La sentenza del Tribunale di Milano 5 luglio 2010, n. 8831 definisce il giudizio di opposizione all'esecuzione ex art. 619 c.p.c. introdotto da tre soggetti che affermavano di essere proprietari di alcuni beni mobili pignorati ad un'associazione.

Tale decisione fornisce l'occasione per redigere alcuni brevi appunti circa i criteri di ripartizione dell'onere della prova (che vengono puntualmente applicati dalla sentenza milanese) in tema di opposizione di terzo, ed in quale ipotesi debba trovare applicazione l'art. 621 c.p.c..

Quest'ultima norma, come è noto, stabilisce che "il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa o nell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla professione o dal commercio esercitati dal terzo o dal debitore".
Allorché dunque il pignoramento sia avvenuto nella c.d. casa del debitore (da identificare nel luogo che "inerisce ad un semplice rapporto di fatto, che abbia però una certa stabilità e non sia di temporanea ospitalità in casa altrui", cfr. Cass. 14 giugno 1982 n. 3626; Cass. 22 giugno 2001 n. 8591), la prova del diritto sui beni, al di fuori dell'ipotesi espressamente contemplata dalla norma, potrà essere fornita solo documentalmente, con atto di data certa anteriore al pignoramento (Cass. 4 maggio 2006, n. 10287; Cass. 16 giugno 2003, n. 9627; Cass. 16 novembre 2000, n. 14873; Trib. Benevento 26 marzo 2008).

Stante la stringente limitazione probatoria prevista dall'art. 621 c.p.c., risulta dunque molto importante, dal punto di vista operativo, individuare la parte sulla quale incombe l'onere di dimostrare se il pignoramento sia avvenuto o meno in un luogo identificabile come "casa del debitore", e determinare a chi spetti provare la titolarità dei beni. Inoltre, occorre stabilire se l'art. 621 c.p.c. debba trovare applicazione nell'ipotesi in cui il pignoramento sia avvenuto in un luogo identificabile sì come casa del debitore, ma che sia allo stesso tempo luogo riconducibile anche al terzo opponente, e sia dunque - per così dire - anche "casa del terzo".

Ripartizione dell'onere della prova sulla c.d. casa del debitore

Occorre dunque anzitutto stabilire se spetta al creditore procedente, contro cui viene proposta l'opposizione, dimostrare che il pignoramento è avvenuto nella c.d. casa del debitore, ovvero al terzo opponente provare che tale luogo è privo di ogni stabile rapporto di fatto con il debitore.

La risposta a tale quesito è fornita dalla costante giurisprudenza: spetta al terzo l'onere di dimostrare che il luogo del pignoramento non è riconducibile (nel senso voluto dall'art. 621 c.p.c.) al debitore. In tal senso, cfr. Cass. 12 marzo 2005, n. 5467; Trib. Catania Sez. VI, 18 gennaio 2006, delle quali infra sono riportate le massime.

Tale criterio è in effetti condivisibile, anche solo considerando che frequentemente il creditore non conosce l'organizzazione del proprio debitore, che anzi spesso si fa purtroppo inseguire, e che dunque sarebbe per lo più impossibile (o "diabolico") per il creditore fornire la dimostrazione di ciò che attiene alla sfera di uno sfuggente debitore. L'ordinamento, in altri termini, grava il terzo opponente dell'onere della prova, probabilmente allo scopo di evitare l'insorgere di accordi più o meno espliciti con il debitore, al fine di consentire a quest'ultimo di sottrarsi all'azione esecutiva.

Ma esattamente, che cosa deve provare il terzo, per evitare di incorrere nelle stringenti limitazioni ex art. 621 c.p.c.? Ossia: è sufficiente che il terzo dia la dimostrazione della circostanza che il luogo del pignoramento è a sé riconducibile, oppure occorre qualcosa di più?

Frequentemente, accade che il debitore condivida un immobile (una "casa") con altre persone: ciò può comunemente avvenire in ipotesi di semplice convivenza tra persone fisiche, o di condivisione di un'unica sede tra persone giuridiche.

Ebbene, in una tale eventualità, al terzo opponente e convivente non sarà affatto sufficiente dimostrare che il pignoramento è avvenuto in luogo a sé inerente. In simili ipotesi, infatti, la giurisprudenza è concorde nel ritenere che:

"L'espressione <casa del debitore>, usata dall'art. 621 c.p.c. per stabilire i limiti della prova testimoniale nel giudizio di opposizione all'esecuzione promosso dal terzo che pretende di avere la proprietà sui beni pignorati in quel luogo, inerisce ad un semplice rapporto di fatto, che abbia però una certa stabilità e non sia di temporanea ospitalità in casa altrui; conseguentemente, qualora in una casa convivano più persone, tutti i beni ivi esistenti possono essere pignorati per il debito di ciascuno, salvo il diritto dei conviventi non debitori di proporre opposizione a norma dell'art. 619 c. p. c. e con le limitazioni di prova stabilite dal cit. art. 621, ancorché l'opponente sia un parente" (Cass. 14 giugno 1982, n. 3626).

E ancora:

Trib. Benevento, 26 marzo 2008: "In tema di opposizione di terzo avverso l'esecuzione mobiliare, avente ad oggetto beni pignorati presso l'abitazione del debitore, i soggetti conviventi con il debitore medesimo, se sono esonerati, in ragione del rapporto di coabitazione, dalla dimostrazione dell'affidamento di quei beni all'esecutato per un titolo diverso dalla proprietà, restano gravati, a norma dell'art. 621 c.p.c., ed al pari di ogni altro terzo opponente, dall'onere di provare documentalmente, con scrittura di data certa anteriore al pignoramento, l'acquisto del diritto dominicale sui beni stessi. E, invero, all'infuori dell'ipotesi espressamente contemplata dalla citata norma (verosimiglianza del preteso diritto in relazione alla professione esercita dal terzo o dal debitore) il terzo convivente con il debitore non può fornire per testimoni la prova idonea a superare la presunzione di appartenenza al debitore dei beni staggiti presso la sua abitazione, nemmeno invocando la deroga al divieto di prova testimoniale fissata dall'art. 2724, n. 2, c.c., (impossibilità materiale o morale di procurarsi la prova scritta), il quale non opera nel rapporto tra creditore procedente e terzo opponente, specificamente regolato dal menzionato art. 621 c.p.c.";
Cass. 18 gennaio 2002, n. 539: "In caso di opposizione di terzo avverso il pignoramento eseguito contro una società (nella specie, a r.l.), quando detto atto esecutivo venga effettuato in un luogo che oltre ad essere la residenza del terzo sia anche luogo di appartenenza della società debitrice, che ivi svolga la sua normale attività amministrativa con l'arredo di ufficio indispensabile, non merita censura in sede di legittimità la valutazione del giudice di merito che, in virtù dello stabile rapporto di fatto tra il debitore e detto luogo di sua appartenenza in comune con altri, ritenga sussistente la condizione di proprietà, in capo allo stesso debitore, di quei beni per i quali il diritto, oltre che conclamato dalla presunzione di possesso, è reso altresì verosimile dalla reale destinazione all'attività esercitata."
Il terzo opponente dovrà dunque fornire la più pregnante prova del fatto che il debitore, con il luogo del pignoramento, non ha alcun legame, perché esso è di sua esclusiva inerenza.

Da segnalare, comunque, che con ogni probabilità ad attenuare la posizione del terzo sta la possibilità di considerare "casa" (sempre intesa come luogo di fatto inerente ad una parte) anche una sola porzione di un immobile: il terzo ben potrebbe dare la prova, dunque, che il debitore usufruiva di un'unica e sola stanza all'interno di un più ampio appartamento, e che il pignoramento è avvenuto all'infuori di essa.

Insomma, per concludere sul punto, è da osservare che la posizione del terzo opponente non è affatto semplice, e ciò vieppiù considerando che, quand'anche esso riesca ad evitare l'applicazione dell'art. 621 c.p.c., le difficoltà non saranno di certo finite.

Ripartizione dell'onere della prova sulla titolarità dei beni pignorati

Una volta chiarito quale sia la parte su cui grava l'onere della prova circa la qualificazione del luogo del pignoramento, occorre chiedersi a chi spetti dimostrare la titolarità dei beni pignorati, e ciò tanto nell'ipotesi in cui l'esecuzione sia avvenuta nella casa del debitore quanto nell'opposta eventualità.

Evidentemente, nel primo caso possono sorgere pochi dubbi, attesa la previsione dell'art. 621 c.p.c., che espressamente pone a carico del terzo, limitando i mezzi istruttori consentiti, l'onere di dimostrare il diritto fatto valere sul bene.

Viceversa, l'ipotesi in cui il terzo dimostri che il pignoramento non è avvenuto in luogo qualificabile come casa del debitore può dar luogo a qualche dubbio, che però merita di essere velocemente fugato.

Ed infatti, l'art. 621 c.p.c. dispone unicamente che il terzo opponente non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati nella casa del debitore: dalla norma si ricava, quindi, a contrario, che, in caso di pignoramento non eseguito in tale luogo, l'opponente non soggiace più alle limitazioni di prova indicate nell'art. 621 c.p.c., fermo restando che la prova, pur senza tali limitazioni, e, quindi, anche con testimoni o per presunzioni, deve comunque vertere sulla proprietà dei beni pignorati, e di ciò debba essere gravato il terzo opponente.

In termini:

Cass. 12 marzo 2005, n. 5467: "Nel caso in cui il pignoramento non sia avvenuto nella casa o nell'azienda del debitore, il terzo opponente che dia la dimostrazione di tale circostanza è comunque onerato della prova di un suo diritto sul bene, prevalente rispetto a quello fatto valere dal creditore procedente. Tale prova non soggiace tuttavia alle limitazioni poste dall'art. 621 c. p. c. e può quindi essere data anche a mezzo di testimoni o di presunzioni";
Cass. 24 giugno 1997, n. 5636: "Nell'opposizione all'esecuzione proposta dal terzo, ai sensi dell'art. 619 c.p.c., i limiti alla prova testimoniali, indicati dal successivo art. 621, hanno riguardo alla sola ipotesi in cui i beni mobili siano stati pignorati nella casa del debitore, così che, in mancanza di tale condizione, la prova della proprietà potrà essere fornita dall'opponente con ogni mezzo, ivi comprese le presunzioni";
Trib. Catania 18 gennaio 2006: "Nell'opposizione alla esecuzione proposta dal terzo, la dimostrazione da parte del terzo opponente che il pignoramento sia stato eseguito in luogo non appartenente al debitore fa venir meno la presunzione di appartenenza al debitore dei beni mobili pignorati di cui all'art. 513 c.p.c., ma non esonera il terzo dall'onere dell'ulteriore prova (che in questo caso può essere fornita con ogni mezzo, senza i limiti probatori di cui all'art. 621 c.p.c.) dell'esistenza di un suo diritto reale sui beni medesimi, il cui accertamento costituisce l'oggetto necessario dell'azione in parola".
Tale conclusione appare essere quella seguita dalla giurisprudenza maggioritaria.

Da registrare, comunque, l'esistenza di un orientamento contrario, cui sembrerebbe aderire anche il Tribunale di Milano con la decisione in commento, che tuttavia appare superato dalla più recente giurisprudenza. Secondo infatti Cass. 20 febbraio 1987, n. 4616: "La presunzione iuris tantum di appartenenza al debitore dei beni pignorati, opera solo se ed in quanto i beni siano rinvenuti nella casa di abitazione dello stesso; pertanto, quando in sede di opposizione di terzo all'esecuzione, risulti che il luogo in cui essi sono stati staggiti non è la casa del debitore, spetta al creditore che intende insistere nell'esecuzione provarne specificamente l'appartenenza al debitore".

Detta decisione, tuttavia, si limita ad enunciare apoditticamente il principio di diritto, senza argomentare sul punto.

Vai alla sentenza del Tribunale di Milano, Sez. III, 14/06 - 05/07/2010 n. 8831

Autore: Avv. Filippo Scornajenghi