IL PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE:

LE PROBLEMATICHE PRATICHE

PIÙ CONTROVERSE

 


Giur. merito 2010, 7-8, 2032

Antonio Valitutti
Magistrato di Cassazione
Sommario:
1. Premessa. 
2. Quando è possibile attivare il procedimento monitorio per il pagamento di somme? - 2.1. Per il pagamento di somme non liquide né esigibili? - 2.2. Per ottenere pronunce costitutive? - 2.3. Per il pagamento della caparra o della clausola penale? - 2.4. Se è stabilito un termine per adempiere? - 2.5. Per il pagamento di interessi e rivalutazione?
3. E per la consegna di cose mobili o di cose fungibili? - 3.1. Per la consegna di un estratto conto dell'Inps o della banca?
4. Qual è la nozione di prova scritta? - 4.1. Sono tali le scritture private non autenticate? - 4.2. E le scritture contabili? - 4.3. E le fatture commerciali? - 4.4. È sindacabile il parere del Consiglio dell'Ordine sulle parcelle professionali?
5. Quale controllo fa il giudice?
6. Quando la domanda va rigettata? - 6.1. È impugnabile il decreto di rigetto?
7. Quando la domanda va accolta? Il creditore può frazionare la domanda?
8. Quali sono i presupposti per ottenere la provvisoria esecuzione? - 8.1. Come va provato il periculum in mora? - 8.2. Qual è la documentazione sottoscritta dal debitore (art. 642 comma 2 c.p.c.)? - 8.3. Quando il decreto può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo in corso di opposizione? - 8.4. Qual è la prova scritta che impedisce la provvisoria esecuzione? - 8.5. Quando l'opposizione è «di pronta soluzione»? - 8.6. È necessario il fumus boni iuris? - 8.7. (segue): basta la prova scritta sufficiente per il decreto? - 8.8. È possibile la provvisoria esecuzione parziale?
9. Quando può essere sospesa la provvisoria esecuzione? - 9.1. È impugnabile l'ordinanza ex art. 649 c.p.c.? - 9.2. Quali sono i «gravi motivi» per ottenere la sospensione? - 9.3. E se in corso di causa viene meno il periculum? - 9.4. È possibile la revoca della provvisoria esecuzione?
10. Bibliografia essenziale.


1. PREMESSA
L'ampia e garantistica cognizione piena, finalizzata all'emissione di un provvedimento idoneo a dirimere la controversia, e perciò ad acquisire l'efficacia preclusiva propria della cosa giudicata sostanziale, ai sensi dell'art. 2909 c.c, una volta esauriti i mezzi di impugnazione previsti dall'ordinamento (giudicato formale ex art. 324 c.p.c.), ha comportato, per l'ordinamento, l'esigenza di assicurare una tutela più rapida di quella offerta dalla cognizione piena, in taluni casi in cui il diritto dell'istante appaia particolarmente evidente, o concorrano specifiche particolari situazioni. A siffatta esigenza, sono dirette a sopperire quelle forme di tutela processsuale connotate dall'incompletezza della cognizione, in quanto non definitiva, o parziale, o superficiale, dando così origine alla tutela sommaria, diretta ad assicurare all'avente diritto una forma di garanzia anticipatoria, certamente più sollecita e tempestiva rispetto a quella ordinaria.
Nell'ambito della tutela sommaria, un ruolo di rilievo è svolto dal procedimento monitorio, connotato da una cognizione sommaria per parzialità e non definitività. Per vero, il possesso di una prova scritta consente al creditore di una somma di denaro o di una cosa mobile, o di una determinata quantità di cose fungibili, di ottenere un provvedimento di ingiunzione inaudita altera parte, salvo opposizione ad opera dell'intimato in un termine perentorio previsto dalla legge.
Alla pronuncia del decreto, pertanto, il giudicante si indurrà sulla base dell'esame delle sole ragioni addotte, peraltro in forma documentale, dalla sola parte intimante. Per di più, la mancanza di un'opposizione da parte del debitore o l'estinzione del relativo giudizio, al pari del rigetto dell'opposizione con sentenza passata in giudicato, comporta l'acquisto della definitività del decreto; come si evince, in special modo, dal disposto dell'art. 656 c.p.c., laddove stabilisce che il decreto ingiuntivo non opposto è impugnabile per revocazione, anche ai sensi dell'art. 395 n. 5 c.p.c., ossia per contrasto di giudicati. Se ne deve, quindi, logicamente desumere che l'ingiunzione non contestata - né con l'apposita opposizione, né con il rimedio in parola - acquisti, in pratica, l'autorità della cosa giudicata sostanziale in relazione al credito del ricorrente.
In ultima analisi può ritenersi, dunque, che la specialità dell'azione ingiuntiva sia radicata nella struttura stessa del procedimento: nel precipuo senso che l'azione di condanna proposta dal creditore istante è esercitata con forme speciali, laddove nessun carattere di specialità presenta il provvedimento finale, la cui funzione, invero, non differisce affatto da quella propria della sentenza emessa all'esito di un giudizio ordinario.
 
2. QUANDO È POSSIBILE ATTIVARE IL PROCEDIMENTO MONITORIO PER IL PAGAMENTO DI SOMME?
2.1. Per il pagamento di somme non liquide né esigibili?
Al quesito va data risposta decisamente negativa. Ed invero, ponendo attenzione all'ipotesi più ricorrente nella prassi, ossia quella in cui la domanda di ingiunzione abbia ad oggetto il diritto di credito al pagamento di una somma di denaro, va osservato che detta somma deve essere liquida ed esigibile. Sotto un primo profilo, concernente la liquidità, il codice postula, infatti, per l'espressa previsione di cui al comma 1 dell'art. 633 c.p.c., che la somma di denaro sia esattamente determinata nel suo ammontare, senza alcuna possibilità di procedere a calcoli o aggiunte di sorta. Per di più il requisito in esame - in coerenza con la natura sommaria e documentale del procedimento - deve, non solo esistere, ma essere altresì documentalmente provato, al momento in cui il procedimento si instaura con il deposito del ricorso. L'esigenza che il quantum sia esattamente determinato comporta, d'altro canto, l'inammissibilità di un'istanza di provvedimento monitorio con la quale si chieda, genericamente, la condanna dell'asserito debitore al risarcimento dei danni (Garbagnati, 37).
2.2. Per ottenere pronunce costitutive?
Né, tanto meno, sarebbe in ipotesi concepibile una tutela del diritto del ricorrente non esperibile in via diretta, ma per il tramite di una decisione sul rapporto obbligatorio: come nell'ipotesi in cui il credito in denaro, o la restituzione di una cosa mobile, dipendano da una pronuncia di risoluzione del contratto. È, infatti, di chiara evidenza che in tal caso il diritto in questione non viene ad esistenza se non con la pronuncia di risoluzione; epperò detta pronuncia, in quanto avente natura costitutiva e non di mera condanna, non può trovare ingresso in sede monitoria. Per il che deve ritenersi, ad esempio, inibito al compratore di ottenere, con decreto ingiuntivo, la restituzione del prezzo pagato al venditore inadempiente, attesa la conseguenzialità di tale pronuncia di condanna - ex art. 1458 c.c. - a quella costitutiva di risoluzione della compravendita (Balbi, 5).
2.3. Per il pagamento della caparra o della clausola penale?
Viceversa, il ricorso alla procedura monitoria è da ritenersi senz'altro ammissibile qualora il risarcimento del danno sia agevolmente determinabile sulla base delle previsioni contrattuali, come nelle ipotesi di caparra confirmatoria o penitenziale, ovvero in quella della clausola penale, quando il credito dipenda dall'esercizio di un diritto potestativo del ricorrente (come per la clausola risolutiva espressa prevista dall'art. 1456 c.c.) (Trib. Milano 9 febbraio 1981, in Giur.it., 1981, I, 2, 417). Nelle fattispecie menzionate, infatti, il diritto di credito non è soggetto a previa pronuncia giudiziale, né in ordine alla risoluzione del rapporto, né in ordine alla determinazione del quantum. Il credito vantato dal ricorrente deve essere, poi, esigibile. In verità la legge non richiama espressamente il requisito in parola, la cui necessarietà, ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, è, però, da ritenersi implicitamente contenuta nel comma 2 dell'art. 633 c.p., laddove la norma esclude l'efficacia del provvedimento monitorio qualora il diritto azionato dipenda da una condizione sospensiva non verificatasi, ovvero da una controprestazione (artt. 1453, 1460 c.c.) non ancora adempiuta (Cass. 2 maggio 1987, n. 4125).
2.4. Se è stabilito un termine per adempiere?
La necessità che l'ingiunzione si riferisca ad un credito scaduto ha, poi, reso problematica l'applicabilità dell'art. 633 c.p.c. nel caso di previsione di un termine in favore del debitore. In verità il problema non si pone neppure nell'ipotesi in cui non vi sia fissazione di un termine di adempimento, ben potendo il creditore esigere immediatamente la prestazione, a norma dell'art. 1183 c.c.. Analogamente l'ingiunzione potrà essere richiesta, prima della scadenza del termine, allorquando quest'ultimo sia stabilito a esclusivamente a favore del creditore, stante il disposto dell'art. 1185 c.c. Se, invece, il termine è stato previsto a favore del debitore - ed in tal senso soccorre la presunzione relativa di cui all'art. 1184 c.c. - il debitore medesimo potrà attendere, per adempiere, fino alla scadenza di esso, mentre il creditore non potrà prima di questa esigere la prestazione. Tuttavia, non c'è ragione di dubitare della possibilità di fare ricorso al procedimento in questione, laddove la decadenza dell'intimato dal beneficio del termine, per i motivi tassativamente indicati dall'art. 1186 c.c., sia comprovata dal creditore con idoneo atto scritto. È chiaro, infatti, che in tale ipotesi deve in concreto ritenersi sussistente il requisito dell'esigibilità del credito, attesa l'anticipata scadenza dell'obbligazione ai sensi della norma sopra richiamata (Cass. 17 marzo 1978, n. 1343; Cass. 8 maggio 2003, n. 6984).
2.5. Per il pagamento di interessi e rivalutazione?
La necessaria predeterminazione dell'entità del credito, imposta dalla previsione legislativa del requisito della liquidità, e la conseguente impossibilità di far luogo - in sede di emissione del decreto ingiuntivo - ad una condanna al risarcimento di danni che non siano stati preventivamente quantificati dalle parti, hanno provocato un ampio dibattito sull'ammissibilità della condanna del debitore ingiunto, oltre che alla sorta capitale, anche agli accessori del credito azionato. Nessuna questione può evidentemente porsi per quanto concerne gli interessi, la cui misura o è determinata in via generale dalla legge, oppure, qualora sia stabilita dalle parti in misura maggiore a quella legale, deve risultare da pattuizione stipulata per iscritto ex art. 1284 c.c.; in caso contrario gli interessi sono dovuti al tasso legale ed in tale misura, pertanto, devono essere liquidati nel provvedimento monitorio. Per converso, è di tutta evidenza che il risarcimento del maggior danno derivante dalla svalutazione monetaria richiede una più complessa indagine probatoria, incompatibile con la struttura e la funzione del procedimento monitorio in senso stretto. In realtà, la tesi che sostiene la possibilità, per il giudice della fase monitoria, di emettere condanna anche per la svalutazione del credito, appare fondata sul rilievo - superato dalla più recente giurisprudenza di legittimità - della notorietà del fenomeno inflattivo, produttivo di un danno - la cui dimostrazione sarebbe in re ipsa - quantificabile nella misura minima risultante, quanto meno, dagli indici ufficiali dell'Istat. Attraverso il riferimento ai suddetti dati ufficiali sarebbe, di conseguenza, risolto il problema della mancanza di liquidità del credito, sotto il profilo relativo all'accessorio in discussione (Trib. Milano 16 febbraio 1979, in Giur. it., 1979, I, 2, 406; Trib. Milano 5 giugno 1980, in Giur. it., 1980, I, 2, 645).Tale impostazione non può essere condivisa. La giurisprudenza prevalente ha, infatti, chiarito che il danno da svalutazione monetaria non va riconosciuto automaticamente sulla base dell'inflazione invocata in giudizio come fatto notorio, né può tradursi nell'indiscriminata applicazione di dati fissi, quali quelli desumibili dall'Istat, ma deve essere valutato caso per caso, in relazione agli elementi «personalizzati» (ossia in riferimento alle qualità e condizioni della categoria cui appartiene il creditore), forniti in giudizio dallo stesso interessato (Cass. 16 luglio 2003 n. 11120; Cass. 10 novembre 2009, n. 23744). Uniformandosi, quindi, al generale indirizzo summenzionato, la giurisprudenza, con specifico riferimento al problema della rivalutazione dei crediti nella fase monitoria, ha recentemente escluso che il giudice del decreto possa pronunciare condanna anche in ordine alla rivalutazione del credito dovuto dal debitore ingiunto, potendo, tuttavia, tale accessorio del credito essere richiesto nel giudizio di cognizione instaurato con l'opposizione, senza peraltro che il momento della sua proposizione incida su quello dell'insorgenza del relativo diritto, che resta quello del verificatosi inadempimento (Cass. 17 maggio 2001, n. 6757; Cass. 8 gennaio 2010, n. 75).
 
3. E PER LA CONSEGNA DI COSE MOBILI O DI COSE FUNGIBILI?
Il decreto ingiuntivo, oltre che per il pagamento di una somma di danaro liquida ed esigibile, può essere chiesto ed ottenuto - a norma dell'art. 633 c.p.c. - anche per la consegna di una cosa mobile determinata, o di una determinata quantità di cose fungibili. Quanto al primo requisito, è del tutto pacifico che il termine «consegna» deve essere riferito alle sole prestazioni di dare che costituiscono il contenuto di un rapporto obbligatorio. Di conseguenza, è da ritenersi inammissibile l'esercizio dell'azione di rivendica di una cosa mobile nelle forme del procedimento d'ingiunzione, non essendo la procedura in questione finalizzata alla tutela del diritto di proprietà o di altri diritti reali (Cass. 18 novembre 1974, n. 3690, in Foro it., 1975, I, 595). Per contro, è da considerarsi perfettamente ammissibile, per i motivi esposti, l'emissione di un decreto ingiuntivo per la restituzione di una cosa mobile, costituente oggetto dell'esercizio di un'azione di restituzione di carattere personale (Cass. 26 novembre 1991, n. 12654; Cass. 22 marzo 2006, n. 6322, relative alla restituzione, mediante decreto ingiuntivo, del bene oggetto di un contratto di vendita con riserva di proprietà, nei confronti dell'acquirente inadempiente).
3.1. Per la consegna di un estratto conto dell'Inps o della banca?
Al contrario, dallo stesso tenore letterale dell'art. 633 c.p.c. deriva, in modo inequivoco, l'inammissibilità di un procedimento monitorio a tutela del diritto al rilascio di un immobile, ovvero per ottenere l'esecuzione di un obbligo di fare o di non fare. Nondimeno, si è affermata - in giurisprudenza - l'ammissibilità del decreto ingiuntivo, in caso di inerzia dell'INPS nel rilasciare l'estratto conto a norma dell'art. 54 l. 9 marzo 1989, n. 88, allo scopo di ottenere la condanna dell'ente all'immediata consegna del documento in questione, attestante i dati contributivi e retributivi ai fini del calcolo pensionistico (Pret. Bari 27 novembre 1990, in Foro it., 1991, I, 958). Nella specie si è, invero, ritenuto che l'estratto conto menzionato costituisse cosa mobile, al cui rilascio l'ente era tenuto in forza di un rapporto obbligatorio instaurato direttamente dalla legge. Analogamente, in materia fallimentare, si è ritenuto che il curatore del fallimento possa fare ricorso al procedimento monitorio, al fine di ottenere copia degli estratti conto relativi ai rapporti intrattenuti con gli istituti di credito dall'impresa fallita (Trib. Milano 21 giugno 1996, in Foro it., 1996, I, 3200). Le decisioni da ultimo menzionate hanno evidentemente sottovalutato la necessità che il documento in questione (estratto conto dell'INPS o della banca) debba essere preventivamente formato all'esito di una complessa attività ricognitiva; perciò la consegna della cosa non può che presupporre - nella fattispecie in esame - un'obbligazione di facere del debitore. Ma vi è di più. In queste ipotesi appare evidente che il procedimento per ingiunzione non viene attivato al fine di conseguire - in forme più semplici e rapide - la condanna alla consegna di un cosa o al pagamento di una somma di denaro, bensì al precipuo scopo di ottenere il rilascio di una prova documentale, da utilizzare poi in procedimenti diversi da quello monitorio. È chiaro, infatti, che l'eventuale opposizione del debitore non potrebbe avere mai ad oggetto le singole poste contabili dell'estratto, ma soltanto il diritto dell'istante all'esibizione del documento. Per il che il decreto ingiuntivo verrebbe, in buona sostanza, a concretare un mezzo per ottenere surrettiziamente un ordine di esibizione (art. 210 c.p.c.) con decreto - anziché con ordinanza, ossia sentite le parti (ex artt. 134 e 186 c.p.c.) - in violazione di quanto dispone l'art. 176 c.p.c. per tutti i provvedimenti istruttori.
Da ultimo si è ribadita, peraltro, da una recentissima pronuncia (Trib. Patti, sez. distaccata di S. Agata di Militello 21 aprile 2010, est. Bonfiglio, inedita), l'ammissibilità dell'emissione di ingiunzione per ottenere la consegna di estratti conto bancari, facendo leva - in motivazione - sia sull'obbligo per la banca di consegnare al correntista la documentazione inerente al rapporto, ai sensi dell'art. 119 d.lg. n. 385 del 1993, sia sulla ritenuta natura strumentale alla consegna dell'attività di ricerca, elaborazione e stampa dei dati contabili richiesti. E, tuttavia, la decisione non si fa carico in alcun modo dei suesposti problemi di ordine processuale che inducono, pertanto, a mantenere invariata l'opinione negativa.
 
4. QUAL È LA NOZIONE DI PROVA SCRITTA?
La ratio della particolare disciplina dei diritti che possono essere azionati con il procedimento in esame - come già cennato - risiede nella sussistenza di due fondamentali presupposti, rappresentati dalla forte probabilità di esistenza del credito ed, al contempo, dalla possibilità di un rapido riscontro della fondatezza della domanda: l'uno e l'altro ancorati al fatto che la prova del diritto è documentale. Premesso che il riferimento alla prova comporta un vero e proprio giudizio circa l'idoneità del documento a rappresentare con evidenza il fatto costitutivo della domanda, il problema principale concerne, a questo punto, l'individuazione dell'ambito di cognizione del giudice, in sede di emissione del decreto ingiuntivo. E tanto in forza della più ampia conformazione normativa del concetto di prova scritta, rispetto alla nozione adottata nel processo ordinario di cognizione. Invero - secondo un indirizzo ampiamente consolidato - nel procedimento monitorio la prova scritta può essere costituita da qualsiasi documento, pur se privo dell'efficacia probatoria assoluta di cui agli artt. 2700 e 2702 c.c., e pur se non fornisca la prova piena dell'esistenza del diritto ivi menzionato, dal momento che è possibile al creditore integrare - nel successivo giudizio di opposizione e con efficacia retroattiva - le prove già fornite in sede di procedimento monitorio (Cass. 14 marzo 1995, n. 2924; Cass. 9 ottobre 2000, n. 13429; Cass. 24 luglio 2000, n. 9685).
4.1. Sono tali le scritture private non autenticate?
Ebbene, il primo problema pratico che pone la nozione di prova scritta nel procedimento monitorio concerne, com'è ovvio, la stessa autenticità della scrittura posta a fondamento della domanda di emissione del decreto ingiuntivo. Nulla quaestio per l'atto pubblico - nei limiti in cui l'art. 2700 c.c. attribuisce fede privilegiata a tale documento - o per la scrittura privata già autenticata, ai sensi dell'art. 2703 c.c. Ma per la scrittura con firma apposta non previamente autenticata o verificata giudizialmente, la mancanza di un contraddittorio tra le parti si traduce nell'impossibilità di un riconoscimento tacito o di un disconoscimento, nelle forme di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. La regola dovrebbe essere, dunque, che alle sole scritture con sottoscrizione previamente autenticata andrebbe riconosciuta l'efficacia di prova scritta nel procedimento di ingiunzione. Tuttavia, a diversa conclusione non può non indurre il disposto dell'art. 634 comma 1 c.p.c., che introduce un'espressa evidente deroga alla suindicata disciplina. Per cui l'impossibilità - derivante dall'assenza di un preventivo contraddittorio - di garantire l'operatività del meccanismo di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c., non comporta l'inutilizzabilità del documento, essendo, per converso, rimessa al giudice dell'ingiunzione la valutazione circa l'autenticità del medesimo alla stregua delle regole di comune esperienza., prescindendo dagli effetti legalmente previsti nei procedimenti a contraddittorio pieno. Si suole fare, al riguardo, l'ipotesi di uno scritto a firma illeggibile, o quella della sottoscrizione palesemente apposta da persone diverse su scritture attribuite tutte al debitore; evidenziandosi la totale mancanza di autenticità del documento in entrambe (Garbagnati). È fin troppo evidente, peraltro, che nessuna valenza probatoria potrebbe essere, a fortiori, riconosciuta alla scrittura non sottoscritta dal presunto debitore, da ritenersi ontologicamente inesistente come fonte di prova (Garbagnati; Cass. 26 gennaio 1987, n. 720; Cass. 24 gennaio 1995, n. 801).
Il documento deve contenere, inoltre, un qualche elemento probatorio in ordine all'esistenza del diritto del ricorrente. Il problema, ovviamente, non si pone nel caso in cui l'atto racchiuda una dichiarazione confessoria dell'obbligato, o una promessa di pagamentoex art. 1988 c.c., o anche una ricognizione o rinnovazione ai sensi dell'art. 2720 c.c., beninteso qualora il documento originale, del quale la ricognizione comprova l'esistenza ed il contenuto, contenga la dimostrazione del diritto del ricorrente. È chiaro, infatti, che nei casi suindicati la scrittura è idonea a fornire la prova diretta del credito azionato. Più problematico è, invece, il caso in cui dal documento non possa desumersi alcun elemento probatorio diretto. Nondimeno, non si ravvisano ragioni decisive per disattendere l'indirizzo, di gran lunga maggioritario, secondo cui è sufficiente che dall'atto possa desumersi anche una prova indiretta o critica: nel senso che il fatto rappresentato - documentalmente certo - debba essere idoneo a dimostrare in via induttiva e presuntiva (si pensi ad uno scritto proveniente da terzi) - sia pure nei limiti stabiliti dall'art. 2729 c.c., che ammette soltanto presunzioni gravi precise e concordanti - i fatti costitutivi del diritto del ricorrente (Garbagnati, 77; Franco, 131; Cass. 21 maggio 1984, n. 31099; Cass. 16 febbraio 1971, n. 386).
In definitiva, deve ritenersi che il legislatore abbia inteso perseguire l'obiettivo di assicurare la pronta attuazione del diritto di credito del ricorrente, ampliando il principio del libero convincimento del giudice, previsto dall'art. 116 c.p.c. Epperò, il medesimo obiettivo è valso, in senso contrario, a giustificare anche la previsione di taluni casi in cui la scrittura, piuttosto che essere demandata alla libera valutazione del giudicante, riceve dalla stessa legge una particolare efficacia probatoria.
4.2. E le scritture contabili?
Un'ipotesi significativa di efficacia legale della prova scritta, prevista dal codice di rito, è costituita dagli estratti autentici della scritture contabili, nonché di quelli relativi alle scritture previste dalle leggi tributarie. Tali documenti, infatti, purché regolarmente bollati e vidimati nelle forme di legge, sono idonei a fondare l'emissione di un'ingiunzione per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di denaro, nonché per prestazioni di servizi, anche nei confronti di soggetti che non siano imprenditori (art. 634 comma 2 c.p.c.): in palese deroga al disposto dell'art. 2710 c.c., che prevede un'efficacia probatoria di dette scritture, a favore dell'imprenditore, solo nei rapporti con altri imprenditori. Per di più, in via di principio e salvo il diverso prudente apprezzamento del giudicante, i libri contabili fanno prova contro l'imprenditore (art. 2709 c.c.), e non in suo favore (Cass. 17 febbraio 1995, n. 1718; Cass. 3 maggio 1984, n. 2699). La consistente eccezione a tali regole probatorie è, peraltro, giustificata in base alla considerazione che l'art. 634 comma 2 c.p.c. costituisce norma speciale rispetto al disposto dell'art. 2710 c.c. (Ronco, 139 ss.; Cass. 26 ottobre 1992, n. 11613). In realtà, la disposizione evidenzia - ma lo stesso è a dirsi per quanto concerne gli artt. 635 e 636 c.p.c. - l'intento del legislatore di introdurre una prova scritta particolarmente ampia, probabilmente nella convinzione che i documenti ivi previsti, ancorché non sufficienti a comprovare i fatti costitutivi del credito in un processo ordinario di cognizione, siano, purtuttavia, qualcosa di più della mera documentazione dell'affermazione della parte circa l'esistenza del proprio diritto (Proto Pisani, 607). Ciò in quanto le modalità di formazione di detta prova documentale, i controlli e le vidimazioni cui è soggetta, conferiscono alla stessa un'oggettività che la differenzia dalla mera affermazione di credito (Dittrich, 88 ss.). Per il che dette scritture sono ritenute idonee a dimostrare la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato, quanto meno nella fase di ingiunzione in senso stretto.
I libri dell'impresa devono, peraltro, essere vidimati e bollati, nonché regolarmente tenuti (senza spazi bianchi, interlinee o trasporti in margine), ai sensi degli artt. 2214 ss. c.c. (espressamente richiamati dall'art. 634 comma 2 c.p.c.). Ne consegue che ove essi non siano bollati e vidimati, oppure privi dell'attestazione di regolare tenuta, non potranno costituire idonee prove scritte per l'emissione del decreto ingiuntivo. E ciò anche nelle ipotesi in cui la scrittura contabile non sia soggetta obbligatoriamente a bollatura e vidimazione (art. 2218 c.c.), oppure si tratti di libri la cui tenuta è meramente facoltativa, costituendo la sottoposizione a tali formalità un onere necessario a norma dell'art. 634 comma 2 c.p.c. (Cass. 6 dicembre 1982, n. 6660; Trib. Napoli 19 ottobre 1979, in Banca borsa tit. credito, 1980, II, 220). Tale indirizzo deve ritenersi ancora valido ed operante, ancorchè l'obbligo generalizzato della bollatura e vidimatura delle scritture contabili sia stato abrogato dall'art. 8 l. 18 ottobre 2001, n. 383, che ha modificato l'art. 2215 c.c., prevedendo come adempimento obbligatorio la sola numerazione progressiva in ogni pagina, mentre la bollatura e vidimatura sono divenute adempimenti meramente facoltativi, salvo che siano espressamente previsti per legge. Deve ritenersi, invero, che - essendo rimasto invariato il tenore letterale dell'art. 634 c.p.c., laddove richiede l'estratto autentico delle scritture contabili bollate e vidimate e regolarmente tenute - per potere adire la via processuale monitoria sia comunque necessario il compimento di tali formalità (Trib. Torino, 13 giugno 2002, in questa Rivista, 2003, 1444), benché non più necessarie sul piano sostanziale o fiscale.
4.3. E le fatture commerciali?
A differenza delle fattispecie documentali suindicate, la fattura commerciale, pur provenendo dallo stesso creditore che se ne avvale non ha un valore probatorio legalmente predeterminato. In verità, è pressoché incontroversa l'idoneità di tale documento - se estratto in forma autentica da un regolare copia fatture - a comprovare la spedizione o la consegna della merce, o la prestazione del servizio, in favore della persona che in esso figuri come destinatario, e contro cui sia richiesta l'ingiunzione. Le perplessità attengono, però alla possibilità che la fattura - che concerne il momento esecutivo del contratto, tanto da essere inquadrata tra gli «atti giuridici a contenuto partecipativo» (Cass. 13 giugno 2006, n. 13651; Cass. 17 dicembre 2004, n. 23409) - possa fornire di per sé la prova dell'avvenuta conclusione di una compravendita, sì da fondare la domanda giudiziale di pagamento del prezzo da parte del venditore. In via di principio dovrebbe, per vero, escludersi che tale documento, in quanto formato dalla stessa parte che se ne avvale, possa costituire di per sé ed a favore di colui che l'ha emessa, la dimostrazione dei patti contrattuali intercorsi. A meno che non sia espressamente o implicitamente accettata dalla controparte: evenienza, questa, di difficile riscontro in una procedura a contraddittorio posticipato ed eventuale come quella monitoria (Ebner-Filadoro, 33 ss.). Né può influire positivamente, al riguardo, l'eventuale sottoscrizione di bolle di accompagnamento (nel regime precedente la loro soppressione, avvenuta con il d.P.R. n. 472 del 1996), da parte del destinatario della merce; ovvero nell'ipotesi di vendita di cose da trasportarsi da un luogo all'altro, la ricevuta di carico delle merci o lo scontrino di spedizione rilasciato dallo spedizioniere. Invero le suddette scritture - se certamente documentano il fatto dell'avvenuta consegna - non comprovano con sicurezza l'esistenza di una compravendita: salvo che la causale sia indicata nell'atto sottoscritto dall'acquirente.
Nondimeno, ad onta di tali rilievi, l'orientamento senz'altro prevalente - traendo spunto dalla consistente deroga probatoria introdotta dall'art. 634 comma 2 - è nel senso di ritenere che le semplici fatture, pur se prive delle relative bolle di consegna, possano costituire prova dei crediti in questione limitatamente alla fase di emissione del decreto ingiuntivo, mentre nel giudizio di opposizione esse non costituiscono prova del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari mezzi di prova (Cass. 11 maggio 2007, n. 10860; Cass. 3 marzo 2009, n. 5071).
Deve, però, rilevarsi che il nuovo documento di trasporto, istituito dal regolamento di cui al menzionato d.P.R. n. 472 del 1996 con riferimento ai casi di fattura differita di cui all'art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972, e sul quale può attualmente fondarsi una domanda di ingiunzione, sembra contenere qualche maggiore indicazione in ordine alla causale del trasporto e della consegna, dovendo da esso risultare le generalità sia del cedente che del cessionario, nonché la descrizione dei beni oggetto della cessione (Franco, 124 ss.).
4.4. È sindacabile il parere del Consiglio dell'Ordine sulle parcelle professionali?
Per quanto concerne i crediti professionali, va rilevato che l'art. 636 prevede la possibilità di esperire la procedura monitoria per la tutela dei crediti in questione, allegando la sola parcella delle spese e prestazioni, corredata dal parere dell'associazione professionale (la parcella corredata dal parere, peraltro, se costituisce titolo idoneo per l'emissione del decreto ingiuntivo, non ha valore, se contestata, nel successivo giudizio di opposizione: Cass. 17 marzo 2006, n. 5884; Cass. 24 gennaio 2000, n. 736). Quest'ultimo, peraltro, occorre solo qualora l'ammontare delle spettanze non sia determinato in base a tariffe obbligatorie (come quella riguardante i diritti di procuratore stabiliti ex lege in misura fissa). In verità, per quanto concerne gli onorari, si riteneva in dottrina che il parere del Consiglio dell'ordine non fosse necessario qualora il professionista avesse esposto in parcella, a titolo di compenso, i minimi tariffari previsti come inderogabili dalla tariffa (Franco, 108). Ma l'assunto va ora rimeditato, in conseguenza della recente abrogazione dei minimi di tariffa, operata dal d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito nella l. 4 agosto 2006, n. 248. Il prevalente indirizzo, propenso a ritenere - in forza della previsione dell'art. 636 comma 2 c.p.c. - che il giudice fosse senz'altro vincolato a ritenere provate le spese e prestazioni esposte nella parcella, quanto meno in sede monitoria, è stato, in verità, profondamente innovato dalle precisazioni introdotte in merito dalla Corte costituzionale (C. cost. 4 maggio 1984, n. 137; C. cost. 19 gennaio 1988, n. 34). Per vero, secondo l'autorevole pronunciato della Corte, il Consiglio dell'ordine non deve limitarsi a fornire un mero parere di congruità, in relazione alle voci di tariffa applicate, ma deve estendere la sua indagine al se ed al come le prestazioni siano state effettuate dal professionista. Con la conseguenza che - se tale indagine non risulta dal parere espresso - il giudice ben può ritenere non sufficientemente provata la domanda, ed invitare il ricorrente ad integrare la prova ex art. 640 c.p.c. (non a caso richiamato dall'art. 636); fatto salvo il rigetto del ricorso quando le prestazioni addirittura non siano ricomprese nelle tariffe, in quanto estranee all'attività professionale del ricorrente.
 
5. QUALE CONTROLLO FA IL GIUDICE?
Si suole abitualmente precisare che la cognizione del giudicante, in sede di emissione del decreto ingiuntivo, stante l'istituzionale assenza del convenuto nella fase in esame, deve necessariamente essere parziale, ossia limitata alla verifica delle ragioni addotte dal ricorrente e dei mezzi di prova che le sostengono, e non meramente delibatoria o superficiale. Tuttavia - ferma restando la suddetta esigenza di valutazione del materiale probatorio e di verifica della fondatezza dell'azione - va rilevato che l'art. 640 comma 1 c.p.c., in deroga al principio dell'onere della prova, ha concesso al giudice la possibilità di invitare il ricorrente ad integrare la documentazione esibita, ogni qual volta la domanda appaia insufficientemente ingiustificata ma, evidentemente, non già ictu oculi infondata. Il che può accadere, a titolo meramente indicativo, quando il ricorrente ometta di allegare tutti gli effetti cambiari elencati nel ricorso, o produca documenti redatti in lingua straniera, o richieda gli interessi in misura superiore a quella legale soltanto enunciando nella domanda, ma non producendo in giudizio, la relativa convenzione derogativa.
 
6. QUANDO LA DOMANDA VA RIGETTATA?
Qualora il ricorrente non risponda all'invito, rivoltogli dal giudice, di integrare la prova documentale offerta, o non ritiri il ricorso, non può che procedersi al rigetto della domanda di ingiunzione, ai sensi dell'art. 640 comma 2 c.p.c. Come pure va, senz'altro, disattesa, senza neppure la possibilità di disporre l'ulteriore istruttoria prevista dal comma 1, la domanda che appaia a priori assolutamente infondata: come nel caso in cui il documento sia del tutto privo di autenticità o di efficacia probatoria, o quello in cui il creditore istante non abbia fornito elementi indiziari sufficienti a convincere il giudicante dell'adempimento della controprestazione, o dell'avveramento della condizione sospensiva. Ai casi menzionati va equiparata l'ipotesi in cui dalla documentazione esibita emerga, in modo incontrovertibile, l'esistenza di un fatto impeditivo o estintivo del diritto del ricorrente rilevabile d'ufficio dal giudice adito. Si pensi alla prova del pagamento contestuale alla stipula del contratto, che emerga dallo stesso titolo esibito dal venditore a sostegno della domanda di ingiunzione per il prezzo della compravendita; o ad una nullità del contratto posto a fondamento della domanda di ingiunzione, rilevabile d'ufficio ex art. 1421 c.c., come nel caso della clausola del conto corrente bancario che preveda la debenza di interessi anatocistici, in violazione dell'art. 1283 c.c. (Cass. 10 ottobre 2007, n. 21141). Per converso non sono certo rilevabili, in sede di emissione dell'ingiunzione, quei fatti che integrano un'eccezione in senso proprio, rimessa all'iniziativa della parte interessata, come la prescrizione o la decadenza. Un provvedimento egualmente negativo va adottato, poi, in tutte le ipotesi in cui il giudice - prescindendo dalla documentazione prodotta - ritenga la domanda comunque «non accoglibile», ai sensi dell'art. 640 comma 2 c.p.c. In tale ampia previsione rientrano i casi delle pronunzie di inammissibilità del ricorso per difetto dei presupposti legali generali o speciali, ovvero le declaratorie di incompetenza o di difetto di giurisdizione - in ordine alle quali è consentito il rilievo d'ufficio ex art. 37 e 38 c.p.c. (cfr. C. cost. 28 settembre 2005, n. 410, secondo cui l'art. 637 c.p.c ben può essere interpretato nel senso che la norma non precluda la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio, anche al di fuori dei casi di cui all'art. 28 c.p.c.) - nonché le ipotesi in cui difetti la legittimazione attiva del ricorrente o quella passiva del resistente.
6.1. È impugnabile il decreto di rigetto?
Il decreto di rigetto non è impugnabile né con il regolamento di competenza, non essendo configurabile nella fase monitoria una decisione sulla competenza in contraddittorio tra le parti, né con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di un provvedimento - ancorché di carattere decisorio - inidoneo al giudicato, e costituente, quindi, una mera pronuncia allo stato degli atti (Cass., sez. un., 1 marzo 2006, n. 4510).
 
7. QUANDO LA DOMANDA VA ACCOLTA? IL CREDITORE PUÒ FRAZIONARE LA DOMANDA?
Il positivo riscontro della prova offerta dal ricorrente - previo accertamento della sussistenza di tutti i presupposti processuali generali e speciali - comporta, invece, una decisione di accoglimento della domanda di ingiunzione, in forma di decreto motivato. Si è posto, peraltro, in giurisprudenza, il problema relativo al se possa considerarsi legittima la richiesta di emissione di più decreti ingiuntivi, ciascuno per una somma inferiore a quella complessivamente dovuta dall'ingiunto, al fine di conseguire - in via coattiva - l'adempimento in più soluzioni di un debito pecuniario scaturente da un'unica fonte obbligatoria. In particolare, ci si è chiesti se la suddetta condotta del creditore possa considerarsi conforme al principio della correttezza nella fase dell'esecuzione del contratto (art. 1375 c.c.), e se la stessa corrisponda ad un interesse apprezzabile dell'istante, ai sensi degli artt. 100 e 277 c.p.c. La giurisprudenza, dopo avere fornito per lungo tempo risposte antitetiche al quesito, si è poi attestata nel senso che non sia consentita al creditore la cd. parcellizzazione del credito, frazionandolo in più domande di ingiunzione ciascuna avente ad oggetto soltanto una parte del credito complessivo (Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726; Cass. 11 giugno 2008, n. 15476).
7.1. Si può accogliere parzialmente la domanda?
Si suole, viceversa, ammettere, nonostante il silenzio della norma al riguardo, la possibilità che il decreto ingiuntivo si limiti ad accogliere parzialmente la domanda del ricorrente. In tal caso la notificazione del decreto ingiuntivo non deve essere intesa come acquiescenza da parte del creditore, ma risponde all'esigenza di evitare la caducazione del decreto, ai sensi dell'art. 644 c.p.c., per la parte di domanda accolta (Cass., sez. un., 1 marzo 2006, n. 4510; Cass. 3 luglio 2008, n. 18205).
 
8. QUALI SONO I PRESUPPOSTI PER OTTENERE LA PROVVISORIA ESECUZIONE?
In via di principio il provvedimento monitorio, emesso sulla base della prova scritta nel senso suindicato, acquista l'efficacia esecutiva solo a seguito della mancata opposizione dell'ingiunto, come previsto dall'art. 647 c.p.c., o a seguito del rigetto dell'opposizione con sentenza passata in giudicato o provvisoriamente esecutiva, ai sensi dell'art. 653 c.p.c. Tuttavia, in particolari ipotesi previste dall'art. 642 c.p.c., il decreto ingiuntivo, a fronte di una documentazione ritenuta particolarmente probante (cambiale, assegno bancario, assegno circolare, certificato di liquidazione di borsa, o su atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato), deve essere senz'altro dichiarato provvisoriamente esecutivo dal giudice adito. La ratio della norma va, per vero, ravvisata proprio nella peculiare natura delle prove sulle quali si fonda l'ingiunzione, la cui attendibilità è tale da far ritenere particolarmente certo il credito azionato dal ricorrente, e correlativamente meno probabile la fondatezza dell'eventuale opposizione del debitore ingiunto (Garbagnati, 112)..
8.1. Come va provato il periculum in mora?
A differenza della provvisoria esecuzione «vincolata», prevista dal comma 1 a fronte di determinate allegazioni documentali, il comma 2 dell'art. 642 c.p.c. attribuisce, invece, al giudice il potere discrezionale di concedere la clausola di immediata esecutività del decreto, nel caso in cui vi sia un pericolo di grave pregiudizio nel ritardo. Qui la valutazione non si fonda sulla particolare efficacia probatoria della documentazione prodotta dal ricorrente, bensì su dati fattuali sintomatici, quali il pericolo di dissesto o di insolvenza del debitore, ovvero quello di deterioramento delle cose da consegnare. Orbene, la mancanza di un qualsiasi riferimento all'imminenza o irreparabilità del pregiudizio (operato, invece, dall'art. 700 c.p.c.), induce ad escludere che possano trovare spazio, in questa sede, valutazioni in ordine alla possibile irreversibilità della minaccia al diritto del ricorrente, in attesa dell'instaurazione della cognizione piena. Per il che è, altresì, da escludere che la concessione del provvedimento esecutivo possa essere fondata su ragioni inerenti alla natura ed al contenuto del diritto azionato, in sé e per sé considerato (come nel caso di un credito alimentare, o di lavoro subordinato), ossia su valutazioni inerenti all'interesse sostanziale del ricorrente che si assuma esposto ad una lesione irreversibile. Per cui il requisito in parola non può che essere ravvisato in relazione al pericolo, per il creditore, di realizzare utilmente il suo credito differendo l'inizio dell'azione esecutiva all'esito del giudizio a cognizione piena, desunto da elementi concreti idonei ad evidenziare la possibile perdita o sottrazione dei beni destinati a garanzia del credito (Pret. Roma 17 luglio 1981, in Dir. lav., 1983, II, 138). In tal senso, pertanto, se non è sufficiente la mera iscrizione di un'ipoteca giudiziale in forza di un precedente decreto ingiuntivo (Trib. Bergamo 14 settembre 1965, in Banca borsa tit. credito, 1966, II, 473), in quanto non idonea di per sé ad evidenziare la gravità del periculum in mora, una conclamata situazione di dissesto, desumibile dall'esistenza di una molteplicità di iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, o di numerosi protesti cambiari, o ancora dalla pendenza di procedure esecutive o di istanze di fallimento in danno del debitore, non potrà non far propendere per la sussistenza del requisito in esame. A tal fine potranno, quindi, essere utilmente allegate dal ricorrente le certificazioni della conservatoria dei registri immobiliari o delle competenti cancellerie, ovvero i bollettini dei protesti, idonei a documentare la sussistenza di una situazione di insolvenza del debitore, tale da giustificare l'immediata esecutività del decreto ingiuntivo richiesto.
8.2. Qual è la documentazione sottoscritta dal debitore (art. 642 comma 2 c.p.c.)?
Va rilevato, poi, che la l. 28 dicembre 2005, n. 263 ha inserito nell'art. 642 c.p.c. un'ulteriore ipotesi di concessione discrezionale della provvisoria esecuzione del certo ingiuntivo: quella in cui il ricorrente produca documentazione sottoscritta dal debitore, comprovante il diritto fatto valere. Si tratterà essenzialmente di scritture private, che divengono - in tal modo - titolo esecutivo per i crediti in esse contenuti, e per le quali si pone il già esaminato problema del disconoscimento da parte del debitore (a meno che non siano autenticate), che potrà essere operato solo in sede di opposizione, aprendo la via alla sospensione della provvisoria esecuzione ex art. 649 c.p.c. Per converso, se la prova risulta da atto pubblico sottoscritto dal debitore, si rientra nella concessione obbligatoria della provvisoria esecuzione, di cui al comma 1 dell'art. 642. La concessione della provvisoria esecuzione può essere condizionata dal giudicante alla prestazione di una cauzione, nelle forme di cui agli artt. 119 e 86 disp.att. c.p.c., come espressamente prevede il secondo comma dell'art. 642 c.p.c.
8.3. Quando il decreto può essere dichiarato provvisoriamente esecutivo in corso di opposizione?
Il decreto ingiuntivo può essere dichiarato esecutivo, non soltanto ante causam, nella fase che si svolge inaudita altera parte, ma anche nel corso del giudizio di opposizione; vale a dire che sulla sua base, e a dispetto della dispiegata opposizione e quindi della sua carenza di definitività, può essere intrapresa un'azione esecutiva dal creditore. Tuttavia, tale indubbio privilegio per il creditore ammesso alla procedura monitoria postula l'assenza di due requisiti negativi e la presenza - sebbene non codificata, come si vedrà - di alcuni requisiti positivi. A norma di legge, tale privilegio è, infatti, comunque in radice precluso: a) ove l'opponente produca una prova scritta a sostegno delle sue tesi; b) ove sia possibile una rapida definizione del giudizio di opposizione. In tali ipotesi, il giudice istruttore non può - e quindi non deve - concedere la provvisoria esecuzione, ex art. 648 c.p.c. Esaminiamo le due condizioni negative.
8.4. Qual è la prova scritta che impedisce la provvisoria esecuzione?
Non può, in primo luogo, concedersi la provvisoria esecuzione del decreto quando sia prodotta, dall'opponente, una prova scritta, vale a dire un documento scritto idoneo a provare, ai sensi degli artt. 2699 ss. c.c., l'inesistenza del fatto costitutivo del credito azionato, ovvero l'esistenza di fatti modificativi, impeditivi o estintivi del medesimo. Ciò può essere giustificato considerandosi che, in un qualunque giudizio ordinario di cognizione - quale si atteggia quello di opposizione a decreto ingiuntivo -, la contrapposizione di documenti scritti - egualmente probanti - a sostegno delle avverse tesi delle parti comporta una loro comparazione e, in definitiva, una valutazione di merito approfondita, atta a dare conto dei motivi per cui ad uno di quei documenti si intende attribuire poziore efficacia probatoria: e si tratta di una valutazione che, per i suoi caratteri complessivi, si addice soltanto al momento della decisione con sentenza. Non possono, a titolo di es., qualificarsi prove scritte rilevanti per l'esclusione della provvisoria esecuzione: a) le note o lettere di contestazione della qualità della merce venduta formate dall'opponente medesimo; b) lo stesso atto in cui è consacrato il diritto azionato, di cui però si adduce un'interpretazione diversa da quella del creditore (Trib. Tortona 2 dicembre 1991, in Nuova giur. civ. comm., 1992, 640, che esclude qualsiasi rilevanza, per la concessione della provvisoria esecuzione, alla diversa interpretazione del contratto azionato dal creditore); c) la quietanza di pagamento, se non riferita in via diretta e immediata al credito azionato; d) la consulenza tecnica di parte, in quanto essa si esaurisce in una serie di allegazioni tecniche a sostegno della parte; essa, tuttavia, se non vale ad integrare di per sé la fattispecie di cui all'art. 648 c.p.c., può comunque giocare un ruolo sul piano dell'opportunità di concedere, o meno, la provvisoria esecuzione (quando proviene dall'opponente), oppure può offrire al giudicante ulteriori elementi di riscontro della sussistenza del fumus boni juris del creditore (quando proviene dall'opposto).
8.5. Quando l'opposizione è «di pronta soluzione»?
Per quanto riguarda, poi, la valutazione della prontezza o meno della soluzione della causa di opposizione la lettera della norma non fa riferimento alla possibilità di una sollecita soluzione delle questioni indotte dalle eccezioni, ma, più in generale, a quella di una sollecita definizione dell'opposizione nel suo complesso. Ciò comporta che tale ultima fattispecie si realizza: se è già provata - o comunque se non necessita di istruzione - la domanda principale, vale a dire quella fondata sulla pretesa azionata con il ricorso per decreto ingiuntivo; oppure, al contrario, se è già provata - o comunque non necessita di istruzione - anche l'articolazione difensiva del convenuto in senso sostanziale, cioè dell'opponente. In linea di principio, la causa sarà matura per la decisione (e quindi la provvisoria esecuzione non sarà concessa) non soltanto quando la prova offerta dalle parti sia esclusivamente documentale o quando non comporti la necessità dell'assunzione di un mezzo di prova disciplinato dal codice (anche come disponibile d'ufficio), ma anche allorquando la natura delle questioni discusse sia tale da consentire una decisione senza l'espletamento di mezzi istruttori (es. decisione di incompetenza del giudice del monitorio, fondatezza dell'eccezione di prescrizione proposta dall'opponente, ecc.). Sotto tale profilo, dunque, anche la mera contestazione - da parte dell'opponente - dei fatti costitutivi azionati dall'opposto può ritenersi idonea ad escludere una pronta soluzione della causa, ove effettivamente la prova da quegli fornita - benché sufficiente nella fase sommaria - sia incompleta per la fase a cognizione piena.
8.6. È necessario il fumus boni iuris
Quelli fino ad ora esaminati costituiscono i presupposti negativi - ovvero ostativi - per la concessione della provvisoria esecuzione; e, per la verità, sono anche i soli ad essere espressamente considerati dalla lettera della legge, tanto che a lungo si è dubitato della stessa possibilità di estrapolare dal sistema uno o più requisiti positivi. Fino a qualche tempo addietro era, per vero, invalso il discutibile uso di concedere la provvisoria esecuzione sulla base della mera e semplicistica constatazione della carenza di una prova scritta e della presumibile eccessiva lunghezza dei tempi di soluzione della causa. Per effetto dell'apprezzabile opera di sensibilizzazione della dottrina sul tema, ha, per contro, ormai preso piede l'interpretazione della necessità, per la concessione della provvisoria esecuzione di cui all'art. 648 c.p.c., del fumus boni juris - o persino della piena prova del buon diritto, benché allo stato degli atti - del creditore procedente, da valutarsi alla stregua delle regole generali sulla ripartizione dell'onere della prova e sulle prove proprie dell'ordinario giudizio di cognizione.
In tal senso, sulla base di un chiaro obiter dictum, la Corte costituzionale, sia pure con un'ordinanza di manifesta infondatezza (come tale non vincolante, ma costituente pur sempre un parere autorevolissimo), ha affermato con chiarezza che «la valutazione del fumus boni juris va operata anche nei confronti della prova dedotta dall'istante opposto a base della domanda di decreto ingiuntivo» (C. cost., ord. 25 maggio 1989, n. 295). In tale prospettiva, la riconduzione dell'ordinanza nell'ambito delle condanne con riserva, si palesa, pertanto, la tesi più convincente. La struttura della condanna con riserva sta in ciò: quando i fatti costitutivi sono provati documentalmente, il processo si scinde e si ha una sentenza - o una pronuncia - di accoglimento della domanda sulla base dei fatti costitutivi provati, mentre il processo poi prosegue sulle eccezioni; sicchè la disciplina completa del caso controverso è data dalla seconda pronuncia, che verrebbe a togliere efficacia alla prima, per il caso in cui le eccezioni risultassero provate. Orbene, l'ordinanza in esame costituisce un provvedimento anticipatorio della condanna finale - non in funzione strumentale all'accertamento definitivo, ma in via immediatamente satisfattiva - il quale non ha pertanto natura cautelare (per cui non è necessario il requisito del periculum) e necessita così di una positiva delibazione - quindi, maggiore del semplice fumus - dell'intero materiale probatorio a sostegno della domanda azionata.
8.7. (segue): basta la prova scritta sufficiente per il decreto?
In definitiva, l'esigenza di una prova scritta, valida anche nel giudizio a cognizione piena, del credito azionato viene oramai generalmente ammessa; e solo essa non viene ritenuta indispensabile nella fase sommaria, purché però la prova del diritto costitutivo sia comunque integrata o fornita in corso di causa ovvero sia resa superflua dalla mancata contestazione dell'opponente (Trib. Roma 7 agosto 1991, in Foro it., 1992, I, 1933. È il caso classico della contestazione, da parte del debitore, delle risultanze e - in generale - del contenuto della fattura, che - come si è detto - può essere sufficiente solo per l'emanazione del decreto ingiuntivo e non anche in fase di opposizione; ovvero del decreto ingiuntivo per crediti professionali, per la cui emissione si è visto ritenere generalmente sufficiente il parere del relativo consiglio dell'ordine, ma per il quale, in caso di opposizione e di contestazione dell'opponente sul fatto del conferimento o dell'espletamento dell'incarico, si è costantemente affermata la necessità di una prova piena su tali circostanze, che incombe al creditore ingiungente (Cass. 12 febbraio 1998, n. 1505, Cass. 30 luglio 2004, n. 14556); o ancora, si consideri il disconoscimento, da parte del debitore, della scrittura privata contro di lui prodotta fin dalla fase monitoria ed anzi posta a base del decreto ingiuntivo (puntualmente esclude la concedibilità della provvisoria esecuzione Trib. Latina, ord. 20 febbraio 1996, in Foro it. 1996, I, 2339).
In conclusione: se il credito azionato con il monitorio è sorretto da prova valida - anche integrandosi quella prodotta in sede monitoria - in un qualunque giudizio di cognizione (prova documentale o derivante da ammissione o non contestazione) e se le eccezioni della controparte non sono sorrette da prova o sono di lunga indagine, si potrà concedere, con ordinanza non impugnabile, la provvisoria esecuzione. Se il credito non è sorretto da prova valida anche in un qualunque giudizio di cognizione, non si potrà concedere la provvisoria esecuzione, a prescindere dalla presenza di una prova scritta o dalla previsione di lunghe indagini a sostegno delle eccezioni o difese del convenuto.
8.8. È possibile la provvisoria esecuzione parziale?
Prima della modifica introdotta dal d.lg. n. 231 del 2002, la tesi dominante nella giurisprudenza di legittimità era per la non concedibilità della provvisoria esecuzione limitatamente ad una parte della somma originariamente ingiunta con il monitorio, sostenendosi che si sarebbe trattato di riconoscere all'istruttore un potere, non attribuitogli alla legge, di sostituire o modificare il decreto opposto (ex plurimis, Cass. 7 luglio 1976, n. 2549). Infatti, la possibilità di ridurre la somma o la quantità di cose fungibili viene riconosciuta soltanto in caso di conciliazione tra le parti (art. 652 c.p.c.), mentre, in ipotesi di parziale estinzione del debito, è solo la sentenza, che accolga appunto l'opposizione, a costituire il titolo per l'esecuzione. La novella suindicata ha introdotto la possibilità per il creditore di ottenere la concessione della provvisoria esecuzione parziale - che è atto dovuto per il giudice - del decreto ingiuntivo opposto «limitatamente alle somme non contestate, salvo che l'opposizione sia proposta per vizi procedurali». La disposizione, in verità, ha confermato l'inammissibilità della concessione dell'esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo, avendola introdotta limitatamente all'ipotesi specifica in cui sia contestata solo una parte dell'importo ingiunto. Sono, tuttavia, controverse la conseguenza che derivano dalla concessione parziale della provvisoria esecuzione, al di fuori dell'ipotesi normativamente prevista, atteso che, un primo indirizzo, attribuisce a tale ordinanza natura di sentenza, impugnabile con gli ordinari mezzi di impugnazione (Cass. 21 maggio 2001, n. 6901), una seconda tesi, invece, è nel senso di ritenere che tale ordinanza non sia impugnabile con l'appello, non trattandosi di provvedimento abnorme, che esuli del tutto dalla fattispecie normativa (Cass. 10 febbraio 2006, n. 3012).
In assenza di vizi procedurali, parte della giurisprudenza ritiene che sia possibile la concessione della provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo opposto per somme non contestate, in pendenza di opposizione non fondata su prova scritta o di pronta soluzione (Trib. Palermo 10 dicembre 2002, in questa Rivista, 2003, 427). L'orientamento è discutibile, atteso che, in difetto di prova scritta o di pronta soluzione, dovrebbe concedersi la provvisoria esecuzione per l'intera somma ingiunta (in applicazione del comma 1 dell'art. 648), anche se ad essere contestata è solo una parte di essa, laddove la provvisoria esecuzione parziale potrebbe essere concessa solo in presenza di una contestazione parziale fondata su prova scritta o di pronta soluzione, quanto meno in relazione agli importi contestati (Trib. Verona 8 ottobre 2004, in questa Rivista, 2005, 288). La provvisoria esecuzione parziale, peraltro, non può essere comunque concessa se il debitore abbia sollevato un'eccezione di rito (giurisdizione, competenza, continenza, litispendenza, ecc.),come pure non consente la concessione del provvedimento la contestazione integrale sulla sussistenza dell'obbligazione (e sempre che questa sia fondata su prova scritta o di pronta soluzione). Viceversa, è controverso se, nella remotissima ipotesi di non contestazione totale, il giudice possa emettere ordinanza ex art. 186-bis c.p.c., o se - come sembra preferibile - la causa dovrà considerarsi matura per la decisione ed essere decisa direttamente con sentenza, ma - nelle more della decisione - potrà essere senza dubbio concessa, ovviamente ad istanza del creditore, la provvisoria esecuzione totale del decreto.
 
9. QUANDO PUÒ ESSERE SOSPESA LA PROVVISORIA ESECUZIONE?
L'istituto della sospensione della provvisoria esecuzione, è disciplinato dall'art. 649 c.p.c. in riferimento all'ipotesi della clausola già concessa ai sensi del precedente art. 642 c.p.c. (e non anche a quella concessa ex art. 648 c.p.c.). La sospensione - e, si badi, non anche la revoca - della provvisoria esecuzione concessa ab origine ai sensi dell'art. 642 c.p.c. ha anche la funzione di rivedere criticamente e, soprattutto, a contraddittorio «restaurato» e quindi all'esito delle difese svolte dal controinteressato, un provvedimento di provvisoria esecuzione già concesso. E, d'altra parte, quest'ultimo integra una clausola concessa vuoi sulla base di una situazione probatoria peculiare (e tuttavia - come noto - suscettibile di non esser più sufficiente nella fase a cognizione piena), vuoi alla stregua di una valutazione di pericolo nel ritardo. Pertanto, se la provvisoria esecuzione ex art. 642 c.p.c. sia stata concessa sulla base della peculiare situazione probatoria di cui al comma 1 di tale articolo, i presupposti della sospensione si limiteranno alla riconsiderazione critica della prova del buon diritto del creditore ovvero alla rimeditazione di quella alla luce del materiale assertivo e probatorio dispiegato dal debitore; nel caso in cui la provvisoria esecuzione di cui sopra sia stata concessa per un pericolo nel ritardo, potrà sussistere, a domanda dell'opponente, anche una collaterale funzione cautelare sui generis , relativa alla revisione dei presupposti del periculum ritenuti ex art. 642 cpv. c.p.c. Ne consegue che l'ordinanza ex art. 649 c.p.c., benché soltanto nella parte in cui riesamina criticamente il periculum valutato necessario per l'emanazione della clausola ex art. 642 c.p.c., non può non avere una funzione cautelare, ma soltanto in senso lato, assimilabile probabilmente alla sospensione, ex art. 624 c.p.c., dell'esecuzione concessa in una opposizione ex art. 615 c.p.c.
9.1. È impugnabile l'ordinanza ex art. 649 c.p.c.?
L'ordinanza ex art. 649 c.p.c. non è soggetta, pertanto, per la sua natura di provvedimento para-cautelare, ad alcuna forma di impugnazione, né ai sensi dell'art. 111 Cost., per il suo carattere di pronuncia interinale (Cass. 4 settembre 2004, n. 17915; Cass. 18 gennaio 2005, n. 905), né ex art. 669-terdecies c.p.c, non avendo natura cautelare in senso stretto (Trib. Lamezia Terme 29 marzo 1996, in questa Rivista, 1997, 284; Trib. Venezia 4 aprile 2000, in Foro it., 2000, I, 3644).
9.2. Quali sono i «gravi motivi» per ottenere la sospensione?
Per quanto concerne i «gravi motivi» rilevanti per la sospensione della provvisoria esecuzione, l'impossibilità di ricostruire il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo quale giudizio di impugnazione esclude ogni analogia con i provvedimenti ex artt. 351 o 373 c.p.c.: se il pericolo che derivasse dall'esecuzione di un titolo emesso all'esito di uno speciale procedimento pensato proprio come finalizzato ad una esecuzione anticipata potesse rilevare di per sé, si finirebbe con il vanificare completamente il vantaggio che l'ordinamento vuole riservare al creditore. Non si possono, quindi, condividere quelle interpretazioni che valorizzano l'eventuale pregiudizio che potrebbe derivare al debitore dall'esecuzione stessa, anche senza tener conto della fondatezza delle ragioni del creditore (Trib. Crema 3 luglio 1981, in Banca borsa tit. cred., 1982, II, 311); né, più in generale, dovrebbe rilevare il pericolo che l'esecuzione possa arrecare al debitore un danno irreversibile, cioè senza garanzie di adeguato risarcimento, nel caso sia poi riconosciuta fondata l'opposizione (Garbagnati, 204 ss.). Sotto un primo profilo, pertanto, nonostante l'inconsueta ampiezza dell'espressione adoperata, i gravi motivi in forza dei quali può essere sospesa l'esecuzione provvisoria concessa sin dall'emanazione del decreto non possono che coincidere con una grave incertezza probatoria sui fatti costitutivi del diritto azionato, quale possa risultare a seguito dell'opposizione: in definitiva, essi sussistono allorquando, nonostante il peculiare valore delle prove scritte addotte per conseguire la clausola ex art. 642 c.p.c., la contestazione del debitore, o la sua complessiva attività assertiva e probatoria, abbia fatto venir meno il fumus boni juris o comunque la prova del buon diritto del creditore (Trib. Milano 9 aprile 2005, in Giur. dir., 2005, 37; Trib. Ferrara 9 agosto 2004, in Arch. nuova proc. pen., 2005, 2, 527). È il caso classico del disconoscimento della firma apposta sul titolo di credito posto a base del decreto; o dell'eccezione di prescrizione del titolo di credito azionato; ovvero il caso in cui il decreto per oneri condominiali sia stato seguito dalla sospensiva, in sede di impugnazione ex art. 1137 c.c., della delibera di approvazione del rendiconto e del piano di riparto sulla cui base esso era stato concesso.
9.3. E se in corso di causa viene meno il periculum?
Un problema pratico tutt'altro che irrilevante concerne la rimeditazione del periculum originario. Ebbene, poiché l'oggetto del giudizio di opposizione è, una volta transitati nella fase a cognizione piena, esclusivamente la pretesa del creditore e non già il decreto ingiuntivo in sé considerato, i gravi motivi rilevanti ex art. 649 c.p.c. non debbono avere riguardo soltanto al momento della domanda introdotta con il ricorso. Sicchè, se il periculum non sussisteva ab origine (o più non sussiste) ma, all'esito delle attività assertive e probatorie svolte fino al momento in cui l'istanza ex art. 649 c.p.c. è esaminata, il buon diritto del creditore è ancora sorretto da prova, anziché pensare ad una sospensione della provvisoria esecuzione ex art. 649 c.p.c. e ad una contestuale concessione della provvisoria esecuzione ex art. 648 c.p.c., si può sviluppare il principio suddetto e ritenere che, anche a dispetto della insussistenza del periculum, si possa mantenere la provvisoria esecuzione, sia pure per il diverso - ma ben più pregnante - presupposto della prova del buon diritto del creditore ingiungente.
9.4. È possibile la revoca della provvisoria esecuzione?
Altro problema di non poco momento concerne l'estensione dell'istituto e, segnatamente, la legittimità di una revoca della provvisoria esecuzione concessa ex art. 642 c.p.c., operante - a differenza della sospensione - ex tunc. La questione è assai delicata per le conseguenze in ordine alla decorrenza degli effetti, tra questi soprattutto l'ipoteca giudiziale, consentita ex art. 655 c.p.c. proprio al decreto ingiuntivo esecutivo. Ora, nonostante la prevalente opinione contraria all'ammissibilità della revoca (Garbagnati, 207, Valituttti-De Stefano, 348, Cass. 29 aprile 2004, n. 8217), la revocabilità è stata comunque a lungo ritenuta possibile, ed i suoi sostenitori (Trib. Messina 15 febbraio 2005, in Foro it., 2005, I, 1228; Trib. Vercelli, ord. 17 marzo 1993, in Foro it. 1994, I, 1225) hanno perfino portato la questione all'esame della Corte costituzionale. Un punto fermo di notevole importanza può considerarsi, pertanto, la sentenza 17 giugno 1996, n. 200 della Corte costituzionale, che ha escluso l'incostituzionalità della mancata previsione della revocabilità con ordinanza della provvisoria esecuzione concessa ex art. 642 c.p.c., ritenendo il sistema idoneo a garantire un coerente bilanciamento dei contrapposti interessi e nell'ottica di «attesa dell'esito del processo senza pregiudizio per la possibilità di realizzazione del credito». Ciò posto, va detto che la tesi della non revocabilità pare decisamente condivisibile, in quanto: a) da un punto di vista letterale, il codice ha sempre distinto la sospensione dalla revoca in altre disposizioni pure dettate a riguardo dell'esecuzione provvisoria, sicché la previsione della sola sospensione esclude l'ammissibilità di quel diverso istituto che è la revoca (Cass. 3 maggio 1991, n. 4866); b) da un punto di vista sostanziale, la sospensione ripristina la parità delle armi tra creditore e debitore, ma senza sminuire o rimuovere - con effetti che potrebbero essere irreversibili - le cautele apprestate dall'ordinamento in favore di creditori assistiti da un particolare supporto probatorio (C. cost. 17 giugno 1996, n. 200, cit).
 
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