Clausola penale e disciplina del contratto. Accessorietà, oggetto, imputabilità dell'inadempimento

 
Omessi note e riferimenti bibliografici, queste  pagine  sono  parte di  capitolo di  un volume collettaneo (A.Cecchini, M. Costanza, M.Franzoni, A.Gentili, F.Roselli ,G.Vettori: Gli effetti del contratto, Torino, 2002, 578) che è il 5° dei tomi dedicati alla disciplina generale del  contratto nel Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone e  in corso di pubblicazione presso la casa editrice Giappichelli.

Le espressioni «clausola» e «contraenti», contenute nell’art. 1382 c.c., fanno pensare che la pattuizione della penale possa accedere soltanto ad un contratto. Non solo perciò la clausola penale servirebbe a rafforzare le obbligazioni civili ma essa si riferirebbe soltanto a quelle pattizie. Su questo punto però le opinioni non concordano.
Secondo alcuni le espressioni letterali riportate non sarebbero decisive e comunque l’analogia permetterebbe di riferire l’art. 1382 c.c. alle obbligazioni extracontrattuali, come pure al patto d’opzione .
Altri ritiene che la clausola possa accedere soltanto ad un contratto, al massimo ammettendo che, se questo è nullo, la penale possa essere dovuta per la responsabilità precontrattuale (art. 1338 c.c.) . Si nega in particolare che presupposto della clausola possa essere un’obbligazione risarcitoria ex art. 2043 c.c.: se infatti questa già esiste e viene concluso un negozio che fissa un termine e stabilisce una penale, si tratta di un contratto modificativo . Anche l’esempio, addotto di solito, della persona che, in procinto di svolgere un’attività pericolosa, promette una penale per i danni che potrà arrecare , fa dubitare che l’eventuale obbligazione risarcitoria nasca dall’art. 2043 c.c. e non piuttosto dal tacito impegno di non arrecare danno, assunto in corrispettivo della tolleranza dell’attività pericolosa; impegno contrattuale dunque.
L’individuazione di una propria funzione economico-sociale, vale a dire di una causa, della clausola penale permette di considerarla come un contratto distinto rispetto a quello a cui accede, e che a sua volta può essere caratterizzato dalle cause più diverse . La necessità del contratto, o quanto meno del l’obbligazione, principale, conserva tuttavia il carattere di accessorietà della clausola, con la conseguenza che la nullità dell’obbligazione principale rende nulla, per difetto di causa, la clausola, la quale non può neppure operare in difetto del presupposto, ossia dell’inadempimento dell’obbligazione principale Né la clausola può sopravvivere quando il rapporto obbligatorio sia rimasto privo di effetto per il mancato avveramento della condizione a cui era subordinato.
La clausola non può essere considerata come patto aggiunto al contenuto del documento contrattuale, onde non vale il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 2722 c.c.
L’art. 1210 c.c. del 1865 stabiliva non solo la nullità della clausola penale per nullità dell’obbligazione principale (c. 1°) ma anche la sopravvivenza dell’obbligazione principale alla nullità della clausola (c. 2°). Secondo alcuni questa seconda disposizione non è stata riprodotta nel codice del 1942 perché superflua, ossia perché l’ininfluenza dell’elemento accessorio su quello principale discende già dai principi. Ad altri questa conclusione non sembra valida in ogni caso, dovendosi valutare, in applicazione analogica dell’art. 1419 c.c., se il creditore avrebbe concluso il contratto principale anche in difetto della penale, ossia senza una garanzia di effettività dell’impegno assunto dal debitore
Quanto alla forma, la natura accessoria della clausola indurrebbe a credere che la prescrizione legale di forma solenne per il contratto principale debba valere anche per la pattuizione accessoria. Ma qui prevale l’autonomia della causa, alla quale è legata la forma: la forma ad substantiam è giustificata dalla funzione del negozio giuridico onde non si estende alle clausole non riferibili a quella funzione. Libertà di forma per la clausola penale, dunque, salva diversa e specifica disposizione di legge, come nel caso in cui gli interessi vengano previsti in misura superiore al tasso legale (art. 1284, c. 3°, c.c.).
L’art. 1218 c.c. connette l’obbligo di risarcire il danno all’inadempimento, o al ritardo nell’adempimento, imputabile al debitore. Che poi l’irrogazione di una qualsiasi sanzione, non soltanto penale, presupponga un illecito imputabile è affermazione che discende dai principi generali del diritto punitivo, a loro volta subordinati al principio costituzionale di ragionevolezza . Pertanto, sia che vogliasi attribuire alla clausola penale una funzione risarcitoria sia una funzione punitiva, essa non può operare se non in conseguenza di una inadempimento imputabile .
Se la previsione di una sanzione per fatto non imputabile, la cui legittimità è stata pure sostenuta in tempo non recente, è contraria al principio costituzionale ora detto, si ritiene tuttavia valida una clausola contrattuale che imponga un effetto sfavorevole al debitore inadempiente, o in ritardo nell’adempimento, ancorché non versante in colpa: si tratta però, in tal caso, di clausola atipica di assunzione di rischio e non di clausola penale. Così, ad esempio, quando un contratto d’appalto preveda il pagamento immediato del prezzo anche per lavori ritardati per forza maggiore.
Da tutto ciò discende che la pena è dovuta quando l’inadempimento derivi dal mancato conseguimento di un’autorizzazione amministrativa, tuttavia prevedibile dal debitore , ma non è dovuta quando questi possa opporre al creditore l’exceptio inadimpleti contractus.
In relazione alla possibilità che l’ammontare della pena pattizia risulti inferiore al danno effettivo alcuni autori ne escludono l’efficacia nel caso in cui l’inadempimento sia dovuto a dolo o colpa grave.


Poiché l’art. 1382 c.c. designa l’oggetto della clausola penale in una «determinata prestazione», prevale la tesi che riconduce a questa generica espressione non soltanto il pagamento di una somma di denaro ma anche prestazioni di dare o di fare, purché determinate o determinabili, ed anche l’estinzione di un debito, o, ancora, la compensazione con importo dovuto ad altro titolo. Nel caso in cui tanto la prestazione principale quanto la penale consistano nel pagamento di una somma di denaro, occorre distinguere:

A) Se viene ritardata la prestazione principale, il risarcimento del danno è costituito dalla penale, che può essere stata pattuita anche in misura proporzionale ai giorni di ritardo . Se è stata convenuta anche la risarcibilità del danno ulteriore ai sensi del c. 1° dell’art. 1382 c.c., il debitore inadempiente dovrà pagare gli interessi di mora ed eventualmente il maggior danno (art. 1224 c.c.), ma non nel loro intero ammontare (data l’impossibilità di cumulare penale e risarcimento integrale: vedi supra, § 2) bensì nella differenza tra l’ammontare di questo e la penale
Questa può consistere anche nel pagamento di interessi inferiori al tasso legale , ma se la sua misura risulti irrisoria può essere nulla in quanto idonea ad escludere o a limitare la responsabilità del debitore per dolo o per colpa grave (art. 1229 c.c.)

B) Se viene ritardato il pagamento della penale, essa non è rivalutabile poiché costituisce debito di valuta; né ciò contrasta con la sua finalità risarcitoria, che è propria anche degli interessi moratori, pur essi oggetto di un debito di valuta . Tuttavia sono dovuti gli interessi e l’eventuale maggior danno ai sensi dell’art. 1224 , il quale si applica in luogo dell’art. 429 c.p.c. se la penale si riferisca ad un credito di lavoro . Gli interessi sulla penale, moratori e non compensativi, sono dovuti dal momento della domanda .
La penale può consistere anche nel trasferimento del diritto su una cosa (clausola con effetto reale), né a ciò è d’ostacolo il potere di riduzione attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c.: di fronte all’impossibilità di esercitare questo potere per l’indivisibilità della cosa, il giudice può disapplicare la clausola eccessiva ed applicare le norme codicistiche sul risarcimento del danno . L’invalidità della clausola con effetto reale può piuttosto derivare dalla violazione del divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.  Nel diritto tedesco, se il creditore ottiene la penale non pecuniaria, non può pretendere l’ulteriore risarcimento (§ 342 BGB).

Penale per il ritardo nell’inadempimento (pena moratoria)

La clausola penale può riferirsi all’inadempimento ritardato oppure a quello definitivo. Per il regime degli interessi sulla somma dovuta a titolo di penale si rinvia al § precedente.
Qualora la penale sia prevista insieme ad un termine non essenziale di adempimento dell’obbligazione principale, essa è dovuta se il superamento del termine superi i limiti della normale tolleranza oppure vi sia stata diffida ad adempiere .
Nonostante un remoto precedente contrario, la giurisprudenza è attualmente orientata nel senso di non richiedere la costituzione in mora per la nascita del diritto alla penale, in ciò trovando l’adesione di tutta la dottrina, la quale tuttavia non esclude che l’indugio del creditore nel pretendere possa equivalere a tolleranza . È possibile che al ritardo segua l’inadempimento definitivo ed in tal caso alla penale per il ritardo potrà aggiungersi quella per l’inadempimento definitivo, se prevista, oppure il risarcimento del danno ulteriore. È vero anche l’inverso: stipulata la penale per l’inadempimento non definitivo, il creditore può chiedere il risarcimento del danno ulteriore da ritardo.
Nelle obbligazioni di durata la penale può essere chiesta più volte, in conseguenza dei diversi periodi di inadempimento

Divieto di cumulo della prestazione principale con la penale

A norma dell’art. 1383 c.c. il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se questa non è stipulata per il semplice ritardo. In dottrina si è assimilato l’adempimento ritardato a quello inesatto per il modo o per il luogo, in ciò seguendo l’esempio del codice civile tedesco, che nel § 341 permette il cumulo della penale con la prestazione, se questa non è stata eseguita in modo esatto ed in particolare nel tempo debito (nicht in gehöriger Weise, ins besondere nicht zu der bestimmten Zeit) .
Il creditore può chiedere l’adempimento del contratto e, in subordine o successivamente, la penale: la domanda del primo non preclude la domanda della seconda. Non può il creditore, però, proporre entrambe le domande senza graduarle giacché il giudice non può sostituirsi alla parte nella scelta
Ci si chiede se sia vero il contrario, ossia se, chiesta la penale, possa poi chiedersi l’adempimento. Punto di partenza per rispondere al quesito è l’art. 1453, c. 2°, c.c., secondo cui la risoluzione del contratto può essere chiesta quando è stato già chiesto l’adempimento, ma questo non può chiedersi quando si è chiesta la risoluzione. È evidente la ratio legis: fallita la domanda d’adempimento, la parte non inadempiente ben può liberarsi dal proprio debito attraverso la risoluzione, oppure ottenere in restituzione quanto già dato in esecuzione del contratto. Per contro, chiesto lo scioglimento del vincolo contrattuale, il debitore non ha più interesse ad apprestare l’adempimento.
Si conviene che, su tal punto, la situazione di chi chiede la penale sia analoga a quella di chi chiede la risoluzione. Ma, come spesso avviene nelle dispute in diritto, la norma, ossia il capoverso dell’art. 1453 c.c., viene usato da alcuni come argomento a contrario e da altri come argomento per analogia. E così gli uni dicono che, se il problema è stato risolto espressamente per la risoluzione, il silenzio del legislatore sulla clausola penale significa che l’adempimento può essere chiesto anche dopo la domanda della penale . Gli altri sostengono che questa domanda basta a distogliere il debitore dall’eseguire la prestazione onde, adducendo anche ad esempio il § 340 del codice civile tedesco, sostengono che essa precluda la domanda d’adempimento
La domanda di risoluzione del contratto può essere accompagnata da quella di pagamento della penale a titolo di risarcimento del danno, ma l’una non contiene implicitamente l’altra.

Autore: Dott. Federico Roselli
Consigliere della Corte di Cassazione - tratto dal sito: www.ergaomnes.net