La responsabilità personale del componente dell’Organo amministrativo di un’Associazione

 

 

Tra i primi interrogativi che gli aderenti ad un’associazione vengono a porsi, uno riguarda il rischio di essere ritenuti personalmente responsabili di quelle azioni dagli stessi poste in essere nel nome e per conto dell’associazione. Domanda lecita e legittima, a maggior ragione se si considera che la quasi totalità degli associati garantisce tempo ed energia in forma assolutamente gratuita. Tale questione assume una dimensione più delicata se i soggetti si trovano ad appartenere ad uno degli organi sociali concretamente preposti all’adozione di decisioni inerenti alle attività dell’associazione, generalmente chiamato “Consiglio direttivo”.

Non soltanto il presidente ma tutti coloro che in qualità di amministratori partecipano, con mansioni diverse, al compimento degli aspetti esecutivi dell’ente non commerciale. Per ciascuna delle operazioni riguardanti, ad esempio, la stipula di contratti, l’utilizzo di personale, l’organizzazione di eventi, l’acquisto di beni, la tenuta di registri contabili, il versamento delle imposte potrà sorgere un certo grado di responsabilità, i cui effetti andranno a ricadere sull’associazione separatamente considerata e, in taluni casi, su coloro che individualmente vi avranno provveduto.

Il concetto di responsabilità, in materia di enti non commerciali, consente di richiamare una più generale, e pur sempre attuale, tripartizione:

·         responsabilità civile;

·         responsabilità tributaria–amministrativa;

·         responsabilità penale.

La trattazione di ogni singola tipologia di responsabilità richiede la distinzione tra associazioni riconosciute e associazioni non riconosciute, atteso che, con particolare riguardo alla prime due fattispecie (responsabilità civile e responsabilità tributaria– amministrativa), le conseguenze si differenzieranno proprio sulla base della titolarità o meno, in capo all’associazione, della personalità giuridica.

 

La responsabilità civile

Le operazioni poste in essere dagli enti non commerciali, nel corso della vita associativa, potranno determinare la comparsa di effetti anche a rilevanza giuridica. Tra essi, molteplici saranno quelli nascenti da una responsabilità di tipo civile, tanto nelle ipotesi di inadempimento di un’obbligazione, quanto nei casi di “danni ingiusti” a persone od a cose. Anche in riferimento agli enti non commerciali si potrà, quindi, distinguere la responsabilità civile attraverso la tradizionale bipartizione:

·         responsabilità civile contrattuale;

·         responsabilità civile extracontrattuale (o da fatto illecito).

La disamina delle due sottotipologie di responsabilità consentirà di comprendere come gli enti non commerciali potranno ritrovarsi coinvolti in una o in entrambe le fattispecie citate. Ciò potrà determinare conseguenze di natura patrimoniale, atteso che il comune denominatore dell’avvenuto accertamento si identificherà nell’obbligo al risarcimento del danno.

In via assolutamente sommaria, ricordiamo che la responsabilità civile contrattuale troverà luogo in tutti i casi ove fosse sentenziato l’inadempimento di un contratto. Ebbene, l’inosservanza di tale accordo, e della clausole che ne avranno determinato il contenuto comporterà, per la parte inadempiente, uno stato di responsabilità.

Per quanto attiene alla responsabilità civile extracontrattuale, l’art. 2043 del codice civile definisce il fatto illecito come qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto. A ben vedere, il compimento di attività a favore di soggetti interni o esterni all’Associazione potrà comportare la presenza di eventi “dannosi” nei confronti dei medesimi, eventi potenzialmente imputabili alla responsabilità dell’associazione. Si immagini l’organizzazione di una manifestazione rivolta all’intera comunità, ove si predispongano punti di aggregazione, di somministrazione di pasti e di visita a strutture espositive. Il concretizzarsi di incidenti a danno dei visitatori indurrà l’associazione ad un’assunzione di responsabilità concretamente rapportabile ai membri esecutori delle mansioni di organizzazione e di allestimento. Si parlerà, nello specifico, di responsabilità civile extracontrattuale diretta, venendo  coinvolti gli organi sociali dell’associazione e, quale conseguenza, i loro stessi componenti.

Diversa nella natura, ma non nell’esito sostanziale, l’ipotesi di fatto illecito commesso da un ausiliare dell’associazione pur sempre nell’ambito di un’attività ascrivibile a quest’ultima. È il caso di un corso di ginnastica per soli soci, ove la condotta negligente o imprudente dell’istruttore causi il verificarsi di un incidente ad un corsista. Sebbene si tratti di responsabilità civile extracontrattuale indiretta, in virtù della quale la comparsa del danno verrà imputata all’ausiliare con mansione di istruttore, il soggetto danneggiato manterrà il diritto di esercitare un’azione di risarcimento nei confronti dell’associazione, salva la successiva facoltà di regresso dell’ente verso l’autore del comportamento negligente o imprudente.

Il denominatore comune all’accertamento di entrambe le tipologie di responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) si configurerà nell’obbligo al risarcimento del danno e, in termini monetari, nel versamento di una somma di denaro.

Per le associazioni dotate di personalità giuridica, il risarcimento avrà luogo esclusivamente a mezzo del patrimonio sociale, senza che alcuna delle persone fisiche ivi coinvolte (usualmente amministratori e presidente) possano subire un intervento a carico del suo patrimonio personale.

Al contrario, in assenza di riconoscimento di personalità giuridica, l’insufficienza del patrimonio sociale potrà determinare uno spostamento sul patrimonio personale di coloro che avevano agito in nome e per conto dell’associazione.

Ci si chiede se tra coloro che diverranno personalmente passibili dell’azione di risarcimento sia da annoverare la sola persona fisica che materialmente avrà agito ovvero l’insieme dei soggetti che, all’interno di uno specifico organo sociale (ad esempio consiglio direttivo), avranno deliberato di agire in quella direzione. Sul punto la Giurisprudenza è incline a preferire quest’ultima ipotesi, salva la preventiva sussistenza di specifiche deleghe e competenze conferite ad un singolo consigliere (o, più in generale, ad un singolo associato).

Se in materia di enti riconosciuti si attua in modo inequivocabile la piena tutela del patrimonio degli associati, e in particolar modo degli amministratori, sarà opportuno precisare come anche per gli enti non riconosciuti potranno essere adottati strumenti alternativi di preservazione del patrimonio personale di coloro che vi agiscono in nome e per conto. In particolare, rimanendo nel campo della responsabilità civile extracontrattuale, la stipula di apposite polizze assicurative rappresenterà un’adeguata forma di garanzia.

Diversa considerazione in tema di responsabilità civile contrattuale, giacché per tale fattispecie il miglior mezzo di inattaccabilità del patrimonio personale sarà una preventiva valutazione delle risorse effettivamente insite al patrimonio sociale.

 

La responsabilità tributaria-amministrativa

All’interno di ciascun sodalizio è frequente l’individuazione di soggetti, per lo più consiglieri, con mansioni di tenuta della contabilità e di pagamento delle relative imposte. In ipotesi di mancato esercizio di attività di natura commerciale, potranno comunque essere introdotti rapporti di lavoro subordinato o autonomo con il conseguente intervento da parte del sodalizio nel ruolo di sostituto di imposta.

Ci si chiede allora a quali conseguenze andrà incontro l’associazione portatrice di una condotta omissiva in termini di adempimenti contabili, impositivi o dichiarativi.

Ancora una volta, l’esito della questione verterà sulla differenza tra enti riconosciuti ed enti non riconosciuti.

Il principio di personalizzazione della sanzione stabilisce che, nel caso di violazione correlata alla determinazione o al pagamento del tributo commessa da dipendente, rappresentante o amministratore di un’associazione non riconosciuta, sovverrà una responsabilità in solido in capo alla stessa associazione e alla persona fisica autrice materiale della violazione. La compresenza di questo doppio grado di responsabilità consentirà all’amministrazione finanziaria di muovere contestualmente verso le due figure (ente e persona fisica autrice della violazione), pretendendo da entrambe il pagamento integrale della sanzione.

Rimarrà, naturalmente, fermo il diritto di regresso esercitabile dall’ente beneficiario della violazione verso la persona fisica responsabile.

Per ovviare a tale vincolo restrittivo, l’art. 11 co. 6° del D.lgs. n. 472 del 18/12/1997 prevede la possibilità di accollo del debito da sanzione da parte dell’ente beneficiario, a favore dell’autore materiale della violazione. In questo modo, le associazioni non riconosciute saranno autorizzate, a mezzo di verbale di assemblea ordinaria, a deliberare il trasferimento di un’eventuale sanzione tributaria dal patrimonio della persona fisica autrice a quello della stessa associazione; nondimeno, qualora la disponibilità della base patrimoniale associativa risultasse insufficiente, potranno essere gli associati, con identica quota, ad intervenire personalmente.

In tal caso si potrebbe adottare un testo di verbale di accollo della sanzione del seguente tenore (in ogni caso da verificare preventivamente con il proprio Commercialista non assumendosi alcuna responsabilità sul contenuto): «L’Assemblea, con riferimento all’articolo 11 comma 6 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, delibera che l’Associazione si assume, anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni o degli enti che gestiscono i tributi, il debito per sanzioni conseguenti a violazioni che i rappresentanti della stessa e/o gli amministratori commettono nello svolgimento delle mansioni cui sono preposti ed entro i limiti dei rispettivi poteri. L’assunzione vale nei casi in cui il rappresentante, o l’amministratore, abbia commesso la violazione senza dolo, ed è in ogni caso esclusa quando chi ha commesso la violazione abbia agito volontariamente in danno dell’associazione. È altresì esclusa nei casi in cui la colpa abbia quelle connotazioni di particolare gravità definite dall’art. 5 co. 3° dello stesso D.lgs. n. 472/1997. La particolare gravità della colpa si intende provata quando i giudici tributari, investiti della controversia, si saranno pronunciati in senso analogo o quando venga riconosciuto dallo stesso autore della violazione che le prove fornite dall’ufficio o dall’ente accertatore sono tali da rendere evidente e indiscutibile la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari».

 

La responsabilità penale

Uno dei principi cardine del nostro diritto è quello per cui la responsabilità penale potrà essere estesa solamente ad una persona fisica, non contemplandosi ipotesi di applicazione (salvo quanto previsto dal D.lgs. 08/06/2001 n. 231 in materia di responsabilità amministrativa da reato) in capo a persone non fisiche, siano esse dotate o prive di personalità giuridica. Pertanto, in caso di sussistenza di un'ipotesi di reato (nell'esempio sopra fatto di infortunio in occasione di un corso di ginnastica potrebbe trattarsi di lesioni colpose), risponderà solo e soltanto l'autore del fatto; ferme le previsioni della Legge in materia di dolo e di responsabilità oggettiva.

 

Come tutelarsi

La principale forma di tutela consiste nel dotare l'associazione di personalità giuridica. Per quanto attiene la responsabilità di natura civile è opportuno stipulare poi una idonea polizza assicurativa (in tal caso sarà bene farsi assistere dal proprio Consulente di fiducia onde evitare clausole che rendano in concreto inefficace la Polizza. Vi è poi da valutare la possibilità di segregare il proprio patrimonio (e qui l'intervento di un Consulente è assolutamente necessario).

Come noto, l’art. 2740 del Codice civile prevede che il debitore risponda dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e che le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. In sostanza, siamo tenuti a rispondere di un debito anche con il patrimonio che acquisiremo in futuro in qualsiasi modo: attraverso il nostro lavoro, una eredità o una vincita al lotto. Vi sono alcuni strumenti, pienamente leciti nel nostro ordinamento anche se -spesso- non in grado di “resistere” effettivamente ad un’azione da parte dei creditori, che permettono di segregare una fetta del nostro patrimonio per destinarlo al perseguimento di finalità specifiche meritevoli di tutela.

Il primo esempio classico è quello del fondo patrimoniale che determina un vincolo su alcuni beni al fine di soddisfare i bisogni della famiglia. Il vincolo di destinazione (art. 2645 ter del Codice civile) mira a soddisfare interessi connessi alle pubbliche amministrazioni, alla disabilità e, più in generale, qualsiasi ulteriore interesse meritevole di tutela.

Vi è poi il trust, in relazione al quale l’interesse da tutelare non è definibile aprioristicamente ma con riferimento ad ogni caso concreto.

Ebbene, è evidente come un vincolo segregativo diminuisca la garanzia dei creditori che si vedono sottrarre una parte del patrimonio del debitore per il soddisfacimento delle loro esigenze.

È appena il caso di ricordare come la segregazione del patrimonio non possa ledere le ragioni di credito nate anteriormente. Sotto questo profilo si deve ricordare l’azione revocatoria (art. 2901 Codice civile) che può essere esperita dal creditore entro il termine non breve dei 5 anni, ed il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte previsto dall’art. 11 D.lgs. n. 74 del 10/03/2000 che sanziona penalmente i soggetti che utilizzano strumenti segregativi per sottrarsi al pagamento delle imposte.

Infine, un ultimo accenno alla pignorabilità della prima casa e alla trasferibilità dei debiti ai figli. Ad oggi, infatti, la prima casa è, e resta, pignorabile, così come lo è sempre stata, da parte di tutti i creditori privati. Esiste una sola deroga a questa generale facoltà dei creditori, prevista solo nel caso in cui ad agire sia Equitalia. Essa è stata introdotta nel 2013 con il famoso “Decreto del Fare” del Governo Letta. In questa ipotesi, l’agente per la riscossione non può pignorare (ma può solo iscrivere ipoteca) la prima casa, a condizione però che sia:

·       l’unica del debitore;

·       in essa il debitore vi risieda per come dichiarato all’anagrafe del Comune;

·       l’immobile è accatastato a civile abitazione (non, per esempio, ad uso studio);

·       l’immobile non sia di lusso.

In tutela degli eredi entrano in gioco due possibilità:

·       la rinuncia all’eredità;

·       l’accettazione con beneficio di inventario.

È un atto con il quale il chiamato (l’erede) dichiara di non volere acquistare l’eredità, ad esempio perché i debiti del defunto sono superiori ai crediti. In questo modo egli fa cessare gli effetti verificatisi nei suoi confronti a seguito dell’apertura della successione e rimane, pertanto, completamente estraneo alla stessa con la conseguenza, tra l’altro, che nessun creditore potrà rivolgersi a lui per il pagamento dei debiti ereditari. L’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario consente di distinguere il patrimonio del defunto da quello dell’erede: in questo modo l’erede risponderà di eventuali debiti del defunto soltanto con il patrimonio ereditato.

 

Maggio 2017