Effetti del licenziamento invalido:

risarcimento di danno, reintegra ed
opzione per l'alternativa economica

 

Sommario

 

1. Autonomia tra tutela risarcitoria per licenziamento invalido e tutela reale (o reintegratoria) nell'art. 18 S.d.l.

 

 

2. Natura del rapporto giuridico costituito dall'obbligo di reintegra accompagnato dall'alternativa economica, nell'opinione della Corte costituzionale e della Cassazione

 

 

2a) Equiparazione giudiziale per i rapporti in regime di tutela obbligatoria ex art. 8 L. 604/1966 (nella modifica ex art. 2 l. n. 108/1990)

 

 

3. Conseguenze dell'inattualita dell'ordine di reintegra sull'opzione economica

 

 

3a) Se le presunte cause di inattualita della reintegra possano precludere l'emissione dell'ordine di ripristino del rapporto ovvero se non siano altro che nuove causali per un successivo licenziamento valido, non preclusivo dell'opzione economica (ma solo limitativo della misura del risarcimento di danno ex art. 18, 4?co., S.d.l.)

 

 

3b) L'impossibilita sopravvenuta di emissione (o eseguibilita) dell'ordine di reintegra per fatto imputabile al datore di lavoro non preclude comunque il diritto all'opzione per l'alternativa economica.
 
 
 
1. Autonomia tra tutela risarcitoria per licenziamento invalido e tutela reale (o reintegratoria)

 L'art. 18 dello Statuto dei lavoratori - con le modifiche apportategli dall'art. 1, punto 1, della L. n. 108/1990 (che ha sostituito gli originari primi due commi del 1970 con gli attuali cinque) - ha travagliato non poco dottrina e giurisprudenza e non si puo ancora dire che si sia giunti a soluzioni definitive ed univoche, anche se si e consolidato - sulle principali questioni controverse - un orientamento prevalente che, in queste note, passeremo in esame.

La prima questione che si e posta e stata quella della subordinazione o connessione (ovvero, all'opposto dell'autonomia) della tutela risarcitoria (conseguente al licenziamento invalido o illegittimo che dir si voglia) dalla sussistenza e persistenza della tutela reintegratoria. Si sosteneva (eminentemente da parte conservatrice) che - qualora non fosse piu attuale la tutela reintegratoria (ad. es. perche l'azienda, nelle more del giudizio, aveva riammesso il lavoratore in azienda, revocando concludentemente il precedente licenziamento, ovvero perche il lavoratore aveva, sempre nelle more del giudizio, reperito un'altra occupazione, ovvero perche il lavoratore versava in stato di sopravvenuta inabilita psico-fisica alla riammissione al lavoro, ovvero perche deceduto nel frattempo, o perche l'azienda aveva nel frattempo cessato l'attivita, ecc.) - al lavoratore non spettava il risarcimento del danno di cui al 4° co. dell'art. 18 S.d.l. (fissato nella misura minima di 5 mensilita della retribuzione globale di fatto, con connesso versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali), parametrato al periodo ( necessariamente non retribuito) decorrente dalla data del licenziamento di cui era stata accertata giudizialmente l'invalidita e fino a "quello dell'effettiva reintegrazione". Questa tesi faceva leva, in particolare, sulla carenza o impossibilita del verificarsi della condizione della "effettiva reintegrazione".

A togliere qualsiasi dubbio sull'inconsistenza della tesi sopra riferita intervenne -dopo oscillante giurisprudenza- la Cassazione a sezioni unite n. 3957 del 23 aprile 1987 (1) la quale stabilì a chiare note che: "La tutela cosiddetta risarcitoria, accordata dall'art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300 in favore del lavoratore, il cui licenziamento risulti invalido od inefficace (nella misura non inferiore a 5 mensilita della retribuzione), ha carattere autonomo rispetto alla tutela cosiddetta ripristinatoria contemplata dal primo comma della medesima norma, in quanto configura sanzione a carico del datore di lavoro non derivante dall'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, bensi direttamente discendente da detta invalidita od inefficacia del licenziamento. L'indicato risarcimento, pertanto, deve essere riconosciuto anche al dipendente illegittimamente licenziato che non voglia o non possa chiedere la suddetta reintegrazione (ivi inclusa l'ipotesi in cui sia sopravvenuta revoca del licenziamento e riammissione al lavoro )." Ed in motivazione le stesse S.U. chiarirono -a scanso di equivoci- che la collocazione dell'ordine di reintegrazione al 1° comma dell'art. 18 S.d.l. non significava affatto che tutta la normativa fosse "preordinata allo specifico scopo primario della reintegrazione nel posto di lavoro e che, pertanto, il lavoratore possa avvalersi della normativa stessa, in punto di risarcimento, solo nel caso in cui debba (o possa) domandare la reintegrazione. Tale conclusione e testualmente smentita dalla prima parte del secondo comma (nel vecchio testo ed ora 4° comma) della disposizione, che espressamente ricollega il diritto al risarcimento del danno all'inefficacia o alla invalidita del licenziamento, non gia all'ordine di reintegrazione, con cio attribuendo piena autonomia alla tutela risarcitoria".

Ne consegue (come e stato confermato da successiva giurisprudenza della S.C., conformatasi all'orientamento soprariferito delle Sezioni unite) che sussiste "interesse ad agire" ex art. 100 c.p.c da parte del lavoratore -impossibilitato o non interessato ad essere riammesso in servizio nell'azienda che gli ha comminato il licenziamento, rivelatosi poi invalido- per la rivendicazione del solo risarcimento di danno (nella misura ex art. 18 co. 4°, S.d.l.) in quanto l'indennizzo (invero a carattere retributivo a tutti gli effetti) costituisce una forma di riparazione (e nello stesso tempo "sanzione" o "penale", a carico dell'azienda) per un atto offensivo della dignita del lavoratore medesimo. Indennizzo che colma il vuoto delle retribuzioni perdute e che trova la sua radice in un atto sostanzialmente ingiurioso che avendo fatto venir meno nel lavoratore l'interesse alla reintegrazione - per perdita della reciproca fiducia fra le parti, per l'ipotetica ostilita ambientale che una riammissione comporterebbe, per l'avvertita difficolta di reinserimento in un'organizzazione del lavoro immutata, ecc. - puo indurre, quand'anche emesso l'ordine di reintegrazione, successivamente il lavoratore a preferire l'alternativa economica forfettaria delle 15 mensilità (di cui parleremo infra).

Il principio di diritto in ordine alla "autonomia" fra tutela risarcitoria ex art. 18 co. 4°, S.d.l. e tutela reintegratoria, e stato poi ripreso da tutta la giurisprudenza successiva della Suprema corte (2), - la piu recente delle quali, costituita da Cass. n. 9464/1998, ha definito la misura indennitaria ex art. 18 co. 4° S.d.l. come "assimilabile ad una sorta di penale avente la sua radice nel rischio d'impresa e puo assumere la funzione di assegno di tipo, in senso lato, assistenziale in caso di assenza di una responsabilita di tipo soggettivo in capo al datore di lavoro " (in fattispecie indotto al licenziamento da certificazioni delle strutture sanitarie pubbliche attestanti l'inidoneita fisica al lavoro del prestatore). Tale principio e stato altresì riconfermato dalla stessa Corte costituzionale nella recente decisione n. 420 del 23 dicembre 1998 (3), che ha dichiarato che il risarcimento nella misura minima di 5 mensilita (incrementabile in relazione alle maggiori mensilità di retribuzione perduta) spetta anche nel caso di licenziamento invalido per assenza di colpa del datore di lavoro (anche in questa fattispecie indotto dalla certificazione, ex art. 5 stat. lav., di inidoneita del lavoratore, rivelatasi poi insussistente a seguito di C.t.u. sanitaria), trovando la sua radice nel "rischio d'impresa" ovverosia nel rischio cui va incontro l'imprenditore che adotta un provvedimento espulsivo rivelatosi poi invalido (aderendo, in sostanza, alla stessa impostazione di Cass. n. 9464/1998, cit.). L'obbligo di corrispondere la retribuzione -in forma indennitaria, nel caso- non potrebbe venire meno in ragione dell'intervenuta interruzione della prestazione del lavoratore indotta dal provvedimento di licenziamento (invalido), poiche, in tal caso di licenziamento illegittimo, l'inadempimento del dipendente trova la sua causa nel rifiuto di ricevere la prestazione da parte del datore di lavoro (che lo ha estromesso dall'azienda), il quale resterà obbligato, ex art. 1206 e 1207 c.c., ad eseguire la prestazione corrispettiva, ovverossia quella retributiva.

 

2. Natura del rapporto giuridico costituito dall'obbligo di reintegra accompagnato dall'alternativa economica, nell'opinione della Corte costituzionale e della Cassazione

Altra problematica, dibattuta e finalmente risolta, e stata quella afferente alla natura dell'ordine di reintegra, in dipendenza ed in correlazione alla previsione -di cui al 5° co. dell'art. 18 S.d.l.- del poter essere la ripresa del servizio sostituita, su opzione del lavoratore, dalla percezione dell'indennità economica forfetariamente prevista in 15 mensilità della retribuzione globale di fatto.

Stabilisce il 5° comma dell'art. 18 S.d.l. (introdotto dall'art.1 co. 5°, L. n. 108/1990) che: "Fermo restando il diritto al risarcimento del danno cosi come previsto al 4° comma, al prestatore di lavoro e data facoltà di chiedere al datore di lavoro in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennita pari a 15 mensilita della retribuzione globale di fatto."

L'indennità in parola tramite la quale il legislatore - consapevole della non coercibilita dell'obbligo di reintegra, quale obbligazione di fare, e della discussa applicabilita all'inottemperanza datoriale della tutela penale ex art. 388 co. 2°, cod. pen. (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento cautelare del giudice) e 650 c.p. (inosservanza dei provvedimenti dell'autorita) nonché dei tentativi elusivi ed ostruzionistici datorialmente posti in essere nei fatti a fronte della pronunzia giudiziale - ha reso "pesante" e "gravosa" per l'imprenditore la scelta spesso obbligata del lavoratore di non aderire all'invito alla ripresa del servizio, rivoltogli dall'azienda a seguito dell'ordine giudiziale di reintegra, ha occasionato numerosi rilievi di costituzionalità, grazie alle cui dichiarazioni di infondatezza da parte della Corte costituzionale (4) è stata chiarita la natura del rapporto giuridico complesso costituito dall'obbligo di reintegra congiunto alla facoltà, da parte lavoratrice, di monetizzazione della rinunzia alla riammissione in servizio.

La Corte costituzionale nella decisione n. 81/1992 (5) - tramite cui sono stati dichiarati infondati gli addebiti rivolti all'art. 18 co. 5° di attribuire al lavoratore un privilegio ingiustificato, consistente nel diritto di dimissioni in tronco, con indennizzo esorbitante rispetto a quello normalmente accordato dall' art. 2119 c.c., fondate su una causa gia rimossa dalla sentenza che, dichiarando l'illegittimita del licenziamento, abbia ordinato la reintegrazione del lavoratore e condannato il datore di lavoro al risarcimento del danno - ha asserito, secondo noi, che non solo "l'alternativa economica" ma più globalmente che "l'ordine di reintegrazione accompagnato dall'alternativa economica" configura "un'obbligazione con facolta alternativa dal lato del creditore". "Anziche la prestazione dovuta in via principale, cioe la reintegrazione nel posto di lavoro, il creditore (lavoratore, n.d.r.) ha facolta di pretendere una prestazione diversa di natura pecuniaria, che e dovuta solo in quanto dichiari di preferirla, e il cui adempimento produce, insieme con l'estinzione dell'obbligazione di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro, la cessazione del rapporto di lavoro per sopravvenuta mancanza di scopo. Il rapporto non cessa per effetto della dichiarazione di scelta del lavoratore, come si dovrebbe pensare se essa avesse la valenza di dichiarazione di recesso, bensi solo al momento del pagamento dell'indennita sostitutiva".

Come è stato chiarito (6) "l'obbligazione con facoltà alternativa, o facoltativa dal lato del creditore, va distinta dall'obbligazione alternativa: nella prima, la prestazione dovuta è una sola, l'obbligazione è cioè semplice: solo su richiesta di una delle parti è prevista una prestazione subordinata diversa da quella principale, con effetti parimenti liberatori (una res in obligatione, duae autem in facultate solutionis); nella seconda (cioe alternativa, n.d.r.) due sono le prestazioni dovute, dedotte in modo disgiunto e paritario, ma il debitore si libera eseguendone una sola (duae res in obligatione, una autem in solutione)".

La reintegrazione -disposta giudizialmente a seguito dell'invalidità del licenziamento- in congiunzione con l'opzione economica da parte del lavoratore, si configura quindi, come una "obbligazione semplice con facolta alternativa" da parte del lavoratore-creditore, che potrà estinguere l'obbligazione principale datoriale (quella della riammissione nel posto di lavoro) con la scelta a favore dell'obbligazione secondaria, subordinata e alternativa costituita dall'indennita economica, risaltante per il prestatore d'opera in forma di un vero e proprio diritto potestativo. Asserisce, in senso confermativo, Corte cost. n. 291/1996 - trattando della natura dell'indennita sostitutiva opzionale delle 15 mensilita - che "secondo la giurisprudenza di questa Corte (n. 81 del 1992, ordinanze nn. 160 del 92 e 77 del 1996) l'indennita di cui si controverte non ha una funzione di risarcimento aggiuntivo a quello previsto dal precedente 4? co., ma, in connessione col diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, si inserisce in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un'obbligazione con facolta alternativa dal lato del creditore, essendo attribuita al prestatore la facolta insindacabile di 'monetizzare' il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a 15 mensilita di retribuzione". Lo stesso concetto e ripreso pedissequamente da Cass. n. 12366 del 5 dicembre 1997 (7) - ed in precedenza da Cass. 21 dicembre 1995, n. 13047 - la piu recente delle quali ha anche asserito che "una volta affermata la piena autonomia tra i regimi sanzionatori previsti dall'art. 18, non vi e ragione di escludere che gia nell'atto introduttivo del giudizio di impugnazione del licenziamento il lavoratore eserciti l'opzione per l'indennita sostitutiva ex art. 18.". A sostegno della tesi argomentando che: "se l'attribuzione di tale prestazione, al pari di quella risarcitoria prevista nei precedenti commi di tale disposizione, e collegata in via esclusiva all'illegittimita del recesso, appare del tutto incongruo, invero, che questi richieda, quale mezzo al fine, la condanna del datore ad una reintegrazione cui egli abbia gia deciso di rinunciare e che entrambe le parti siano tenute, inoltre ad attendere la conclusione dell'iter giudiziario, nonche del successivo 'procedimento' previsto dall'art. 18 (l'invito del datore a riprendere servizio, ecc.). Incongruenza che si coglie con maggiore evidenza ove si tenga presente che sussiste in detta ipotesi la possibilita di delineare ab initio l'effettivo oggetto della controversia, con la conseguente facolta, da parte del datore stesso, di liberarsi da ogni obbligazione a suo carico ove riconosca l'illegittimita del licenziamento da lui intimato".


2a) Equiparazione giudiziale per i rapporti in regime di tutela obbligatoria ex art. 8 L. n. 604/1966 (nella modifica ex art. 2 L. n. 108/1990)

Accertata la sussistenza di un diritto potestativo del lavoratore (in aziende con i limiti dimensionali tali da garantire ai prestatori di lavoro il regime di stabilita reale ex art. 18 S.d.l.), di rinunziare alla ripresa del servizio - motivata di norma dal reperimento di un'altra occupazione o come e stato detto in giurisprudenza (8) dalla crisi causata nel lavoratore dal licenziamento con le connesse conseguenze quali la perdita della reciproca fiducia, l'ostilità ambientale, la difficoltà di inserimento in un'organizzazione del lavoro immutata, etc. - si è posto il problema della incostituzionalità della norma dell'art. 8 della L. n. 604/66 (modificata dall'art. 2 L. n. 108/1990) che tale facoltà alternativa sembrava letteralmente precludere al lavoratore (dipendente dalle imprese dimensionate sotto i 16 dipendenti) configurando la normativa de qua, apparentemente, la fattispecie della "obbligazione alternativa" con facoltà di scelta, dal lato del debitore/datore di lavoro, tra ripristino del rapporto e risarcimento del danno.

Dispone l'art. 8 della legge sopra citata che: "Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro e tenuto a riassumere il prestatore entro il termine di 3 giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versandogli un'indennita di importo compreso fra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilita dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell'impresa, all'anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti".

La Corte costituzionale, investita del problema della disparita di trattamento tra regime ex art. 18 S.d.l. per i dipendenti delle "maggiori" imprese e regime ex art. 8 l. n. 604/66 per i dipendenti delle imprese "minori" - sollevato dal giudice rimettente in quanto "il lavoratore di impresa 'minore' che non si presenti in azienda dopo la scelta del datore di riassumerlo, perderebbe il diritto al risarcimento ex art. 1286, 2 co. del codice civile" (a differenza del lavoratore dipendente da impresa "maggiore" che potrebbe invece rifiutare l'invito datoriale ed optare per l'alternativa economica) e quindi il primo fruirebbe di un "trattamento piu sfavorevole" - la Corte costituzionale -dicevamo- ha, con la sentenza n. 44 del 23 febbraio 1996 (9), disatteso gli addebiti di illegittimità con una interpretazione egualizzatrice delle tutele per entrambe le due tipologie di lavoratori e di normativa (art. 18 S.d.l. e art. 8 l. n. 604/66).

In buona sostanza la Consulta ha detto che la questione del "trattamento piu sfavorevole" per il lavoratore di impresa "minore" in conseguenza dell'art. 8 l. n. 604/1966 non e fondata "dovendosi interpretare la norma impugnata nei sensi che saranno di seguito precisati".

E nella sentenza interpretativa di rigetto, la Corte costituzionale ha sostenuto che non puo asserirsi che "operata la scelta da parte del datore di lavoro fra due prestazioni, cio determina l'irrevocabilità della stessa e il debitore resta liberato dalla seconda prestazione".

"L'interpretazione da cui muove l'ordinanza di rimessione e aderente ad un orientamento della Corte di Cassazione (10) tuttavia contrastato da un maggior numero di pronunce della stessa (11), secondo cui il risarcimento previsto dalla norma impugnata costituisce una delle conseguenze della illegittimita del licenziamento: ed invero, si e affermato che, in mancanza (per qualsiasi motivo) della reintegrazione (tutela reale e primaria), e dovuta la seconda delle tutele, e cioe quella obbligatoria, consistente nella monetizzazione del danno derivante dall'illegittimo licenziamento ogni qual volta non si ripristini il rapporto" (12).

All'indirizzo in questione si e, di recente, conformata la Cassazione nella decisione n. 12442 del 10 dicembre 1998 (13) la quale ha affermato di "prestare adesione all'interpretazione di Corte cost. n. 44/1996 non solo per l'autorevolezza della fonte che l'ha di recente ribadita alla luce dei principi enunciati in materia anche dalla Corte di cassazione, ma anche perche riconoscendo al lavoratore che possa fruire solo della tutela obbligatoria una facolta assimilabile a quella dettata dall'art. 18, comma quinto, l. 20 maggio 1970, n. 300 (nel testo modificato dall'art. 1, l. 11 maggio 1990, n. 108) di 'monetizzare il diritto alla riassunzione' (cosi detta facolta e definita dalla Corte costituzionale, per il regime di tutela reale, nella sentenza 22 luglio 1996, n. 291) si viene ad escludere una ingiustificabile sperequazione a danno del lavoratore che in regime di tutela obbligatoria rinunciasse alla riassunzione, e si attua invece, secondo quanto gia rilevato, 'un coerente ed armonico parallelismo tra tutela reale e tutela obbligatoria in caso di licenziamento illegittimo', potendo il lavoratore, cosi come nella ipotesi di tutela reale, rinunciare alla riassunzione e chiedere il pagamento della indennita risarcitoria prevista dall'art. 8 cit.".

A parte le critiche che sono piovute -eminentemente da fautori di impostazioni formalistiche e da esponenti o fiancheggiatori di organizzazioni di tendenza imprenditoriale- l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale, prima, e rinnovato dalla Cassazione, ora, è largamente condivisibile ed è l'unico ad essere dotato di capacita di sottrazione della norma dell'art. 8 l. n. 604/66 a vizi di incostituzionalita, conferendogli un contenuto di "equità e di giustizia" comparativa con l'omologa disposizione dell'art. 18 S.d.l. Una diversa e formalistica interpretazione dell'obbligazione in forma di "alternativa" datoriale tra ripristino del rapporto e risarcimento di danno, tale da privare il datore di lavoro di qualsiasi conseguenza nel caso in cui il lavoratore non intendesse o non potesse (per reperimento di altro impiego) riprendere servizio, si sarebbe rivelata iniqua attese le sostanziose motivazioni (crisi di fiducia da parte del lavoratore, perdita di stima nel datore di lavoro, reinserimento in ambiente ostile ed in realta lavorativa immutata, ecc., ancor piu enfatiche nella "piccola" impresa) che stanno spesso a fondamento del rifiuto del prestatore di aderire all'invito datoriale di riammissione in servizio. Non si puo infatti negare che non sarebbe stata iniqua l'impunita del datore di lavoro che - fidando giustappunto nell'avvenuto reperimento di altro impiego, anche in considerazione dei tempi lunghi del giudizio - rivolgesse al lavoratore solo "formale invito" alla ripresa del servizio (cioe "facesse solo la mossa") onde andar indenne da conseguenze per l'illegittima estromissione, solo grazie allo scontato (e motivato) rifiuto del prestatore di lavoro.


3. Conseguenze dell'inattualita dell'ordine di reintegra sull'opzione economica

Prendendo spunto da talune corrette affermazioni giurisprudenziali secondo cui la configurazione del rapporto giuridico obbligatorio - nel quale si inserisce la facolta del lavoratore di optare per l'alternativa economica in connessione con il diritto (obbligo datoriale) alla reintegrazione - si caratterizza quale "obbligazione semplice con facolta alternativa dal lato del creditore/lavoratore" ed implica che "il venir meno della prestazione principale (la reintegra) preclude la possibilita di ottenere in luogo della stessa la prestazione sostitutiva (l'indennita economica"(14), in dottrina e stata elaborata la tesi della non spettanza dell'indennita sostitutiva in carenza di "attualita" della reintegra (o dell'ordine di reintegra).

Va subito detto che la prevalenza dei casi decisi in giurisprudenza - implicanti la non "attualita" dell'ordine di reintegra e quindi l'impossibilita da parte del lavoratore di effettuare una rinunzia al bene dell'occupazione con l'opzione per l'alternativa economica - erano costituiti da revoca del licenziamento, nelle more del giudizio di accertamento dell'invalidita del medesimo, e ripresa spontanea del servizio da parte del lavoratore.

Tuttavia non si e mancato in dottrina e talora, isolatamente, anche in giurisprudenza di operare una ricerca sulle presunte causali addizionali all'avvenuta reintegra spontanea, suppostamente confliggenti con la nozione di "attualita" (e quindi preclusive della emissione od operativita dell'ordine giudiziale di reintegra), individuate:a) nella morte del lavoratore, sopravvenuta nelle more del giudizio; b) nella cessazione totale dell'attivita aziendale, sempre avvenuta nelle more del giudizio; c) nell'impossibilita sopravvenuta (nelle more del giudizio) della prestazione lavorativa per inidoneita permanente e totale al lavoro del prestatore, non imputabile al datore di lavoro; d) nel raggiungimento, sempre nelle more del giudizio, dei requisiti di maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia (15).

Prima di entrare nel merito di tali causali - ed il discorso sara lungo - preme dar conto della problematica costituita dalla ripresa del servizio a seguito di provvedimento cautelare del giudice, emesso ex art. 700 c.p.c., da parte di una prima giurisprudenza di Cassazione considerato preclusivo dell'opzione per l'indennita economica (sempre per oramai realizzata inattualita dell'ordine di reintegra), da altra successiva venendo invece la ripresa del servizio considerata non caratterizzata dai requisiti della "spontaneita" e "volontarieta" e quindi inidonea a precludere l'alternativa economica mediante opzione successiva del prestatore di lavoro. La prima impostazione e stata sostenuta, in sede di Cassazione, da Cass. 13 agosto 1997, n. 7581 (16), la quale ha asserito che "il lavoratore, illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato in forza di provvedimento d'urgenza, non ha piu diritto ad esercitare l'opzione per l'indennita sostitutiva della reintegrazione di cui al comma 5? dell'art. 18 Stat. lav., che presuppone necessariamente che il lavoratore versi ancora nella situazione di estromissione dall'azienda, essendo la ripresa dell'attivita lavorativa incompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto, implicita nell'opzione medesima". Ad opposte conclusioni - argomentate e condivisibili - e pervenuta la successiva Cass. 16 giugno 1998, n. 6005 (17) secondo la quale: " La reintegrazione nel posto di lavoro disposta in sede cautelare diverge dal provvedimento, solo apparentemente analogo, rappresentato dall'ordine di reintegrazione impartito con la sentenza che annulla o dichiara inefficace o nullo, ai sensi dell'art. 18 L. n. 300 del 1970, il licenziamento, posto che l'art. 700 c.p.c. non impone al giudice di adottare un provvedimento corrispondente a quello che prevedibilmente sara il contenuto della sentenza, ma solo di emettere i provvedimenti piu idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, provvedimenti la cui adesione non costituisce fatto volontario, espressivo di una scelta ne dal lato del creditore ne dal lato del debitore. Ne consegue che la facolta riconosciuta al lavoratore di optare per l'indennita sostitutiva di cui al 5? co. dell'art. 18 legge cit. non puo ritenersi consumata per effetto della richiesta di provvedimento cautelare di reintegrazione ne per effetto della ripresa del lavoro conseguente al provvedimento stesso ne per il protrarsi delle prestazioni anche dopo l'emanazione della sentenza di reintegrazione e per il periodo previsto dal citato art. 18 ai fini dell'esercizio del diritto di opzione".

Le argomentazioni di quest'ultima decisione meritano condivisione, in quanto la reintegrazione in servizio, avvenuta a seguito di provvedimento cautelare, e operata dal lavoratore nell'ottica di perseguire la finalita primaria di salvaguardare la fonte del proprio e familiare sostentamento nonche il proprio patrimonio professionale nelle more del giudizio di merito, senza peraltro che gli sia consentito di esprimere alcuna volonta vincolante in merito alla costituzione del rapporto a seguito della sentenza di merito. Il provvedimento cautelare di reintegra rappresenta solo una tutela interinale della continuita del reddito e del patrimonio professionale, meramente strumentale rispetto alla tutela definitiva. Inoltre va sottolineato, per evidenziare l'atipicita e la diversita della tutela interinale dall'ordine di reintegra ex art. 18, che, come rileva la Corte, l'art. 18 Stat. lav. richiede il comportamento fattivo del datore di lavoro al fine di consentire la non coercibile ripresa del servizio del lavoratore, mentre il provvedimento cautelare espone il datore di lavoro ad una mera soggezione all'ordine dell'autorita giudiziaria.

Infine non puo essere compromesso da una ripresa del servizio dietro provvedimento cautelare, il diritto del lavoratore di esercitare l'opzione solo a cognizione piena della motivazione della sentenza che lo reintegri nel posto di lavoro, cosa che avverrebbe se fosse considerato equivalente il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. e la sentenza emessa a conclusione del giudizio ordinario di merito.

3a) Se le presunte cause di inattualita della reintegra possano precludere l'emissione dell'ordine di ripristino del rapporto ovvero se non siano altro che nuove causali per un successivo licenziamento valido, non preclusivo dell'opzione economica (ma solo limitativo della misura del risarcimento di danno ex art. 18, 4? co., Sd.l.)

Ritornando all'esame della problematica di cui abbiamo iniziato la trattazione al punto 3), va detto che una soltanto e la causale che "priva di scopo" l'opzione per l'indennita sostitutiva ex art. 18, 5? co., S.d.l e determina la "inattualita" (o non emanabilita o non operativita) della reintegra:

a) l'avvenuta, spontanea, ripresa del servizio da parte del lavoratore, nelle more del giudizio, a seguito di revoca o "ravvedimento operoso" del datore di lavoro che abbia riconosciuto l'illegittimita del proprio comportamento espulsivo, cui si puo aggiungere:

a1) l'ipotesi della morte sopravvenuta, nelle more, del lavoratore che, nel nostro diritto del lavoro privato, costituisce la sola causale di risoluzione automatica ("ipso iure") del rapporto medesimo (18), verificandosi la quale spetteranno agli eredi le mensilita di risarcimento di danno per il licenziamento illegittimo, di cui al 4? co. art. 18, decorrenti dalla data dello stesso fino a quella di morte del lavoratore, pacificamente preclusa restando l'opzione per l'indennita sostitutiva del bene dell'occupazione non piu attuale.

Tutte le altre causali che taluno ha ritenuto di accomunare tra quelle determinanti l'inattualita dell'ordine di reintegra ( sopravvenuta cessazione dell'attivita dell'azienda, inidoneita sopravvenuta, per causa non imputabile al datore di lavoro, di riprendere il servizio; sopravvenuto raggiungimento dei requisiti di eta per la pensione di vecchiaia) non sono affatto idonee a precludere l'emissione dell'ordine di reintegra, necessariamente conseguente al riscontro giudiziale di invalidita del licenziamento.

Tali causali - nel diritto privato del lavoro che non ammette cause di risoluzione automatica del rapporto (salvo quelle clausole contrattuali di risoluzione automatica assicuranti al tempo stesso una stabilita convenzionale fino ad un'eta massima con sottrazione al datore di lavoro del potere di recedere unilateralmente e discrezionalmente ex art. 2118 c.c., quando e per quelle categorie di lavoratori cui tale beneficio non sia gia assicurato dalle norme sulla stabilita reale (19) - rifluiscono soltanto ed esclusivamente in "causali" per una nuova e legittima manifestazione datoriale estintiva del rapporto di lavoro.

In presenza di tali causali, obiettivamente riscontrate nel corso del giudizio di verifica dell'illegittimita del licenziamento originario, il giudice non si puo esimere (al riscontro della invalidita) dall'emettere un ordine di ripristino ex tunc del rapporto di lavoro con effetto di reintegra, la quale una volta disposta potra essere resa inoperativa da un nuovo atto di "valido" licenziamento o risoluzione del rapporto per le causali sopra riferite notificato dal datore di lavoro al lavoratore, salvo che il lavoratore - com'e presumibile, ben edotto dei termini delle varie situazioni di fatto - non vanifichi egli stesso, con l'opzione per l'indennita sostitutiva, gli effetti preclusivi della reintegra cui sono indirizzati e finalizzati i "nuovi" e finalmente "validi" provvedimenti estintivi datoriali.

Nel nostro stesso senso si e espressa, in precedenza, autorevole dottrina (20) la quale ha asserito: "Malgrado la suggestione esercitata dalla configurazione della reintegrazione come prestazione 'dovuta in via principale', non e tanto all'impossibilita di questa.quanto all'estinzione del rapporto di lavoro, a sua volta derivante ipso iure, secondo la disciplina generale del lavoro privato, pressoche soltanto dalla morte del prestatore, che deve collegarsi l'estinzione o preclusione anche all'esercizio della facolta alternativa, anzi ogni pretesa all'indennita. Per contro eventi come il raggiungimento dell'eta pensionabile, la perdita dell'idoneita al lavoro, la stessa cessazione dell'impresa, di per se, legittimano solo il licenziamento, a sua volta non possibile se non dopo la reintegrazione (cfr. Cass. 2.10.1987, n. 7368), cui percio il lavoratore puo sempre preferire l'indennita".

Secondo un orientamento conforme a quanto da noi sostenuto, esplicitato da Cass. 23 febbraio 1998, n. 1908 (21) - la quale ha cassato una decisione del Tribunale di Crema che aveva ritenuto di limitare il risarcimento del danno, ex art. 18 4? co., alle sole retribuzioni decorrenti dalla data del licenziamento invalido a quella della maturazione dei requisiti di eta per la pensione di vecchiaia, raggiunti dal lavoratore nelle more del giudizio e non gia fino alla data della reintegra, sostituita dal lavoratore con opzione per l'indennita economica - "il compimento dell'eta pensionabile, come il possesso dei requisiti per avere diritto alla pensione di vecchiaia (art. 11 l. n. 604/'66), determinano non gia l'automatica estinzione del rapporto, ma solo la cessazione del regime di stabilita e della tutela prevista dalla legge richiamata, consentendo il recesso ad nutum (Cass. 6179/'94). Ne consegue che, nel caso in cui tali condizioni si perfezionino nel periodo intercorrente tra la data del licenziamento e quella della sentenza con cui venga accertata l'insussistenza di una sua idonea giustificazione, non e preclusa l'emanazione del provvedimento di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ex art. 18 S.d.l (che ha il valore di accertamento che il rapporto e continuato inalterato e che sono operative le rispettive obbligazioni), mentre il rapporto di lavoro e suscettibile di essere estinto solo per effetto di un valido (e diverso) atto di recesso (Cass. 3754 del 20.3.'95) che puo essere emanato anche nelle more del giudizio".

Nel convenire con il principio - che coincide con quello da noi sostenuto - preme sottolineare l'esigenza di una corretta interpretazione dell'enunciazione della Suprema corte in ordine alla facoltizzata "adozione del nuovo e valido atto di recesso anche nel corso del giudizio". Tale atto, fondato su una sopravvenuta causale (eta pensionabile, cessazione dell'attivita aziendale, inidoneita al lavoro non imputabile al datore di lavoro), possedera efficacia estintiva del rapporto quando questo rapporto sara nuovamente in vita, il che si realizzera solo a seguito e dopo la dichiarazione giudiziale di ripristino del rapporto ex tunc, sostituibile da parte del lavoratore con l'opzione per l'indennita economica delle 15 mensilita. Ma la notifica al lavoratore in corso di giudizio (e verosimilmente nell'epoca del verificarsi degli eventi ipotizzati) seppure inoperativa fino all'emissione dell'ordine di reintegra, non sara inutile ne improduttiva di effetti ma idonea a limitare, a carico del datore di lavoro, la misura del risarcimento del danno, ex art. 18, 4? co., che si dovra arrestare alla data (anteriore) dello spiegamento del nuovo atto estintivo e non gia decorrere (ai fini del computo delle mensilita) fino all'epoca dell'emissione dell'ordine di reintegrazione.

In sostanza - salvo le due ipotesi di ripresa spontanea del servizio e di morte del lavoratore, in cui l'ordine di reintegra e privo di scopo per essersi, nel primo caso, ricostituito il rapporto e, nel secondo, validamente risolto per evento naturale sopravvenuto e "fisicamente" estintivo - tutte le altre ipotesi determinanti (secondo un non condiviso orientamento) non attualita dell'ordine di reintegra, sono del tutto irrilevanti ai fini di impedire al magistrato l'emissione di un atto necessitato dal riscontro di invalidita del recesso originario e che - come ha detto Cass. n. 1908/'98 - "ha il valore di accertamento che il rapporto e continuato e che sono operative le reciproche obbligazioni". Tali causali non costituiscono affatto titoli di risoluzione automatica del rapporto di lavoro, alla cui sola estinzione si coniuga legittimamente la preclusione sia dell'ordine di reintegra sia dell'opzione per l'indennita economica, ma eventi che consentono al datore di lavoro di riappropriarsi di un potere di recesso "valido" e "giustificato", operativo su di un rapporto di lavoro in atto (e non gia su un rapporto gia estinto con causale sub iudice), il che puo avvenire solo dopo l'emissione dell'ordine di reintegra, quale obbligazione principale, che resta surrogabile discrezionalmente con l'opzione del lavoratore per l'alternativa economica.

Passando dal teorico al pratico - e ipotizzando che sia stato emesso giudizialmente l'ordine di ripristino ex tunc del rapporto con connessa reintegra ed altresi ipotizzando che al verificarsi antecedentemente all'esito del giudizio di una delle ipotesi (es. cessazione dell'attivita dell'azienda) che facoltizzano il datore di lavoro all'assunzione di un altro, diverso e valido atto estintivo del rapporto ricostituito e che tale atto sia stato puntualmente notificato all'epoca al lavoratore licenziato - il datore di lavoro destinatario dell'ordine di reintegra dovrebbe formulare al lavoratore con rapporto ripristinato un invito alla ripresa del servizio che ipotizziamo possa cosi suonare: "Egregio Signore, con riferimento all'avvenuta ricostituzione giudiziale del rapporto di lavoro (a suo tempo risolto con atto invalido del .), Le formuliamo, ai sensi di legge, l'invito alla ripresa del servizio che tuttavia ha mero carattere virtuale. Infatti a seguito del nuovo provvedimento estintivo comunicatoLe 5 mesi fa (secondo il quale il Suo rapporto di lavoro qualora ricostituito giudizialmente ex tunc avrebbe dovuto considerarsi comunque risolto per intervenuta cessazione totale dell'attivita aziendale 5 mesi fa), Le comunichiamo che non possiamo dar corso obiettivamente ad una Sua ripresa effettiva del servizio presso l'azienda. Resta naturalmente ferma la Sua facolta di legge di effettuare opzione, in luogo della reintegra virtualmente offertaLe, per l'indennita economica delle 15 mensilita di retribuzione globale di fatto, con la percezione delle quali il Suo ricostituito rapporto di lavoro viene definitivamente ad estinguersi ad ogni effetto".

In sostanza anche la notifica dell'adozione di un "nuovo" provvedimento validamente estintivo, in quanto si innesta su un rapporto non in atto per intervenuto licenziamento in corso di accertamento, non potra produrre effetti estintivi retroattivi (per l'epoca della sopravvenuta cessazione d'attivita dell'azienda) ma diverra operativo ed efficace (come il licenziamento in malattia che diviene efficace alla data della ripresa del servizio) alla data di ripristino giudiziale del rapporto e sul rapporto ripristinato, valendo il nuovo e valido provvedimento estintivo (comunicato antecedentemente) come esimente di responsabilita e con effetti interruttivi della mora del debitore/datore di lavoro al punto tale da limitare il risarcimento del danno, ex art.18, 4? co. a carico del datore di lavoro, fino alla data della comunicazione del provvedimento medesimo, di norma coincidente con quella dell'avvenuta cessazione dell'azienda. Se invece fosse stato carente anche il "nuovo" provvedimento estintivo, in quanto non notificato al lavoratore in epoca antecedente, il risarcimento del danno sarebbe stato pieno, comprensivo cioe di tutte le mensilita dalla data dell'originario licenziamento e fino all'epoca del ripristino giudiziale del rapporto invalido.

Si potra dire che questa e una impostazione ispirata a favor operari, ma e comunque una impostazione tendenzialmente improntata a rigore giuridico, che sembra invece, a nostro avviso, far difetto o non risultare per noi appagante in quelle costruzioni che in luogo di individuare nelle causali suppostamente determinanti inattualita dell'ordine di reintegra, non gia ipotesi di estinzione automatica del rapporto di lavoro ma solo e soltanto nuove ipotesi per lo spiegamento di un "nuovo" atto estintivo (con effetti riduttivi del risarcimento di danno ex art. 18. 4? co., se assunto nel corso del giudizio) gli accredita, invece, idoneita preclusiva sia dell'emissione dell'ordine di reintegra sia della genesi del diritto all'opzione economica, giustappunto in quanto presuppone o considera tali eventi di impossibilita sopravvenuta dotato ex se di una idoneita estintiva automatica del rapporto che non trova spazio alcuno nel nostro diritto del lavoro privato.

Si potra anche dire che la soluzione presenta aspetti di "gravosita" o "iniquita" per la parte datoriale - la quale ha tuttavia la responsabilita di aver innescato il procedimento legale con lo spiegamento del licenziamento invalido, per cui ubi commoda, ibi eius et incommoda - ma la stessa dose di "gravosita" e insita nell'opzione per l'alternativa economica delle 15 mensilita forfettarie, da parte del lavoratore cui "manchino pochi mesi al sicuro collocamento a riposo" (22). D'altra parte bisogna essere coerenti nel trarre le conseguente da un costrutto giuridicamente fondato, piuttosto che rincorrere soluzioni - apparentemente piu equitative - ma meno appaganti dal lato giuridico. Fra questa soluzioni "mediane" o "equitative" si colloca Cass. 13 febbraio 1993 n. 1815 (23) la quale - in ipotesi di cessazione dell'attivita dell'azienda nelle more del giudizio - ha statuito, senza farsi carico di argomentare le (poco condivisibili) conclusioni raggiunte, che: " ..qualora nelle more del giudizio promosso dal lavoratore per la declaratoria d'illegittimita del licenziamento in precedenza intimatogli e per ottenere la reintegrazione ed il risarcimento del danno, sopravvenga un accadimento che renda impossibile la prestazione per causa non imputabile ad una delle parti ai sensi degli artt. 1256 e 1463 c.c. (nella specie per avvenuta cessazione totale dell'attivita aziendale), il giudice che accerti l'illegittimita del pregresso licenziamento non puo disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, ma deve limitarsi ad accogliere la sola domanda di risarcimento del danno con riguardo al periodo compreso fra la data del licenziamento e quella della sopravvenuta causa di risoluzione del rapporto". Invero, come gia evidenziato, il vizio della decisione risiede nell'affermazione apodittica secondo cui la cessazione dell'attivita dell'azienda costituisce ipso iure una "sopravvenuta causa di risoluzione del rapporto", automaticamente operativa anche senza che su di essa il datore abbia fondato un "nuovo" e "valido" atto di recesso e, quindi, si atteggia a causale estranea (se non rifluente nel g.m.o., puntualmente azionato con atto di recesso dal datore di lavoro) all'ambito del nostro diritto del lavoro privato che, come ha ricordato una recente sentenza della Cassazione (24), riconosce nelle seguenti le sole modalita di estinzione legittima del rapporto: a) il licenziamento (per giusta causa, per giustificato motivo o ad nutum), b) le dimissioni; c) l'estinzione per muto consenso; e) lo spirare dei termini per la ripresa del servizio previsti dall'art. 18, 5? c., l. n. 300/70, cui si puo aggiungere f) il raggiungimento della massima anzianita contributiva e, comunque del sessantacinquesimo anno, in ipotesi di opzione esercitata ex artt. 6 l. n. 54/1982 e l. n. 407/1990 (come modificata dall'art. 1, comma 2?, l,. n. 503/1992), ipotesi nella quale il raggiungimento di questi requisiti determina, per espressa previsione di legge, l'automatica estinzione del rapporto di lavoro senza obbligo di preavviso.

3b) L'impossibilita sopravvenuta di emissione (o eseguibilita) dell'ordine di reintegra per fatto imputabile al datore di lavoro non preclude comunque il diritto all'opzione per l'alternativa economica

Sostanzialmente la differenza tra la tesi da noi nuovamente riproposta, in forma piu articolata di altri in precedenza, in ordine al diritto potestativo per l'alternativa economica non precludibile da eventi di impossibilita sopravvenuta della prestazione (non imputabile ad alcuna delle parti) e la tesi di coloro che invece ritengono il diritto all'alternativa economica insuscettibile di sorgere (in quanto subordinato) per impossibilita sopravvenuta di resa della prestazione da parte del lavoratore in conseguenza di eventi di suppostamente estintivi automaticamente del rapporto, risiede tutta quanta sulla convinzione - da parte nostra - della necessita che le causali di impossibilita sopravvenuta siano azionate dal datore di lavoro come titoli di "nuova" risoluzione del rapporto, quando invece gli altri opinano che tali causali (in quanto considerati a torto eventi di risoluzione automatica del rapporto) possiedano ex se una loro autonoma ed obiettiva idoneita preclusiva sia nei confronti dell'ordine di reintegra sia dell'alternativa economica subordinata, al cui riscontro nel corso del giudizio il magistrato risulterebbe impedito di disporre il rimedio ripristinatorio di un provvedimento espulsivo invalido.

Non possiamo a conclusione che ribadire l'opinione secondo la quale il magistrato e tenuto - al riscontro di un provvedimento invalido - ad emettere l'ordine di reintegra, senza farsi carico se esso sara poi operativo o meno, perche spetta al datore di lavoro di adottare le misure per renderlo inoperante o inattuabile, al sopravvenire di ipotesi di impossibilita sopravvenuta della prestazione, attraverso nuovi e validi atti estintivi del rapporto, i quali - tuttavia - insisteranno sul rapporto ripristinato (e non gia su quello inesistente o a limite quiescente per effetto dell'originario licenziamento impugnato) con la conseguenza che, al verificarsi di eventi di impossibilita sopravvenuta della prestazione, non potra mai venire meno la facolta alternativa del lavoratore di optare per l'indennita sostitutiva.

Se le opinioni sulla problematica sopra riferita non sono, come evidenziato, univoche, non esistono margini di dubbio o di divergenza sul fatto che qualora le causali di impossibilita sopravvenuta della prestazione (per sopravvenuto accadimento: il raggiungimento dell'eta pensionabile, la cessazione dell'attivita dell'azienda, la sopravvenuta inidoneita permanente al lavoro del prestatore) siano imputabili al datore di lavoro, il rapporto di lavoro non puo in alcun modo risolversi. Sebbene la prestazione non possa essere resa, il rapporto di lavoro rimarra in vita per effetto della responsabilita datoriale, con la conseguenza della maturazione a favore del prestatore di lavoro incolpevole delle retribuzioni correnti e differite.

Si pensi al caso di un lavoratore che abbia contratto una malattia in servizio per omissione da parte aziendale delle misure prescritte dall'art. 2087 c.c., in senso stretto e in senso lato, e sia stato oggetto di un licenziamento per superamento del periodo di comporto, impugnato dal lavoratore per l'accertamento di invalidita e l'emissione dell'ordine di reintegra ex art. 18 S.d.l. Poiche - come insegna una consolidata giurisprudenza della Cassazione (25) - e al datore di lavoro imputabile l'insorgenza della malattia, non operano in tal caso le previsioni dell'art. 2110 c.c. che consentono il licenziamento per superamento dei termini di conservazione del posto. Il licenziamento sara pertanto dichiarato dal magistrato invalido con conseguente ripristino della continuita del rapporto di lavoro tramite ordine di reintegra. Si ipotizzi - e non e un caso di scuola - che nelle more del giudizio, a seguito di aggravamento della malattia, il lavoratore venga dichiarato dalle strutture sanitarie pubbliche inidoneo totalmente a qualsiasi attivita lavorativa e quindi alla ripresa del servizio, con la conseguenza pratica che, il datore di lavoro edotto della circostanza, rivolga al magistrato, con supporto documentale dell'inabilita, invito a non disporre l'ordine di reintegra per impossibilita da parte del lavoratore di renderlo operativo.

Ora accedendo, per mera ipotesi alla tesi da noi contestata nel presente scritto, l'inattualita dell'ordine di reintegra precluderebbe - in via di normalita - al lavoratore anche il subordinato diritto all'opzione per l'indennita economica. Va detto tuttavia che ne i sostenitori di tale indirizzo ne la Cassazione nell'isolata sentenza n. 1815 del 13 febbraio 1993 (cit. in precedenza), hanno mai dubitato che - sussistendo responsabilita imputabile ad datore di lavoro - l'ordine di reintegra debba essere precluso nell'emissione come pure non spetti al lavoratore (impossibilitato alla ripresa del servizio per colpa datoriale) il diritto di optare per l'indennita economica (sostitutiva) delle 15 mensilita. Da entrambe le fonti sopracitate si sostiene che, affinche il lavoratore perda la possibilita di ottenere la reintegra e il diritto all'indennita sostitutiva, deve trattarsi di ipotesi di impossibilita sopravvenuta per fatto non imputabile al datore di lavoro e quindi "riposante negli artt. 1256 e 1463 c.c." (26) che escludono la riconducibilita dell'impossibilita sopravvenuta ad alcuna delle parti.

Quindi nel caso sopra ipotizzato del lavoratore - la cui affezione sia imputabile, con nesso di causalita o di concausa a responsabilita datoriale per omissione delle cautele ex art. 2087 c.c. - licenziato invalidamente per superamento del periodo di comporto, il magistrato investito della verifica di validita del provvedimento espulsivo datoriale, dovra dichiarare invalido il licenziamento, statuire il ripristino della continuita giuridica del rapporto, mediante emissione di ordine di reintegra "virtuale" da cui il datore di lavoro potra essere eventualmente liberato dietro opzione del lavoratore per l'indennita sostitutiva economica (il che di norma avverra nel caso in cui versi in eta prossima al pensionamento mentre se ne asterra, invece, per fruire della continuita del rapporto di lavoro e della retribuzione, qualora in eta piu giovanile).

NOTE

(1) Si trova in Not. giurisp. lav. 1987, 376; in Giust. civ. 1987, I, 2913; in Mass. giur. lav. 1987, 217.

(2) Si vedano, in senso conforme, Cass. 21 settembre 1998, n. 9464, in Mass. giur. lav. 1999, 137 (con nota di Rondo dal titolo, Licenziamento per impossibilita sopravvenuta, errore incolpevole del datore di lavoro e risarcimento dei danni ex art. 18 stat. lav.); Cass. 5 dicembre 1997, n. 12366, in Mass. giur. lav. 1998, 246, la quale ribadisce che "il risarcimento del danno in via forfettaria, da un lato, e collegato testualmente, dall'art.18 l. n. 300/1970, all'inefficacia o invalidita del licenziamento, e non gia all'ordine di reintegrazione; e, dall'altro, ha carattere schiettamente sanzionatorio (in termini dissuasivi che di ristoro della lesione subita dal prestatore per il solo fatto dell'espulsione dall'azienda)."."il carattere proprio di questa misura patrimoniale, di sanzione per l'illegittimo esercizio del potere di recesso da parte del datore di lavoro, induce a ritenere applicabile quella tutela in ogni caso in cui il regolare svolgimento del rapporto di lavoro risulti di fatto interrotto e subisca una soluzione di continuita con l'allontanamento dal posto di lavoro, con conseguenze dannose che non possono essere comunque eliminate dalla revoca del provvedimento espulsivo, rispetto alla quale la 'penale' prevista dall'art. 18 cit. costituisce una forma di risarcimento forfettaria e irriducibile"; Cass. 21 dicembre 1995, n. 13047, ibidem 1996, 76, con nota di Mannacio, Gli effetti della "revoca" del licenziamento sul risarcimento ex art. 18, 4? comma, stat. lav. e sulla indennita in luogo della reintegrazione; Cass. 12 ottobre 1993, n. 10085, ibidem 1993, 667; Cass.13 febbraio 1993, n. 1815, ibidem 1993, 228; Cass. 15 dicembre 1991, n. 12249, ibidem, Mass. Cass., 13, n. 50; Cass. 25 maggio 1991, n. 5969, ibidem 1991, 422; Cass. 24 ottobre 1991, n. 11300; Cass. 28 settembre 1989, n. 3494, in Mass. giur. lav. 1989, 644; Cass. 27 gennaio 1989, n. 511, in Or. giur. lav. 1989, 756; Cass. 15 maggio 1987, n. 4482, ecc. Sulla configurabilita della natura sanzionatoria del risarcimento di danno, vedi anche Signorini (commento a Cass. n. 1099/1998, in Lav. giur. 1998, 939 ed ivi 940), secondo la quale " la misura minima del risarcimento del danno di 5 mensilita.e attribuita, come e noto, in virtu di una presunzione legale invincibile di danno, ispirata altresi a finalita afflittive e sanzionatorie (del datore di lavoro), prodottasi in capo al lavoratore per effetto del licenziamento ed avente come oggetto l'ammontare delle retribuzioni non percepite". Per un panorama ricostruttivo al riguardo, vedi anche Cosio, Reintegrazione e risarcimento di danno, in Dir. prat. lav. 1990, 38, 2337.

(3) Vedila in Lav. prev. oggi 1999, 365; in Mass. giur. lav. 1999, 137 (con nota di Rondo, cit).

(4) Vedi, in sequenza, Corte cost. 4 marzo 1992, n. 81, in Mass. giur. lav. 1992, 1 ; Corte Cost. 2 aprile 1992, n. 160 (ord.), ibidem 1992, 1; Corte cost. 9 novembre 1992, n. 426 (ord.), ibidem 1992, 551 con nota di Mannacio, La corte costituzionale sull'indennita sostitutiva della reintegrazione; in Foro it. 1992, I, 2044; Corte cost. 22 luglio 1996, n. 291 (ord.), in Mass. giur. lav. 1996, 489, con nota di De Marinis, Revoca del licenziamento e facolta di opzione ex art. 18, 5? co., Stat. lav.: dopo l'intervento della Corte il problema resta aperto. Le prime due decisioni si trovano anche in Giur. cost. 1992, 3152, annotate da Dell'Olio, Reintegrazione nel posto di lavoro e "alternativa economica".

(5) Gli stessi concetti sono stati ribaditi in Corte cost. n. 426 del 4 marzo 1992, con la quale e stata disattesa la questione di costituzionalita dell'art. 18, 5? co., S.d.l., che conferendo - secondo il giudice rimettente - al lavoratore l'alternativa economica al posto della reintegrazione, e quindi "rafforzando ulteriormente la posizione dei lavoratori appartenenti alla categoria piu garantita, incrementa la distanza tra i due gradi di tutela contro il licenziamento". Si veda anche Corte cost. n. 291 del 22 luglio 1996, che ha respinto la questione di costituzionalita dell'art. 18, 5? co., sollevata adducendo che tale norma che conferisce al lavoratore la facolta di optare per le 15 mensilita:" a) assicurando una tutela potenzialmente esorbitante rispetto all'esigenza astratta di riequilibrio degli interessi in gioco se confrontata con quella accordata ai dipendenti delle piccole imprese dall'art. 8 della l. 15 luglio 1966 n. 604 (art. 2, l. n. 108 del 1990), contrasterebbe con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza; b) violerebbe anche il principio di liberta di iniziativa economica per l'onere sproporzionato imposto agli equilibri finanziari delle imprese soggette alla disciplina impugnata".

(6) Tatarelli, L'opzione in sostituzione della reintegrazione, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1997, 685 ed ivi 686, nt.7.

(7) Secondo questa decisione "puo ritenersi oramai acquisito nella giurisprudenza di questa corte (Cass. 21 dicembre 1995, n. 13047) e di quella costituzionale (sentenza 30 marzo 1992, n. 141, nonche da ultimo ord. 22 luglio 1996, n. 291), il principio secondo cui l'indennita prevista dal 5? co. l. 20 maggio 1970, n. 300, nel testo modificato dall'art. 1, l. 11 maggio 1990, n. 108, si inserisce, in connessione con il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un'obbligazione con facolta alternativa dal lato del creditore, essendo attribuita al prestatore di lavoro la facolta insindacabile di 'monetizzare' il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a 15 mensilita di retribuzione"

(8) Trib. Monza 15 gennaio 1994, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1994, 955, con nota di Scarpelli, Revoca del licenziamento (o invito a riprendere il rapporto) in corso di causa e esercizio della facolta di opzione ex art. 18 SL; conf. Cass. 5 dicembre 1997, n. 12366, cit. che giustifica l'opzione del lavoratore per l'indennita sostitutiva in quanto "il ripristino del rapporto puo essere da questi valutato negativamente (per la perdita della reciproca stima, per ostilita ambientale, ecc.)".

(9) In Mass. giur. lav. 1996, 151, con nota di Niccolai, La tutela contro i licenziamenti ingiustificati nelle piccole imprese e costituzionalmente legittima?

(10) Tale orientamento che rinviene nell'obbligazione di cui all'art. 8 l. n. 604/1966 la fattispecie della obbligazione alternativa con facolta di scelta dal lato del debitore/datore di lavoro (che una volta offerta la possibilita di ripristino del rapporto al lavoratore, anche se consapevole che questi potrebbe non aderirvi per essersi rioccupato in altra azienda, finirebbe per essere liberato da qualsiasi obbligo ed andare indenne da conseguenze nonostante l'illegittimo recesso disposto a carico del lavoratore) e costituito da: Cass. 12 giugno 1995, n. 6620, in Mass. giur. lav. 1995, con nota di Niccolai ed ivi ulteriori riferimenti dottrinali; Cass. 18 novembre 1992, n. 12486, in Not. giurisp. lav. 1993, 108; Cass. 1 febbraio 1992, n. 1037 in Or. giur. lav. 1992, 679; Cass. 3 gennaio 1986, n. 33, in Mass. giur. lav. 19986, 149.

(11) Non ci siamo fatti carico della loro ricerca. Tuttavia l'annotatore A.S(brocca) di Cass. 10 dicembre 1992 n. 12442 (che si e conformata all'orientamento di Corte cost. n. 44/1996 e n. 194/1970) asserisce che "il principio.rinviene alcuni remoti precedenti nell'ambito della giurisprudenza di legittimita (Cass. 8 giugno 1979, n. 3272, in Mass. giur. lav. 180, 635 (m), n. 174; Cass. 23 novembre 1982, n. 6312, inedita)" . Trattandosi di annotatore (ex funzionario Intersind) di rivista non neutrale ma di associazione di tendenza (Confindustria) non ci sembra che le asserzioni possano mettere in dubbio le affermazioni di "prevalenza giurisprudenziale dell'opposto filone", provenienti autorevolmente dalla Corte e dall'eminente relatore della sentenza n. 44/1996 (Prof. Mengoni).

(12) La corte costituzionale asserisce che questo orientamento giurisprudenziale e condiviso dalla quasi totalita della dottrina e risulta anche da una risalente pronuncia della stessa Corte costituzionale (sentenza n. 194 del 1970), la quale ebbe ad affermare testualmente: "Ne ad orientare diversamente il giudizio della Corte, valgono i rilievi contenuti nelle ordinanze circa la ingiustizia cui condurrebbe la norma che, si sostiene, escluderebbe l'obbligo del pagamento dell'indennita, nel caso che il ripristino del rapporto di lavoro non possa aver luogo per causa non imputabile al datore di lavoro. La Corte esclude che tali inconvenienti possano verificarsi ove si ritenga - come deve ritenersi perche la norma conservi la riconosciuta conformita ai principi costituzionali - che il pagamento dell'indennita, qualora il rapporto non si ripristini, sia sempre dovuto e lo sia per il solo fatto del mancato ripristino di esso, senza che a nulla rilevi quale sia il soggetto e quale la ragione per cui cio abbia a verificarsi".

(13) In Mass. giur. lav. 1999, 149, con nota di A. Sbrocca, cit. in precedenza.

(14) Cosi Cass. 21 dicembre 1995, n. 13047, in Foro it. 1996, I,2155. e in Mass. giur. lav. 1996, 76, con nota di Mannacio, cit.

(15) Su queste causali si intrattengono, Pizzoferrato, Indennita sostitutive della reintegrazione: funzione giuridica e momento genetico, in Riv. it. dir. lav. 1995, II, 398, ed ivi 406 e 409 (giungendo a conclusioni di cui diremo infra), e Dell'Olio, Reintegrazione nel posto di lavoro e "alternativa" economica, in Giur. cost. 1992, 3153 ed ivi 3157 (con conclusioni opposte a quelle di Pizzoferrato, di cui diremo infra).

(16) Si trova, fra l'altro, in Lav. giur. 1998, 850 con commento di Sgarbi (a pag. 858), nonche in Mass. giur. lav. 1997, 876 con nota redazionale di N.D.M.

(17) Si trova in Lav. giur. 1998, 852, sempre con commento (adesivo) di Sgarbi nonche in Mass. giur. lav. 1998, 655, sempre con nota redazionale di N.D.M. Sulle differenze fra l'ordine di reintegra da provvedimento cautelare e da successiva sentenza di merito (nel senso che la prima non ha carattere necessariamente anticipatorio dei contenuti della seconda), vedi, in senso conforme a Cass. n. 6005/1998, in precedenza Cass. 20 gennaio 1997, n. 551, in Mass. giur. lav. 1997, 272, con nota di De Marinis, La reintegrazione nel posto di lavoro quale misura cautelare.

(18) La fattispecie e stata esaminata da Pret. Padova 25 gennio 1995, in Or. giur. lav. 1995, 207.

(19) Sulla nullita delle clausole di risoluzione automatica non corrisposte da stabilita convenzionale, vedi Cass. 2 marzo 1999, n. 1758 (inedita, in causa Ente Poste); Cass. 20 marzo 1998, n. 2986, in Not. giurisp. lav. 1998, 331 (con citazione dei precedenti conformi in nota redazionale); Pret. Roma 8 luglio 1996, in Mass. giur. lav. 1997, 99 con nota di Costanzo, Risoluzione automatica del rapporto di lavoro e regime delle opzioni nella contrattazione collettiva dell'Ente Poste. Sul tema v. anche Pileggi, Eta pensionabile e danno da licenziamento illegittimo, ibidem 1997, 87.

(20) Dell' Olio, in Reintegrazione nel posto di lavoro e "alternativa" economica, cit. , 3157. In senso contrario - cioe a dire nel senso che tali causali di "impossibilita materiale di pronunzia dell'ordine di reintegrazione si riverberano, impedendone la genesi, sul connesso diritto di opzione economica" - Pizzoferrato, op. cit. , 407 che cita, in senso a lui conforme, Delli Noci, Sulla facolta del lavoratore illegittimamente licenziato di optare per l'indennita sostitutiva pari a 15 mensilita della retribuzione , in Giur. mer. 1994, 430.

Per una ricostruzione dell'istituto dell'indennita sostitutiva e per richiami giurisprudenziali e dottrinali, vedi De Angelis, L'indennita sostitutiva della reintegrazione nel posto di lavoro tra diritto e processo, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1996, 139 e ss.

(21) In D&L, Riv. crit. dir. lav. 1998, 747, con annotazione di Mensi, Raggiungimento dell'eta pensionabile e calcolo del risarcimento da licenziamento illegittimo.

(22) L'osservazione e la dizione e di Pera, La novita della disciplina dei licenziamenti, Padova, 1993, 74, che la prospetta come emblematica del "verificarsi di ipotesi aberranti".

(23) In Mass. giur. lav. 1993, 228.

(24) Cosi Cass. 2 marzo 1999, n. 1758, in Not. giurisp. lav. 1999, 349, nel sancire la nullita ex art. 1418 c.c. per contrarieta a norme imperative dell'ordinamento lavoristico (art. 3 l. n. 604/'66, art. 2119 c.c., art. 2118 c. c., ecc.) delle clausole contrattuali di risoluzione automatica del rapporto (senza intimazione di licenziamento ad nutum con preavviso) al raggiungimento dei 40 anni di contribuzione, contenute nel ccnl per i dipendenti dell'Ente Poste.

(25) Nel caso in cui la malattia o l'infortunio sia imputabile a colpa provata del datore di lavoro, il rapporto non puo essere estinto per il superamento del periodo di conservazione del posto contrattualmente fissato in applicazione dell'art. 2110 c.c.. In tal senso: Cass. 14 giugno 1984, n. 3359, in Mass. giur. lav. 1984, 455; Pret. Roma 22 luglio 1985, in Giust. civ. 1986, I, 908; Cass. 14 maggio 1994, n. 4723 in Mass. giur. lav. 1994, 597; Pret. Napoli 16 gennaio 1995, in D&L, Riv. crit. dir. lav. 1995, 673; Cass. 1 luglio 1995, n. 1169, ibidem 1995, 66; Cass 12 giugno 1995, n. 6601 in Dir. prat.lav. 1996, 318.

(26) Cosi Cass. 13 febbraio 1993, n. 1815, cit. e d in senso conforme Pizzoferrato, Indennita sostitutiva della reintegrazione, cit., 409; Tatarelli, L'opzione in sostituzione della reintegrazione, cit., 685, nt.7.

Autore: Mario Meucci (pubblicato in D&L, Rivista critica di diritto del lavoro, n.4/1999, p.757 e ss.)