L'affidamento dei servizi museali:
la sentenza n. 7590/2005 del T.A.R. Lazio e la tutela del principio di concorsualità

 

Con sentenza n. 7590 del 28 settembre 2005, il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso presentato da una società che aveva impugnato l'affidamento diretto, mediante stipula di semplice convenzione tra il Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali e la controinteressata Mondadori Electa s.p.a., per l'appalto del servizio di bookshop e di editoria della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma. Merita sottolineare, in limine, come questa collezione d'arte rivesta un'importanza pregnante nel panorama museale nazionale, posto che in essa sono conservate opere di notevole interesse per l'arte contemporanea; ciò rileva in quanto l'appalto dei servizi museali aggiuntivi annessi ad una struttura museale di tale rilevanza comporta, inevitabilmente, riflessi importanti anche sotto il profilo prettamente economico. La sentenza in commento, invero, non riporta il valore del contratto affidato fiduciariamente alla controinteressata, ma è evidente che quanto maggiori sono le dimensioni ed il prestigio della struttura museale a cui sono annessi i servizi aggiuntivi, e quanto più estesa è la durata del contratto d'appalto convenzionalmente stabilita, tanto maggiori saranno i potenziali ritorni economici che possono essere conseguiti con il relativo affidamento.
Le censure elevate in giudizio avverso l'affidamento diretto dei servizi aggiuntivi de quibus si sono concentrate, essenzialmente, sul tema della violazione delle disposizioni di legge che regolano la partecipazione degli operatori economici potenzialmente interessati ad acquisire un appalto. Il T.A.R. Lazio ha evidenziato, in buona sostanza, la necessità che anche gli appalti dei servizi museali vengano esternalizzati previo l'esperimento di procedure di gara ad evidenza pubblica con cui, secondo i principi generali vigenti per i contratti delle amministrazioni pubbliche, si consenta un effettivo confronto competitivo tra i molteplici operatori presenti sul libero mercato.

La disciplina per la gestione dei servizi museali aggiuntivi.
L'esigenza di sviluppare l'organizzazione economica dei servizi accessori rispetto alle tradizionali attività svolte dalle strutture museali si è sviluppata durante gli anni Novanta, allorché si è manifestato un interesse più marcato verso il tema della valorizzazione economica della risorsa «patrimonio artistico» (1); in considerazione degli investimenti effettuati nei decenni anteriori, con profusione di fondi di notevole entità (2), era infatti prevedibile attendersi un consistente ritorno economico da questo settore. Non può sfuggire, dunque, come il sorgere di un più marcato interesse verso il tema della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale (3) abbia avuto matrici e motivazioni di ordine eminentemente economico, essendo ormai divenuto essenziale «tirare le fila» degli investimenti effettuati nei decenni precedenti.
Come ha felicemente sottolineato la più recente dottrina (4), con il d.l. n. 433/1992, convertito in legge n. 4/1993 (c.d. «legge Ronchey») ci si proponeva, sostanzialmente, il raggiungimento di due obiettivi: «in prima istanza s'avvertiva l'improcrastinabile esigenza di modernizzare il sistema dei beni culturali, migliorando e qualificando la ricettività delle istituzioni, stimolando l'erogazione dei nuovi servizi modificando le modalità di conduzione di certune attività . attraverso l'introduzione di servizi e forme aggiuntive di gestione e/ o cogestione che, per quanto elementari, facessero segnare un'inversione di tendenza nei giudizi degli utenti, delle imprese e dei media nazionali e internazionali . In seconda istanza era vivo il desiderio del legislatore di verificare le possibilità di procedere a forme di valorizzazione dei beni culturali che . favorissero la generazione di cospicue, secondo alcuni cospicuissime, entrate per le casse erariali. . Lo scopo del provvedimento era dunque nobile e meritevole, insistendo su due distinte categorie di asset da «valorizzare»: da una parte si riteneva di poter incamerare ingenti flussi finanziari dai canoni di locazione degli spazi e dalle royalty sui fatturati dei concessionari dei servizi, dall'altra parte si credeva . che il patrimonio di diritti e competenze di cui il Ministero era titolare potesse essere sfruttato con maggiore incisività .». La strategia della valorizzazione è stata, dunque, disegnata dalla legge Ronchey attorno al tema della modernizzazione delle strutture ricettive e, parallelamente, mediante lo sviluppo del tema dell'orientamento delle risorse (umane e strumentali) verso l'utente, secondo i canoni della più moderna scienza amministrativa (5).
Va notato, per inciso, che con la legislazione successiva (6) - che, in via generale, aspirava al conseguimento di risorse finanziarie attraverso un migliore sfruttamento del patrimonio artistico - si mirava ad un'evoluzione radicale nella strategia di valorizzazione economica dei beni artistici. Il mutamento delineato con l'adozione di questo filone normativo è apparso immediatamente evidente: la logica era, infatti, quella di assegnare la gestione del patrimonio artistico a soggetti privati - sia pure con varie cautele, ribadite nel complicato disegno intessuto dalla legge finanziaria per il 2002 - mediante l'esperimento di complesse procedure, che prevedevano:
. il raggiungimento di una preventiva intesa con il Ministero;
. l'adozione di precise misure per la salvaguardia del diritto digodimento dei terzi sui beni di cultura;
. la realizzazione di un vero e proprio procedimento disdemanializzazione, da attuare con l'alienazione dei beni (7).
Va notato, tuttavia, che nonostante il sorgere di una più intensa attenzione verso il tema della redditività economica della risorsaarte (8), nondimeno la riflessione sulla migliore fruibilità delle singole strutture museali (con le conseguenti possibilità di ritorni economici) ha continuato ad essere caratterizzata da un approccio minimale da parte delle istituzioni e, nel contempo, ha continuato ad aleggiare l'idea di fondo (presente come un'ombra ideologica, ancora proiettata dalla legislazione del 1939) per cui i musei dovevano essere considerati come inerti «cespiti patrimoniali», e non come possibili spazi di cultura attuale e vivente (9). In buona sostanza, i più generali intenti di valorizzazione economica della complessiva risorsaarte (espressi dalla legge finanziaria per il 2002 in poi) non sono stati altrettanto solerti per quanto attiene il tema del miglioramento delle singole strutture museali, e dei relativi servizi accessori.
Con il decorrere del tempo, nel complessivo quadro normativo orientato alla migliore valorizzazione economica del patrimonio artistico, si è assistito, nondimeno, anche ad un'evoluzione della specifica disciplina dei «servizi museali aggiuntivi». Ed infatti, dopo la ridefinizione dei servizi in argomento formulata all'articolo 112 del d.lgs. n. 490/1999 (nel quale si parlava di «servizi di assistenza culturale e di ospitalità» (10), con un tenore letterale parzialmente differente rispetto alla locuzione originaria contenuta nella legge Ronchey), con la recente riforma adottata con il «Codice dei beni culturali e del paesaggio» (11) la materia dei servizi aggiuntivi è stata nuovamente disciplinata, attraverso una rimodulazione normativa che, peraltro, continua ad ammettere la possibilità che all'interno dei musei vengano istituiti «servizi di assistenza culturale e di ospitalità per il pubblico»; in aggiunta all'analitica descrizione dei servizi aggiuntivi (12), il Codice precisa che la gestione di tali servizi debba essere «attuata nelle forme previste dall'articolo 115».
Dopo aver ribadito che, in via di principio, le attività di valorizzazione dei beni culturali ad iniziativa pubblica possono essere gestite sia «in forma diretta» sia «in forma indiretta», l'articolo 115 puntualizza infatti che la gestione diretta è quella realizzata internamente all'amministrazione pubblica, per il tramite di proprie, apposite strutture organizzative «dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico».
Per converso, la «gestione in forma indiretta» può essere realizzata mediante due modalità alternative tra loro, consistenti in: «a) affidamento diretto a istituzioni, fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali o altri soggetti, costituiti o partecipati, in misura prevalente, dall'amministrazione pubblica cui i beni pertengono; b) concessione a terzi», con precisazione che, in quest'ultimo caso, la concessione può essere legittimamente disposta soltanto in presenza del pieno rispetto degli specifici criteri indicati dal Codice stesso.
Merita sottolineare che la prima tipologia di esternalizzazione dei servizi aggiuntivi può essere realizzata in assenza di preventiva procedura di gara, proprio in quanto sussiste una «partecipazione prevalente» dell'amministrazione concedente al capitale sociale del soggetto prescelto (13); la stessa norma, dunque, dispone con assoluta chiarezza che, in carenza di una siffatta partecipazione sociale, l'affidamento non può essere disposto direttamente mediante semplice trattativa privata, ma deve essere preceduto da una specifica procedura ad evidenza pubblica. In ogni caso, «il rapporto tra il titolare dell'attività e l'affidatario o il concessionario è regolato con contratto di servizio, nel quale sono specificati, tra l'altro, i livelli qualitativi di erogazione del servizio e di professionalità degli addetti nonché i poteri di indirizzo e controllo spettanti al titolare dell'attività o del servizio»: ed è sempre maggiore l'attenzione della dottrina (14) in merito alla predisposizione del contratto di servizio ed alla curanella previsione delle eventuali sanzioni per il concedente-affidatario nel caso di violazione degli obblighi assunti per la gestione del servizio. L'eventuale previsione di clausole contenenti «penali», infatti, potrebbe avere la funzione di stimolare l'affidatario ad una maggiore efficienza nel corso dell'esecuzione del contratto, fermo restando che rimane invariato l'onere dell'amministrazione concedente di predisporre contratti di servizio specifici e ben articolati, che non costituiscano una mera copia fotostatica di contratti similari, siglati da altri enti per rapporti concessori, de facto, completamente differenti.
È poi importante sottolineare come, in questo contesto più generale, l'indizione di procedure di gara ad evidenza pubblica - anche per l'esternalizzazione dei servizi museali aggiuntivi - costituisca un valido strumento per vagliare le migliori offerte presenti sul mercato, e quindi per una concreta valutazione circa l'effettiva economicità dell'azione amministrativa.
La sentenza del T.A.R. Lazio: la tutela della concorsualità nell'affidamento dei servizi aggiuntivi.
Con la sentenza n. 7590/2005 in commento, il T.A.R. Lazio affronta, in primo luogo, il quesito se i servizi di editoria e di bookshop rientrino o meno nel novero dei servizi museali appaltabili a soggetti esterni; una volta chiarito tale punto, il tribunale amministrativo passa alla verifica circa l'esistenza di un effettivo obbligo cogente che imponga che l'affidamento di questi servizi venga disposto previo esperimento di una procedura di gara ad evidenza pubblica.
Dopo aver premesso che i servizi de quibus si devono ritenere compresi all'interno dell'elencazione tracciata dal vigente Codice dei beni culturali (15), il T.A.R. disconosce, in primis, la tesi difensiva dell'amministrazione resistente, la quale sosteneva che nel caso di specie si sarebbe verificata un'obiettiva impossibilità «di assicurare lo svolgimento di mansioni imprenditoriali, soggette alla logica di mercato di equilibrio tra costi e ricavi, nei locali adibiti a libreria ed oggetto di lavori di demolizione e restauro, [e che da ciò] discenderebbe la carenza di interesse della ricorrente a coltivare il ricorso».
Il tribunale amministrativo pone in rilievo, in sostanza, il principio di libertà d'iniziativa economica, inteso come diritto a concorrere ed a competere in sede di gara con gli altri operatori privati del libero mercato in condizioni di pari opportunità. Ciò che rileva, infatti, è la circostanza che ogni operatore possa competere con altre imprese aventi oggetto pertinente a quello dell'appalto, e che possa poi confrontarsi con gli altri operatori del mercato in una condizione di sostanziale parità di trattamento procedimentale.
Il T.A.R. sottolinea poi la necessità che questa pari opportunità venga concretamente assicurata, a fortiori, a favore di quegli operatori privati che, nel caso di specie, avevano «già valutato sia i costi di realizzazione del catalogo, sia le condizioni di disagio derivanti dai lavori nei locali», avendo già espressamente richiesto di poter concorrere alla relativa procedura di gara, procedura invece mai indetta dall'amministrazione resistente.
La libertà d'iniziativa economica, intesa come diritto a partecipare ed a competere, viene peraltro difesa con particolare vigore dal T.A.R., che sottolinea come «l'Amministrazione non può certo sovrapporsi, in uno Stato democratico di matrice laica e liberale e caratterizzato dal principio di sussidiarietà dell'intervento pubblico, all'autonomia privata nella valutazione circa la convenienza imprenditoriale delle attività economiche, che devono, quindi, essere rimesse al gioco della concorrenza (nel libero mercato o - come in questo caso - mediante gara per l'accesso al mercato) salvi gli eccezionali casi in cui l'interesse pubblico motivi la gestione pubblica diretta». L'evidenza pubblica costituisce dunque, nel contempo, uno strumento per realizzare sia un efficiente funzionamento del mercato, sia il canone costituzionale del buon andamento dell'amministrazione pubblica.
Le argomentazioni proposte dalla sentenza in esame sembrano, peraltro, perfettamente coerenti con il sistema normativo vigente per l'attività contrattuale dell'amministrazione pubblica che, anche sulla falsariga della normazione di fonte comunitaria, pone vigorosamente l'accento sui temi della concorsualità e della trasparenza, come strumenti per la realizzazione di un autentico, effettivo «libero mercato». In questo contesto generale, il T.A.R. valuta pertanto irrilevanti - ai fini dell'esclusione aprioristica dell'indizione una gara d'appalto - sia l'esistenza attuale di lavori edili presso la G.N.A.M. (lavori che, peraltro, non sono tali da impedire l'accesso alla collezione, e che quindi non possono incidere sull'interesse delle varie imprese a concorrere per l'aggiudicazione dell'appalto per il servizio di bookshop), sia la scadenza del precedente rapporto concessorio relativo agli stessi servizi. Ed anzi, l'esistenza e la scadenza di una precedente concessione indiretta avente ad oggetto i medesimi servizi aggiuntivi avrebbe dovuto confortare, semmai, la necessità di ricorrere all'affidamento del servizio mediante l'indizione di una procedura di gara (tanto più che, a quanto consta, il precedente rapporto concessorio era ormai scaduto da diverso tempo, sicché vi sarebbero stati i tempi tecnici per l'indizione di una gara). Le circostanze di fatto addotte dalla difesa dell'amministrazione comprovano dunque, inequivocabilmente, l'inesistenza degli oggettivi requisiti di imprevedibilità ed urgenza previsti dall'articolo 7 del d.lgs. n. 157/1995 e s.m.i. (16) di talché, in carenza di tali presupposti fattuali incontestabili, era oggettivamente necessario ricorrere all'indizione di una procedura ad evidenza pubblica, piuttosto che ad un semplice affidamento previo esperimento di una mera trattativa diretta.
Vale la pena sottolineare che, nel caso di specie, l'affidamento diretto non è stato nemmeno proceduto da una qualche procedura informale di gara ufficiosa: questo genere di procedure semplificate, anteriori alla trattativa privata consentono infatti, quantomeno, la realizzazione di un'indagine informale sui prezzi di mercato mediante la richiesta agli operatori privati dei relativi preventivi dei costi, in modo da poter comprovare documentalmente (17) l'obiettiva convenienza economica per la pubblica amministrazione che abbia scelto di procedere proprio all'affidamento diretto, in assenza di una formale procedura di gara (18). L'indagine di mercato consente, infatti, di rendere comunque oggettivi e trasparenti gli elementi di valutazione ponderati dalla stazione appaltante, mediante una verifica ed un raffronto quantomeno documentale anche dei requisiti di affidabilità morale e di professionalità dell'affidatario prescelto (19).
Tutto ciò assume tanto maggior rilievo nel caso di specie, in quanto la società ricorrente aveva (già prima dell'affidamento diretto a favore della controinteressata) manifestato espressamente il proprio interesse a partecipare alla competizione per l'aggiudicazione dei servizi aggiuntivi in argomento mediante la presentazione di un'apposita, chiara istanza di partecipazione al procedimento amministrativo, formulata ai sensi della legge n. 241/1990. Val bene la pena di rilevare, infatti, che anche nella nuova formulazione della legge generale sul procedimento amministrativo (20) rimane forte il tema del diritto a partecipare nel corso del procedimento amministrativo (in simmetria diacronica rispetto al diritto a ricorrere in sede giurisdizionale), in perfetta analogia con quanto peraltro disposto all'art. 111 del Codice dei beni culturali che sancisce, per la materia dei beni culturali, il principio di libertà di partecipazione dei soggetti privati al sistema museale intessuto su base nazionale, nell'ottica della massima valorizzazione del patrimonio artistico (21).
A conforto delle proprie deduzioni, il Tribunale amministrativo del Lazio sottolinea, infine, la tendenziale stabilità dell'appalto affidato con trattativa privata alla controinteressata Mondadori Electa S.p.A., posto che la durata del contratto de quo avrebbe dovuto estendersi per un lasso di tempo obiettivamente ed economicamente significativo (pari a diciotto mesi), ovverosia per un arco temporale idoneo ad incidere significativamente sulla vita e sulla stessa esistenza di un'impresa operante nel libero mercato.

La democrazia come «diritto a partecipare».
La sentenza in commento riveste un'importanza notevole sotto molteplici profili; in primo luogo, essa riafferma chiaramente il principio per cui, anche nel clima attuale di generale tendenza alla privatizzazione dell'attività amministrativa (22), il metodo ordinario che deve essere seguito nella selezione delle controparti private è quello della concorsualità; ciò comporta, inevitabilmente, una serie di conseguenze fondamentali affinché all'interno delle istituzioni possano, finalmente, trovare solide radici il principio di trasparenza ed il principio di parità di trattamento procedimentale, entrambi corollari del nucleo forte posto già all'articolo 97 della Costituzione nella locuzione «imparzialità e buon andamento».
Queste considerazioni, che dovrebbero essere ormai acquisite al patrimonio giuridico dell'operatore pubblico (ma che, ancora oggi, sembrano non essere state pienamente assimilate) potrebbero avere un duplice effetto, concreto e benefico: da un lato, ragionando in questa prospettiva, si potrebbe contribuire alla realizzazione di un effettivo libero mercato anche per quanto concerne gli approvvigionamenti delle amministrazioni pubbliche, mediante la realizzazione di un sistema efficace e genuino di relazioni tra domanda ed offerta.
Dall'altro lato, l'attuazione piena di questi principi potrebbe avere la funzione di innescare un circolo virtuoso per lo sviluppo di quella cultura nuova della e nella pubblica amministrazione che, da tante parti, ancora oggi si reclama.
Una cultura, a ben vedere, nuova e nel contempo antica e semplice, perché fondata sul senso dello Stato e delle istituzioni, sul rispetto della «comunità servita» (23) e sull'orgoglio per la missione istituzionale rivestita, ai diversi livelli, da parte dei funzionari pubblici.
Il recupero di questi capisaldi potrebbe essere fortemente d'ausilio nella difficile operazione di accountability, anche morale, delle pubbliche amministrazioni e potrebbe, nel contempo, generare un più solido clima di fiducia sociale, risorsa essenziale ed imprescindibile anche per il buon funzionamento del libero mercato.

Note:

(1) Sul tema, si può rammentare che la legge n. 352/97 ha avviato una programmazione triennale finalizzata a favorire l'emanazione di provvedimenti per favorire la diffusione della conoscenza del patrimonio artistico, con concessione di mutui ai privati e stipula di convenzioni per il coinvolgimento delle associazioni di volontariato. Sul tema della valorizzazione dei beni culturali si vedano inoltre, in letteratura, PAVOLINI, Valorizzazione del patrimonio storico artistico e nuovo modello di sviluppo, in Le mura e gli archi. Valorizzazione del patrimonio storico artistico e nuovo modello di sviluppo, Roma, 1986; BODO, Rapporto sulla politica culturale e delle Regioni, Milano, 1992; BOBBIO, La legislazione degli anni Ottanta, in BODO (a cura di), Rapporto sull'economia della cultura in Italia, 1980-1990, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Associazione per l'economia della cultura, Roma, 1997.
(2) La bibliografia in tema di politica ed economia dei beni culturali è piuttosto ampia:si vedano, tra la molta letteratura edita, BARDE e GERELLI, Economia e politica dell'ambiente, Bologna, 1980; MARCHETTI e ROSITI, La politica culturale: i contributi regionali, in ISAP, Le relazioni tra centro e periferia, Milano, 1984; CAUSI, L'impatto economico dell'attività di gestione e conservazione dei beni culturali in Italia, in Aa.Vv., Le mura e gli archi, cit.; Cles, Creazione di nuova occupazione nel settore dei beni culturali, Roma, 1986; LEON e VALENTINO, La valutazione costi-benefici nei piani di intervento sui beni culturali, in PEREGO (A cura di), Anastilosi. L'antico, il restauro, la città, Roma, 1986; BROSIO, La spesa per l'arte e la cultura, in BROSIO (A cura di), La spesa pubblica, Milano, 1987; BROSIO, Pubblico e privato nel finanziamento dell'arte e della cultura in Italia, in Economia pubblica, 1989; BROSIO, Spesa pubblica e agevolazioni fiscali nel settore dell'arte e della cultura in Italia, in CLEMENTE DI SAN LUCA (A cura di), Tutela, promozione e libertà dell'arte in Italia e negli Stati Uniti, Atti del Seminario internazionale di Napoli del 20-21 gennaio 1989, Milano, 1990; Cles, Il bene culturale come risorsa economica, Roma, 1989; FORMEZ e MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI, La valutazione economica dei progetti pubblici relativi al settore dei beni culturali: una proposta metodologica, Napoli, 1989; LEON e CAUSI, La politica economica dei beni culturali, in Note di ricerca, Cles, 3, ottobre, 1990; FREY, e POMMEREHNE, Musei e mercati. Indagine sull'economia dell'arte, Bologna, 1991; LEON, Beni culturali: il dilemma tra stato e mercato, in Economia della cultura, I, 1, 1991; DI MAIO, Esperienza italiana nella valutazione economica di progetti relativi al settore dei beni culturali, in Formez, Economia dei beni culturali, Napoli, 1992.
(3) Ancora sul tema della correlazione tra investimenti e ritorni economici nel settoredei beni culturali si vedano, nella letteratura èdita negli anni Novanta, CARCEA, La funzione economica dei beni culturali: profili giuridici, in GIUSTI (A cura di), Diritto pubblico dell'economia, Padova, 1994; ANDREOLI, BRAU e DE MAGISTRIS, La valutazione economica dei beni culturali: il metodo della contingent valutation, in SANTAGATA (A cura di), Economia della cultura. Istituzioni e mercati dell'arte e della cultura, Torino, 1998; Grossi, Istituzioni e gestione dei servizi culturali, in Aedon, n. 2/1998; TRUPIANO (A cura di), Assetto istituzionale, disciplina fiscale e finanziamento della cultura, Milano, 1999; LEON, L'economia della riforma, in Economia della cultura, IX, 2, 1999; BODO (A cura di), La spesa pubblica della cultura e lo spettacolo in Italia nella prima metà degli anni '90, Ministero per i beni e le attività culturali, Dipartimento dello spettacolo, Roma, 1999; DI MAIO, Economia dei beni culturali, Napoli, 1999; PIRAS, Il bene culturale quale risorsa, in Aedon,
n. 3/2002; SPRANZI, Economia dell'arte, Milano, 2003; LEON, Redditività economica e redditività finanziaria dei musei e dei monumenti, in Aa.Vv., Museo o impresa?, Roma, 2003.
(4) GUERZONI e STABILE, I diritti dei musei. La valorizzazione dei beni culturali nella prospettiva del rights management, Milano, 2003, 8 segg. Sul valore del patrimonio culturale, anche come risorsa specifica delle autonomie locali, si vedano SALVIA, Cultura, in CASSESE (A cura di), Annuario delle autonomie locali, Roma, 1984; D'ORTA, Cultura, in CASSESE (A cura di), Annuario delle autonomie locali, Roma, 1988-1991; PETRONI, Cultura, in ISAP, La regionalizzazione, Milano, 1983; IMMORDINO, Cultura e ambiente, in CASSESE (A cura di), Annuario delle autonomie locali, III, 3, Roma, 1984 e nella successiva edizione VI, 6, Roma, 1987; D'ALESSIO, Cultura, in CASSESE (A cura di), Annuario delle autonomie locali, Roma, 1992.
(5) Sul tema si veda anche FUORTES, I servizi aggiuntivi nel sistema museale, in Economia della cultura, IX, 2, 1999.
(6) Si tratta della legge n. 448/2001 contenente «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», con particolare riferimento agli articoli 33 e 34. Sul tema si veda anche la legge n. 112/2002 e più in generale, in letteratura, si vedano RONCACCIOLI (A cura di), L'Azienda museo, Padova, 1996; Roncaccioli, Il museo come azienda culturale, in Economia della cultura, 3, 1997; AINIS, Lo statuto giuridico dei musei, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 7, 1988; DE GIORNI CEZZI, Lo statuto dei beni culturali, in Aedon, n. 3/2001; SORACE, Cartolarizzazione e regime dei beni pubblici, in Aedon, n. 1/2003; PIPERATA, I servizi culturali nel nuovo ordinamento, in Aedon, n. 3/2003.
(7) Sul tema GUERZONI e STABILE, I diritti dei musei, cit., 5, notano che il provvedimento istitutivo della Patrimonio dello Stato S.p.A. «pur temperato dalle direttive emanate dal CIPE il 19 dicembre 2002, prevedeva la possibilità di spossessare de facto il Ministero dei Beni Culturali e Ambientali delle funzioni di valorizzazione e gestione, introducendo altresì, tramite la facoltà di provvedere all'alienazione dei beni, criteri valutativi di ordine economico. Secondo questa interpretazione . le attività di valorizzazione dei beni culturali possono coincidere anche con la loro messa a reddito, non escludendosi dunque l'opzione della mera alienazione. La valorizzazione, in questa prospettiva, sembra consistere in primis nell'estrazione di valore economico, finalità che può essere perseguita anche a detrimento delle sopra citate funzioni di servizio pubblico». La lunga e defatigante serie di procedure burocratiche da seguire nel complicato procedimento di «sdemanializzazione» dei beni ha reso, di fatto, sostanzialmente inattuabile il predetto processo di privatizzazione dell'arte che, al di là di critiche o plausi, è rimasto sostanzialmente un «progetto sulla carta», lasciando tuttavia aperto a mille discussioni il tema dell'utilizzazione e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico.
(8) Dall'esame delle disposizioni dettate per la valorizzazione economica del patrimonio artistico in via generale emerge dunque che l'attenzione dell'ordinamento giuridico verso i beni culturali ha lentamente spostato il proprio baricentro dal tema della tutela e della conservazione statica dell'arte, verso il tema della valorizzazione del patrimonio storico-artistico. Ciò, si noti bene, anche mediante il ricorso ad un più esteso impiego degli strumenti posti a disposizione dal mercato e dalla più recente tecnologia: si pensi, a tale proposito, alla più frequente organizzazione di mostre monotematiche, pensate e costruite lungo lo snodarsi di un preciso filo conduttore, e ben mirate al fine di richiamare l'attenzione e l'afflusso del grande pubblico; si pensi, altresì, all'ausilio che le tecnologie digitali possono apportare per un più approfondito studio delle opere artistiche, nonché per una maggiore diffusione del loro messaggio anche senza una materiale delocalizzazione delle opere stesse. In quest'ottica di massima, l'orientamento dell'intero sistema museale verso l'accesso e la fruibilità del patrimonio artistico viene attualmente considerata sempre più strettamente connesso alla necessità di assicurare la massima economicità nella gestione dei beni culturali, per il cui finanziamento le risorse sembrano non essere mai sufficienti.
(9) Sul tema si veda, ampiamente, MONTELLA, Musei e beni culturali. Verso un modello di governance, Milano, 2003, 223 e 264 segg., con particolare riferimento all'«approccio manageriale ai musei» ed al tema dell' «azienda museo». Interessante, sul punto, è quanto l'A. sottolinea - pp. 301 e 302 - circa il «passaggio dal museo fordista al museo vitale aperto», ovverosia «dal museo incentrato sul patrimonio a quello incentrato sul pubblico [il che] significa, nell'attuale situazione di contesto, un rivolgimento del modello culturale tradizionale in funzione di un deciso orientamento al servizio e ai sui valori di qualità, in funzione di una capacità di coniugare l'efficienza interna con il giusto posizionamento verso l'esterno». Di seguito, nella medesima fonte - pp. 355 segg. - si vedano anche gli spunti sul tema della ristrutturazione dell'«azienda museo» in un'ottica di «servizio di comunicazione culturale». Sul tema si vedano, altresì, GROSSI, Come esternalizzare, in Aedon, n. 3/2001; CAMMELLI, Buscar Oriente e tomar Occidente (ovvero: i beni culturali nella finanziaria 2002), in Aedon, n. 3/2001; Cammelli, Quali ipotesi di attuazione dell'art. 33? in Beni culturali e imprese. Una proposta di rapporto pubblico-privato per i Beni culturali statali e locali alla luce delle scelte della 448/ 2001, atti del Convegno, Roma, 2002; NARDELLA, L'art. 33 della finanziaria 2002 davanti alla Corte costituzionale, in Aedon, n. 1/2002; SCAVINO, Quale regolamento di attuazione dell'art. 33? in Beni culturali e imprese, Atti del Convegno, Roma, 26 marzo 2002.
(10) Sul tema si veda anche GRILLO, Dai servizi aggiuntivi a quelli di assistenza culturale e di ospitalità, in VALENTINO e MOSSETTO (A cura di), Museo contro museo, Firenze, 2001.
(11) D.lgs. del 22 gennaio 2004, n. 42, articoli 115 e 117.
(12) Può essere interessante notare, ai fini dell'esatta comprensione della tipologia deiservizi dei quali si tratta, che l'articolo 117 del d.lgs. n. 42/04 definisce attualmente come servizi aggiuntivi:
«a) il servizio editoriale e di vendita riguardante i cataloghi e i sussidi catalografici, audiovisivi e informatici, ogni altro materiale informativo, e le riproduzioni di beni culturali;
b) i servizi riguardanti beni librari e archivistici per la fornitura di riproduzioni e il recapito del prestito bibliotecario;
c) la gestione di raccolte discografiche, di diapoteche e biblioteche museali;
d) la gestione dei punti vendita e l'utilizzazione commerciale delle riproduzioni dei beni;
e) i servizi di accoglienza, ivi inclusi quelli di assistenza e di intrattenimento per l'infanzia, i servizi di informazione, di guida e assistenza didattica, i centri di incontro;
f) i servizi di caffetteria, di ristorazione, di guardaroba;
g) l'organizzazione di mostre e manifestazioni culturali, nonché di iniziative promozionali».
(13) Può essere interessante, a questo proposito, tracciare un parallelo ideale - perevidenziarne differenze e congruità - della normativa in esame rispetto alla disciplina degli affidamenti in house dei «servizi pubblici».
(14) Sull'esigenza che le amministrazioni pubbliche pongano una maggiore attenzione nella redazione delle clausole del contratto di servizio si è a lungo soffermata l'attenzione degli astanti nel corso dei lavori del Convegno Governance dei gruppi di interesse locale realizzato il 26 ottobre 2005 dal Dipartimento di Studi aziendali e sociali dell'Università degli Studi di Siena.
(15) Art. 117 del d.lgs. n. 42/2004 cit.
(16) Lo stesso articolo, peraltro, per la legittimità della trattativa privata disposta inassenza di pubblicazione di un bando di gara richiede espressamente [comma 2, lettera d)] che l'affidamento venga disposto nella misura strettamente necessaria, qualora, per impellente urgenza determinata da avvenimenti imprevedibili per l'amministrazione aggiudicatrice, non possano essere osservati i termini per il pubblico incanto, la licitazione privata, l'appalto concorso o la trattativa privata con pubblicazione di un bando, con l'ulteriore precisazione - accentuata certamente non per ragioni di ridondanza o prolissità - che le circostanze addotte per giustificare tale impellente urgenza non devono in alcun caso essere imputabili alle amministrazioni aggiudicatrici. Analoghe considerazioni possono essere tracciate, sulla scorta della copiosa mole di giurisprudenza èdita sul tema, anche per ciò che concerne l'articolo 41 del r.d. 827/1941, ove ai commi 5 e 6 si ammette la legittimità della trattativa privata quando l'urgenza dei lavori, acquisti, trasporti e forniture sia tale da non consentire l'indugio degli incanti o della licitazione» ed «in genere in ogni altro caso in cui ricorrono speciali ed eccezionali circostanze per le quali non possano essere utilmente seguite le forme [per le procedure ad evidenza pubblica previste nel medesimo] regolamento». In ogni caso, soggiunge il comma 6 dello stesso articolo, «la ragione per la quale si ricorre alla trattativa privata, deve essere indicata nel decreto di approvazione del contratto .»
(17) Nell'eventualità, ad esempio, di chiarimenti richiesti dal giudice contabile ai sensidella legge n. 20/94, o di indagini compiute dalla magistratura penale.
(18) Un esempio di questo genere di procedure semplificate è previsto all'articolo 31della legge regionale dell'Umbria n. 11/1979 e s.m.i., nel quale, al comma 2, si dispone che i contratti «di importo inferiore a lire 100.000.000 sono preceduti da trattativa privata, che ha luogo dopo che siano state interpellate più persone o ditte ritenute idonee, e comunque nella forma dell'offerta in busta chiusa». La soglia di valore prevista nella norma appena citata viene «annualmente adeguat[a] dalla Giunta regionale, con provvedimento da adottarsi nel mese di gennaio di ciascun anno, tenuto conto della variazione di percentuale verificatasi tra gli indici generali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativi al mese di settembre degli ultimi due anni». Per il corrente anno 2005, i limiti di valore per la trattativa diretta e per la trattativa privata allargata sono stati fissati dalla Giunta regionale dell'Umbria, rispettivamente, in Euro 13.381,90 ed in Euro 66.909,47.
(19) Si tratta, in buona sostanza, dei requisiti di onorabilità consistenti nel possessodel nulla osta ai fini dell'articolo 10 della legge n. 575/1965 e s.m.i.; nel non trovarsi nelle cause di esclusione dalla partecipazione alle gare di cui all'articolo 12 del d.lgs.
n. 157/1995; nell'insussistenza di cause di esclusione dalla partecipazione alle garepreviste da qualsiasi disposizione legislativa e regolamentare; nell'insussistenza, infine, di misure cautelari interdittive ovvero del divieto temporaneo di stipulare contratti con la pubblica amministrazione, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001. Sul tema delle possibili infiltrazioni mafiose e delle misure di prevenzione relativamente alla stipula dei contratti pubblici si veda anche, recentemente, la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, sentenza del 29 agosto 2005, n. 4408.
(20) Legge n. 241/1990 che, anche nella formulazione successiva all'adozione dellalegge n. 15/05, ha previsto (articolo 10) i «diritti dei partecipanti al procedimento», consistenti nella facoltà di «a) di prendere visione degli atti del procedimento .; b) di presentare memorie scritte e documenti, che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare ove siano pertinenti all'oggetto del procedimento». La formulazione della legge n. 241/1990 successiva alla riforma ha introdotto, peraltro, il testuale obbligo per l'amministrazione di inviare all'interessato una comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza (articolo 10 bis), disponendo che «nei procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o l'autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglimento della domanda» e che «entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti». Oltre a ciò, ancora in omaggio ad un più generale metodo dialogico e dialettico nelle relazioni tra privati ed amministrazione pubblica, la nuova norma prevede che «dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale».
(21) L'art. 111 del d.lgs. n. 42/2004 dispone, infatti, che «le attività di valorizzazione dei beni culturali consistono nella costituzione ed organizzazione stabile di risorse, strutture o reti, ovvero nella messa a disposizione di competenze tecniche o risorse finanziarie o strumentali, finalizzate all'esercizio delle funzioni ed al perseguimento delle finalità indicate [nell'ambito del medesimo Codice]. A tali attività possono concorrere, cooperare o partecipare soggetti privati».
(22) «La pubblica amministrazione, nell'adozione di atti di natura non autoritativa,agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente»: art. 1, c. 1 bis, della legge n. 241/1990, nella formulazione modificata con legge n. 15/05.
(23) L'espressione è tratta dal Documento CXI, n. 1 degli "Atti parlamentari" della XIII legislatura, sezione Disegni di legge e relazioni - documenti, frutto dei lavori del Comita­to di studio istituito con decreto n. 211 del Presidente della Camera dei Deputati del 30 settembre 1996, coordinato dal Prof. Sabino Cassese.

Autore: Dott. I. Filippetti - tratto da: "I Contratti dello Stato e degli Enti Pubblici" n. 1/2006