LA RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE NELLA NUOVA DISCIPLINA DEI LL.PP.: L'ACCORDO BONARIO ED IL GIUDIZIO ARBITRALE
SOMMARIO:
1. Premessa
2. L'accordo bonario
2.1. Ambito di applicazione
2.2. Presupposti
2.3. Il procedimento di formazione
2.4. Natura giuridica dell'accordo bonario
3. Il giudizio arbitrale
1. Premessa
La risoluzione delle controversie nell'appalto oo.pp., con la legge n. 109/94 e
successive modifiche ed integrazioni, trova peculiari aspetti innovativi rispetto alla
disciplina previgente, aspetti particolarmente problematici e destinati ad un ampio
dibattito dottrinario, prima e, quindi, anche giurisprudenziale.
La legge Merloni (artt. 31 e 32) ed il titolo X del r.g. di attuazione (artt. 149, 150 e
151) disciplinano in dettaglio i due nuovi strumenti introdotti dal legislatore ai fini
della definizione delle controversie che attengono alla fase esecutiva dei lavori:
l'accordo bonario e la camera arbitrale.
Il primo tende a risolvere le controversie quando ancora l'esecuzione del contratto è in
corso, mentre il secondo può essere attivato al termine dell'esecuzione relativamente a
tutte quelle controversie che non sono riuscite a trovare in precedenza una definizione
bonaria.
La finalità voluta dal legislatore, espressamente indicata nella rubrica dell'art. 31-bis
della legge Merloni, è quella di accelerare i tempi in materia di contenzioso sia in sede
amministrativa che in sede giurisdizionale; alle finalità tipicamente acceleratorie se ne
aggiungono altre, comuni all'intera legge Merloni, e che possono essere sintetizzate
nell'esigenza di raggiungere una maggiore responsabilizzazione di tutti i soggetti che
intervengono nell'iter per la realizzazione di un'opera o di un lavoro pubblico.
2. L'accordo bonario
L'istituto dell'accordo bonario, disciplinato dall'art. 31-bis della legge Merloni e
successivo art.148 del r.g., si sostanzia in un meccanismo procedurale concepito nel
tentativo di evitare che il contenzioso che dovesse sorgere in corso d'opera venga ad
assumere una dimensione particolarmente rilevante, rendendo così più difficile la sua
possibile risoluzione anche in relazione al tempo trascorso tra l'insorgere del fatto che
determina la controversia ed il momento in cui essa viene presa in considerazione.
Le disposizioni che disciplinano l'istituto si presentano alquanto complesse, per cui
appare opportuno esaminarlo previa analisi distinta circa l'ambito di applicazione, i
presupposti, l'iter di formazione dell'accordo e la natura giuridica.
2.1. Ambito di applicazione
Quanto all'ambito di applicazione dell'art. 31-bis occorre prendere in considerazione sia
il profilo oggettivo sia quello soggettivo.
Dal punto di vista oggettivo la norma non pone particolari problemi. Essa, infatti, si
riferisce indistintamente agli appalti e alle concessioni in materia di lavori pubblici.
Anche dal punto di vista soggettivo la norma non lascia spazi a dubbi interpretativi:
l'art. 31- bis richiama i soggetti di cui alle lettere a) e b) dell'art. 2 della stessa
legge e l'art. 2, comma 3, include espressamente gli artt. 31-bis e 32 tra quelli
applicabili da parte dei concessionari.
In definitiva tali norme troveranno applicazione per:
- le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo;
- gli enti pubblici, compresi quelli economici;
- gli enti e le amministrazioni locali, le loro associazioni e consorzi, nonché gli altri
organismi di diritto pubblico;
- i concessionari di lavori pubblici;
- i concessionari di infrastrutture destinate al pubblico esercizio;
- le società con capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che abbiano ad
oggetto della propria attività la produzione di beni e servizi non destinati ad essere
collocati sul mercato in regime di libera concorrenza;
- i concessionari di servizi pubblici ed i soggetti di cui al d.lgs. n. 158/95 di
attuazione della direttiva Cee n. 93/38, relativa alla disciplina degli appalti e delle
forniture nei "settori esclusi" qualora operino in virtù di diritti speciali o
esclusivi.
Sono esclusi solo i soggetti privati che eseguano lavori civili di importo superiore a 1
milione di ecu e che per gli stessi godano di un contributo diretto e specifico, in conto
interesse o capitale, da parte delle amministrazioni di cui all'art. 2, lett. a), di
valore superiore al 50% dell'importo dei lavori.
2.2. Presupposti
Il sistema previgente in materia era basato sul differimento del contenzioso ad un momento
successivo all'esecuzione dell'opera; condizioni di procedibilità dell'azione erano
l'approvazione del collaudo e la pronuncia, in via amministrativa, sulle riserve da parte
dell'amministrazione.
L'art. 5 della legge n. 741/81 successivamente ha modificato la disciplina consentendo
l'avvio del contenzioso decorsi i termini esclusivamente fissati per l'approvazione del
collaudo.
L'eccezione alla regola si rinveniva nell'art. 44 del capitolato generale del Ministero
dei ll.pp.
che prevedeva l'ipotesi di introdurre il contenzioso in corso d'opera.
Tra l'altro nessuna previsione normativa stabiliva il procedimento per la risoluzione
delle riserve in corso d'opera che, seppure possibile, quanto all'instaurazione ed al
procedimento era affidato alla singola amministrazione appaltante.
Con l'art. 31-bis della legge Merloni e l'art. 149 del r.g., viene ora fissata
l'obbligatorietà, in presenza di taluni presupposti, di avviare un procedimento per
tentare di raggiungere un componimento bonario della controversia fissando i tempi e
modalità, nonché compiti precisi dei soggetti interessati.
In merito ai presupposti, in presenza dei quali soltanto è ammissibile detto strumento,
dall'esame delle disposizioni che trattano l'istituto si rilevano le seguenti condizioni:
1) che i lavori pubblici cui si riferisce la controversia siano affidati ai soggetti di
cui all'art. 2, comma 2, lettere a) e b), della legge n. 109/94 e successive modifiche e
integrazioni; 2) che si controverta in materia di appalti pubblici e di concessioni; 3)
che siano iscritte riserve nei documenti contabili; 4) che a seguito di detta iscrizione
l'importo economico dell'opera possa variare in misura sostanziale ed in ogni caso non
inferiore al 10% dell'importo contrattuale.
In tale ultimo presupposto si trova l'effettiva ratio della norma; evitare cioè che le
controversie rappresentino per le amministrazioni gravose sopravvenienze passive e veri e
propri debiti fuori bilancio sommersi. In funzione di ciò, e quindi per tenere sotto
controllo la spesa pubblica, il legislatore ha imposto l'obbligatorietà della procedura
per il tentativo di accordo bonario.
Aspetto di rilievo, in tema di presupposti, assume l'elemento temporale entro il quale
collocare il tentativo di accordo bonario. In merito appare condivisibile quanto affermato
dal Ministero dei ll.pp. (1) secondo cui l'applicazione dell'art. 31-bis
riguarda tutte le fattispecie per cui, a prescindere dall'ultimazione dei lavori, il
procedimento di esecuzione del contratto non possa dirsi esaurito, non essendo intervenuto
l'atto finale del collaudo dell'opera. Ne consegue che il raggiungimento di soluzioni
transattive ben si può configurare anche in caso di giudizi già avviati onde evitare il
prolungarsi di contenziosi per diversi gradi di giudizio.
In definitiva, in presenza dei presupposti innanzi specificati, si configura in capo
all'amministrazione il diritto di attivazione del procedimento e ciò sia perchè la norma
potrebbe consentire di anticipare la soddisfazione delle pretese dell'appaltatore, sia
perchè il mancato raggiungimento dell'accordo consente la successiva tutela
giurisdizionale della stessa.
C'è infine da rilevare che il presupposto per l'attivazione dello strumento dell'accordo
bonario indicato al precedente punto 4 (riserva non inferiore al 10% dell'importo
contrattuale) può consentire un'applicazione ciclica dell'amministrazione; infatti l'art.
149, comma 7, del r.g.
prevede che, definito l'esame di un primo insieme di riserve il cui ammontare sia
inferiore alla percentuale del 10%, ad esso si può nuovamente ricorrere ogni qualvolta,
in una fase successiva, detta percentuale venga nuovamente superata.
2.3. Il procedimento di formazione
L'art. 149 del r.g. detta un'articolazione procedimentale molto dettagliata dell'accordo
bonario evidenziando il carattere di terzietà del responsabile del procedimento ai fini
della valutazione delle riserve.
In presenza dei presupposti innanzi esaminati, la norma sotto il profilo procedimentale
prevede il seguente iter formativo: 1) il direttore dei lavori comunica con tempestività
al responsabile del procedimento il verificarsi dei presupposti per attivare il
procedimento per la definizione delle controversie; 2) il responsabile del procedimento
acquisisce immediatamente la comunicazione riservata della direzione dei lavori e, ove
costituito e nominato, del collaudatore in corso d'opera; 3) detto responsabile, sulla
scorta della relazione riservata della direzione dei lavori:
a) valuta, in via preliminare, l'ammissibilità e la non manifesta infondatezza delle
riserve ai fini del raggiungimento del limite di valore (10%) dell'importo contrattuale;
b) sente l'appaltatore in ordine alle condizioni ed ai termini di eventuali accordi che
vengono definiti in uno schema-tipo;
c) formula, alla stazione appaltante, una proposta motivata di soluzione bonaria entro 90
gg.
dall'apposizione dell'ultima riserva sui documenti contabili da parte dell'appaltatore; 4)
entro i successivi 60 gg. la stazione appaltante nelle forme previste dal proprio
ordinamento (per gli enti locali è il consiglio comunale l'organo competente ai sensi
dell'art. 32 della legge n. 142/90), previa acquisizione di ulteriori pareri ritenuti
necessari, assume le dovute determinazioni in merito alla proposta formulata e ne dà
comunicazione sia all'appaltatore che al responsabile del procedimento; 5) nel caso in cui
la proposta sia stata accettata dall'appaltatore, il responsabile del procedimento, in
esecuzione delle determinazioni assunte dalla stazione appaltante, convoca le parti per la
sottoscrizione del verbale di accordo bonario che comporta la definizione di ogni
contestazione fino a quel momento insorta.
Nell'iter formativo dell'accordo bonario articolato nei punti di cui sopra, distinguiamo
le seguenti fasi procedimentali:
a) fase propulsiva-istruttoria;
b) fase predecisoria dell'accordo;
c) fase deliberativa di tipo provvedimentale quale momento costitutivo del consenso;
d) fase costitutiva e integrativa dell'efficacia dell'accordo che si realizza con la
formalizzazione dell'assetto degli interessi sul quale è stato raggiunto l'accordo
(sottoscrizione dell'intesa).
Con riferimento al momento propulsivo, il primo impulso all'attivazione della procedura
deve avvenire da parte del direttore dei lavori il quale, accertato che le riserve
dell'appaltatore hanno superato la percentuale fissata dalla norma, ne deve dare immediata
comunicazione al responsabile del procedimento. Ed è proprio questa ultima figura che
assume un ruolo centrale nell'operatività dell'istituto, poichè essa funge da tramite
tra amministrazione appaltante ed appaltatore nel tentativo di giungere alla conclusione
dell'accordo bonario.
I criteri guida ai quali il responsabile del procedimento dovrà informare la propria
azione consistono nell'apprezzamento discrezionale della convenienza e dell'opportunità
di addivenire ad un accordo bonario, previa valutazione (sulla scorta dei pareri resi
dalla direzione dei lavori e dal collaudatore in corso d'opera) della fondatezza della
pretesa avanzata dall'impresa, in relazione alla sussistenza e consistenza degli elementi
di fatto e di diritto posti a fondamento delle riserve, nonché della disponibilità
dell'appaltatore a definire l'accordo.
Tale fase valutativa, che apre un sostanziale confronto con l'appaltatore, dovrà tradursi
in una proposta motivata che contenga in dettaglio le ragioni che introducono all'accordo
ovvero quelle contrarie, riferendo altresì in ordine alle proposte formulate dall'impresa
in sede di consultazione. Ove queste siano ritenute, a giudizio del responsabile del
procedimento, accettabili potranno formare oggetto di uno schema di accordo che,
sottoscritto dall'appaltatore, unitamente alla proposta del responsabile del procedimento
è sottoposto alla valutazione definitiva dell'amministrazione (2).
Questa ultima attività caratterizza la fase procedimentale cosiddetta
"predecisionale" dell'accordo.
Successivamente l'amministrazione, acquisita la proposta di accordo formulata dal
responsabile del procedimento, riconosciuta la posizione dell'impresa, con provvedimento
motivato delibera in merito.
È bene precisare che tale deliberazione non si configura come un provvedimento di
approvazione di un atto già concluso, bensì come elemento costitutivo dell'accordo
medesimo.
La deliberazione dell'amministrazione può avere uno dei seguenti contenuti:
a) di adesione all'accordo bonario al quale l'interessato aveva già prestato
accettazione: in tal caso con la comunicazione, nei successivi 60 gg., il responsabile del
procedimento perfeziona l'accordo;
b) di adeguamento della proposta del responsabile del procedimento alle maggiori richieste
dell'appaltatore: anche in questa ipotesi il responsabile del procedimento nei successivi
60 gg.
dalla comunicazione propone l'accordo;
c) di non accettazione della proposta di accordo formulata o di riduzione dell'importo
della stessa a prescindere dall'accettazione o meno da parte dell'appaltatore.
Si apre così l'ultima fase che prevede che sia l'appaltatore a pronunciarsi decidendo di
accettare o meno la proposta quale risulta dalla delibera assunta dalla pubblica
amministrazione.
In caso di accettazione da parte dell'appaltatore il percorso procedurale si conclude
positivamente con la sottoscrizione del verbale di accordo bonario delle parti intervenute
che comporta la definizione di tutte le contestazioni che formano oggetto dell'accordo,
con la conseguenza che esse non potranno più essere sollevate di fronte ad alcun organo
giurisdizionale nè potranno formare oggetto di arbitrato.
Se invece l'accordo non si conclude, resta impregiudicato il diritto delle parti di
rivolgersi all'autorità giudiziaria ed è inoltre previsto (art. 149, comma 6) che le
dichiarazioni e gli atti posti in essere dalle parti durante il procedimento non assumano
alcun valore vincolante.
Va infine aggiunto che nel caso di definizione positiva dell'accordo bonario, sulle somme
riconosciute all'impresa spettano a quest'ultima gli interessi legali a decorrere dal
sessantesimo giorno successivo alla sottoscrizione dell'accordo stesso (comma 5, art.
149).
Nell'ambito del procedimento di formazione dell'accordo bonario, sotto il profilo formale,
assumono rilievo due "documenti" che recepiscono l'assetto degli interessi
definiti tra l'appaltatore e il responsabile del procedimento.
Il primo è il cosiddetto schema di accordo che deve essere sottoscritto dall'appaltatore,
e che verosimilmente assumerà, dopo la definitiva decisione del soggetto avente
competenza deliberativa in merito, la veste esteriore di "verbale" (siccome
definito dallo stesso legislatore, art. 31-bis, comma 1, art. 149, r.g., comma 3).
Il secondo "documento" è invece rappresentato dalla proposta formulata dal
responsabile del procedimento che deve essere come abbiamo detto in precedenza ampiamente
e compiutamente motivata.
Dal punto di vista strutturale i due atti si differenziano nettamente; lo schema di
accordo infatti si configura come l'incontro di consensi tra il responsabile del
procedimento e l'impresa, ovvero un atto bilaterale, mentre la proposta d'accordo è un
atto unilaterale del solo funzionario incaricato teso ad evidenziare le ragioni in
considerazione delle quali si reputa opportuno che l'amministrazione addivenga all'accordo
determinandosi positivamente in merito.
Dall'analisi normativa che disciplina il procedimento di formazione dell'accordo bonario
emerge in tutta evidenza una problematica di rilievo legata alla figura del responsabile
del procedimento ed ai suoi compiti.
Innanzitutto va precisato, con sufficiente grado di sicurezza, che il responsabile del
procedimento deve essere soggetto interno della pubblica amministrazione, nominato prima
della fase di predisposizione del progetto preliminare da inserire nell'elenco annuale dei
lavori di cui al programma delle oo.pp. previsto dall'art. 14 della legge Merloni.
Tale circostanza compromette alla base la procedura di conciliazione che (secondo le
esperienze dei Paesi di common law nei quali tali procedure sono notevolmente utilizzate)
necessita di un soggetto in posizione di assoluta terzietà, quale organo super partes,
dotato di autonomia ed ampi poteri di indagine e libertà di convincimento.
Ciò non si verifica con la norma in esame, che, quindi, più che un tentativo di
conciliazione sembra aver procedimentalizzato e pubblicizzato una sorta di risoluzione in
via amministrativa delle riserve.
Tale problematica è, poi, ancora più evidente in quei casi in cui il responsabile del
procedimento può coincidere con il progettista ovvero con il direttore dei lavori; in
tali caso la terzietà è del tutto assente atteso che il responsabile del procedimento
nella sua attività di conciliazione potrebbe trovarsi a dover valutare scelte da esso
stesso effettuate nelle altre vesti.
Proprio in funzione di ciò si potrebbe sostenere che quando l'art. 31-bis parla di
responsabile del procedimento intenda riferirsi non a quello dell'intero appalto ma ad un
altro soggetto individuato dall'amministrazione quale responsabile del procedimento per
l'accordo bonario.
Tale tesi si presenta alquanto suggestiva anche se richiederebbe esplicite indicazioni a
livello legislativo e regolamentare al fine di coordinare tale figura con gli altri
soggetti già previsti dalla legge n. 109 e per fornire ad essa gli elementi necessari per
attivare la relativa procedura di accordo bonario.
2.4. Natura giuridica dell'accordo bonario
In ordine al problema della qualificazione circa la natura giuridica dell'accordo bonario,
in dottrina si discute se:
a) si tratti di un procedimento conciliativo tout court;
b) invece costituisca una tipologia specifica rientrante nell'ambito degli accordi
amministrativi (art. 11 legge n. 241/99);
c) sia riconducibile allo schema civilistico della transazione.
Tale aspetto attiene esclusivamente ad un profilo classificatorio e non di disciplina in
quanto già dettagliatamente formalizzato ex lege.
Preliminarmente appare opportuno citare quella dottrina (3) che sostiene
che in materia di riserve non ci si trovi al cospetto di diritti indisponibili (e come
tali sottratti ex lege alla transigibilità ex art. 806 c.p.c.), bensì di fronte ad atti
di diritto privato rientranti come tali nell'ambito delle attività di diritto privato
della pubblica amministrazione, costituendo la riserva la modalità esclusiva con cui
l'appaltatore deve formulare le proprie richieste in ordine all'esecuzione dell'opera.
Quanto alla tesi che riconduce la fattispecie de qua al procedimento conciliativo, appare
utile anzitutto evidenziare gli aspetti strutturali che la dottrina considera costanti in
merito a detta procedura (4). Si ha conciliazione quando "due o più
soggetti protagonisti di un conflitto su diritti "tentano di trovare, di fronte ad un
terzo investito di un compito di mediazione, una soluzione concordata della lite e
registrano, al termine, il loro mancato accordo o la composizione consensuale della lite
stessa".
Secondo la succitata dottrina, la peculiarità della conciliazione sia giudiziaria che
extragiudiziaria, il suo quid pluris rispetto ai diversi negozi compositivi di liti, va
individuata:
a) nella procedimentalizzazione dell'attività di componimento della lite;
b) nella presenza di un terzo, investito del compito di effettuare una mediazione
qualificata tra i soggetti in lite.
Tuttavia la fattispecie di accordo bonario in esame non appare manifestare tout court gli
elementi strutturali della conciliazione extragiudiziaria. Ciò in considerazione del
fatto che nel caso di specie manca la figura del "terzo" laddove il responsabile
del procedimento, cui la legge assegna il ruolo di soggetto titolare delle fasi
procedimentali di formazione dell'accordo, appartiene alla pubblica amministrazione in
veste di unità organizzativa, personificazione concreta dell'attività dei pubblici
uffici.
Sotto altri aspetti la fattispecie procedimentale prevista dal comma 1 dell'art. 31-bis e
dall'art.139 del r.g. sembra riconducibile, sotto il profilo sia dottrinario che
normativo, alla disciplina degli accordi di cui all'art. 11 della legge n. 241/90 intesi
quali atti bilaterali non negoziali o accordi procedimentali.
Si argomenta ritenendo che talvolta la pubblica amministrazione, persino nell'esercizio
del potere discrezionale, non detenga più l'esclusiva disponibilità della fattispecie
cui è legato il pubblico interesse in quanto in tale ipotesi la funzione di cura
dell'interesse pubblico appare esercitabile solo mediante il consenso di altri soggetti.
Si sostanzierebbe in questi casi una figura di accordo in termini di incontro di volontà
tra pubblica amministrazione e privato. Detto istituto diventa utilizzabile come strumento
generale ordinario di azione amministrativa la cui configurabilità teorica ha ottenuto il
conforto e la legittimazione normativa con l'art. 11 della legge 7 agosto 1990, n. 241,
che ha introdotto il cosiddetto "contrattualismo amministrativo".
La fattispecie invece di "accordo bonario" di cui alle norme richiamate è ex
lege destinata a costituire lo strumento risolutivo delle controversie relative a riserve;
essa attiene a controversie vertenti su atti di diritto privato cui sottostà un preteso
diritto soggettivo dell'appaltatore relativo alla fase esecutiva del lavoro affidato;
pretese che di regola corrispondono a compensi derivanti da fatti producenti una spesa.
Ne consegue, quindi, che l'accordo bonario, vertendo in tema di pretese di diritto
soggettivo vantato dall'affidatario, non può essere ricondotto nell'ambito degli accordi
amministrativi ex art. 11 legge n. 241/90, bensì deve essere collocato nel contesto
dell'attività contrattuale di diritto privato della pubblica amministrazione.
In sostanza, nel caso di specie, siamo in presenza di una attività di pubblici poteri che
si sviluppa mediante un modulo consensuale atipico, bilaterale, procedimentalizzato ex
lege.
Tramite questo modulo, l'amministrazione e l'appaltatore firmatario di riserva, sia pure
agendo nell'ambito di un percorso procedimentale, ricercano un accordo in via negoziale al
fine di evitare l'instaurazione di una controversia.
Da quanto premesso si sosterrebbe l'ammissibilità della fattispecie di accordo bonario de
qua all'istituto della transazione di matrice civilistica, disciplinato dagli artt. 1965 e
segg. del c.c..
Dalla lettura della predetta norma emerge anzitutto il dato giuridico sostanziale relativo
alla natura negoziale del procedimento transattivo, e quindi la caratteristica della
funzionalità della transazione a comporre liti in via convenzionale-extraprocessuale.
In via puramente interpretativa, il procedimento previsto dalla legge Merloni (art. 1-bis,
comma 1) e dal r.g. (art. 149) appare riconducibile a quello schema contrattuale
all'interno del quale la pubblica amministrazione è chiamata a deliberare in merito ed
accettare, riconoscendone la fondatezza, la pretesa della controparte privata.
Tale schema negoziale, che potrebbe essere definito in termini di "contratto
procedimentale", è dalla dottrina (5) ritenuto sufficiente ad
integrare e configurare la concessione "reciproca".
Ne consegue che la fattispecie in esame divenuta pienamente riconducibile allo schema
della transazione in cui l'amministrazione può ritenere più conveniente ed adeguato ai
pubblici interessi addivenire ad una soluzione transattiva certa anche se non
eventualmente pienamente soddisfacente, piuttosto che ad una soluzione giudiziale.
3. Il giudizio arbitrale
Gli articoli 150 e 151 del r.g. di attuazione della legge Merloni disciplinano le
modalità di risoluzione delle controversie sorte in fase di esecuzione di un'opera
pubblica tra stazione appaltante ed appaltatore nell'ipotesi in cui l'arbitrato sia stato
individuato dalle parti nell'atto negoziale come lo strumento da utilizzare per tale
soluzione in luogo del ricorso alla giurisdizione ordinaria.
In merito a tale fattispecie, alla luce delle nuove disposizioni si rileva di estremo
interesse il rapporto tra procedure di formazione di accordo bonario ed il procedimento
arbitrario.
L'art. 32, comma 1, della legge n. 109/94 e successive modificazioni ed integrazioni
stabilisce che "tutte le controversie derivanti dall'esecuzione del contratto,
comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto
dall'art. 31-bis, comma 1, possono essere deferite ad arbitri". La stessa circolare
del Ministero dei ll.pp. n. 4488/UL del 7.10.1986 afferma che la richiamata disposizione
prevede che la risoluzione delle controversie, per cui non sia raggiunto un accordo
bonario, è attribuita ad un arbitrato secondo le norme del codice di procedura civile.
Stante la lettura delle due disposizioni, in linea con gli obiettivi di celerità nella
definizione del contenzioso perseguito dal legislatore, sembra potersi affermare che
l'accesso alla giustizia arbitrale è consentito solo dopo il fallimento del tentativo di
accordo bonario.
Come si è già accennato, in base alla norma del c.p.c., presupposto necessario ed
essenziale dell'arbitrato è un compromesso o una clausola compromissoria frutto della
libera volontà delle parti in causa.
Anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 31 della legge Merloni, l'arbitrato in materia di
lavori pubblici ha carattere facoltativo per cui si richiede come presupposto inderogabile
una clausola compromissoria che trova il suo fondamento nella libera scelta delle parti.
Questa interpretazione trova conforto nella decisione della Corte Costituzionale (6)
che ha affermato la facoltatività del giudizio arbitrale che è costituzionalmente
legittimo solo quando trova la sua fonte nella concorde volontà delle parti.
Ne consegue, in via definitiva, che per ricorrere al giudizio arbitrale devono sussistere
i seguenti presupposti:
a) avere esperito il tentativo di definire la controversia mediante l'accordo bonario
(verbale negativo);
b) l'esistenza di una clausola compromissoria nell'atto giudiziale con la quale le parti
si sono liberamente determinate di utilizzare in alternativa lo strumento dell'arbitrato
per la definizione di qualunque controversia.
L'arbitrato, quindi, ove previsto contrattualmente apre la fase successiva al mancato
accordo in fase di controversie.
Il sistema resta disciplinato dall'art. 151 del r.g. che prevede la creazione di una
camera arbitrale i cui organi sono il presidente ed il consiglio arbitrale. La camera è
unica e ha sede a Roma presso l'Autorità per la vigilanza sui ll.pp.. Rappresenta un
braccio operativo della stessa autorità e svolge le seguenti funzioni:
a) cura la formazione e la tenuta dell'Albo degli arbitri;
b) redige il codice deontologico degli arbitri camerali;
c) provvede a tutti gli adempimenti necessari alla costituzione ed al funzionamento del
collegio arbitrale.
Il consiglio arbitrale è composto da 5 membri nominati dall'autorità fra i quali
l'autorità medesima sceglie il presidente. I membri del consiglio devono non soltanto
essere competenti ma in grado di garantire autonomia e indipendenza dell'istituto. Essi
durano in carica per 5 anni e sono retribuiti nella misura fissata nell'atto di nomina e
nei limiti delle risorse assegnate all'autorità. I membri del consiglio sono soggetti
alle stesse incompatibilità e divieti degli iscritti agli Albi degli arbitri e si
avvalgono nella loro attività di una struttura di segreteria.
Possono essere iscritti all'albo della camera arbitrale: 1) i magistrati amministrativi e
contabili e gli avvocati dello Stato, se in servizio su designazione dell'organo
decisionale dei rispettivi ordinamenti e se a riposo autonomamente.
In ogni caso il numero massimo della loro presenza nell'albo è stabilito dal consiglio
della camera arbitrale; 2) gli avvocati patrocinanti alle magistrature superiori che
abbiano i requisiti per la nomina a consigliere di Cassazione; 3) i laureati in ingegneria
e/o in architettura abilitati da più di dieci anni all'esercizio della professione che
soltanto al momento dell'iscrizione a questo albo lo siano anche a quello del rispettivo
ordine professionale; 4) i professori universitari competenti in materia di lavori
pubblici che siano di ruolo e insegnino materie giuridiche e tecniche.
Le disposizioni regolamentari prevedono un regime di incompatibilità per coloro che
appartengono all'albo nel senso che questi ultimi non possono essere nominati arbitri di
parte nè svolgere incarichi professionali per le parti coinvolte nei giudizi arbitrali
cui essi partecipano. Altri motivi di incompatibilità risiedono nell'aver svolto
attività di progettazione o di collaudo relativamente ai lavori cui si riferiscono le
controversie.
Presso la camera arbitrale è istituito, altresì, un elenco di periti che possono
svolgere la funzione di consulenti tecnici nei giudizi arbitrali.
L'istituzione della camera arbitrale costituisce il concreto presupposto per il
funzionamento del sistema delle risoluzioni delle controversie. Gli arbitri di parte sono
nominati da ciascuna delle parti stesse ed in mancanza dal presidente del tribunale del
luogo in cui è stata individuata la sede del collegio arbitrale; il terzo arbitro è
invece nominato dalla camera arbitrale che assume le funzioni di presidente.
La camera arbitrale assume così un ruolo fondamentale non soltanto in relazione alla
nomina del terzo arbitro ma anche ai fini delle modalità di corresponsione del compenso
agli arbitri.
Infatti è previsto che il corrispettivo dovuto dalle parti per la decisione della
controversia sia versato non direttamente agli arbitri, bensì alla camera arbitrale in
misura determinata sulla base di parametri che dovranno essere fissati da un decreto
interministeriale (LL.PP. e Giustizia). In relazione ai parametri definiti in via
generale, tenuto conto del valore della controversia e della complessità delle questioni,
la camera arbitrale determinerà il compenso spettante ai singoli arbitri.
Dalle nuove disposizioni emerge un meccanismo che tende a creare un organo autonomo che,
da un lato, assume un ruolo super partes e in qualche modo di filtro tra le parti e gli
arbitri e, dall'altro, si pone come centro unitario di analisi e di risoluzione di tutti i
giudizi arbitrali.
NOTE:
(1) Nota Ministero dei ll.pp. n. 3576/UL del 30.11.1995.
(2) Circolare Ministeri dei ll.pp. del 7.10.1996, n. 4488/UL, avente per oggetto:
"Indirizzi operativi e chiarimenti sulla disciplina transitoria di talune norme della
legge quadro sui lavori pubblici" (legge 11.2.1994, n. 109, come modificata dalla
legge 2.6.1995, n. 216).
(3) P.M. PIACENTINI, voce Riserve nei pubblici appalti, in Enc. giur. Treccani.
(4) A. ROSSI, voce Conciliazione, I, in Enc. giur. Treccani.
(5) MOSCARINI, CORVO, voce Transazione, I, in Enc. giur. Treccani.
(6) Corte costituzionale, sentenza n. 488 del 24.12.1991, decisione n. 49 del 23.3.1994 e
sentenza n. 152 del 9.5.1996.
il presente articolo è pubblicato da: G. Santomauro, L'UFFICIO TECNICO, n. 4/2001, Maggioli Editore