LA TRASCRIZIONE CON EFFICACIA NON TIPICA

SOMMARIO:

1. La divisione. - 2. Le convenzioni matrimoniali. - 3. Gli acquisti mortis causa in generale. - 4. La dichiarazione di morte presunta. - 5. Gli acquisti a titolo di erede. - 6. L'acquisto del legato. - 7. Il diritto di abitazione del coniuge superstite. - 8. Il conflitto tra acquirente dal de cuius e acquirente dall'erede o dal legatario. - 9. La cessione dei beni ai creditori. - 10. Gli acquisti a titolo originario.

1. La divisione

L'art. 2646, c. 1°, c.c. prevede la trascrizione delle divisioni, volontarie o giudiziali, aventi ad oggetto beni immobili, oltre ai provvedimenti di aggiudicazione di beni immobili divisi mediante incanto, ai provvedimenti di attribuzione delle quote tra condividenti ed ai verbali di estrazione a sorte delle quote.
In considerazione della natura dichiarativa della divisione, per effetto del combinato disposto degli artt. 757 e 1116 c.c., per cui la proprietà esclusiva dei beni assegnati al condividente non rappresenta, nel pensiero della legge, il risultato di un trasferimento delle quote indivise degli altri condomini, ma si considera acquisita a lui sin dal momento in cui la comunione è sorta, è chiaro che la pubblicità della divisione non può essere disposta per gli effetti di cui all'art. 2644 c.c., anche volendo prescindere dal rilievo sistematico secondo il quale l'art. 2646 c.c. segue tale norma e non è da essa richiamato.
La trascrizione della divisione non potrebbe, in primo luogo, risolvere il conflitto tra colui che acquista un bene immobile da tutti i comproprietari e l'eventuale assegnatario dello stesso bene. L'assegnatario, infatti, in virtù della natura dichiarativa della divisione, non è un avente causa dagli altri comproprietari e comunque, come parte dell'atto di alienazione al terzo, non potrebbe eccepire il difetto di trascrizione della alienazione.
L'art. 2644 c.c. non potrebbe trovare applicazione neppure nei conflitti tra l'assegnatario di un determinato bene e chi avesse acquistato diritti da altro condividente sullo stesso bene.
Se, infatti, l'atto di alienazione è anteriore alla divisione, a prescindere dal fatto che il terzo acquista a non domino e non da un ex dominus, esso, in base all'art. 757 c.c., è sottoposto alla condicio iuris della assegnazione del bene al disponente e quindi medio tempore non è neppure trascrivibile.
Se la alienazione (da parte di un condividente diverso dell'assegnatario) è successiva alla trascrizione, l'acquirente è avente causa da un soggetto che non avrebbe alcun titolo per costituire o trasferire il diritto, in virtù dell'efficacia dichiarativa della divisione e tale vizio non può essere sanato dalla trascrizione.
Secondo l'opinione dominante la trascrizione della divisione è richiesta anche ai fini della continuità delle trascrizioni, in quanto, diversamente, la trascrizione presa "contro" l'alienante che compia atti di disposizione sulle cose assegnate resterebbe senza collegamento con una corrispondente trascrizione "a favore" dello stesso.
In senso contrario la S.C. ha peraltro osservato che l'art. 2650 c.c. si riferisce agli atti di acquisto, tra i quali non rientra la divisione, per la sua natura dichiarativa.
Si è ritenuto di poter superare tale obiezione in base alla considerazione che la divisione, pur non costituendo un acquisto, tuttavia produce un mutamento notevole della situazione giuridica preesistente, in quanto i singoli condividenti sostituiscono una situazione di titolarità esclusiva sui singoli beni là dove prima esisteva una contitolarità su tutti i beni della comunione, anche se le conseguenze normalmente col-legate al mancato rispetto del principio della continuità delle trascrizioni si producono con qualche atteggiamento particolare. Se, infatti, non viene trascritto l'atto, volontario o giudiziale, di divisione, le trascrizioni prese contro un condividente, per gli atti di disposizione da lui posti in essere, non possono risolvere il conflitto tra più aventi causa di diritti tra loro incompatibili sulla base della priorità; questo fino a che non sia stata effettuata la trascrizione della divisione. Una volta curato tale adempimento riprenderanno efficacia piena tutte le trascrizioni contro il condividente alienante secondo il loro ordine rispettivo. Ora, mentre questa efficacia retroattiva della trascrizione normalmente si blocca nell'ipotesi che contro il dante causa dal comune autore siano state effettuate trascrizioni o iscrizioni a favore di altri soggetti, questo risultato non può verificarsi nella ipotesi della trascrizione della divisione. Da una parte, infatti, le trascrizioni contro il condividente non assegnatario non producono effetti nei confronti del condividente assegnatario e, dall'altra, le trascrizioni contro il dante causa dei comproprietari, effettuate prima della trascrizione della divisione, non possono pregiudicare i condividenti ed i loro aventi causa se era stato tempestivamente trascritto il titolo a favore dei comproprietari.
Non sembra, però, che in tal modo venga ben compreso il principio della continuità delle trascrizioni, in applicazione del quale, in teoria, con riferimento alla divisione, il conflitto tra due aventi causa dall'assegnatario di un determinato bene in sede di divisione andrebbe risolto, fino a quando non è stata trascritta la divisione, in base alla priorità della data dei rispettivi titoli; trascritta la divisione, il conflitto andrebbe risolto in base alla priorità della trascrizione dei rispettivi titoli.
Gli effetti della trascrizione della divisione vanno individuati in collegamento con l'art. 1113 c.c., il quale stabilisce che devono essere chiamati a partecipare alla divisione i creditori iscritti, i creditori chirografari che abbiano trascritto un atto di opposizione anteriore alla trascrizione dell'atto di divisione o della domanda di divisione, nonché coloro i quali abbiano acquistato diritti sull'immobile in virtù di atti soggetti a trascrizione e trascritti prima della trascrizione dell'atto di divisione o della domanda di divisione. Nel caso in cui i condividenti non rispettino quest'obbligo la divisione sarà inefficace. Si tratta di un effetto che, quantomeno con riferimento ai creditori iscritti ed a coloro i quali hanno acquistato diritti sull'immobile oggetto di divisione, è simile a quello dell'art. 2644 c.c. Mentre, però, in base a tale ultima disposizione la inopponibilità al primo trascrivente dell'atto trascritto per secondo è definitiva, nulla impedisce che i condividenti procedano ad una nuova divisione identica a quella precedente inefficace.
Si è anche affermato che la trascrizione della divisione, se è irrilevante ai fini di cui all'art. 2644 c.c., produce, però, un effetto di diritto sostanziale, con riferimento all'ipotesi di chi acquista un diritto su un bene da colui che risulterà, in sede di divisione, assegnatario del bene stesso. Costui non potrebbe, pur avendo tempestivamente proceduto a trascrizione, essere certo del proprio acquisto, se non dopo la trascrizione della divisione e sempre che, prima di tale trascrizione, non siano stati trascritti acquisti od opposizioni ad opera di altri aventi causa. In tal caso, infatti, costoro, se non invitati a partecipare alle operazioni divisionali, potrebbero impugnare o disconoscere la divisione, provocandone la rinnovazione, con il rischio che il bene prima attribuito ad un comunista, sia poi attribuito ad un altro, con automatiche conseguenze per gli aventi causa, magari a domino per la prima divisione e a non domino, con perdita del diritto, per la seconda.
In senso contrario va ricordato che gli atti di disposizione di un singolo bene facente parte di una comunione ad opera di un partecipante alla stessa non sono immediatamente trascrivibili, in quanto sono subordinati alla condicio iuris della assegnazione, in sede di divisione, del bene in questione al disponente. Ad ogni modo, anche volendo ritenere il contrario, una eventuale pubblicità di un atto di disposizione di un bene facente parte della comunione ad opera di uno dei partecipanti alla stessa non avrebbe gli effetti previsti dall'art. 1113, c. 2°, c.c., che si riferisce alla costituzione di diritti reali limitati (ad es., usufrutto) sulla intera quota.
È vivamente controverso se, ai fini dell'art. 2646 c.c., possono essere equiparati alla divisione quegli atti i quali non hanno come risultato l'assegnazione ai singoli comproprietari di una porzione dei beni comuni (se frazionabili) oppure del loro valore, cioè della somma che si ricava dalla vendita (se non frazionabili), ma comportano ugualmente il venir meno dello stato di comunione a seguito della concentrazione di tutte le quote in capo ad un unico comproprietario (attraverso, ad es., una vendita, una permuta, una transazione, ecc.).
In senso favorevole a tale equiparazione è stato invocato l'art. 764 c.c., il quale ammette l'azione di rescissione per lesione oltre il quarto contro ogni atto che abbia per effetto di far cessare la comunione.
Si può peraltro replicare che se gli atti in questione fossero strutturalmente assimilabili alla divisione, sarebbe superflua la previsione contenuta in tale norma, dalla quale, pertanto, per la sua natura eccezionale, non può essere ricavato un principio generale e comunque la cessazione della comunione è solo un effetto riflesso di quello tipico del negozio (trasferimento di quote) che va reso pubblico ai sensi dell'art. 2643 c.c..
La trascrizione della divisione, poiché non si è in presenza di un trasferimento tra partecipanti alla comunione, in considerazione della natura dichiarativa di tale atto, va effettuata "a favore" dei singoli assegnatari e "contro" gli altri condividenti, ma "a favore" e "contro" tutti i condividenti.



2. Le convenzioni matrimoniali

Con la riforma del diritto di famiglia, in base all'art. 162, c. 4°, c.c. le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell'atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti ovvero la scelta del regime di separazione dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio.
In base all'art. 2647 c.c., poi, devono essere trascritti, se hanno per oggetto beni immobili, la costituzione del fondo patrimoniale, le convenzioni matrimoniali che escludono i beni medesimi dalla comunione tra i coniugi, gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione, gli atti di acquisto di beni personali a norma dell'art. 179, lett. c), d), e) e f), c.c. a carico, rispettivamente, dei coniugi titolari del fondo patrimoniale o del coniuge titolare del bene escluso o che cessa di far parte della comunione.
Tali trascrizioni devono essere eseguite anche relativamente ai beni immobili che successivamente entrano a far parte del patrimonio familiare o risultano esclusi dalla comunione tra i coniugi.
In dottrina si è sostenuto che è incomprensibile il richiamo alla ipotesi prevista dall'art. 179, lett. e), in quanto la norma fa riferimento ai beni ottenuti a "titolo" di risarcimento del danno, ma è evidente che il risarcimento del danno non è un titolo, ma solo la giustificazione di una attribuzione operata in base ad un titolo in senso proprio. Tale titolo potrà essere, se il risarcimento è per equivalente, una datio in solutum o una transazione, e allora si applicherà la regola generale, mentre in caso di risarcimento in forma specifica (riconducibile all'unica ipotesi di ricostruzione dell'immobile distrutto), l'acquisto sarà a titolo originario per accessione, il che assicura di per sé il carattere personale del nuovo bene.
Una cosa, però, è la trascrizione del titolo di acquisto, che eventualmente avverrà secondo le regole generali, e un'altra è la trascrizione della esclusione dalla comunione.
Si può condividere, invece, la affermazione secondo la quale è difficile comprendere il senso dell'espressione "beni di uso strettamente personale" di cui all'art. 179, lett. c), dal momento che un diritto immobiliare non può considerarsi riservato all'uso di un solo coniuge.
Si è sostenuto che l'art. 2647 c.c. sarebbe destinato a disciplinare i beni immobili e l'art. 162 i beni mobili, al che si è replicato che l'art. 184, c. 3°, c.c., per il caso di alienazione di beni mobili non registrati della comunione effettuata da uno solo dei coniugi senza il consenso dell'altro, prevede soltanto l'obbligo, in capo al coniuge colpevole, di ricostruire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell'atto, o, qualora ciò non sia possibile, di corrispondere l'equivalente secondo i valori correnti all'epoca della ricostituzione della comunione. Raffrontando questa disposizione con quella contenuta nei primi due commi dello stesso articolo (che attribuiscono al coniuge senza il cui consenso il contratto è stato concluso il diritto di riavere dal terzo il bene alienato), se ne ricava che, nel caso di beni mobili non registrati, l'acquisto del terzo è sempre e comunque inattaccabile, dovendosi per l'appunto il coniuge dissenziente accontentare di una sorta di risarcimento dei danni da parte dell'altro, il che è sufficiente ad escludere in partenza che l'annotazione delle convenzioni matrimoniali possa servire ai fini della opponibilità ai terzi aventi causa del vincolo di indisponibilità gravante sui beni mobili costituenti l'oggetto di una convenzione matrimoniale.
Secondo un altro orientamento l'annotazione nei registri dello stato civile sarebbe l'unica forma di pubblicità richiesta per l'opponibilità ai terzi delle convenzioni matrimoniali, mentre la trascrizione nei registri immobiliari assolverebbe la semplice funzione di pubblicità notizia. La conseguenza sarebbe che la convenzione trascritta, ma non annotata, non potrebbe opporsi ai terzi, mentre sarebbe opponibile ai terzi la convenzione annotata, ma non trascritta. Tale conclusione viene desunta dal fatto che una pubblicità, ai fini della opponibilità ai terzi, è già prevista dall'art. 162 c.c., per cui una trascrizione che avesse la stessa funzione sarebbe un inutile doppione; nel nuovo testo dell'art. 2647 c.c., inoltre, non è stato riprodotto il c. 3°, il quale precisava che la trascrizione era prevista ai fini della opponibilità ai terzi. La trascrizione, anche se non costituisce un onere, rimarrebbe pur sempre oggetto di un obbligo, quantomeno nei confronti del notaio (ex art. 2671 c.c.), al cui inadempimento consegue la responsabilità per danni nei confronti di coloro che vengano pregiudicati nei loro diritti, acquistati confidando nell'inesistenza del vincolo suddetto sulla base della consultazione dei registri immobiliari.
È, però, innanzitutto, da dimostrare che l'obbligo in questione sia stato previsto a favore dei terzi in genere e non soltanto delle parti e comunque il terzo non può dolersi della omissione di tale formalità quando dalla consultazione dei registri dello stato civile avrebbe potuto accertarsi della esistenza di quella pubblicità che il legislatore, secondo tale impostazione, considera essenziale ai fini dell'opponibilità del vincolo.
Si è anche sostenuto che l'art. 2647 c.c. troverebbe applicazione per le sole convenzioni con le quali si escludono singoli beni dal regime della comunione legale. In senso contrario è sufficiente osservare che l'art. 2647, c. 1°, c.c., specie se messo in relazione al c. 2° (che altrimenti sarebbe superfluo), fa chiaramente riferimento alle convenzioni con le quali si escludono i beni immobili in genere dalla comunione legale.
Per una parte della dottrina la funzione propria della trascrizione con riferimento agli atti previsti dall'art. 2647 c.c. non sarebbe venuta meno, nonostante la scomparsa del c. 4°, perché emerge dall'intero sistema pubblicitario. In particolare, si invoca l'esistenza di un principio generale, desumibile dagli artt. 2644 e 2645 c.c., in virtù del quale il conflitto fra atti incompatibili va risolto dando prevalenza a quello trascritto in precedenza. Una deroga a tale principio non è contenuta nell'art. 2647 c.c.. Dai lavori preparatori, poi, non risulta che si intendesse mutare il sistema previgente.
Un ulteriore argomento sarebbe desumibile dall'art. 2685, c. 2°, c.c., il quale, con riferimento ai beni mobili registrati, prevede che la trascrizione degli atti menzionati nell'art. 2647 c.c. "ha gli effetti stabiliti per i beni immobili", il che significa che la trascrizione, per i beni immobili, abbia qualche effetto e non costituisca una semplice pubblicità notizia.
Nell'ambito di tale orientamento, peraltro, si sono manifestate due tendenze in ordine ai rapporti tra le due forme di pubblicità.
Secondo un'opinione la mancanza di una di esse rende comunque inopponibile il vincolo ai terzi. L'obiezione che si può muovere a tale tesi è che non si comprende perché i coniugi dovrebbero essere onerati da una doppia pubblicità e, conseguentemente, perché, ad es., il vincolo su beni determinati derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale ad opera dei coniugi, una volta trascritto, cioè reso pubblico con le modalità tipiche previste per le vicende che interessano i beni immobili, non sarebbe opponibile ai terzi se non annotato a margine dell'atto di matrimonio.
Secondo un'altra opinione, invece, l'annotazione è richiesta per l'opponibilità della convenzione in sé, mentre la trascrizione è richiesta per l'opponibilità del vincolo sui singoli beni.
Forse è necessario distinguere: occorre partire dalla considerazione che l'atto con il quale viene costituito il fondo patrimoniale non è una convenzione matrimoniale. A prescindere dagli effetti di tale atto, ciò si rileva dal fatto che lo stesso è autonomamente disciplinato nel Capo VI, Titolo VI, Libro I c.c. e menzionato nell'art. 2647, c. 1°, c.c.
Tale considerazione non sembra possa essere superata sostenendo che sicuramente costituisce convenzione matrimoniale quella con la quale i coniugi costituiscono il fondo destinandovi i beni che avrebbero dovuto far parte della comunione legale, per cui, non essendo corretto desumere l'opponibilità del vincolo ai terzi dalla qualificazione del negozio costitutivo, dovrebbe accedersi ad una interpretazione estensiva dell'art. 162 c.c., al fine di ricomprendervi qualsiasi negozio che ponga beni appartenenti a persone coniugate in una condizione giuridica diversa da quella propria del regime patrimoniale legale, con conseguente funzione di pubblicità notizia della trascrizione. Il considerare, infatti, "convenzione matrimoniale" un atto unilaterale posto in essere da un terzo comporta una interpretazione analogica (vietata) e non semplicemente estensiva dell'art. 162, c. 4°, c.c. Ne consegue che il vincolo di indisponibilità derivante dalla costituzione del fondo patrimoniale non può essere ricollegato alla annotazione di cui all'art. 162, c. 4°, c.c., che non può avere luogo, ma dipende dalla trascrizione ex art. 2647, c. 1°, c.c., alla quale non può non essere attribuita natura dichiarativa, soprattutto in considerazione del fatto che non è prevista altra pubblicità.
L'art. 2647, c. 2°, c.c., poi, assoggetta alla stessa pubblicità gli atti in virtù dei quali viene ad essere incrementato il fondo patrimoniale.
La convenzione con la quale dovessero essere esclusi, in via generale, i beni immobili dalla comunione legale tra i coniugi, invece, è convenzione matrimoniale, e quindi, ai fini della opponibilità ai terzi, deve essere annotata ai sensi dell'art. 162, c. 4°, c.c.
La trascrizione prevista dall'art. 2647, c. 1°, c.c. pertanto, non può valere che come semplice pubblicità notizia, il che, d'altra parte, è in linea con la sua natura atipica, in quanto non ha ad oggetto beni individuati.
Una pubblicità analoga è prevista dall'art. 2647, c. 2°, c.c. per gli atti di acquisto di beni immobili che, per effetto della convenzione, sono esclusi dalla comunione.
Non si può, peraltro, non rilevare la assurdità di un sistema pubblicitario in cui il terzo interessato all'acquisto di un bene da una visura al nome del suo potenziale dante causa potrebbe venire a conoscenza del vincolo gravante sul bene stesso, il quale, però, gli sarebbe inopponibile perché la sua trascrizione è stata effettuata nell'ambito di una pubblicità notizia.
Se la trascrizione di alcuni atti ricompresi nella previsione dell'art. 2647 c.c. non fosse richiesta per la loro opponibilità ai terzi, infine, mancherebbe una forma di pubblicità a detto fine riguardo agli acquisti personali di cui all'art. 179, lett. c), d) e f) fra coniugi in comunione legale, non ricorrendo una convenzione soggetta ad annotazione. In tal caso, se si dovesse optare per la tesi secondo la quale il bene dovrebbe essere considerato come facente parte della comunione, le conseguenze sarebbero assurde: un bene escluso per legge dalla comunione legale sarebbe sottoposto per intero alle azioni esecutive di creditori della comunione legale e non solo per la metà (ai sensi dell'art. 190 c.c.); il coniuge proprietario esclusivo sarebbe esposto alle alienazioni poste in essere dall'altro coniuge ai sensi dell'art. 184 c.c.; i creditori particolari del coniuge proprietario esclusivo potrebbero soddisfarsi solo in via sussidiaria e per la metà del suo valore sul bene in questione. Sarebbe, pertanto, più logico ritenere che la esclusione della comunione legale è opponibile ai terzi (e dai terzi) a prescindere dalla pubblicità dell'acquisto separato.
In entrambe le ipotesi, comunque, si aprirebbe una falla nel sistema della pubblicità difficilmente giustificabile.
Si è anche affermato che la tutela del terzo sarebbe garantita sotto il profilo del risarcimento del danno, ma non si comprende quale sarebbe l'illecito o l'inadempimento che tale risarcimento potrebbero giustificare, né a chi sarebbero imputabili.
L'art. 2647, c. 1°, c.c., stabilisce che gli atti previsti da tale disposizione vanno trascritti "a carico" rispettivamente del coniuge titolare del fondo patrimoniale o del coniuge titolare del bene escluso o che cessa di far parte della comunione.
Ora, se l'espressione "a carico" dovesse essere interpretata nel senso che la trascrizione va effettuata sempre "contro" i soggetti contemplati nella disposizione in esame, vi sarebbero dei problemi per quanto riguarda le convenzioni che escludono determinati beni dalla comunione legale e gli acquisti di beni personali, dal momento che tali atti producono un effetto favorevole per il coniuge che diventa proprietario esclusivo del bene che già faceva parte della comunione (o avrebbe dovuto entrare a farne parte) o del bene personale e sfavorevole per l'altro, per cui andrebbero trascritti sempre "a favore" del primo ed eventualmente "contro" l'altro. Una trascrizione "a carico" è giustificabile per l'altro coniuge che non diviene contitolare del bene, al fine di avvertire i terzi che, in questo caso non opera il principio della comunione.
Non è mancato chi ha ipotizzato che, più che di fronte ad una mera improprietà, si sia in presenza di un vero e proprio errore, determinato da ciò, che l'espressione a carico che figurava all'art. 2647, c. 1°, c.c. è stata utilizzata tal quale in sede di testo novellato, senza tener conto del fatto che la pubblicità non era più quella in positivo della convenzione costitutiva della comunione convenzionale, ma quella in negativo della esclusione della comunione legale.
La incongruenza si può superare ritenendo che il legislatore ha semplicemente inteso stabilire che è necessaria una autonoma trascrizione (cioè distinta da quella dell'atto cui consegue l'acquisto della proprietà esclusiva) "al nome" del coniuge in questione, trascrizione da effettuare, però, "a favore" dello stesso.


3. Gli acquisti mortis causa in generale

In base all'art. 2648 c.c. si devono trascrivere l'accettazione dell'eredità che importi acquisto dei diritti enunciati nell'art. 2643, nn. 1, 2 e 4 o liberazione dai medesimi e l'acquisto del legato che abbia lo stesso oggetto.
La prima ipotesi (acquisto di un diritto reale) comprende sia il caso in cui l'erede o il legatario acquistano un diritto già spettante al de cuius, sia quello in cui acquistano un diritto reale limitato su un bene sul quale il de cuius aveva un diritto di contenuto più ampio (es: legato di usufrutto o costituzione di servitù in favore dell'erede).
È pacifico che la trascrizione in questione non può risolvere l'eventuale conflitto tra più successori mortis causa, in quanto il secondo chiamato prevale comunque, perché il testamento con il quale è stato beneficiato il chiamato precedente deve intendersi revocato.
È ugualmente indiscutibile che la trascrizione non serve a risolvere un eventuale conflitto tra un erede ed un avente causa inter vivos dal de cuius.
Per quanto riguarda la successione a titolo universale, infatti, è sufficiente ricordare che l'erede, in base all'art. 1372 c.c., subentra nella posizione del de cuius e quindi non può disconoscere i contratti che costui ha stipulato, a prescindere dall'intervenuta trascrizione, perché è parte rispetto ad essi, non terzo.
Per quanto riguarda la successione a titolo particolare, nel caso di conflitto tra l'avente causa in base ad atto inter vivos di disposizione di un bene ad opera del de cuius ed il legatario istituito nello stesso bene, va, in primo luogo, rilevato che la trascrizione dell'acquisto del legato è prevista nella stessa disposizione che riguarda la trascrizione dell'acquisto dell'eredità (art. 2648 c.c.), che esula certamente dalla sfera di applicazione dell'art. 2644 c.c., che fa espresso riferimento ai soli atti inter vivos enunciati dagli artt. 2643 e 2645 c.c.
A ciò va aggiunto che se il de cuius dispone un legato dopo avere alienato il bene che ne costituisce l'oggetto, pone in essere un legato di cosa altrui, il quale è nullo ove il de cuius ignorasse l'altruità del bene, mentre ha efficacia semplicemente obbligatoria nel caso in cui ne fosse a conoscenza; nel primo caso la trascrizione non sanerebbe i vizi del titolo; nel secondo caso il legato non sarebbe trascrivibile. Se, invece, il testatore, dopo avere disposto il legato, aliena ad un terzo il bene che ne formava oggetto, il legato si considera revocato (art. 686 c.c.); né si potrebbe sostenere che la revoca sia subordinata all'adempimento delle forme di pubblicità previste per l'alienazione, dal momento che nel nostro sistema si attribuisce efficacia di revoca persino ad un atto di alienazione invalido, considerandosi a tal fine sufficiente non tanto un'alienazione definitivamente efficace, quanto e soltanto una sicura volontà di alienare.
La trascrizione degli acquisti mortis causa, pertanto, ha una finalità diversa da quella di risolvere eventuali conflitti tra più aventi causa e, secondo l'opinione pacifica in dottrina ed in giurisprudenza, è prescritta ai fini della continuità della trascrizioni.
In sostanza, anche tra due aventi causa dall'erede, fino a quando non viene trascritta l'accettazione dell'eredità, opera il principio prior in tempore potior in iure; successivamente prevale chi ha trascritto per primo il suo acquisto.
La trascrizione degli acquisti mortis causa può, in talune ipotesi, avere una efficacia sostanziale, anche se diversa da quella tipica indicata nell'art. 2644 c.c. Con riferimento agli acquisti dall'erede apparente, l'art. 534, c. 3°, c.c. prevede la trascrizione dell'acquisto mortis causa sotto un duplice profilo, e cioè tanto in riferimento all'acquisto dell'erede apparente, quanto in riferimento all'acquisto dell'erede vero.
Sotto il primo profilo, la trascrizione dell'acquisto dell'erede apparente è una delle condizioni che la legge richiede per la tutela dei subacquirenti (a titolo oneroso e di buona fede) nei confronti dell'erede vero. Sotto il secondo profilo, la trascrizione dell'acquisto dell'erede vero ha l'effetto giuridico tipico di porre quest'ultimo al sicuro nei confronti degli atti di disposizione di un eventuale erede apparente (ove l'acquisto di quest'ultimo non fosse ancora trascritto). Il risultato è molto simile a quello che si avrebbe se fra l'erede vero e l'acquirente dall'erede apparente si potesse ipotizzare un conflitto risolvibile ai sensi dell'art. 2644 c.c. La trascrizione dell'acquisto dell'erede vero impedisce, infatti, che abbiano effetto nei suoi confronti le trascrizioni o iscrizioni prese successivamente dai terzi contro l'erede apparente, per quanto il loro acquisto sia anteriore. Viceversa, la trascrizione dell'acquisto compiuto dai terzi e del titolo ereditario del loro dante causa, se è anteriore alla trascrizione del titolo dell'erede vero, preclude a questi la possibilità di rivendicare i beni ereditari nei confronti dei terzi che li hanno acquistati in buona fede ed a titolo oneroso. Si tratta, peraltro, di una semplice analogia. In primo luogo, a differenza di quanto avviene con riferimento all'art. 2644 c.c., l'acquisto del terzo avente causa dall'erede apparente che trascrive per primo è salvo solo se a titolo oneroso e in buona fede. L'art. 2644 c.c., poi, risolve, in base alla priorità della trascrizione, il conflitto tra "due alienazioni" poste in essere dallo stesso soggetto. Nel caso previsto dall'art. 534, c. 3°, c.c., invece, la priorità della trascrizione risolve il conflitto tra due soggetti i quali ricollegano il proprio acquisto (direttamente l'erede vero; indirettamente l'avente causa dall'erede apparente) allo stesso "titolo" (la successione mortis causa).
In base a quanto disposto dell'art. 534, c. 3°, c.c., gli stessi principi si applicano nel caso di conflitto tra legatario ed aventi causa dall'erede apparente. Si è sostenuto che tali principi troverebbero applicazione nel caso in cui l'erede vero dispone come tale di un bene che ha formato oggetto di legato, in quanto rispetto a quel bene egli si trova sostanzialmente nella condizione di un erede apparente, non dovendo tale qualità essere necessariamente riportata al compendio ereditario nel suo complesso, ma si può avere ogni volta in cui, in concreto, rispetto ad un singolo bene già appartenente al de cuius una persona si comporti come erede. Nessun effetto, invece, può essere riconosciuto alla trascrizione nel caso di conflitto tra il legatario vero (o i suoi aventi causa) e gli aventi causa da un legatario "apparente"; l'ipotesi, infatti, non è stata espressamente prevista e non può farsi applicazione analogica dell'art. 534, c. 3°, c.c., in considerazione della natura eccezionale di tale norma.
In base all'art. 2652, n. 7, c.c., poi, la domanda di chi impugna il fondamento di un acquisto a causa di morte che sia stato trascritto non pregiudica i terzi che abbiano acquistato in buona fede (ed a qualunque titolo) se non viene trascritta prima dell'acquisto del terzo e entro cinque anni dalla trascrizione dell'acquisto mortis causa impugnato. In tal modo la trascrizione dell'acquisto dal falso erede o dal falso legatario, col decorso di cinque anni, viene (nei confronti degli acquirenti di buona fede) ad assumere una efficacia sanante del titolo mancante o invalido.
In dottrina, ancora, si è sostenuto che la trascrizione dell'acquisto del legatario può avere rilevanza con riferimento alla trascrizione delle domande giudiziali previste dagli artt. 2652 e 2653 c.c. (con la sola eccezione dell'art. 2652, n. 3). Il fatto che il legatario sia un successore a titolo particolare del de cuius e quindi non rientri tra quei terzi che possono opporre il difetto di trascrizione degli aventi causa per atto inter vivos dal medesimo autore ai sensi dell'art. 2644 c.c., non importa che gli si debba negare la qualità di terzo in riferimento agli artt. 2652 e 2653 c.c. La trascrizione di tali domande ha, infatti, una funzione profondamente diversa da quella della trascrizione dei negozi traslativi o costitutivi di diritti reali immobiliari o di diritti reali a questi assimilati ed il criterio di soluzione del conflitto fra colui che ha trascritto la domanda e colui che ha acquistato diritti dalla persona contro la quale la domanda è trascritta, fondato sull'anteriorità della trascrizione, è analogo a quello dell'art. 2644 c.c. dal punto di vista del meccanismo, ma non dal punto di vista della funzione, per cui non vi sarebbe motivo per non comprendere i legatari nei terzi ai quali fanno riferimento gli artt. 2652 e 2653 c.c.


4. La dichiarazione di morte presunta

Secondo un'opinione sostenuta in dottrina, la trascrizione andrebbe estesa agli acquisti che si operano in virtù della sentenza che dichiara la morte presunta, in quanto, anche se non esiste una disposizione che parifica a tutti gli effetti la morte presunta alla morte reale, non vi è dubbio che per effetto di quella si abbia una vera e propria apertura della successione. Nel caso in cui il presunto morto ritorni o venga provata la sua esistenza, poiché gli acquisti operati sulla base della dichiarazione di morte presunta si considerano come mai avvenuti, il presunto morto dovrebbe, agli effetti dell'art. 2650 c.c. e cioè all'effetto di riacquistare la piena disponibilità dei suoi diritti e di rendere inefficaci le trascrizioni od iscrizioni eseguite contro di lui, annotare in margine alla trascrizione dell'accettazione di eredità o del testamento il venir meno dell'acquisto dei presunti eredi o legatari ai sensi dell'art. 2655 c.c., che tale onere pone per il caso in cui si verifichi la condizione risolutiva apposta ad un atto soggetto a trascrizione. Infatti, l'acquisto da parte degli eredi e dei legatari del presunto morto è subordinato, in buona sostanza, alla condizione risolutiva legale del suo ritorno, condizione la quale ha indubbiamente efficacia retroattiva e per la quale non vi è ragione di applicare una regola diversa. Qualora, invece, si dovesse accertare esclusivamente che la data della morte presunta era diversa e ciò incide sulla successione, nel senso di spostare la chiamata in favore di altro soggetto, costui, ove intenda succedere, dovrebbe accettare l'eredità, trascrivere l'accettazione, e nel contempo annotare, ai sensi dell'art. 2662, c. 3°, c.c., a margine della trascrizione dell'accettazione dei primi chiamati la sentenza che accerta lo spostamento di data, causa del venir meno del loro acquisto mortis causa. Si tratta di una impostazione che non può essere condivisa. L'art. 2648 c.c. fa riferimento alla accettazione dell'eredità o all'acquisto del legato che, nel caso di dichiarazione di morte presunta, mancano, ed una applicazione analogica di tale norma non è consentita, in considerazione della natura eccezionale delle disposizioni in tema di trascrizione.
Sembra, pertanto, preferibile ritenere che la sentenza di dichiarazione di morte presunta va trascritta ai sensi dell'art. 2651 c.c., in quanto da essa risultano acquistati diritti reali in modo non soggetto a trascrizione. Nel caso in cui il presunto morto ritorni o venga provata la sua esistenza o l'effettiva data della sua morte, si procederà alla annotazione a margine di tale trascrizione, ai sensi dell'art. 2655, c. 1°, c.c., della sentenza che accerti gli eventi in questione, dovendosi considerare nulli gli acquisti dei soggetti considerati negli artt. 63 e 64 c.c.

5. Gli acquisti a titolo di erede

La trascrizione della accettazione espressa dell’eredità non pone problemi; essa, secondo quanto disposto dall’art. 2648, c. 2°, c.c., si opera in base alla dichiarazione del chiamato all’eredità contenuta in un atto pubblico ovvero in una scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Va, peraltro, rilevato che l’onere di trascrivere l’accettazione espressa dell’eredità non è soddisfatto dalla semplice trascrizione della accettazione con beneficio di inventario disposta dall’art. 484, c. 2°, c.c., ed alla quale deve provvedere il cancelliere, trattandosi di pubblicità imposta a fini di notizia e che non ha alcuna efficacia sostanziale, tanto che, a differenza della trascrizione di cui all’art. 2648, c. 2°, c.c., va eseguita presso l’ufficio nella cui circoscrizione la successione si è aperta e non presso gli uffici competenti per la trascrizione dell’acquisto dei singoli beni che compongono l’asse ereditario.
L’art. 2648, c. 3°, c.c. stabilisce, poi, che se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell’eredità, si può richiedere la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Nonostante la formulazione della norma ("si può") possa, a prima vista, ingenerare dubbi, è da escludere che la trascrizione sia facoltativa. Una simile conclusione, oltre ad essere in contrasto con quanto previsto nell’art. 2648, c. 1°, c.c. ("si devono"), sarebbe del tutto priva di logica. Il legislatore ha semplicemente inteso dire che la trascrizione è possibile anche quando la accettazione della eredità non risulti da un atto ad hoc.
Gli atti che, ai fini dell’art. 2648, c. 3°, c.c., comportano accettazione tacita della eredità sono quelli previsti dagli artt. 476-478 c.c.
Come è stato osservato in dottrina, la trascrizione effettuata ai sensi del combinato disposto degli artt. 476 e 2648, c. 3°, c.c. presenta delle difficoltà. Poiché il documento che viene presentato allo scopo di far trascrivere l’accettazione prova non già la dichiarazione di accettazione, ma una dichiarazione diversa, che presuppone, ma non esprime, la volontà di accettare, la trascrizione sarà validamente richiesta ed eseguita solo quando il documento esibito contenga tutti gli elementi necessari e sufficienti perché se ne possa desumere l’esistenza dell’accettazione tacita. Se, ad es., il documento contiene un atto di disposizione del chiamato relativo ad un bene ereditario e risulta dal documento medesimo che il bene fa parte del patrimonio ereditario, allora si potrà procedere alla trascrizione della accettazione dell’eredità sulla base di quell’atto.
Se, però, nel documento non risultasse la qualità ereditaria del bene, non potrà procedersi alla trascrizione dell’accettazione dell’eredità, in quanto, essendo oggetto della trascrizione l’accettazione, l’esistenza di questa deve direttamente desumersi dal contenuto dell’atto reso pubblico e non può ricavarsi in parte dall’atto ed in parte da elementi estrinseci che i terzi che consultano i registri immobiliari non sono tenuti a conoscere. Non è peraltro necessario che l’atto da cui si desume l’accettazione dell’eredità sia a sua volta un atto relativo a beni immobili o addirittura soggetto di per sé alla formalità della trascrizione, perché ciò che interessa non è la natura dell’atto, ma la volontà che esso presuppone.
Nel caso in cui dall’atto di disposizione non risulti che lo stesso ha ad oggetto un bene pervenuto all’alienante in base ad una eredità in ordine alla quale non è intervenuta una accettazione espressa, alla trascrizione della accettazione tacita potrà procedersi solo a seguito di una sentenza che la accerti. Naturalmente, ove la accettazione dell’eredità dovesse risultare da un atto di disposizione di un bene immobile, si procederà ad una duplice trascrizione: la prima (relativa alla accettazione della eredità) "contro" il de cuius ed "a favore" dell’erede; la seconda (relativa all’atto di disposizione dell’immobile) "contro" l’erede ed "a favore" dell’acquirente.
Si è sostenuto in dottrina che possono servire di base per rendere pubblica l’accettazione, oltre agli atti giuridici posti in essere dal chiamato, anche semplici fatti che non presuppongono, almeno necessariamente, la volontà di accettare, ma che importano, come conseguenza legale, la decadenza dal diritto di rinunziare, come nell’ipotesi del chiamato che ha sottratto o nascosto beni ereditari (art. 527 c.c.) o è nel possesso di beni ereditari e non ha provveduto a fare l’inventario e a rendere la dichiarazione nei termini stabiliti dall’art. 485 c.c. Sulla base di una sentenza che accerti questi fatti si può trascrivere l’acquisto ereditario, dato che questo è, appunto, la conseguenza del venir meno della facoltà di rinunzia. Va, però, precisato che la trascrizione avviene non ex art. 2648, c. 3°, c.c., dal momento che tale disposizione fa riferimento a sentenze dalle quali risultino "atti" che comportano accettazione dell’eredità, ma in base all’art. 2651 c.c..
Non si può condividere la tesi secondo la quale si dovrebbe trascrivere l’accettazione che i creditori facciano in nome ed in luogo del rinunziante al fine di soddisfare i loro diritti sui beni ereditari ai sensi dell’art. 524 c.c. Non è sufficiente, infatti, affermare che il rinunziante acquista comunque la titolarità, sia pure in via provvisoria e strumentale, su tali beni (al fine di consentire di soddisfare su di essi le ragioni dei creditori). L’art. 2648 c.c. prevede la trascrizione della accettazione della eredità in base a dichiarazione del "chiamato" o ad atti compiuti dallo stesso e una applicazione analogica di tale norma è da escludere, in considerazione della natura eccezionale delle disposizioni in tema di trascrizione.
D’altra parte, i terzi i quali dovessero essere interessati all’acquisto di tali beni dal chiamato di grado successivo che ha accettato l’eredità sarebbero in condizione di venire a conoscenza della loro potenziale destinazione a soddisfacimento delle ragioni dei creditori dalla trascrizione della domanda di cui all’art. 524 c.c., prevista dall’art. 2652, n. 1, c.c. Ove tale domanda dovesse essere accolta, la relativa sentenza potrebbe essere trascritta ex art. 2651 c.c.


6. L’acquisto del legato

In base all’art. 2648, c. 4°, c.c. la trascrizione dell’acquisto del legato si opera sulla base di un estratto autentico del testamento.
Si tratta di una previsione conforme al principio secondo il quale l’acquisto del legato è automatico.
Naturalmente la trascrizione del legato presuppone la efficacia immediatamente reale dello stesso, per cui un legato di cosa altrui (dell’onerato o di un terzo), che non sia nullo ex art. 651 c.c., produce semplici effetti obbligatori e non può essere trascritto; la trascrizione avrà luogo con riferimento all’atto traslativo che l’onerato dovesse porre in essere in favore del legatario e naturalmente andrà effettuata contro l’onerato e non contro il de cuius. Il problema della trascrizione della c.d. rinunzia al legato trascritto ad iniziativa del legatario non si pone, in quanto la trascrizione del legato costituisce quella accettazione dello stesso che rende impossibile una successiva rinunzia.
Con riferimento alle altre ipotesi si è sostenuto che si deve procedere ad annotazione ai sensi dell’art. 2655, ult. cpv., c.c..
Si tratta di una tesi che non può essere condivisa, in considerazione della natura eccezionale delle norme in tema di trascrizione e del fatto che, anche volendo ritenere che l’acquisto del legato, finché sussiste la possibilità della rinuncia, è sottoposto alla condizione risolutiva della rinuncia, l’art. 2660, c. 2°, n. 6, c.c. prevede la necessità della menzione della condizione cui è sottoposto l’acquisto mortis causa soltanto quando la stessa risulti apposta nella disposizione testamentaria e non quando, come nella specie, si tratti di condicio iuris.
La pubblicità della rinunzia è soltanto indiretta, nel senso che la stessa risulta dalla trascrizione dell’acquisto dell’erede conseguente alla rinuncia stessa, ai sensi dell’art. 2662, c. 1°, c.c. Tenuto conto, poi, di quanto si è detto in tema di inefficacia della rinunzia al legato trascritto, non si pone il problema secondo il quale la trascrizione dell’acquisto dell’erede viene eseguita contro il de cuius ed a favore dell’erede, e non anche contro il legatario rinunciante, per cui chi dovesse compiere una ricerca sui registri immobiliari a nome del rinunciante nulla troverebbe a suo carico e sarebbe pertanto autorizzato a ritenerlo ancora proprietario.


7. Il diritto di abitazione del coniuge superstite

È da escludere la possibilità di trascrizione del c.d. legato ex lege consistente nel diritto di abitazione del coniuge superstite, quando deriva da successione legittima, in quanto dei titoli indicati nell’art. 2648 c.c. l’uno (il testamento) è inesistente, mentre l’altro (l’accettazione) si riferisce alla istituzione di erede e il principio di tassatività della trascrizione comporta che alla pubblicità immobiliare non possa procedersi se non sulla base dei titoli espressamente considerati.
Ne consegue che non si può condividere la tesi secondo la quale la trascrizione potrebbe avere luogo sulla base di un atto di accettazione del legato o (nel caso il coniuge superstite non voglia precludersi la possibilità di futura rinunzia) di un atto meramente ricognitivo dell’avvenuto acquisto del legato in dipendenza della riconosciuta sussistenza dei suoi presupposti legali.
Si è anche sostenuto che si dovrebbe fare riferimento all’art. 2660 c.c., il quale riguarda in generale la domanda di trascrizione di un acquisto a causa di morte – senza distinguere fra successione a titolo universale o particolare, testamentaria o legale – e richiede, per tutte le ipotesi, soltanto la presentazione, insieme con la nota di trascrizione, di un certificato di morte dell’ereditando. Solo apparentemente sembra richiesta, per tutte le ipotesi, la presentazione "dell’atto" indicato dall’art. 2648 c.c. e quindi dell’accettazione dell’eredità o dell’estratto di testamento, nessuno dei quali il coniuge, in quanto legatario ex lege, può produrre. In realtà, il riferimento all’art. 2648 – come indica anche, sul piano letterale, la circostanza che si parla di "atto" al singolare – riguarda soltanto il caso dell’erede: il rinvio, infatti, non può intendersi riferito anche alla presentazione dell’estratto di testamento – imposta al legatario dalla norma dell’art. 2648, ult. cpv. – dal momento che a quest’ultima produzione l’altra norma dell’art. 2660 c.c. si riferisce autonomamente ed espressamente, riguardo ai soli casi in cui la successione, universale o particolare, si fondi sulla volontà del defunto. Dalla disciplina dell’art. 2660 c.c. risulterebbe, pertanto, che il coniuge superstite, al fine di trascrivere l’acquisito diritto di abitazione, dovrà presentare soltanto, insieme con un certificato di morte, la nota di trascrizione indicante il vincolo coniugale con il de cuius. La formulazione dell’art. 2660, c. 1°, c.c. non sembra, però, autorizzare la conclusione che si possano trascrivere acquisti mortis causa sulla base del solo certificato di morte. Forse la soluzione più semplice consiste nel non considerare il diritto di abitazione come un legato ex lege, ma piuttosto come un diritto il quale deve ex lege essere inserito nella quota spettante al coniuge superstite e di cui si fa menzione nella nota di trascrizione relativa alla accettazione della eredità. Dal punto di vista pratico, ad ogni modo, la mancata trascrizione ha scarsa rilevanza.
L’avente causa dall’erede il quale avesse alienato la piena proprietà della casa coniugale del de cuius non potrebbe, infatti, opporre, ex art. 2644 c.c., al coniuge superstite la mancata (o tardiva) trascrizione del suo diritto di abitazione, in quanto, da un lato, manca una duplice alienazione dello stesso bene da parte dello stesso soggetto e, dall’altro, l’erede ha disposto di un bene che non è stato mai completamente suo.
In considerazione, poi, della estinzione, con la morte del titolare, del diritto di abitazione e della inalienabilità dello stesso, non vengono in gioco gli effetti connessi col principio della continuità delle trascrizioni. La eventuale rinuncia andrà trascritta ex art. 2643, n. 5, c.c.


8. Il conflitto tra acquirente dal de cuius e acquirente dall'erede o dal legatario

Con riferimento all'ipotesi di conflitto tra acquirente dal de cuius ed acquirente dall'erede, in dottrina ha avuto seguito la tesi che de cuius ed erede, ai fini della trascrizione, potrebbero essere considerati come uno stesso dante causa.
Nell'ambito di tale orientamento si discute soltanto in ordine alla rilevanza della trascrizione dell'acquisto dell'erede.
Per alcuni la prevalenza dell'acquirente dall'erede sarebbe condizionata alla trascrizione dell'acquisto mortis causa; senza questa trascrizione, necessaria perché possa dirsi attuato il principio della continuità delle trascrizioni di cui all'art. 2650 c.c., è inefficace la trascrizione contro l'erede. Non si tratta, tuttavia, di inefficacia assoluta. Questa trascrizione varrà, per intanto, come prenotazione. Avvenuta la trascrizione dell'acquisto ereditario, anche questa trascrizione acquisterà piena efficacia fin dal giorno in cui è stata presa. La trascrizione del trapasso ereditario rende efficace ex tunc la trascrizione dell'acquisto dall'erede, per cui tale acquisto prevarrà sull'alienazione compiuta dal defunto, se trascritta prima di questa, anche se la successione ereditaria sia trascritta dopo la trascrizione dell'alienazione compiuta dal defunto.
Per altri il conflitto fra l'avente causa (inter vivos) dal de cuius e l'avente causa dall'erede, può risolversi a favore di quest'ultimo, purché egli trascriva per primo il proprio acquisto e l'acquisto dell'erede. Si è, in proposito, affermato che la semplice trascrizione dell'acquisto proprio avrebbe solo un effetto di prenotazione, nei confronti di altri eventuali aventi causa dall'erede, ma non sarebbe sufficiente a tutelare l'acquisto nei confronti degli aventi causa per atto fra vivi dal defunto, che dovessero trascrivere il proprio acquisto prima della trascrizione dell'acquisto dell'erede, saldando così definitivamente la catena dei trasferimenti a proprio favore: ciò risulta chiaramente dal disposto dell'art. 2650, c. 2°, c.c., per il quale, se è vero che la trascrizione del titolo del dante causa rende retroattivamente efficaci le precedenti trascrizioni degli aventi causa secondo il loro ordine rispettivo, è tuttavia espressamente fatto salvo il disposto dell'art. 2644, in forza del quale contro colui che ha efficacemente trascritto non possono farsi valere trascrizioni od iscrizioni eseguite successivamente. La contraria opinione seguita dalla giurisprudenza, secondo cui il conflitto fra avente causa dal de cuius e avente causa dall'erede dovrebbe dirimersi esclusivamente in base alla priorità delle rispettive trascrizioni, dal momento che entrambi devono considerarsi aventi causa dallo stesso autore, trascura il fatto che le due trascrizioni non sono sullo stesso piano, in quanto mentre quella dell'avente causa dal de cuius è immediatamente efficace, quella dell'avente causa dall'erede lo diviene solo (per il combinato disposto degli artt. 2648 e 2650 c.c., che espressamente si richiama alle disposizioni precedenti) in seguito alla trascrizione dell'acquisto per successione dell'erede. Né potrebbe invocarsi il principio dell'efficacia retroattiva di cui alla prima parte dell'art. 2650, c. 2°, c.c., perché esso vale quando l'efficacia di tutte le trascrizioni o iscrizioni in conflitto sia subordinata alla trascrizione di un acquisto precedente, mentre, invece, nel caso in esame, solo l'efficacia della trascrizione dell'avente causa dall'erede è subordinata alla trascrizione dell'acquisto ereditario.
Si tratta di un orientamento che non può essere condiviso.
Va, innanzitutto, rilevato che fuori luogo viene richiamato il principio della continuità delle trascrizioni, il quale presuppone due alienazioni poste in essere da uno stesso soggetto, il quale non abbia reso pubblico il proprio titolo. Nella specie, invece, anche volendo ammettere la possibilità di considerare le alienazioni poste in essere dal de cuius e dall'erede come provenienti dallo stesso soggetto, non viene in discussione la (eseguita o mancata) trascrizione dell'acquisto del dante causa dello stesso. Non viene spiegato, poi, perché solo per effetto della trascrizione ex art. 2648 c.c. erede e de cuius potrebbero essere considerati come un unico dante causa ai fini della soluzione del conflitto tra aventi causa da tali soggetti.
Tale soluzione, anche se ispirata alla tutela dell'acquirente dall'erede, il quale dalla consultazione dei registri immobiliari non sarebbe in grado di venire a conoscenza del fatto che il bene trasferitogli era stato alienato dal de cuius e quindi non rientrava nell'eredità, va, poi, incontro all'ostacolo costituito dal fatto che l'art. 2644, c. 2°, c.c., stabilisce che, "seguita la trascrizione", non può più avere effetto "contro colui che ha trascritto" alcuna trascrizione di diritti acquistati verso il suo autore. Da tale disposizione, quindi, si può desumere che l'acquirente dall'erede in base a contratto trascritto non può venire pregiudicato da ulteriori trascrizioni contro l'erede, che è il suo autore, ma non anche che non possano avere effetto contro di lui le trascrizioni di diritti acquistati dal dante causa dell'erede, cioè dal de cuius.
L'obiezione non si può superare sostenendo che le trascrizioni contro l'erede sono da porre sullo stesso piano delle trascrizioni contro il de cuius, in quanto diversamente opinando (se, cioè gli atti non trascritti fossero efficaci ed opponibili ai terzi aventi causa dall'erede per il semplice fatto di essere stati compiuti dal de cuius) la funzione conservatrice della trascrizione si ridurrebbe a ben poca cosa.
È facile, infatti, replicare, da un lato, che adducere incumveniens non est solvere argumentum e, dall'altro, che le norme in tema di trascrizione, in considerazione della loro natura eccezionale, non sono suscettibili di applicazione analogica.
Non sembra neppure valido l'argomento secondo il quale, per quanto riguarda gli aventi causa dall'erede, a prima vista costoro non dovrebbero acquistare più di quanto abbia acquistato l'erede e non potrebbero giovarsi della trascrizione dell'erede più di quanto non se ne potesse giovare l'erede stesso. Tuttavia, occorre considerare che l'erede non deve considerarsi terzo, ma parte degli atti di alienazione compiuti dal de cuius, con la conseguenza che i suoi aventi causa possono considerarsi in diretto conflitto con gli aventi causa dal de cuius. Da ciò deriva che, nonostante l'apparente analogia, la posizione dell'avente causa dall'erede è profondamente diversa rispetto a quella dell'avente causa da ogni altro acquirente a titolo derivativo. L'avente causa dall'erede, infatti, non si avvale, e non potrebbe avvalersi, senza alterare il principio che la trascrizione integra ma non sostituisce l'efficacia dell'acquisto, della trascrizione dell'erede, suo dante causa, ma si avvale della propria trascrizione, rispetto alla quale la trascrizione dell'acquisto dell'erede è semplicemente una condizione di efficacia, disposta dalla legge per assicurare la continuità delle trascrizioni.
Non si comprende, infatti, come si possa, in base ai principi in tema di successione, far risalire al de cuius la alienazione posta in essere dall'erede o, viceversa, considerare come compiuta dall'erede la alienazione posta in essere dal de cuius.
Il bene già oggetto di atto di disposizione da parte del de cuius, poi, non è passato nel patrimonio dell'erede, per cui quest'ultimo, alienandolo, dispone di cosa non sua; l'acquisto dall'erede, pertanto è inefficace, in quanto proveniente a non domino e tale inefficacia non può essere sanata dalla trascrizione. Né si potrebbe superare tale obiezione sostenendo che anche colui il quale aliena per la seconda volta dispone di cosa non sua eppure il secondo acquirente, se trascrive per primo, diventa proprietario, ai sensi dell'art. 2644 c.c.
È facile replicare che le ipotesi di efficacia di un acquisto a non domino sono eccezionali, per cui l'efficacia, in base alla priorità della trascrizione, della alienazione compiuta da parte dell'erede di un bene di cui il de cuius già aveva disposto, non essendo prevista espressamente, potrebbe discendere solo da una applicazione analogica (vietata) dell'art. 2644 c.c., il quale stabilisce, come già detto, che, seguita la trascrizione, non può avere effetto contro colui che ha trascritto alcuna trascrizione di diritti acquistati verso il suo autore e non anche che nei confronti dell'acquirente non possono avere effetti le trascrizioni di diritti acquistati nei confronti del soggetto del quale il suo autore è erede.
La soluzione criticata, poi, comporterebbe la indubbia stranezza costituita dal fatto che l'acquisto dal de cuius non trascritto sarebbe opponibile all'erede (in virtù del principio secondo il quale l'erede subentra nella stessa posizione del de cuius con riferimento ai contratti dallo stesso conclusi), ma non sarebbe opponibile all'avente causa dall'erede, il che significa che la mancata trascrizione della alienazione posta in essere dal de cuius attribuirebbe all'erede il potere di disposizione di un bene di cui "non è mai" stato proprietario, in contrasto con gli effetti tipici della trascrizione, la quale serve a far salvi gli atti di disposizione compiuti da chi "non è più" proprietario.
Vi è contrasto in dottrina in ordine alla soluzione del problema relativo al conflitto tra aventi causa inter vivos dal testatore e aventi causa dal legatario.
Secondo una tesi gli aventi causa dal legatario che abbiano trascritto per primi il proprio acquisto e quello del legatario non potrebbero prevalere, in quanto essi hanno acquistato (per effetto della revoca del legato) a non domino (a differenza di chi acquista dall'erede, che è da considerare parte rispetto agli atti di disposizione compiuti dal de cuius) e non possono giovarsi della trascrizione del legatario, così come non se ne poteva giovare quest'ultimo.
In senso contrario si è invocata una identità di ratio, individuabile nel fatto che nelle due situazioni ci si trova in presenza di un affidamento (in senso stretto o legale) ugualmente meritevole di tutela. Tanto l'acquirente dall'erede, quanto l'acquirente dal legatario non potevano "legalmente" conoscere le alienazioni dal defunto compiute e non rese pubbliche ed è perciò giusto che queste siano a loro inopponibili. È vero che l'acquisto del terzo poggia su di un legato nullo, ai sensi dell'art. 651 c.c. (se al momento del testamento il bene era stato già alienato dal defunto), o revocato, ai sensi dell'art. 686 c.c. (se il bene è stato alienato successivamente al testamento), ma tale realtà non può pregiudicare la posizione del terzo acquirente che qui si giova dello schermo della trascrizione ed ha perciò diritto di considerare a sé non opponibile l'alienazione precedente, perché non trascritta. È superfluo osservare che in tal modo si estende agli acquisti dal legatario apparente una soluzione che non si condivide per quanto riguarda gli acquisti dall'erede.


9. La cessione dei beni ai creditori

In base all'art. 2649 c.c. deve essere trascritta, qualora comprenda beni immobili, la cessione dei beni ai creditori; non hanno effetto, rispetto ai creditori, le trascrizioni o iscrizioni di diritti acquistati verso il debitore se compiute dopo che la cessione è stata eseguita.
La trascrizione non è, quindi, richiesta in funzione dell'effetto positivo della cessio bonorum, e cioè allo scopo di rendere efficace nei confronti dei terzi acquirenti dai creditori cessionari il potere di disposizione e di amministrazione a questi ultimi attribuito, per cui essi dispongono efficacemente di tali beni anche in mancanza della trascrizione del negozio dal quale derivano il loro potere, ma per l'effetto negativo della cessione, che è quello di neutralizzare gli eventuali atti di disposizione del debitore, dal momento che il relativo potere non viene meno per effetto di tale negozio, per quanto a prima vista la formulazione dell'art. 1980 c.c. ("il debitore non può disporre dei beni ceduti") potrebbe indurre a ritenere il contrario.
Come è stato osservato, la formula dell'art. 2649 c.c. ("non hanno effetto, rispetto ai creditori, le trascrizioni o iscrizioni di diritti acquistati verso il debitore dopo che la cessione è stata trascritta") non è del tutto felice, in quanto potrebbe sembrare che ai creditori che abbiano trascritto la cessione non sono opponibili i diritti acquistati dai terzi verso il debitore posteriormente alla trascrizione della cessione, mentre sarebbero opponibili i diritti acquistati anteriormente, anche se resi pubblici posteriormente.
Si tratta, però, di una interpretazione letterale che porterebbe ad un risultato che il legislatore non ha certamente voluto.
Essa, innanzitutto, sarebbe contraria a quanto risulta dalla Relazione al codice civile (n. 1072) e al sistema seguito per il pignoramento, che crea un vincolo di indisponibilità del tutto analogo a quello derivante dalla cessione dei beni.
È, poi, evidente che se il legislatore avesse voluto codificare quella soluzione, non avrebbe detto che sono senza effetto le "trascrizioni o iscrizioni di diritti acquistati verso il debitore", ma, più semplicemente, che sono senza effetto i diritti acquistati verso il debitore posteriormente alla trascrizione della cessione.
È chiaro, invece, che la ratio della norma è un'altra, e cioè quella di rendere inopponibili ai creditori che hanno trascritto la cessione i diritti acquistati verso il debitore e resi pubblici in data successiva, anche se eventualmente il loro acquisto fosse di data anteriore rispetto alla trascrizione della cessione o addirittura al contratto di cessione. Nel caso in cui la cessione dei beni non venga trascritta, se i creditori cessionari hanno posto in essere atti di disposizione dei beni ceduti, i terzi che hanno acquistato diritti e trascritto il loro titolo prevalgono rispetto ai terzi che hanno acquistato diritti dal debitore, ma hanno trascritto il loro titolo posteriormente ai primi, in quanto sono aventi causa non dai creditori cessionari, ma dal debitore. In sostanza, si verrebbe a creare una situazione analoga a quella di due alienazioni poste in essere rispettivamente dal proprietario e dal mandatario dello stesso, con riferimento alle quali, in base all'art. 2644 c.c., prevale chi ha trascritto per primo.
La inopponibilità ai creditori cessionari delle trascrizioni o iscrizioni prese contro il debitore importa che essi possono disporre dei beni ceduti in favore di terzi come se quelle trascrizioni o iscrizioni non esistessero, per cui i terzi che dovessero acquistare diritti sui beni ceduti per effetto di atti di disposizione compiuti dai creditori non possono essere pregiudicati dagli atti compiuti dal debitore, o, in genere, dalle trascrizioni o iscrizioni prese contro di lui indipendentemente dalla trascrizione del loro titolo. È vero che coloro che acquistano diritti dai creditori debbono considerarsi aventi causa dal debitore e debbono pertanto trascrivere il loro acquisto direttamente contro di lui, ma ciò non toglie che, se la cessione è stata trascritta, il conflitto con i terzi che abbiano acquistato diritti dal debitore si risolve indipendentemente dal criterio dell'anteriorità della trascrizione dei rispettivi titoli, ma in base al criterio della anteriorità della trascrizione dell'atto in base al quale il debitore ha perso il potere di disporre dei propri beni efficacemente nei confronti dei creditori cessionari.
Gli atti compiuti dal creditore, però, non sono invalidi, per cui, se la cessione dei beni viene meno per una delle cause ammesse dalla legge o perché il debitore si avvale della facoltà di pagare i creditori allo scopo di riacquistare la disponibilità dei beni, essi diventano pienamente efficaci, salvi naturalmente gli atti legittimamente compiuti dai creditori e i diritti conseguentemente acquistati dai terzi, diritti che, peraltro, devono essere resi pubblici prima del venir meno del vincolo di indisponibilità, affinché possano essere opposti agli aventi causa dal debitore.
Si è sostenuto che se il vincolo derivante dalla cessione dei beni viene successivamente meno per recesso del debitore (art. 1985 c.c.) ovvero per annullamento o risoluzione (art. 1986 c.c.), il debitore riacquista la disponibilità dei beni che della cessione formavano oggetto, ma la sopravvenuta inefficacia della cessione deve essere resa pubblica mediante annotazione in margine alla trascrizione dell'atto (art. 2655 c.c.). In mancanza, il debitore può efficacemente disporre dei beni, ma le trascrizioni o iscrizioni prese contro di lui non possono avere efficacia fino a quando tale annotazione non venga eseguita (art. 2655, c. 3°, c.c.), a prescindere dall'onere di trascrivere la domanda giudiziale di nullità o di risoluzione della cessione (art. 2652, nn. 1 e 6, c.c.) per gli effetti particolari previsti dalla legge.
Per quanto, a prima vista, a favore di tale opinione si potrebbe invocare il fatto che l'art. 2655 c.c. non distingue tra gli "atti" soggetti a trascrizione, si può dubitare che essa sia conforme alla ratio ispiratrice della norma in questione e dell'art. 2649 c.c.
Ad ogni modo il recesso dal contratto ai sensi dell'art. 1985 c.c. non rientra negli eventi contemplati dall'art. 2655 c.c., per cui non potrebbe essere soggetto ad annotazione, in considerazione della natura eccezionale delle norme in tema di trascrizione.
Si ritiene comunemente che, allorché i creditori cessionari procedono alla vendita degli immobili ceduti, le trascrizioni dei singoli trasferimenti di proprietà debbono essere eseguite direttamente contro il debitore cedente, che è il vero titolare dei beni, in quanto i creditori sono equiparati a dei mandatari con rappresentanza e agiscono pertanto in nome del debitore: la differenza fra cessione dei beni e mandato riposa nel fatto che il mandato, a differenza della cessione, è sempre revocabile e perciò non potrebbe creare un vincolo di indisponibilità.
In senso contrario si è affermato che l'art. 2649 c.c. è seguito immediatamente dalla norma che regola la continuità delle trascrizioni, la quale dispone testualmente che "nei casi in cui, per le disposizioni precedenti", un atto di acquisto è soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell'acquirente non producono effetto, se non è stato trascritto l'atto anteriore di acquisto (art. 2650, c. 1°, c.c.). Ne consegue che o si ritiene che la cessio bonorum sta fuori dal circuito della continuità delle trascrizioni, ed allora bisognerebbe dire che la sua collocazione prima dell'art. 2650 c.c. è sbagliata (per quanto a tale collocazione il legislatore ha attribuito molta importanza), oppure si ritiene che la trascrizione della cessio bonorum è necessaria a completare la serie delle trascrizioni e allora bisogna riconoscere che coloro i quali hanno acquistato dai cessionari hanno costoro come immediati danti causa e solo mediatamente il loro acquisto risale al debitore cedente.
A prescindere, però, dal fatto che non viene indicato da quali elementi sarebbe desumibile che alla collocazione dell'art. 2649 c.c. il legislatore avrebbe attribuito molta importanza, sembra decisiva proprio la formulazione dell'art. 2650, c. 1°, nel quale si fa riferimento agli atti di acquisto e tale non può essere considerata la cessione dei beni ai creditori.


10. Gli acquisti a titolo originario

Gli acquisti a titolo originario sono esclusi dalla sfera di applicazione dell'art. 2644 c.c. e dalla efficacia tipica della trascrizione.
La ragione di questa esclusione è stata individuata nel fatto l'acquisto a titolo originario si fonda sempre su una relazione particolare ed esclusiva in cui il soggetto si trova con la cosa e si verifica a prescindere dai diritti che chiunque altro abbia su di essa, per cui, anche se nel concreto momento storico in cui si realizza procura l'estinzione del diritto di una persona determinata, non può mai dirsi che tale acquisto si fondi sull'esistenza di quel diritto, né può dirsi che chi acquista, acquisti da quella persona e possa perciò trovarsi in conflitto con i suoi aventi causa.
L'art. 2651 c.c., tuttavia, prevede la trascrizione delle sentenze da cui risulta estinto per prescrizione ovvero acquistato per usucapione o in altro modo non soggetto a trascrizione uno dei diritti indicati dall'art. 2643.
Mancando qualsiasi rinvio all'art. 2650 c.c., la trascrizione in questione non ha neppure la limitata rilevanza sostanziale che si esprime nel principio della continuità delle trascrizioni: essa rientra fra le ipotesi in cui la legge mira semplicemente ad assicurare la completezza delle risultanze dei registri immobiliari, per consentire la conoscibilità da parte dei terzi di ogni vicenda alla quale siano comunque interessati, cioè al fine di semplice pubblicità notizia. Tale pubblicità, peraltro, ha una rilevanza pratica indiretta, al fine di valutare in concreto la buona fede del terzo in tutti i casi in cui la stessa sia rilevante. Così, ad es., se un terzo acquista a non domino un immobile di cui altri ha acquistato, per effetto di usucapione, la proprietà, avrebbe, in astratto, la possibilità di giovarsi della usucapione abbreviata, se ignora l'alienità della cosa, ai sensi dell'art. 1159 c.c., ma se colui che ha usucapito ha trascritto la sentenza che accerta il suo acquisto contro il dante causa del terzo, l'esistenza della trascrizione esclude che il terzo sia di buona fede al momento dell'acquisto e perciò che egli abbia la possibilità di usucapire in dieci anni.
L'obbligo di trascrizione riguarda sia le sentenze che accertano l'usucapione ventennale, sia quelle che accertano l'usucapione decennale. In quest'ultima ipotesi, mediante la trascrizione "contro" l'originario proprietario ai cui danni si è compiuta l'usucapione ed "a favore" dell'acquirente a non domino, si realizza la continuità delle trascrizioni.
Per quanto riguarda gli acquisti a titolo originario diversi dall'usucapione, rientrano nella previsione dell'art. 2651 c.c. le sentenze che accertano l'accessione da immobile ad immobile. È da escludere, però, che vada trascritta ai sensi dell'art. 2651 c.c. la sentenza emessa in tema di c.d. accessione invertita di cui all'art. 938 c.c., dal momento che la stessa non accerta l'acquisto per accessione, ma opera il trasferimento, per cui la trascrizione deve avvenire ai sensi dell'art. 2643, n. 14, c.c. Rientra nel campo di applicazione dell'art. 2651 c.c. la sentenza che accerta l'acquisto di una servitù per destinazione del padre di famiglia.
Secondo una opinione andrebbe, inoltre, trascritta la sentenza dalla quale dovesse risultare l'acquisto in favore del proprietario del fondo dominante nel caso di abbandono liberatorio da parte del proprietario del fondo servente ai sensi dell'art. 1070 c.c. e la sentenza dalla quale dovesse risultare l'acquisto da parte dello Stato dei beni immobili vacanti ai sensi dell'art. 827 c.c. I diritti reali ai quali può riferirsi l'accertamento della estinzione per prescrizione sono il diritto di superficie (come concessione ad aedificandum e non come proprietà superficiaria), l'enfiteusi, l'usufrutto, l'uso e l'abitazione, le servitù. Restano escluse dalla previsione dell'art. 2651 c.c. le sentenze che dichiarano l'estinzione di un diritto reale su cosa altrui in conseguenza di fatti diversi dalla prescrizione, trattandosi di fatti intrinseci alla natura ed al contenuto del diritto, come le sentenze che accertano l'estinzione dell'usufrutto per il perimento della cosa, per la morte dell'usufruttuario, per la scadenza del termine (art. 1014 c.c.), l'estinzione del diritto di servitù per estinzione del diritto dell'enfiteuta o dell'usufruttuario che ha costituito la servitù (artt. 1077 e 1078 c.c.), l'estinzione della superficie o dell'enfiteusi per scadenza del termine (artt. 954 e 958 c.c.), ecc.
La sentenza che accerta l'estinzione va trascritta "contro" colui che perde il diritto su cosa altrui, mentre si discute se debba essere trascritta "a favore" del proprietario. L'opinione negativa su basa su fatto che, a seguito dell'estinzione, vi è consolidazione della proprietà, la quale opera automaticamente, per cui tale effetto, anche se risultante dalla sentenza che ne accerta l'estinzione, non ha bisogno di alcuna pubblicità per essere portato a conoscenza dei terzi.
Si è replicato che senza dubbio la trascrizione della sentenza non è necessaria, dal momento che, a seguito della estinzione del diritto su cosa altrui, non si determina un acquisto del diritto in capo al proprietario, ma non può dimenticarsi che contro il proprietario figura trascritta la costituzione del diritto stesso, per cui sul piano della pubblicità dovrebbe procedersi ad annotazione, al fine di porre nel nulla la rilevanza della trascrizione. In caso contrario i terzi, consultando i registri immobiliari, lungi dall'avere una immediata rappresentazione della realtà giuridica relativa al bene, dovrebbero spostare l'attenzione sulle trascrizioni curate nei confronti del (già) titolare del diritto su cosa altrui.
L'inconveniente in questione, peraltro, non giustifica una applicazione analogica delle norme in tema di annotazione.

Dott. Roberto Triola
Quanto sopra è parte di capitolo di una monografia (R. Triola, La trascrizione, Torino, 2002) destinata al Trattato di diritto privato dell'editore Giappichelli.