valore monetario attuale l'importo accertato con riferimento alla data dell'illecito (taxatio);

2.      liquidare il danno direttamente in moneta attuale. Questa operazione avviene attualizzando la somma dovuta, cioè moltiplicando il credito, calcolato con riferimento la momento di insorgenza, per un coefficiente di rivalutazione (normalmente quello elaborato mensilmente dall'ISTAT);

tenendo presente che l'operazione di rivalutazione va compiuta d'ufficio, anche in assenza di una espressa domanda in tale senso, in quanto la rivalutazione non rappresenta un accessorio del credito (al pari, ad esempio, degli interessi legali per le obbligazioni di valuta), ma costituisce una componente intrinseca del danno, e per l'esattezza il danno causato dal decorso del tempo.

Una volta attualizzata la somma dovuta dal debitore moroso, tuttavia, non è detto che il creditore non abbia null'altro da pretendere. Infatti, qualora il debitore di un'obbligazione di valore ritardi l'adempimento ( e ciò avviene sempre in quanto il danno è liquidato al valore calcolato al momento della sentenza ma l'obbligazione deve essere adempiuta al momento del fatto illecito), il creditore può subire un nocumento ulteriore rispetto a quello rappresentato dal deprezzamento della moneta. Il creditore infatti, non disponendo tempestivamente della somma dovutagli, perde la possibilità di effettuare investimenti e di ricavare così un lucro finanziario.

Su tale punto la citata sentenza delle Sezioni Unite è intervenuta a dirimere il contrasto giurisprudenziale, stabilendo che:

(a)       al creditore di un'obbligazione di valore spetta il risarcimento del danno ulteriore causato dal

           ritardo nell'adempimento;

(b)       tale danno può essere liquidato in via equitativa e presuntiva, anche facendo ricorso al

           metodo degli interessi;

(c)        gli interessi sub (b), tuttavia, non possono essere computati sulla somma rivalutata;

(d)         il saggio degli interessi da applicare non deve necessariamente essere quello legale.

Sulla base di tali criteri è oggi possibile definire e quantificare il danno da ritardo con modalità che si avvicinano il più possibile al danno reale ed evitano contemporaneamente un indebito arricchimento del debitore inadempiente.

Pertanto, deve assolutamente escludersi la possibilità di emettere sentenze dove si condanna il danneggiante a risarcire il danno liquidato in sentenza, "oltre interessi e rivalutazione dal dì del dovuto al soddisfo" per due motivi:

(a)        sia perché gli interessi non si calcolano mai sulla somma rivalutata nelle obbligazioni di

           valore, mentre nelle obbligazioni di valuta la rivalutazione è dovuta solo se essa supera gli

           interessi legali, ed in questo caso si sostituisce ad essi;

(b)               sia perché, in ogni caso, il credito risarcitorio si converte in una obbligazione di valuta,  

     produce ex lege interessi nella misura legale solo dal momento della liquidazione

     giudiziale al momento dell'effettivo pagamento.

Pertanto, per liquidare il danno da ritardato adempimento di una obbligazione di valore occorre:

1.      determinare la base di calcolo su cui computare gli "interessi", base di calcolo che non può mai essere pari alla somma originaria rivalutata all'attualità, ma che deve essere pari al coacervo del credito originario via via rivalutato anno per anno, oppure in base ad un indice di rivalutazione medio;

2.      applicare sulla somma così determinata un saggio di interessi equitativamente scelto dal giudice, in funzione dell'entità e della vetustà del credito.

3.      Dal momento del deposito della sentenza, l'obbligazione si trasforma in obbligazione di valuta, e produce interessi legali dalla data della liquidazione fino al pagamento.

Vediamo qual'è la procedura da seguire nelle diverse ipotesi:

I^ IPOTESI

Esempio:  si prende come base di calcolo un danno aquiliano patito dalla vittima nel 2000 e ammontante - all'epoca - a 100 euro, si dovrà:

1         rivalutare il danno ad oggi, e quindi moltiplicare il credito espresso in moneta del 2000 per il coefficiente elaborato dall'Istat e relativo a tale anno (1,0758; il credito attuale è dunque pari a euro 107,58);

2         scegliere il saggio degli interessi in base al quale calcolare il lucro cessante causato dalla perduta disponibilità della somma di denaro, nelle more tra il fatto illecito e la liquidazione (poniamo che si scelga il saggio del 4%, in considerazione dell'entità del credito e della qualifica imprenditoriale del creditore, le quali gli avrebbero consentito investimenti particolarmente remunerativi);

3         applicare il saggio di interessi così determinato ad una base di calcolo rappresentata dalla media aritmetica tra il valore del credito all'epoca del danno, ed il valore del credito rivalutato ad oggi [e quindi (100+107,58)/2, ovvero euro 103,79*4%; il 4% di tale base di calcolo è pari a euro 4,15];

4         sommare il lucro cessante (4,15) al capitale rivalutato (107,58); il credito totale è dunque pari a euro 111,73. Su tale somma, poi, saranno dovuti interessi legali dalla data della decisione.


II^ IPOTESI

esempio: si prende come base di calcolo un danno aquiliano per un fatto accaduto in data 04/11/2000 e liquidato al valore attuale (come avviene normalmente in caso di applicazione delle tabelle aggiornate) che poniamo sia pari a 100 euro si dovrà:

1         assumere a base del calcolo degli interessi il capitale nel suo valore medio tra la data iniziale (quella del fatto) e quella finale (data della decisione), tenendo conto degli  indici medi di svalutazione del periodo, pubblicati dall'ISTAT, oppure, stante la sostanziale equivalenza del risultato, prendendo a base la semisomma dei due valori considerati (valore iniziale alla data del fatto e valore finale alla data della presente pronuncia).                      

            Nel caso di specie: 100 euro nel 2000 equivalevano a euro 92,95 (100: 1,0758) e il capitale

            rivalutato secondo l'indice medio del periodo di ritardo è pari a euro 96,48 (100+92,95 : 2)

2        su tale somma calcolare gli interessi il cui saggio (che non potrà superare, nella sua misura massima, quella degli interessi legali, non potendosi valicare tale limite senza violare il disposto dell'art. 112 cpc.) può essere determinato su base annua facendo riferimento, in via presuntiva, alle usuali modalità di impiego del risparmio da parte delle famiglie italiane, e cioè ai rendimenti medi derivanti da investimenti in titoli di Stato - BOT, CCT, BTP, depositi vincolati a termine (v. per riferimenti: SS.UU. 5/4/1986 n. 2368). Quindi, per calcolare il lucro cessante, si utilizza il tasso inferiore tra il rendimento medio degli investimenti come indicati e il tasso medio degli interessi legali nello stesso periodo.

E, quindi, nel caso di specie, il rendimento medio indicato,  del periodo del ritardo, è stato pari al 3,63%  e il saggio medio degli interessi legali è stato pari al 2,98% [(interessi maturati dal fatto alla data delle singole variazioni di interessi : i giorni decorsi dal fatto alla data di variazione degli interessi) : 100]; si applicherà quindi un saggio pari al 2,98%.

3         In definitiva, a titolo di lucro cessante per il mancato godimento del tempestivo pagamento del dovuto si liquiderà, in via equitativa e con i criteri indicati, euro 12,16 così ricavati: capitale iniziale rivalutato secondo gli indici medi del periodo (96,48) * numero di giorni intercorsi tra fatto e decisione (1.545 gg) * tasso di interesse giornaliero applicato (2,98/365).

4         Sommare il lucro cessante (12,16) al danno liquidato al valore attuale (100,00) il credito totale è pari a euro 112,16 e su tale somma andranno calcolati poi gli interessi legali fino al pagamento.

La giurisprudenza di legittimità, nelle successive applicazioni di tali principi e la stessa Cassazione sono intervenute nel precisare ulteriori criteri che possono essere adottati in linea con le indicazioni date dalle Sezioni Unite.

Questi criteri possono così riassumersi:

  1. E' possibile riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate, purché esibisca una motivazione sufficiente a dar conto del metodo utilizzato;
  2. E' possibile riconoscere interessi anche sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia. Il giudice può disporre gli interessi sui vari segmenti rivalutati della somma dovuta, e cioè come si è venuta rivalutando annualmente, ed inoltre può graduare detti interessi per alcuni periodi nella misura del 3,33% e, per altri, del 3,75%, con decorrenza da date intermedie.
  3. E' possibile non riconoscere alcun interesse se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso. (Cass., n. 748/2000, cfr. anche Cass., nn. 490/1999 e 10751/2002).

Mentre, dunque, nei debiti di valuta, una volta riconosciuti gli interessi può essere negato il maggior danno da svalutazione monetaria, che costituisce una mera eventualità, per converso nei debiti di valore è bensì possibile non riconoscere gli interessi cosiddetti compensativi se il giudice escluda un danno da ritardo, ma non può mai omettersi di esprimere il valore perduto in termini monetari attuali.

ACCONTI

Nei debiti di valore, allorché il responsabile abbia corrisposto delle somme nell'intervallo di tempo intercorso tra il fatto produttivo del danno e la liquidazione definitiva, al fine di stabilire l'eventuale debito residuo ed il suo ammontare occorre procedere alla comparazione fra valori omogenei.

Anche in questo caso si possono indicare tre metodi alternativi che tuttavia offrono risultati equivalenti:

  1. Il metodo più agevole è quello di esprimere in moneta attuale entrambi i valori: rivalutando, dall'epoca del fatto, la somma originariamente equivalente all'entità del danno; e rivalutando quella corrisposta in acconto dalla data in cui è stata effettivamente versata. La differenza esprimerà, in moneta attuale, il residuo credito (o anche l'eventuale debito restitutorio) del danneggiato.
  2. Si può anche ridurre l'acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, esso avrebbe avuto all'epoca del fatto produttivo del danno, effettuarsi la comparazione di cui s'è detto e rivalutarsi poi la differenza dalla stessa data all'attualità.
  3. Infine è possibile rivalutare l'importo originariamente equivalente al danno sino all'epoca dell'acconto, fare a quel punto un raffronto tra valori in relazione a quella data omogenei, e rivalutare la differenza da tale data all'attualità".

Le stesse considerazioni valgono anche per il computo degli interessi utilizzati per la liquidazione del danno da lucro cessante.

La liquidazione degli interessi in caso di corresponsione di acconti nelle more della liquidazione definitiva del danno è particolarmente delicata se si pensa che un eventuale errore di calcolo o un criterio non adeguato potrebbe dar luogo ad anatocismo e comportare un'inevitabile alterazione del risultato nella determinazione di qualsiasi somma a quella percentualmente ragguagliata.

Diamo di seguito le indicazioni per un adeguato calcolo che tiene conto dei criteri indicati:

il conteggio risulta complesso dovendosi tener conto, da un lato, dell'acconto corrisposto e, dall'altro, per il suo rilievo significativo, della svalutazione monetaria medio tempore intercorsa nei periodi di tempo che vengono in considerazione.

In tutte le operazioni di adeguamento del capitale si dovrà far riferimento ai coefficienti del costo della vita (relativi ai periodi in questione) elaborati dall'ISTAT per le famiglie degli impiegati e operai.

Per calcolare il danno da ritardo con le modalità su indicate e con la deduzione dell'acconto, occorre individuare il valore medio del capitale nei singoli periodi di tempo in relazione al pagamento in acconto, tenendo, altresì, conto del valore dell'acconto corrisposto. In particolare occorre effettuare le seguenti operazioni:

1) determinare l'importo del capitale da porre a base del calcolo con riferimento a due date: quella del fatto (di seguito indicata come "A") e quella del pagamento del primo acconto (di seguito indicata come "B");

2) dedurre alle singole date di riferimento l'acconto corrisposto nel suo equivalente monetario;

3) calcolare il valore medio del capitale per i singoli periodi di tempo presi in considerazione e precisamente: a) primo periodo, dalla data del fatto a quella dell'acconto (di seguito indicato come "T1") e b) secondo periodo, dalla data del primo acconto a quella della presente decisione (di seguito indicato come "T2"). Per quanto riguarda la determinazione del valore medio del capitale nei singoli periodi, occorre tener conto della riduzione del capitale derivante dalla corresponsione dell'acconto nel suo equivalente monetario in relazione alla data di pagamento e a quelle di riferimento per il calcolo.

Poiché le operazioni tengono presente il capitale adeguato al suo valore alle singole date considerate, la deduzione dell'acconto viene effettuata alla data iniziale del singolo periodo (data del pagamento del singolo acconto) al suo valore nominale, mentre detto importo (dell'acconto) viene adeguato al valore della moneta alla data finale del calcolo, per essere omogeneizzato al valore del capitale determinato a quest'ultima data e dalla quale tale acconto rivalutato va dedotto. In tale modo dell'acconto corrisposto si tiene conto nei due momenti nelle misure del suo valore alle singole date.

Così determinati gli importi dei capitali dovuti alle singole date, il valore medio del capitale nel singolo periodo viene calcolato effettuando la semisomma dei due importi. Sulle somme così determinate e per i singoli periodi considerati si calcolano gli interessi nella misura media riconosciuta a titolo di maggior danno per ritardato pagamento.

Esempio del calcolo degli importi

L'importo a base del calcolo è pari a euro 500,00. L'acconto corrisposto è pari a euro 232,41.

Tale importo corrisponde a ? 472,05 alla data A (data del fatto= 25/04/2000) e a euro 480,00 alla data B (06/12/2002 = pagamento dell'acconto).

Il valore medio del capitale per il periodo T1 è pari a euro 468,00 (pari alla semisomma del valore alla data A e di quello alla data B) . Su tale somma vanno, quindi, corrisposti, per i giorni intercorsi per il periodo T1, e cioè tra il dì del sinistro fino alla data del pagamento del primo acconto, per un totale di 955 giorni interessi al tasso annuo del 2,93%, nella misura media per un totale di euro 22,17 [così calcolato: euro 468 (capitale) x 955 (totale giorni) x 2,93 : 365 (tasso di interesse giornaliero)].

Per il periodo T2 (che, come detto, va dalla data del primo acconto a quella della decisione), occorre:

1) detrarre dal valore del capitale all'inizio del periodo (? 468,00) l'importo dell'acconto corrisposto nel suo valore nominale (232,41), per una somma pari a euro 235,59;

2) determinare il valore del capitale alla fine del periodo (data della pronuncia), deducendo dal valore del capitale a tale data (? 500,00) il valore del primo acconto rivalutato a tale data (? 248,00), per un importo pari a euro 252,00;

3) determinare il valore medio del capitale nel periodo, pari a ? 243,00 [(euro 235,59 + euro 252,00)/2]. Su tale importo sono dovuti gli interessi nella misura già indicata e per il numero di giorni intercorsi tra le due date considerate (in totale - 305 giorni), secondo la formula prima indicata, al tasso di interesse medio del 2,93%, per un totale di euro 5,96.

In definitiva,  il danneggiato ha maturato in totale per danni da ritardato pagamento complessivi euro 28,13 (22,17+5,96).

Pertanto dovranno essere riconosciuti complessivi euro 500,00 per sorte e euro 28/13 per maggior danno da ritardato pagamento, per un totale di euro 528,13.

Da tale importo deve essere dedotto l'acconto, previa rivalutazione alla data attuale secondo gli indici ISTAT per euro 248,00 (232,41 x 1,0681).

SCHEDA 1

I^ IPOTESI

Esempio:  si prende come base di calcolo un danno aquiliano patito dalla vittima nel 2000 e ammontante - all'epoca - a 100 euro, si dovrà:

5       rivalutare il danno ad oggi, e quindi moltiplicare il credito espresso in moneta del 2000 per il coefficiente elaborato dall'Istat e relativo a tale anno (1,0758; il credito attuale è dunque pari a euro 107,58);

6       scegliere il saggio degli interessi in base al quale calcolare il lucro cessante causato dalla perduta disponibilità della somma di denaro, nelle more tra il fatto illecito e la liquidazione (poniamo che si scelga il saggio del 4%, in considerazione dell'entità del credito e della qualifica imprenditoriale del creditore, le quali gli avrebbero consentito investimenti particolarmente remunerativi);

7       applicare il saggio di interessi così determinato ad una base di calcolo rappresentata dalla media aritmetica tra il valore del credito all'epoca del danno, ed il valore del credito rivalutato ad oggi [e quindi (100+107,58)/2, ovvero euro 103,79*4%; il 4% di tale base di calcolo è pari a euro 4,15];

8       sommare il lucro cessante (4,15) al capitale rivalutato (107,58); il credito totale è dunque pari a euro 111,73. Su tale somma, poi, saranno dovuti interessi legali dalla data della decisione.

SCHEDA 2

II^ IPOTESI

esempio: si prende come base di calcolo un danno aquiliano per un fatto accaduto in data 04/11/2000 e liquidato al valore attuale (come avviene normalmente in caso di applicazione delle tabelle aggiornate) che poniamo sia pari a 100 euro si dovrà:

5         assumere a base del calcolo degli interessi il capitale nel suo valore medio tra la data iniziale (quella del fatto) e quella finale (data della decisione), tenendo conto degli  indici medi di svalutazione del periodo, pubblicati dall'ISTAT, oppure, stante la sostanziale equivalenza del risultato, prendendo a base la semisomma dei due valori considerati (valore iniziale alla data del fatto e valore finale alla data della presente pronuncia).                     

Nel caso di specie: 100 euro nel 2000 equivalevano a euro 92,95 (100: 1,0758) e il capitale rivalutato secondo l'indice medio del periodo di ritardo è pari a ? 96,48 (100+92,95 : 2)

6         su tale somma calcolare gli interessi il cui saggio (che non potrà superare, nella sua misura massima, quella degli interessi legali, non potendosi valicare tale limite senza violare il disposto dell'art. 112 cpc. Corrispondenza tra chiesto e pronunciato) può essere determinato su base annua facendo riferimento, in via presuntiva, alle usuali modalità di impiego del risparmio da parte delle famiglie italiane, e cioè ai rendimenti medi derivanti da investimenti in titoli di Stato - BOT, CCT, BTP, depositi vincolati a termine (v. per riferimenti: SS.UU. 5/4/1986 n. 2368). Quindi, per calcolare il lucro cessante, si utilizza il tasso inferiore tra il rendimento medio degli investimenti come indicati e il tasso medio degli interessi legali nello stesso periodo.

E, quindi, nel caso di specie, il rendimento medio indicato,  del periodo del ritardo, è stato pari al 3,63%  e il saggio medio degli interessi legali è stato pari al 2,98% [(interessi maturati dal fatto alla data delle singole variazioni di interessi : i giorni decorsi dal fatto alla data di variazione degli interessi) :100]; si applicherà quindi un saggio pari al 2,98%.

7         In definitiva, a titolo di lucro cessante per il mancato godimento del tempestivo pagamento del dovuto si liquiderà, in via equitativa e con i criteri indicati, euro 12,16 così ricavati: capitale iniziale rivalutato secondo gli indici medi del periodo (96,48) * numero di giorni intercorsi tra fatto e decisione (1.545 gg) * tasso di interesse giornaliero applicato (2,98/365).

8         Sommare il lucro cessante (12,16) al danno liquidato al valore attuale (100,00) il credito totale è pari a euro 112,16 e su tale somma andranno calcolati poi gli interessi legali fino al pagamento.

  

SCHEDA 3

                                                   

  

ALTRE IPOTESI DI LIQUIDAZIONE DEL DANNO


4.   E' possibile riconoscere interessi anche al tasso legale su somme progressivamente rivalutate, purché sia data una motivazione sufficiente a dar conto del metodo utilizzato;

5.   E' possibile riconoscere interessi anche sulla somma integralmente rivalutata, ma da epoca intermedia. Il giudice può disporre gli interessi sui vari segmenti rivalutati della somma dovuta, e cioè come si è venuta rivalutando annualmente, ed inoltre può graduare detti interessi per alcuni periodi ( ad esempio nella misura del 3,33% e, per altri periodi del 3,75%, con decorrenza da date intermedie).

6.   E' possibile non riconoscere alcun interesse se, in relazione ai parametri di valutazione costituiti dal tasso medio di svalutazione monetaria e dalla redditività media del denaro nel periodo considerato, un danno da lucro cessante debba essere positivamente escluso. (Cass., n. 748/2000, cfr. anche Cass., nn. 490/1999 e 10751/2002).

  

SCHEDA 4

  

METODI DI CALCOLO DEGLI ACCONTI

4.    Il metodo più agevole è quello di esprimere in moneta attuale entrambi i valori: rivalutando, dall'epoca del fatto, la somma originariamente equivalente all'entità del danno; e rivalutando quella corrisposta in acconto dalla data in cui è stata effettivamente versata. La differenza esprimerà, in moneta attuale, il residuo credito (o anche l'eventuale debito restitutorio) del danneggiato.

5.    Si può anche ridurre l'acconto al minor valore che, in termini di espressione monetaria, esso avrebbe avuto all'epoca del fatto produttivo del danno, effettuarsi la comparazione di cui s'è detto e rivalutarsi poi la differenza dalla stessa data all'attualità.

6.    Infine è possibile rivalutare l'importo originariamente equivalente al danno sino all'epoca dell'acconto, fare a quel punto un raffronto tra valori in relazione a quella data omogenei, e rivalutare la differenza da tale data all'attualità".

SCHEDA 5

Esempio del calcolo degli importi


L'importo a base del calcolo è pari a euro 500,00. L'acconto corrisposto è pari a euro 232,41.Tale importo corrisponde a euro 472,05 alla data A (data del fatto = 25/04/2000) e a euro 480,00 alla data B (06/12/2002 = pagamento dell'acconto).

Il valore medio del capitale per il periodo T1 è pari a euro 468,00 (pari alla semisomma del valore alla data A e di quello alla data B) . Su tale somma vanno, quindi, corrisposti, per i giorni intercorsi per il periodo T1, e cioè tra il dì del sinistro fino alla data del pagamento del primo acconto, per un totale di 955 giorni interessi al tasso annuo del 2,93%, nella misura media per un totale di euro 22,17 [così calcolato: euro 468 (capitale) x 955 (totale giorni) x 2,93 : 365 (tasso di interesse giornaliero)].

Per il periodo T2 (che, come detto, va dalla data del primo acconto a quella della decisione), occorre:

1) detrarre dal valore del capitale all'inizio del periodo (euro 468,00) l'importo dell'acconto corrisposto nel suo valore nominale (232,41), per una somma pari a euro 235,59;

2) determinare il valore del capitale alla fine del periodo (data della pronuncia), deducendo dal valore del capitale a tale data (euro 500,00) il valore del primo acconto rivalutato a tale data (euro 248,00), per un importo pari a euro 252,00;

3) determinare il valore medio del capitale nel periodo, pari a euro 243,00 [(euro 235,59 + euro 252,00)/2]. Su tale importo sono dovuti gli interessi nella misura già indicata e per il numero di giorni intercorsi tra le due date considerate (in totale - 305 giorni), secondo la formula prima indicata, al tasso di interesse medio del 2,93%, per un totale di euro 5,96.

In definitiva,  il danneggiato ha maturato in totale per danni da ritardato pagamento complessivi euro 28,13 (22,17+5,96).

Pertanto dovranno essere riconosciuti complessivi euro500,00 per sorte e euro 28/13 per maggior danno da ritardato pagamento, per un totale di euro 528,13.

Da tale importo deve essere dedotto l'acconto, previa rivalutazione alla data attuale secondo gli indici ISTAT per euro 248,00 (232,41 x 1,0681).

 

SCHEDA 6

  

La formula da applicare sarà la seguente:

 

DRP = TIM / 365 x [(C / S1) + (C / S2)] / 2 x TG1 + TIM / 365 x [(C / S2 - A) + (C - A x S2)] / 2 x TG2 

dove:
DPR sta per Danno Ritardato Pagamento;
TIM / 365 sta per Tasso Interesse Medio giornaliero;
C sta per Capitale liquidato alla data della decisione;
S1 sta per coefficiente ISTAT di svalutazione tra la data della decisione e la data del fatto;
S2 sta per coefficiente ISTAT di svalutazione tra la data della decisione e la data del pagamento dell'acconto;
A sta per importo dell'acconto corrisposto alla data del pagamento;
TG1 sta per il totale dei giorni trascorsi tra la data del fatto e la data del pagamento dell'acconto;
TG2 sta per il totale dei giorni trascorsi tra la data dell'acconto e la data della decisione.

Autore: Avv. Alfonso Colarusso - Gennaio 2006