L'affidamento dei servizi museali:
la sentenza n. 7590/2005
del T.A.R. Lazio e la tutela del principio di concorsualità
Con sentenza
n. 7590 del 28 settembre 2005, il T.A.R. del Lazio ha accolto il
ricorso presentato da una società che aveva impugnato l'affidamento diretto,
mediante stipula di semplice convenzione tra il Ministero per i Beni Culturali
ed Ambientali e la controinteressata Mondadori Electa s.p.a., per l'appalto del
servizio di bookshop e di editoria della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di
Roma. Merita sottolineare, in limine, come questa collezione d'arte rivesta
un'importanza pregnante nel panorama museale nazionale, posto che in essa sono
conservate opere di notevole interesse per l'arte contemporanea; ciò rileva in
quanto l'appalto dei servizi museali aggiuntivi annessi ad una struttura museale
di tale rilevanza comporta, inevitabilmente, riflessi importanti anche sotto il
profilo prettamente economico. La sentenza in commento, invero, non riporta il
valore del contratto affidato fiduciariamente alla controinteressata, ma è
evidente che quanto maggiori sono le dimensioni ed il prestigio della struttura
museale a cui sono annessi i servizi aggiuntivi, e quanto più estesa è la durata
del contratto d'appalto convenzionalmente stabilita, tanto maggiori saranno i
potenziali ritorni economici che possono essere conseguiti con il relativo
affidamento.
Le censure elevate in giudizio avverso l'affidamento diretto
dei servizi aggiuntivi de quibus si sono concentrate, essenzialmente, sul tema
della violazione delle disposizioni di legge che regolano la partecipazione
degli operatori economici potenzialmente interessati ad acquisire un appalto. Il
T.A.R. Lazio ha evidenziato, in buona sostanza, la necessità che anche gli
appalti dei servizi museali vengano esternalizzati previo l'esperimento di
procedure di gara ad evidenza pubblica con cui, secondo i principi generali
vigenti per i contratti delle amministrazioni pubbliche, si consenta un
effettivo confronto competitivo tra i molteplici operatori presenti sul libero
mercato.
La disciplina per la
gestione dei servizi museali aggiuntivi.
L'esigenza di sviluppare l'organizzazione economica dei servizi
accessori rispetto alle tradizionali attività svolte dalle strutture museali si
è sviluppata durante gli anni Novanta, allorché si è manifestato un interesse
più marcato verso il tema della valorizzazione economica della risorsa
«patrimonio artistico» (1);
in considerazione degli investimenti effettuati nei decenni anteriori, con
profusione di fondi di notevole entità (2), era infatti prevedibile attendersi un
consistente ritorno economico da questo settore. Non può sfuggire, dunque, come
il sorgere di un più marcato interesse verso il tema della valorizzazione del
patrimonio artistico e culturale (3) abbia avuto matrici e motivazioni di ordine
eminentemente economico, essendo ormai divenuto essenziale «tirare le fila»
degli investimenti effettuati nei decenni precedenti.
Come ha felicemente
sottolineato la più recente dottrina (4), con il d.l. n. 433/1992, convertito in legge
n. 4/1993 (c.d. «legge Ronchey») ci si proponeva, sostanzialmente, il
raggiungimento di due obiettivi: «in prima istanza s'avvertiva
l'improcrastinabile esigenza di modernizzare il sistema dei beni culturali,
migliorando e qualificando la ricettività delle istituzioni, stimolando
l'erogazione dei nuovi servizi modificando le modalità di conduzione di certune
attività . attraverso l'introduzione di servizi e forme aggiuntive di gestione
e/ o cogestione che, per quanto elementari, facessero segnare un'inversione di
tendenza nei giudizi degli utenti, delle imprese e dei media nazionali e
internazionali . In seconda istanza era vivo il desiderio del legislatore di
verificare le possibilità di procedere a forme di valorizzazione dei beni
culturali che . favorissero la generazione di cospicue, secondo alcuni
cospicuissime, entrate per le casse erariali. . Lo scopo del provvedimento era
dunque nobile e meritevole, insistendo su due distinte categorie di asset da
«valorizzare»: da una parte si riteneva di poter incamerare ingenti flussi
finanziari dai canoni di locazione degli spazi e dalle royalty sui fatturati dei
concessionari dei servizi, dall'altra parte si credeva . che il patrimonio di
diritti e competenze di cui il Ministero era titolare potesse essere sfruttato
con maggiore incisività .». La strategia della valorizzazione è stata, dunque,
disegnata dalla legge Ronchey attorno al tema della modernizzazione delle
strutture ricettive e, parallelamente, mediante lo sviluppo del tema
dell'orientamento delle risorse (umane e strumentali) verso l'utente, secondo i
canoni della più moderna scienza amministrativa (5).
Va notato, per inciso, che con la
legislazione successiva (6)
- che, in via generale, aspirava al conseguimento di risorse finanziarie
attraverso un migliore sfruttamento del patrimonio artistico - si mirava ad
un'evoluzione radicale nella strategia di valorizzazione economica dei beni
artistici. Il mutamento delineato con l'adozione di questo filone normativo è
apparso immediatamente evidente: la logica era, infatti, quella di assegnare la
gestione del patrimonio artistico a soggetti privati - sia pure con varie
cautele, ribadite nel complicato disegno intessuto dalla legge finanziaria per
il 2002 - mediante l'esperimento di complesse procedure, che prevedevano:
.
il raggiungimento di una preventiva intesa con il Ministero;
. l'adozione di
precise misure per la salvaguardia del diritto digodimento dei terzi sui beni di
cultura;
. la realizzazione di un vero e proprio procedimento
disdemanializzazione, da attuare con l'alienazione dei beni (7).
Va notato, tuttavia,
che nonostante il sorgere di una più intensa attenzione verso il tema della
redditività economica della risorsaarte (8), nondimeno la riflessione sulla migliore
fruibilità delle singole strutture museali (con le conseguenti possibilità di
ritorni economici) ha continuato ad essere caratterizzata da un approccio
minimale da parte delle istituzioni e, nel contempo, ha continuato ad aleggiare
l'idea di fondo (presente come un'ombra ideologica, ancora proiettata dalla
legislazione del 1939) per cui i musei dovevano essere considerati come inerti
«cespiti patrimoniali», e non come possibili spazi di cultura attuale e vivente
(9). In buona sostanza, i
più generali intenti di valorizzazione economica della complessiva risorsaarte
(espressi dalla legge finanziaria per il 2002 in poi) non sono stati altrettanto
solerti per quanto attiene il tema del miglioramento delle singole strutture
museali, e dei relativi servizi accessori.
Con il decorrere del tempo, nel
complessivo quadro normativo orientato alla migliore valorizzazione economica
del patrimonio artistico, si è assistito, nondimeno, anche ad un'evoluzione
della specifica disciplina dei «servizi museali aggiuntivi». Ed infatti, dopo la
ridefinizione dei servizi in argomento formulata all'articolo 112 del d.lgs. n.
490/1999 (nel quale si parlava di «servizi di assistenza culturale e di
ospitalità» (10), con un
tenore letterale parzialmente differente rispetto alla locuzione originaria
contenuta nella legge Ronchey), con la recente riforma adottata con il «Codice
dei beni culturali e del paesaggio» (11) la materia dei servizi aggiuntivi è stata
nuovamente disciplinata, attraverso una rimodulazione normativa che, peraltro,
continua ad ammettere la possibilità che all'interno dei musei vengano istituiti
«servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico»; in aggiunta
all'analitica descrizione dei servizi aggiuntivi (12), il Codice precisa che la gestione di tali
servizi debba essere «attuata nelle forme previste dall'articolo 115».
Dopo
aver ribadito che, in via di principio, le attività di valorizzazione dei beni
culturali ad iniziativa pubblica possono essere gestite sia «in forma diretta»
sia «in forma indiretta», l'articolo 115 puntualizza infatti che la gestione
diretta è quella realizzata internamente all'amministrazione pubblica, per il
tramite di proprie, apposite strutture organizzative «dotate di adeguata
autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di
idoneo personale tecnico».
Per converso, la «gestione in forma indiretta»
può essere realizzata mediante due modalità alternative tra loro, consistenti
in: «a) affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi,
società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura
prevalente, dall'amministrazione pubblica cui i beni pertengono; b) concessione
a terzi», con precisazione che, in quest'ultimo caso, la concessione può essere
legittimamente disposta soltanto in presenza del pieno rispetto degli specifici
criteri indicati dal Codice stesso.
Merita sottolineare che la prima
tipologia di esternalizzazione dei servizi aggiuntivi può essere realizzata in
assenza di preventiva procedura di gara, proprio in quanto sussiste una
«partecipazione prevalente» dell'amministrazione concedente al capitale sociale
del soggetto prescelto (13);
la stessa norma, dunque, dispone con assoluta chiarezza che, in carenza di una
siffatta partecipazione sociale, l'affidamento non può essere disposto
direttamente mediante semplice trattativa privata, ma deve essere preceduto da
una specifica procedura ad evidenza pubblica. In ogni caso, «il rapporto tra il
titolare dell'attività e l'affidatario o il concessionario è regolato con
contratto di servizio, nel quale sono specificati, tra l'altro, i livelli
qualitativi di erogazione del servizio e di professionalità degli addetti nonché
i poteri di indirizzo e controllo spettanti al titolare dell'attività o del
servizio»: ed è sempre maggiore l'attenzione della dottrina (14) in merito alla
predisposizione del contratto di servizio ed alla curanella previsione delle
eventuali sanzioni per il concedente-affidatario nel caso di violazione degli
obblighi assunti per la gestione del servizio. L'eventuale previsione di
clausole contenenti «penali», infatti, potrebbe avere la funzione di stimolare
l'affidatario ad una maggiore efficienza nel corso dell'esecuzione del
contratto, fermo restando che rimane invariato l'onere dell'amministrazione
concedente di predisporre contratti di servizio specifici e ben articolati, che
non costituiscano una mera copia fotostatica di contratti similari, siglati da
altri enti per rapporti concessori, de facto, completamente differenti.
È
poi importante sottolineare come, in questo contesto più generale, l'indizione
di procedure di gara ad evidenza pubblica - anche per l'esternalizzazione dei
servizi museali aggiuntivi - costituisca un valido strumento per vagliare le
migliori offerte presenti sul mercato, e quindi per una concreta valutazione
circa l'effettiva economicità dell'azione amministrativa.
La sentenza del
T.A.R. Lazio: la tutela della concorsualità nell'affidamento dei servizi
aggiuntivi.
Con la sentenza n. 7590/2005 in commento, il T.A.R. Lazio
affronta, in primo luogo, il quesito se i servizi di editoria e di bookshop
rientrino o meno nel novero dei servizi museali appaltabili a soggetti esterni;
una volta chiarito tale punto, il tribunale amministrativo passa alla verifica
circa l'esistenza di un effettivo obbligo cogente che imponga che l'affidamento
di questi servizi venga disposto previo esperimento di una procedura di gara ad
evidenza pubblica.
Dopo aver premesso che i servizi de quibus si devono
ritenere compresi all'interno dell'elencazione tracciata dal vigente Codice dei
beni culturali (15), il
T.A.R. disconosce, in primis, la tesi difensiva dell'amministrazione resistente,
la quale sosteneva che nel caso di specie si sarebbe verificata un'obiettiva
impossibilità «di assicurare lo svolgimento di mansioni imprenditoriali,
soggette alla logica di mercato di equilibrio tra costi e ricavi, nei locali
adibiti a libreria ed oggetto di lavori di demolizione e restauro, [e che da
ciò] discenderebbe la carenza di interesse della ricorrente a coltivare il
ricorso».
Il tribunale amministrativo pone in rilievo, in sostanza, il
principio di libertà d'iniziativa economica, inteso come diritto a concorrere ed
a competere in sede di gara con gli altri operatori privati del libero mercato
in condizioni di pari opportunità. Ciò che rileva, infatti, è la circostanza che
ogni operatore possa competere con altre imprese aventi oggetto pertinente a
quello dell'appalto, e che possa poi confrontarsi con gli altri operatori del
mercato in una condizione di sostanziale parità di trattamento procedimentale.
Il T.A.R. sottolinea poi la necessità che questa pari opportunità venga
concretamente assicurata, a fortiori, a favore di quegli operatori privati che,
nel caso di specie, avevano «già valutato sia i costi di realizzazione del
catalogo, sia le condizioni di disagio derivanti dai lavori nei locali», avendo
già espressamente richiesto di poter concorrere alla relativa procedura di gara,
procedura invece mai indetta dall'amministrazione resistente.
La libertà
d'iniziativa economica, intesa come diritto a partecipare ed a competere, viene
peraltro difesa con particolare vigore dal T.A.R., che sottolinea come
«l'Amministrazione non può certo sovrapporsi, in uno Stato democratico di
matrice laica e liberale e caratterizzato dal principio di sussidiarietà
dell'intervento pubblico, all'autonomia privata nella valutazione circa la
convenienza imprenditoriale delle attività economiche, che devono, quindi,
essere rimesse al gioco della concorrenza (nel libero mercato o - come in questo
caso - mediante gara per l'accesso al mercato) salvi gli eccezionali casi in cui
l'interesse pubblico motivi la gestione pubblica diretta». L'evidenza pubblica
costituisce dunque, nel contempo, uno strumento per realizzare sia un efficiente
funzionamento del mercato, sia il canone costituzionale del buon andamento
dell'amministrazione pubblica.
Le argomentazioni proposte dalla sentenza in
esame sembrano, peraltro, perfettamente coerenti con il sistema normativo
vigente per l'attività contrattuale dell'amministrazione pubblica che, anche
sulla falsariga della normazione di fonte comunitaria, pone vigorosamente
l'accento sui temi della concorsualità e della trasparenza, come strumenti per
la realizzazione di un autentico, effettivo «libero mercato». In questo contesto
generale, il T.A.R. valuta pertanto irrilevanti - ai fini dell'esclusione
aprioristica dell'indizione una gara d'appalto - sia l'esistenza attuale di
lavori edili presso la G.N.A.M. (lavori che, peraltro, non sono tali da impedire
l'accesso alla collezione, e che quindi non possono incidere sull'interesse
delle varie imprese a concorrere per l'aggiudicazione dell'appalto per il
servizio di bookshop), sia la scadenza del precedente rapporto concessorio
relativo agli stessi servizi. Ed anzi, l'esistenza e la scadenza di una
precedente concessione indiretta avente ad oggetto i medesimi servizi aggiuntivi
avrebbe dovuto confortare, semmai, la necessità di ricorrere all'affidamento del
servizio mediante l'indizione di una procedura di gara (tanto più che, a quanto
consta, il precedente rapporto concessorio era ormai scaduto da diverso tempo,
sicché vi sarebbero stati i tempi tecnici per l'indizione di una gara). Le
circostanze di fatto addotte dalla difesa dell'amministrazione comprovano
dunque, inequivocabilmente, l'inesistenza degli oggettivi requisiti di
imprevedibilità ed urgenza previsti dall'articolo 7 del d.lgs. n. 157/1995 e
s.m.i. (16) di talché, in
carenza di tali presupposti fattuali incontestabili, era oggettivamente
necessario ricorrere all'indizione di una procedura ad evidenza pubblica,
piuttosto che ad un semplice affidamento previo esperimento di una mera
trattativa diretta.
Vale la pena sottolineare che, nel caso di specie,
l'affidamento diretto non è stato nemmeno proceduto da una qualche procedura
informale di gara ufficiosa: questo genere di procedure semplificate, anteriori
alla trattativa privata consentono infatti, quantomeno, la realizzazione di
un'indagine informale sui prezzi di mercato mediante la richiesta agli operatori
privati dei relativi preventivi dei costi, in modo da poter comprovare
documentalmente (17)
l'obiettiva convenienza economica per la pubblica amministrazione che abbia
scelto di procedere proprio all'affidamento diretto, in assenza di una formale
procedura di gara (18).
L'indagine di mercato consente, infatti, di rendere comunque oggettivi e
trasparenti gli elementi di valutazione ponderati dalla stazione appaltante,
mediante una verifica ed un raffronto quantomeno documentale anche dei requisiti
di affidabilità morale e di professionalità dell'affidatario prescelto (19).
Tutto ciò assume
tanto maggior rilievo nel caso di specie, in quanto la società ricorrente aveva
(già prima dell'affidamento diretto a favore della controinteressata)
manifestato espressamente il proprio interesse a partecipare alla competizione
per l'aggiudicazione dei servizi aggiuntivi in argomento mediante la
presentazione di un'apposita, chiara istanza di partecipazione al procedimento
amministrativo, formulata ai sensi della legge n. 241/1990. Val bene la pena di
rilevare, infatti, che anche nella nuova formulazione della legge generale sul
procedimento amministrativo (20) rimane forte il tema del diritto a partecipare
nel corso del procedimento amministrativo (in simmetria diacronica rispetto al
diritto a ricorrere in sede giurisdizionale), in perfetta analogia con quanto
peraltro disposto all'art. 111 del Codice dei beni culturali che sancisce, per
la materia dei beni culturali, il principio di libertà di partecipazione dei
soggetti privati al sistema museale intessuto su base nazionale, nell'ottica
della massima valorizzazione del patrimonio artistico (21).
A conforto delle proprie deduzioni, il
Tribunale amministrativo del Lazio sottolinea, infine, la tendenziale stabilità
dell'appalto affidato con trattativa privata alla controinteressata Mondadori
Electa S.p.A., posto che la durata del contratto de quo avrebbe dovuto
estendersi per un lasso di tempo obiettivamente ed economicamente significativo
(pari a diciotto mesi), ovverosia per un arco temporale idoneo ad incidere
significativamente sulla vita e sulla stessa esistenza di un'impresa operante
nel libero mercato.
La democrazia come «diritto a
partecipare».
La sentenza in commento riveste un'importanza
notevole sotto molteplici profili; in primo luogo, essa riafferma chiaramente il
principio per cui, anche nel clima attuale di generale tendenza alla
privatizzazione dell'attività amministrativa (22), il metodo ordinario che deve essere seguito
nella selezione delle controparti private è quello della concorsualità; ciò
comporta, inevitabilmente, una serie di conseguenze fondamentali affinché
all'interno delle istituzioni possano, finalmente, trovare solide radici il
principio di trasparenza ed il principio di parità di trattamento
procedimentale, entrambi corollari del nucleo forte posto già all'articolo 97
della Costituzione nella locuzione «imparzialità e buon andamento».
Queste
considerazioni, che dovrebbero essere ormai acquisite al patrimonio giuridico
dell'operatore pubblico (ma che, ancora oggi, sembrano non essere state
pienamente assimilate) potrebbero avere un duplice effetto, concreto e benefico:
da un lato, ragionando in questa prospettiva, si potrebbe contribuire alla
realizzazione di un effettivo libero mercato anche per quanto concerne gli
approvvigionamenti delle amministrazioni pubbliche, mediante la realizzazione di
un sistema efficace e genuino di relazioni tra domanda ed offerta.
Dall'altro lato, l'attuazione piena di questi principi potrebbe avere la
funzione di innescare un circolo virtuoso per lo sviluppo di quella cultura
nuova della e nella pubblica amministrazione che, da tante parti, ancora oggi si
reclama.
Una cultura, a ben vedere, nuova e nel contempo antica e semplice,
perché fondata sul senso dello Stato e delle istituzioni, sul rispetto della
«comunità servita» (23) e
sull'orgoglio per la missione istituzionale rivestita, ai diversi livelli, da
parte dei funzionari pubblici.
Il recupero di questi capisaldi potrebbe
essere fortemente d'ausilio nella difficile operazione di accountability, anche
morale, delle pubbliche amministrazioni e potrebbe, nel contempo, generare un
più solido clima di fiducia sociale, risorsa essenziale ed imprescindibile anche
per il buon funzionamento del libero mercato.
Note:
(1) Sul tema, si può rammentare
che la legge n. 352/97 ha avviato una programmazione triennale finalizzata a
favorire l'emanazione di provvedimenti per favorire la diffusione della
conoscenza del patrimonio artistico, con concessione di mutui ai privati e
stipula di convenzioni per il coinvolgimento delle associazioni di volontariato.
Sul tema della valorizzazione dei beni culturali si vedano inoltre, in
letteratura, PAVOLINI, Valorizzazione del patrimonio storico artistico e nuovo
modello di sviluppo, in Le mura e gli archi. Valorizzazione del patrimonio
storico artistico e nuovo modello di sviluppo, Roma, 1986; BODO, Rapporto sulla
politica culturale e delle Regioni, Milano, 1992; BOBBIO, La legislazione degli
anni Ottanta, in BODO (a cura di), Rapporto sull'economia della cultura in
Italia, 1980-1990, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Associazione per
l'economia della cultura, Roma, 1997.
(2) La bibliografia in
tema di politica ed economia dei beni culturali è piuttosto ampia:si vedano, tra
la molta letteratura edita, BARDE e GERELLI, Economia e politica dell'ambiente,
Bologna, 1980; MARCHETTI e ROSITI, La politica culturale: i contributi
regionali, in ISAP, Le relazioni tra centro e periferia, Milano, 1984; CAUSI,
L'impatto economico dell'attività di gestione e conservazione dei beni culturali
in Italia, in Aa.Vv., Le mura e gli archi, cit.; Cles, Creazione di nuova
occupazione nel settore dei beni culturali, Roma, 1986; LEON e VALENTINO, La
valutazione costi-benefici nei piani di intervento sui beni culturali, in PEREGO
(A cura di), Anastilosi. L'antico, il restauro, la città, Roma, 1986; BROSIO, La
spesa per l'arte e la cultura, in BROSIO (A cura di), La spesa pubblica, Milano,
1987; BROSIO, Pubblico e privato nel finanziamento dell'arte e della cultura in
Italia, in Economia pubblica, 1989; BROSIO, Spesa pubblica e agevolazioni
fiscali nel settore dell'arte e della cultura in Italia, in CLEMENTE DI SAN LUCA
(A cura di), Tutela, promozione e libertà dell'arte in Italia e negli Stati
Uniti, Atti del Seminario internazionale di Napoli del 20-21 gennaio 1989,
Milano, 1990; Cles, Il bene culturale come risorsa economica, Roma, 1989; FORMEZ
e MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, La valutazione economica dei
progetti pubblici relativi al settore dei beni culturali: una proposta
metodologica, Napoli, 1989; LEON e CAUSI, La politica economica dei beni
culturali, in Note di ricerca, Cles, 3, ottobre, 1990; FREY, e POMMEREHNE, Musei
e mercati. Indagine sull'economia dell'arte, Bologna, 1991; LEON, Beni
culturali: il dilemma tra stato e mercato, in Economia della cultura, I, 1,
1991; DI MAIO, Esperienza italiana nella valutazione economica di progetti
relativi al settore dei beni culturali, in Formez, Economia dei beni culturali,
Napoli, 1992.
(3) Ancora sul tema della correlazione tra
investimenti e ritorni economici nel settoredei beni culturali si vedano, nella
letteratura èdita negli anni Novanta, CARCEA, La funzione economica dei beni
culturali: profili giuridici, in GIUSTI (A cura di), Diritto pubblico
dell'economia, Padova, 1994; ANDREOLI, BRAU e DE MAGISTRIS, La valutazione
economica dei beni culturali: il metodo della contingent valutation, in
SANTAGATA (A cura di), Economia della cultura. Istituzioni e mercati dell'arte e
della cultura, Torino, 1998; Grossi, Istituzioni e gestione dei servizi
culturali, in Aedon, n. 2/1998; TRUPIANO (A cura di), Assetto istituzionale,
disciplina fiscale e finanziamento della cultura, Milano, 1999; LEON, L'economia
della riforma, in Economia della cultura, IX, 2, 1999; BODO (A cura di), La
spesa pubblica della cultura e lo spettacolo in Italia nella prima metà degli
anni '90, Ministero per i beni e le attività culturali, Dipartimento dello
spettacolo, Roma, 1999; DI MAIO, Economia dei beni culturali, Napoli, 1999;
PIRAS, Il bene culturale quale risorsa, in Aedon,
n. 3/2002; SPRANZI,
Economia dell'arte, Milano, 2003; LEON, Redditività economica e redditività
finanziaria dei musei e dei monumenti, in Aa.Vv., Museo o impresa?, Roma, 2003.
(4) GUERZONI e STABILE, I diritti dei musei. La
valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management,
Milano, 2003, 8 segg. Sul valore del patrimonio culturale, anche come risorsa
specifica delle autonomie locali, si vedano SALVIA, Cultura, in CASSESE (A cura
di), Annuario delle autonomie locali, Roma, 1984; D'ORTA, Cultura, in CASSESE (A
cura di), Annuario delle autonomie locali, Roma, 1988-1991; PETRONI, Cultura, in
ISAP, La regionalizzazione, Milano, 1983; IMMORDINO, Cultura e ambiente, in
CASSESE (A cura di), Annuario delle autonomie locali, III, 3, Roma, 1984 e nella
successiva edizione VI, 6, Roma, 1987; D'ALESSIO, Cultura, in CASSESE (A cura
di), Annuario delle autonomie locali, Roma, 1992.
(5) Sul tema
si veda anche FUORTES, I servizi aggiuntivi nel sistema museale, in Economia
della cultura, IX, 2, 1999.
(6) Si tratta della legge n.
448/2001 contenente «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e
pluriennale dello Stato», con particolare riferimento agli articoli 33 e 34. Sul
tema si veda anche la legge n. 112/2002 e più in generale, in letteratura, si
vedano RONCACCIOLI (A cura di), L'Azienda museo, Padova, 1996; Roncaccioli, Il
museo come azienda culturale, in Economia della cultura, 3, 1997; AINIS, Lo
statuto giuridico dei musei, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 7,
1988; DE GIORNI CEZZI, Lo statuto dei beni culturali, in Aedon, n. 3/2001;
SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, in Aedon, n. 1/2003;
PIPERATA, I servizi culturali nel nuovo ordinamento, in Aedon, n. 3/2003.
(7) Sul tema GUERZONI e STABILE, I diritti dei musei, cit., 5,
notano che il provvedimento istitutivo della Patrimonio dello Stato S.p.A. «pur
temperato dalle direttive emanate dal CIPE il 19 dicembre 2002, prevedeva la
possibilità di spossessare de facto il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali
delle funzioni di valorizzazione e gestione, introducendo altresì, tramite la
facoltà di provvedere all'alienazione dei beni, criteri valutativi di ordine
economico. Secondo questa interpretazione . le attività di valorizzazione dei
beni culturali possono coincidere anche con la loro messa a reddito, non
escludendosi dunque l'opzione della mera alienazione. La valorizzazione, in
questa prospettiva, sembra consistere in primis nell'estrazione di valore
economico, finalità che può essere perseguita anche a detrimento delle sopra
citate funzioni di servizio pubblico». La lunga e defatigante serie di procedure
burocratiche da seguire nel complicato procedimento di «sdemanializzazione» dei
beni ha reso, di fatto, sostanzialmente inattuabile il predetto processo di
privatizzazione dell'arte che, al di là di critiche o plausi, è rimasto
sostanzialmente un «progetto sulla carta», lasciando tuttavia aperto a mille
discussioni il tema dell'utilizzazione e della valorizzazione del patrimonio
storico-artistico.
(8) Dall'esame delle disposizioni dettate
per la valorizzazione economica del patrimonio artistico in via generale emerge
dunque che l'attenzione dell'ordinamento giuridico verso i beni culturali ha
lentamente spostato il proprio baricentro dal tema della tutela e della
conservazione statica dell'arte, verso il tema della valorizzazione del
patrimonio storico-artistico. Ciò, si noti bene, anche mediante il ricorso ad un
più esteso impiego degli strumenti posti a disposizione dal mercato e dalla più
recente tecnologia: si pensi, a tale proposito, alla più frequente
organizzazione di mostre monotematiche, pensate e costruite lungo lo snodarsi di
un preciso filo conduttore, e ben mirate al fine di richiamare l'attenzione e
l'afflusso del grande pubblico; si pensi, altresì, all'ausilio che le tecnologie
digitali possono apportare per un più approfondito studio delle opere
artistiche, nonché per una maggiore diffusione del loro messaggio anche senza
una materiale delocalizzazione delle opere stesse. In quest'ottica di massima,
l'orientamento dell'intero sistema museale verso l'accesso e la fruibilità del
patrimonio artistico viene attualmente considerata sempre più strettamente
connesso alla necessità di assicurare la massima economicità nella gestione dei
beni culturali, per il cui finanziamento le risorse sembrano non essere mai
sufficienti.
(9) Sul tema si veda, ampiamente, MONTELLA,
Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003, 223 e 264
segg., con particolare riferimento all'«approccio manageriale ai musei» ed al
tema dell' «azienda museo». Interessante, sul punto, è quanto l'A. sottolinea -
pp. 301 e 302 - circa il «passaggio dal museo fordista al museo vitale aperto»,
ovverosia «dal museo incentrato sul patrimonio a quello incentrato sul pubblico
[il che] significa, nell'attuale situazione di contesto, un rivolgimento del
modello culturale tradizionale in funzione di un deciso orientamento al servizio
e ai sui valori di qualità, in funzione di una capacità di coniugare
l'efficienza interna con il giusto posizionamento verso l'esterno». Di seguito,
nella medesima fonte - pp. 355 segg. - si vedano anche gli spunti sul tema della
ristrutturazione dell'«azienda museo» in un'ottica di «servizio di comunicazione
culturale». Sul tema si vedano, altresì, GROSSI, Come esternalizzare, in Aedon,
n. 3/2001; CAMMELLI, Buscar Oriente e tomar Occidente (ovvero: i beni culturali
nella finanziaria 2002), in Aedon, n. 3/2001; Cammelli, Quali ipotesi di
attuazione dell'art. 33? in Beni culturali e imprese. Una proposta di rapporto
pubblico-privato per i Beni culturali statali e locali alla luce delle scelte
della 448/ 2001, atti del Convegno, Roma, 2002; NARDELLA, L'art. 33 della
finanziaria 2002 davanti alla Corte costituzionale, in Aedon, n. 1/2002;
SCAVINO, Quale regolamento di attuazione dell'art. 33? in Beni culturali e
imprese, Atti del Convegno, Roma, 26 marzo 2002.
(10) Sul tema
si veda anche GRILLO, Dai servizi aggiuntivi a quelli di assistenza culturale e
di ospitalità, in VALENTINO e MOSSETTO (A cura di), Museo contro museo, Firenze,
2001.
(11) D.lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42, articoli 115 e
117.
(12) Può essere interessante notare, ai fini dell'esatta
comprensione della tipologia deiservizi dei quali si tratta, che l'articolo 117
del d.lgs. n. 42/04 definisce attualmente come servizi aggiuntivi:
«a) il
servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi
catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le
riproduzioni di beni culturali;
b) i servizi riguardanti beni librari e
archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito
bibliotecario;
c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e
biblioteche museali;
d) la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione
commerciale delle riproduzioni dei beni;
e) i servizi di accoglienza, ivi
inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di
informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;
f) i
servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;
g) l'organizzazione
di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali».
(13) Può essere interessante, a questo proposito, tracciare un
parallelo ideale - perevidenziarne differenze e congruità - della normativa in
esame rispetto alla disciplina degli affidamenti in house dei «servizi
pubblici».
(14) Sull'esigenza che le amministrazioni
pubbliche pongano una maggiore attenzione nella redazione delle clausole del
contratto di servizio si è a lungo soffermata l'attenzione degli astanti nel
corso dei lavori del Convegno Governance dei gruppi di interesse locale
realizzato il 26 ottobre 2005 dal Dipartimento di Studi aziendali e sociali
dell'Università degli Studi di Siena.
(15) Art. 117 del d.lgs.
n. 42/2004 cit.
(16) Lo stesso articolo, peraltro, per la
legittimità della trattativa privata disposta inassenza di pubblicazione di un
bando di gara richiede espressamente [comma 2, lettera d)] che l'affidamento
venga disposto nella misura strettamente necessaria, qualora, per impellente
urgenza determinata da avvenimenti imprevedibili per l'amministrazione
aggiudicatrice, non possano essere osservati i termini per il pubblico incanto,
la licitazione privata, l'appalto concorso o la trattativa privata con
pubblicazione di un bando, con l'ulteriore precisazione - accentuata certamente
non per ragioni di ridondanza o prolissità - che le circostanze addotte per
giustificare tale impellente urgenza non devono in alcun caso essere imputabili
alle amministrazioni aggiudicatrici. Analoghe considerazioni possono essere
tracciate, sulla scorta della copiosa mole di giurisprudenza èdita sul tema,
anche per ciò che concerne l'articolo 41 del r.d. 827/1941, ove ai commi 5 e 6
si ammette la legittimità della trattativa privata quando l'urgenza dei lavori,
acquisti, trasporti e forniture sia tale da non consentire l'indugio degli
incanti o della licitazione» ed «in genere in ogni altro caso in cui ricorrono
speciali ed eccezionali circostanze per le quali non possano essere utilmente
seguite le forme [per le procedure ad evidenza pubblica previste nel medesimo]
regolamento». In ogni caso, soggiunge il comma 6 dello stesso articolo, «la
ragione per la quale si ricorre alla trattativa privata, deve essere indicata
nel decreto di approvazione del contratto .»
(17)
Nell'eventualità, ad esempio, di chiarimenti richiesti dal giudice contabile ai
sensidella legge n. 20/94, o di indagini compiute dalla magistratura penale.
(18) Un esempio di questo genere di procedure semplificate è
previsto all'articolo 31della legge regionale dell'Umbria n. 11/1979 e s.m.i.,
nel quale, al comma 2, si dispone che i contratti «di importo inferiore a lire
100.000.000 sono preceduti da trattativa privata, che ha luogo dopo che siano
state interpellate più persone o ditte ritenute idonee, e comunque nella forma
dell'offerta in busta chiusa». La soglia di valore prevista nella norma appena
citata viene «annualmente adeguat[a] dalla Giunta regionale, con provvedimento
da adottarsi nel mese di gennaio di ciascun anno, tenuto conto della variazione
di percentuale verificatasi tra gli indici generali dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai e impiegati relativi al mese di settembre degli ultimi due
anni». Per il corrente anno 2005, i limiti di valore per la trattativa diretta e
per la trattativa privata allargata sono stati fissati dalla Giunta regionale
dell'Umbria, rispettivamente, in Euro 13.381,90 ed in Euro 66.909,47.
(19) Si tratta, in buona sostanza, dei requisiti di onorabilità
consistenti nel possessodel nulla osta ai fini dell'articolo 10 della legge n.
575/1965 e s.m.i.; nel non trovarsi nelle cause di esclusione dalla
partecipazione alle gare di cui all'articolo 12 del d.lgs.
n. 157/1995;
nell'insussistenza di cause di esclusione dalla partecipazione alle garepreviste
da qualsiasi disposizione legislativa e regolamentare; nell'insussistenza,
infine, di misure cautelari interdittive ovvero del divieto temporaneo di
stipulare contratti con la pubblica amministrazione, ai sensi del d.lgs. n.
231/2001. Sul tema delle possibili infiltrazioni mafiose e delle misure di
prevenzione relativamente alla stipula dei contratti pubblici si veda anche,
recentemente, la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 29
agosto 2005, n. 4408.
(20) Legge n. 241/1990 che, anche nella
formulazione successiva all'adozione dellalegge n. 15/05, ha previsto (articolo
10) i «diritti dei partecipanti al procedimento», consistenti nella facoltà di
«a) di prendere visione degli atti del procedimento .; b) di presentare memorie
scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano
pertinenti all'oggetto del procedimento». La formulazione della legge n.
241/1990 successiva alla riforma ha introdotto, peraltro, il testuale obbligo
per l'amministrazione di inviare all'interessato una comunicazione dei motivi
ostativi all'accoglimento dell'istanza (articolo 10 bis), disponendo che «nei
procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità
competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica
tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda»
e che «entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli
istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni,
eventualmente corredate da documenti». Oltre a ciò, ancora in omaggio ad un più
generale metodo dialogico e dialettico nelle relazioni tra privati ed
amministrazione pubblica, la nuova norma prevede che «dell'eventuale mancato
accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del
provvedimento finale».
(21) L'art. 111 del d.lgs. n. 42/2004
dispone, infatti, che «le attività di valorizzazione dei beni culturali
consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o
reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse
finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al
perseguimento delle finalità indicate [nell'ambito del medesimo Codice]. A tali
attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati».
(22) «La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura
non autoritativa,agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge
disponga diversamente»: art. 1, c. 1 bis, della legge n. 241/1990, nella
formulazione modificata con legge n. 15/05.
(23) L'espressione
è tratta dal Documento CXI, n. 1 degli "Atti parlamentari" della XIII
legislatura, sezione Disegni di legge e relazioni - documenti, frutto dei lavori
del Comitato di studio istituito con decreto n. 211 del Presidente della
Camera dei Deputati del 30 settembre 1996, coordinato dal Prof. Sabino Cassese.
Autore: Dott. I. Filippetti - tratto da: "I Contratti dello Stato e degli Enti Pubblici" n. 1/2006