Tribunale di Mantova n. 614 del 18-03-2004

 
   

MASSIMA:

 
Deve invece ritenersi che la banca non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.
 
In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall'indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino acquistati il 5-9-2001, nel mese di luglio 2001 l'agenzia Moody's aveva attribuito come rating la valutazione Caa1 (indicante un titolo ad alto rischio di insolvenza) e che, nell'anno precedente, tali obbligazioni erano state classificate rispettivamente, B1 (20-8-2000), B2 (20-3-2001 e 4-6-2001), B3 (13-7-2001), laddove tali indicatori designano titoli molto speculativi che offrono scarsa sicurezza di puntualità del pagamento nel lungo termine, con una valutazione progressivamente negativa da B1 a B3.
 
Nella valutazione di Standard & Poor's invece al titolo in questione era stato attribuito il seguente rating con andamento parimenti sempre più negativo: BB (15-9-2000), B (8-5-2001), B (6-6-2001), B- (12-7-2001), CCC+ (9-10-2001), laddove le prime classificazioni indicano titoli speculativi in cui il debitore mantiene al momento la capacità di onorare i propri impegni ma condizioni avverse di mercato potrebbero incidere negativamente sulla stessa, mentre l'ultima designa un debitore ad alto rischio di insolvenza nel senso che, ove le condizioni di mercato divengano sfavorevoli, molto probabilmente il debitore non sarà in grado di onorare i propri impegni.
 
In proposito va detto che i titoli obbligazionari argentini al momento dell'acquisto da parte degli istanti erano considerati ad alto rischio di insolvenza dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, entrambe le agenzie avevano ripetutamente rivisto in senso negativo il loro giudizio sull'affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino (c.d. down-grading): per quanto riguarda il rating leggermente più favorevole indicato da Standard & Poor's nel periodo antecedente l'acquisto, va osservato che, poiché rientra nelle massime di comune esperienza il dato secondo cui, di fronte a valutazioni divergenti (peraltro modeste nel caso di specie), gli investitori prendono in considerazione quella più negativa (peraltro già nell'ottobre del 2001 il rating attribuito da tale agenzia si era allineato a quello espresso da Moody's), deve ritenersi che costituisse dato acquisito per il mercato quello secondo cui i titoli del debito pubblico argentino erano considerati di problematico rimborso.
 

MOTIVAZIONE:

La domanda è parzialmente fondata e merita accoglimento nei limiti che seguono.
 
Preliminarmente va respinta l'eccezione di incapacità del teste ..., dipendente della banca, tempestivamente eccepita ex art. 246 c.p.c. dalla difesa degli attori.
 
Invero secondo la giurisprudenza di legittimità non comporta incapacità a testimoniare per i dipendenti di una banca la circostanza che questa, evocata in giudizio da un cliente, potrebbe convenirli in garanzia nello stesso giudizio per essere responsabili dell'operazione che ha dato origine alla controversia poiché le due cause si fondono su rapporti diversi e i dipendenti hanno un interesse solo riflesso a una determinata soluzione della causa principale che non li legittima a partecipare al giudizio promosso dal cliente, in quanto l'esito di questo, di per sé, non è idoneo ad arrecare ad essi alcun pregiudizio (in tali termini vedasi Cass. 4-3-1993 n. 2641; Cass. 28-1-1983 n. 771; Cass. 27-1-1979 n. 623): la sua dichiarazione è quindi pienamente utilizzabile salva un'attenta valutazione sotto il profilo dell'attendibilità. Né ha fondamento la deduzione secondo cui l'incapacità deriverebbe dal fatto che, nei confronti del funzionario, sarebbe ipotizzabile un concorso in truffa contrattuale atteso che l'incapacità prevista dall'art. 246 c.p.c. ricorre solo quando la persona chiamata a deporre abbia nella causa un interesse concreto ed attuale che sia tale da coinvolgerla nel rapporto controverso e da legittimare una sua assunzione della qualità di parte nel giudizio e non è pertanto ravvisabile quando tale persona sia portatrice di un interesse di mero fatto ad un determinato esito del giudizio stesso: ne consegue che la dedotta incapacità non sussiste (peraltro non risulta nemmeno che il teste sia stato sottoposto a procedimento penale), atteso che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 85 del 1983, ha ritenuto infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 246 c.p.c nella parte in cui non prevede l'incapacità a deporre nel giudizio civile di chi è imputato di un fatto-reato su circostanze relative o connesse al fatto medesimo (in tal senso vedasi Cass. 3-2-1993 n. 1341).
 
Ciò premesso va osservato che dalla documentazione dimessa e dagli accertamenti svolti dal consulente è emerso come la Banca non avesse i titoli argentini nel proprio portafoglio ma li abbia acquistati sul mercato contestualmente al ricevimento dell'ordine da parte del cliente.
 
Va poi aggiunto che non è stato in alcun modo provato che fosse stato il funzionario a consigliare agli istanti l'acquisto dei titoli: la circostanza che i risparmiatori fossero stati invitati a recarsi in banca per valutare le possibilità di investimento non appare di per sé significativa tenuto conto della assai scarsa remunerazione riconosciuta ai fondi lasciati sul conto corrente sicché deve ritenersi che l'invito in questione sia stato rivolto unicamente al fine di rappresentare ai clienti l'opportunità di investire il denaro in impieghi più vantaggiosi.
 
Da tutto ciò deriva che è infondata la domanda attorea diretta a sostenere l'invalidità degli ordini d'acquisto ex artt. 1418 e 1439 c.c. non essendovi alcuna prova che l'istituto, nel caso di specie, avesse artificiosamente indotto i clienti ad acquistare i titoli obbligazionari in questione con il fine di recare ad essi danno, dovendosi altresì osservare, con riguardo alla prima delle prospettazioni che, per aversi contrarietà a norme imperative ai sensi dell'art. 1418 c.c., occorre che il contratto sia vietato direttamente dalla norma penale, nel senso che la sua stipulazione integri reato, mentre non rileva il divieto che colpisca soltanto il comportamento materiale delle parti (in tal senso vedasi Cass. 25-9-2003 n. 14234).
 
Per quanto attiene invece alle altre censure sollevate occorre valutare separatamente i singoli atti di acquisto dei titoli.
 
Con riguardo all'ordine impartito il giorno 5-9-1999 va in primo luogo escluso che la Banca abbia violato il disposto di cui agli artt. 21 I co. lett. c) d. lgs. 58/98 e 27 reg. Consob per non avere segnalato di avere un interesse in conflitto con quello del cliente. Premesso che la convenuta non aveva tali titoli nel proprio portafoglio e pur avendoli essa acquistati, tramite il circuito telematico Bloomberg, dalla MPS Finance Banca Mobiliare s.p.a. (facente parte, come la Banca, del gruppo bancario Monte dei Paschi di Siena atteso che la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. controllava il 100% del pacchetto azionario della MPS Finance), dalla consulenza emerge nondimeno che il prezzo in concreto applicato era il migliore rispetto a quello praticato dagli altri c.d. "contributori" agenti sul mercato sicché nessun danno è derivato agli attori: l'art. 27 reg. Consob deve infatti interpretarsi alla stregua del principio giurisprudenziale affermatosi in sede di applicazione dell'art. 1394 c.c. secondo cui la responsabilità del rappresentante che persegua interessi propri o di terzi incompatibili con quelli del rappresentato sussiste solo ove alla utilità conseguita o conseguibile dal rappresentante per sé o per il terzo, segua o possa seguire un danno per il rappresentato (cfr. Cass. 17-4-1996 n. 3630; Cass. 16-2-1994 n. 1498; Cass. 19-9-1992 n. 10749; Cass. 25-1-1992 n. 813).
 
Deve invece ritenersi che la banca non si sia comportata in conformità di quanto prescritto dal combinato disposto di cui agli artt. 21 lett. a) e b) del d. lgs. 24-2-1998 n. 58 e 28 del regolamento Consob 1-7-1998 n. 11522 che impongono all'istituto di credito di prestare i servizi di investimento con diligenza e di operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati.
 
In proposito occorre osservare che, secondo quanto risulta dall'indagine svolta dal c.t.u., ai titoli del debito argentino acquistati il 5-9-2001, nel mese di luglio 2001 l'agenzia Moody's aveva attribuito come rating la valutazione Caa1 (indicante un titolo ad alto rischio di insolvenza) e che, nell'anno precedente, tali obbligazioni erano state classificate rispettivamente, B1 (20-8-2000), B2 (20-3-2001 e 4-6-2001), B3 (13-7-2001), laddove tali indicatori designano titoli molto speculativi che offrono scarsa sicurezza di puntualità del pagamento nel lungo termine, con una valutazione progressivamente negativa da B1 a B3.
 
Nella valutazione di Standard & Poor's invece al titolo in questione era stato attribuito il seguente rating con andamento parimenti sempre più negativo: BB (15-9-2000), B (8-5-2001), B (6-6-2001), B- (12-7-2001), CCC+ (9-10-2001), laddove le prime classificazioni indicano titoli speculativi in cui il debitore mantiene al momento la capacità di onorare i propri impegni ma condizioni avverse di mercato potrebbero incidere negativamente sulla stessa, mentre l'ultima designa un debitore ad alto rischio di insolvenza nel senso che, ove le condizioni di mercato divengano sfavorevoli, molto probabilmente il debitore non sarà in grado di onorare i propri impegni.
 
In proposito va detto che i titoli obbligazionari argentini al momento dell'acquisto da parte degli istanti erano considerati ad alto rischio di insolvenza dovendosi evidenziare inoltre che, nel corso del 2001, entrambe le agenzie avevano ripetutamente rivisto in senso negativo il loro giudizio sull'affidabilità ad onorare gli impegni da parte dello stato argentino (c.d. down-grading): per quanto riguarda il rating leggermente più favorevole indicato da Standard & Poor's nel periodo antecedente l'acquisto, va osservato che, poiché rientra nelle massime di comune esperienza il dato secondo cui, di fronte a valutazioni divergenti (peraltro modeste nel caso di specie), gli investitori prendono in considerazione quella più negativa (peraltro già nell'ottobre del 2001 il rating attribuito da tale agenzia si era allineato a quello espresso da Moody's), deve ritenersi che costituisse dato acquisito per il mercato quello secondo cui i titoli del debito pubblico argentino erano considerati di problematico rimborso.
 
Al riguardo va osservato che la banca doveva fornire una completa informazione circa i rischi connessi a quella specifica operazione che il cliente intendeva porre in essere (obbligo imposto dall'art. 28 co. II del regolamento Consob n. 11522), informazione che, trattandosi di soggetto tenuto ad agire con la diligenza dell'operatore particolarmente qualificato (cfr. artt. 21 lett. a) d. lgs. 58/98, 26 lett. e) reg. Consob cit. e 1176 II co. c.c.) nell'ambito di un rapporto in cui gli è imposto di tutelare l'interesse dei clienti (v. artt. 5 e 21 lett. a) del d. lgs. 58/98, non senza dimenticare che la tutela del risparmio è addirittura imposta dall'art. 47 della Costituzione), necessariamente comprendeva l'indicazione, non generica, della natura altamente rischiosa dell'investimento operata dalle maggiori agenzie specializzate in materia, dovendosi ritenere, sotto tale profilo, che la banca sia obbligata a conoscere tali dati e, conseguentemente, a riferirli al cliente.
 
Non vale poi a far ritenere immune da censure il comportamento da parte della Banca, la circostanza che il funzionario escusso abbia riferito di avere evidenziato la rischiosità dell'investimento anche in relazione al paese emittente e di avere parlato di rating con il cliente: pur prescindendo da ogni considerazione circa l'attendibilità del teste, va detto che tali avvertenze avevano carattere del tutto generico laddove la banca avrebbe dovuto espressamente informare il cliente del fatto che gli analisti del mercato consideravano a rischio il rimborso stesso del capitale.
 
Né merita adesione la deduzione difensiva dell'istituto secondo cui il risparmiatore sarebbe comunque stato in grado di valutare la pericolosità dell'operazione alla luce delle indicazioni contenute, in particolare, nell'art. 1.3 del documento previsto dall'art. 28 lett. b) del regolamento Consob n. 11522/98, atteso che tali indicazioni hanno carattere generale laddove, si ribadisce, la banca doveva fornire precise indicazioni circa la pericolosità di quell'investimento.
 
Va poi aggiunto che l'art. 23 u.c. del d. lgs. 58/98 pone a carico dei soggetti abilitati all'esercizio dei servizi di investimento l'onere di provare di avere agito con la specifica diligenza richiesta e tale onere probatorio, per quanto sopra osservato, non è stato assolto dalla banca.
Appare inoltre fondato il rilievo secondo cui l'istituto avrebbe comunque dovuto segnalare l'inadeguatezza dell'operazione ai sensi dell'art. 29 del regolamento sopra menzionato (c.d. suitability rule) in considerazione della sua dimensione (sia in termini assoluti sia perché si trattava della metà del patrimonio mobiliare dei clienti), della natura altamente rischiosa dei titoli prescelti e della circostanza che i clienti fossero investitori non professionali (funzionario di amministrazione statale il G.  e casalinga la moglie).

A tale riguardo va rilevato che la banca ha sostenuto di non aver violato la c.d. suitability rule in considerazione della propensione al rischio manifestata dai clienti anche in relazione alla pregressa operatività posto che in precedenza il G. aveva investito i propri risparmi in una gestione patrimoniale del tipo C3 (ossia la più rischiosa dopo quella puramente azionaria secondo la classificazione interna dell'istituto) e che al funzionario l'attore avrebbe riferito di avere investito i propri risparmi in una Sicav ed in una polizza Index tramite la Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (circostanza questa non negata dal G.  e riferita sin dall'atto introduttivo dalla difesa della Banca che pertanto, ex art. 118 c.p.c., può ritenersi provata).
Dal documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari risulta che i clienti avevano indicato quale proprio obiettivo di investimento (in una graduatoria da uno a cinque in cui al numero più basso corrisponde il rischio minimo) il punto 4 (prevalenza della rivalutabilità rapportata al rischio di oscillazione dei corsi) mentre, in ordine alla propensione al rischio, nell'ambito delle opzioni alta, media e bassa, essi avevano indicato quella media.
 
Orbene alla stregua di siffatte evidenze deve ritenersi non provato che il profilo di rischio dei clienti potesse individuarsi in quello puramente speculativo posto che la gestione patrimoniale in precedenza accesa presso la Banca riguardava comunque una gestione (sia pure la più aggressiva) di tipo bilanciato (caratterizzata quindi anche dalla presenza di titoli obbligazionari emessi dallo stato) e che si trattava comunque di uno strumento finanziario affidato alla gestione di un operatore professionale (analoghe considerazioni valgono anche per quanto concerne l'investimento in una Sicav e nella polizza Index).
 
Per la prima operazione di acquisto la domanda attorea risulta quindi fondata essendo stati dimostrati la violazione, da parte della banca, delle prescrizioni contenute negli artt. 21 t.u.l.f., 28 e 29 reg. Consob da considerarsi come norme imperative ex art. 1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati (diligenza degli intermediari nonché tutela del risparmio) e della natura generale di siffatti interessi (per l'affermazione di tale principio in termini generali vedasi Cass. 7-3-2001 n. 3272) nonché il danno subito dai clienti concretatosi nella perdita dell'intero investimento posto che, nel dicembre del 2001, è stato sospeso il rimborso delle obbligazioni (c.d. default) e che, ad oltre due anni di distanza da tale fatto, nessuna concreta assicurazione è stata fornita circa un rimborso anche solo parziale dell'investimento.
 
A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riguardo alla seconda delle operazioni di acquisto dei c.d. tango bonds atteso che, in tal caso, la banca aveva segnalato l'inadeguatezza dell'operazione e che, nonostante ciò, il G. aveva confermato per iscritto l'ordine di acquisto.
 
Al riguardo va osservato che, a fronte della segnalazione dell'inadeguatezza dell'operazione, la normativa non prevede un divieto di dare esecuzione all'operazione ma si limita ad imporre una più rigorosa formalità e cioè la conferma scritta dell'ordine che, nel caso di specie, è stata data. Il funzionario di banca ha chiarito, nel corso dell'escussione, che l'inadeguatezza era stata segnalata all'investitore in relazione al fatto che, con tale seconda operazione, costui avrebbe investito l'intero patrimonio (secondo quanto era a conoscenza della banca alla stregua delle dichiarazioni rese dal G. in occasione dei vari incontri, atteso che lo stesso aveva rifiutato di dare informazioni sulla propria situazione finanziaria ex art. 28 reg. Consob) e che il titolo, già rischioso ed in forte perdita anche in considerazione degli eventi del 11-9-2001, era inoltre denominato in dollari e quindi in valuta suscettibile di oscillazioni.
 
In proposito va osservato che siffatte dichiarazioni appaiono pienamente attendibili trovando riscontro nella documentazione in atti mentre non può accedersi alla tesi difensiva secondo la quale la norma di cui all'art. 29 reg. Consob sarebbe comunque stata violata non avendo la banca predisposto documentazione scritta delle avvertenze date e figurando sulla conferma d'ordine unicamente la dicitura "operazione non adeguata? atteso che l'art. 29 co. III reg. Consob prescrive agli intermediari l'obbligo di informare l'investitore dell'inadeguatezza dell'operazione e delle ragioni per cui non è opportuno procedere alla sua esecuzione, senza peraltro imporre una specifica forma dovendosi notare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dall'art. 1350 c.c. si desume sussistere il principio generale della libertà delle forme di manifestazione della volontà negoziale in mancanza di fonti legali o contrattuali che prevedano la forma scritta (cfr. Cass. 17-1-2001 n. 577; Cass. 3-3-1994 n. 2088).
 
Pur apparendo assorbenti le considerazioni sopra formulate va aggiunto che deve escludersi che tale secondo acquisto sia stato effettuato in violazione del disposto di cui all'art. 27 reg. Consob atteso che la Banca aveva comperato i titoli dalla società (di diritto svizzero) Arcadia Securities in relazione alla quale non è emersa l'esistenza di rapporti rilevanti ai fini dell'applicazione della norma sopra richiamata.

Parimenti infondata risulta la deduzione difensiva attorea (peraltro svolta solamente in comparsa conclusionale) circa la pretesa nullità dell'acquisto in relazione al disposto di cui all'art. 30 del regolamento Consob atteso che il documento contrattuale contiene tutti gli elementi essenziali per lo svolgimento dell'attività di raccolta ordini e negoziazione (durata, modifiche del contratto, modalità di conferimento degli ordini, misura di commissioni e spese sia pure indicata con rinvio ai fogli informativi analitici).
Né, con riguardo all'acquisto dei titoli effettuato il 19-9-2001, può trovare accoglimento la domanda, proposta in via subordinata, diretta ad ottenere la restituzione della metà del capitale investito sul presupposto che la sottoscrizione di M.L. sui vari documenti contrattuali sarebbe stata apposta dal marito: premesso che la banca si è limitata a prendere atto delle affermazioni di controparte senza riconoscere alcunché, occorre infatti rilevare che incombeva sugli attori ex art. 2697 c.c. l'onere, dai medesimi non assolto, di provare il proprio assunto laddove l'acquisto deve ritenersi formalmente regolare posto che il contratto prevedeva un'operatività con firma disgiunta e che l'ordine è stato impartito dal G.
 
In ordine alla quantificazione del danno va rilevato che, in difetto di puntuali indicazioni da parte degli attori, della nota volatilità dei mercati e del fatto che risulta provato come essi prediligessero scelte di investimento non limitate alla mera redditività, manca del tutto la prova che gli stessi, impiegando il capitale in titoli comunque diversi da quelli a più basso rischio, avrebbero senz'altro ottenuto un guadagno.
Poiché l'obbligazione di restituzione dell'importo versato in conseguenza della dichiarazione di nullità dell'ordine di acquisto costituisce debito di valuta, avendo ad oggetto, sin dal suo sorgere, il pagamento di una somma di denaro e non essendo stato provato che gli attori abbiano subito un danno ex art. 1224 II co. c.c., ad essi va restituito l'importo di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi, ex art. 2033 c.c., gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo non potendosi ritenere che la Banca, in relazione ai comportamenti sopra censurati, fosse in buona fede.

La parziale reciproca soccombenza giustifica la compensazione, nella misura della metà, delle spese di lite liquidate come da dispositivo, riducendosi ad euro 750,00 quelle di c.t.p.

P.Q.M.

il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:
dichiara la nullità dell'ordine d'acquisto di 315.000 obbligazioni Argentina 00/07 10% identificate dal codice ... impartito il 5-9-2001;
condanna la Banca a corrispondere agli attori la somma di euro 258.729,90 cui debbono aggiungersi gli interessi al tasso legale dal 5-9-2001 sino al saldo definitivo;
condanna la convenuta a rifondere agli attori le spese di lite compensandole nella misura della metà e, per l'effetto, liquidandole in complessivi euro 11.363,35 di cui euro 1.809,00 per spese (comprese quelle di c.t.u.), euro 2.054,35 per diritti ed euro 7.500,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 15 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Mantova, lì 18-3-2004.