Il contratto di Agenzia
5. il recesso


Il termine recesso è utilizzato dal legislatore in numerose disposizioni, ma non sempre con la stessa funzione ed il medesimo significato. In altri termini, l'utilizzo del termine recesso, così come effettuato dal punto di vista legislativo, non può essere considerato in maniera uniforme (Mancini).

E' infatti generalmente condivisa l'inesistenza di un concetto unitario di recesso.

Dal punto di vista definitorio è tuttavia possibile considerare il recesso come una dichiarazione di volontà recettizia (come tale efficace dal momento in cui perviene all'indirizzo dell'altra parte) che comporta conseguenze normalmente negative sulla validità ed efficacia di un preesistente rapporto contrattuale.

Tali conseguenze sono di norma costituite dal porre termine al rapporto contrattuale di cui si tratta. Le modalità con le quali tale cessazione viene posta in essere sono tuttavia assai differenti.

E' stata dunque proposta in dottrina una classificazione del recesso in due grandi categorie contrapposte: il recesso ordinario (o determinativo) e quello straordinario, anche se quest'ultimo pare talvolta sconfinare nella risoluzione per inadempimento.

Le differenze tra le due categorie sono costituite essenzialmente dalla diversa esigenza alla quale ciascuna di esse intende rispondere e dalla conseguente diversa funzione attribuita al recesso nella struttura dei singoli rapporti.

 

Il recesso ordinario (o determinativo)

Il recesso ordinario è riferito di norma ai rapporti contrattuali di durata a tempo indeterminato, dove quindi non è prevista una scadenza o un termine finale. In questi casi il recesso assume una funzione integrativa di un regolamento contrattuale lacunoso, con la possibilità di inserire un termine di cessazione del rapporto.

Spesso peraltro è lo stesso regolamento negoziale che prevede la possibilità di esercitare il recesso per entrambe le parti in qualunque momento con l'applicazione di un determinato meccanismo, di norma costituito dalla concessione di un termine di preavviso.

Oltre al regolamento contrattuale posto in essere dalle parti, in numerosi contratti tipici di durata è espressamente prevista l'ipotesi del recesso nel contratto a tempo indeterminato.

Mi riferisco in particolare al contratto di somministrazione (art. 1569 c.c., utilizzato in via analogica anche nel contratto atipico di concessione di vendita), al mandato, nell'ipotesi di revoca del mandato oneroso a tempo indeterminato (art. 1725 comma 2° c.c.) e di rinunzia del mandatario (art. 1727 c.c.), al contratto di agenzia a tempo indeterminato (art. 1750 c.c.), al comodato (art. 1810 c.c. - dove è previsto un regime particolare in ragione delle caratteristiche del contratto), alla commissione (art. 1734 c.c.), al contratto d'opera (art. 2227 c.c.) ed al contratto d'opera intellettuale (art. 2237 c.c.).

In tutte queste ipotesi è riconosciuto a ciascuna delle parti il diritto di porre termine al rapporto a tempo indeterminato in qualunque momento, previa concessione di un termine di preavviso.

Fa eccezione il contratto di comodato dove, qualora non sia convenuto un termine e non sia altrimenti desumibile dall'uso della cosa, il comodatario ha l'obbligo di restituirla immediatamente non appena il comodante la richieda. La particolarità della disciplina è senz'altro dovuta alle caratteristiche del contratto in considerazione della sua gratuità e dell'oggetto dello stesso, costituito dalla consegna di una cosa mobile o immobile affinché il comodatario se ne serva per un tempo o per un uso determinato (cfr. per approfondimenti la voce specifica contratto di comodato).

Tornando al termine di preavviso, il legislatore si riferisce di norma al concetto di termine "congruo", non stabilendo dunque in maniera precisa quale sia il termine che la parte recedente deve concedere all'altra per poter porre fine al contratto a tempo indeterminato.

Nel contratto di agenzia, anche a seguito della modifica apportata all'art. 1750 c.c. dal D.Lgs. 303/91 emesso in attuazione della Direttiva 86/653, sono previsti in maniera precisa termini minimi di preavviso, variabili da 1 a 6 mesi, in funzione della concreta durata del rapporto. E' comunque lasciata alla libera disponibilità delle parti la fissazione di termini di preavviso di maggiore durata, con l'unico limite costituito dalla necessità che il preponente osservi termini di preavviso non inferiori rispetto a quelli previsti per l'agente. Nella disciplina del contratto di agenzia, come è noto, la regolamentazione non è tuttavia contenuta solo nel codice civile, ma altresì nella contrattazione collettiva di diritto comune ed erga omnes, che prevede in tema di preavviso termini differenti rispetto a quelli dell'art. 1750 c.c., con conseguenti potenziali problemi di applicabilità, soprattutto con riferimento al cosiddetto agente monomandatario (rimando sul punto per approfondimenti all'esame della singola voce).

Dal punto di vista pratico, il recesso ordinario nei contratti a tempo indeterminato è costituito da una dichiarazione di volontà effettuata da una delle parti (di norma per iscritto, anche al fine di stabilire con certezza la decorrenza del preavviso, e comunque nella forma che sia eventualmente prevista per la validità del contratto cui il recesso accede), con la quale si comunica lo scioglimento del contratto e la concessione del termine di preavviso previsto contrattualmente o stabilito dalla legge.

Il recesso, essendo un atto unilaterale recettizio, si considera efficace dal momento in cui perviene al destinatario e dunque, quale che sia il contenuto letterale della comunicazione, il recesso avrà efficacia dal momento in cui la relativa dichiarazione di volontà pervenga alla controparte. Da tale momento inizia a decorrere il termine di preavviso, con la conseguente cessazione del rapporto una volta terminato il preavviso.

Questa possibilità di porre termine ai contratti di durata a tempo indeterminato è una conseguenza del principio generale tendente ad escludere la perpetuità dei vincoli obbligatori tra le parti.

Il preavviso ha tuttavia, fatto salvo per il contratto di lavoro subordinato, una efficacia meramente obbligatoria, con la conseguenza che, come previsto nel contratto di agenzia e nel mandato, può essere sostituito dal risarcimento del danno subito dalla parte che riceve la comunicazione di recesso.

Efficacia obbligatoria che si contrappone all'efficacia cosiddetta reale del preavviso (riscontrabile tuttavia nel solo rapporto di lavoro subordinato) che comporta la necessaria prosecuzione del rapporto sino alla scadenza del termine di preavviso. In altri termini l'efficacia dell'atto di recesso sarebbe condizionata e differita dalla concessione del preavviso, da intendersi dunque quale elemento costitutivo del recesso stesso.

Quale ulteriore conseguenza, la parte recedente potrebbe essere esposta ad una eventuale richiesta (ove possibile) di esecuzione coattiva in forma specifica della prestazione dovuta, sino allo scadere del pattuito termine di preavviso.

Questa costruzione si scontra tuttavia con la chiara dizione della maggior parte delle disposizioni in tema di recesso dal contratto a tempo indeterminato, dove la mancata concessione del preavviso viene presa espressamente in considerazione non certo per stabilire la prosecuzione del contratto, ma esclusivamente quale fonte dell'obbligo risarcitorio in capo alla parte recedente.

L'efficacia del preavviso, quanto meno nei rapporti considerati, deve quindi essere intesa esclusivamente dal punto di vista obbligatorio.

E' quindi possibile porre termine ai contratti sopra menzionati con effetto immediato dal momento dell'arrivo della comunicazione di recesso, salvo il diritto al risarcimento del danno da parte di chi riceve la comunicazione. Risarcimento che sarà tuttavia escluso qualora la revoca del mandato o la rinuncia del mandatario derivino da una giusta causa o nell'ipotesi in cui il recesso dai contratti di durata sia ascrivibile al grave inadempimento dell'altra parte o ad un'altra causa di risoluzione del rapporto: trattasi peraltro di fattispecie differenti rispetto a quelle riscontrabili nelle ipotesi di recesso di tipo ordinario.

In ordine alla quantificazione del danno vanno applicati i criteri generali in tema di risarcimento, correlati alla sua prevedibilità. Nel contratto di agenzia la contrattazione collettiva prevede un regime particolare che consente di quantificare il danno in maniera molto precisa rapportandolo alle provvigioni di competenza dell'agente nell'anno solare precedente la cessazione o negli ultimi 12 mesi qualora più favorevole alla parte che subisce il recesso. La parte che subisce il recesso ha inoltre la possibilità di rinunciare in tutto o in parte al termine di preavviso, a condizione che tale rinuncia venga comunicata al recedente nel termine di 30 giorni dal ricevimento del recesso.

 

Il recesso straordinario

La seconda categoria generale individuata dalla dottrina (Mancini, Gabrielli) è costituita dal recesso straordinario che, al contrario di quanto sottolineato in tema di recesso ordinario, non si limita ad integrare il regolamento contrattuale originario, ma lo modifica o in taluni casi lo travolge in funzione di vizi del rapporto (che possono essere originari, cioè esistenti sin dalla sua nascita, o sopravvenuti, anche se ipotesi di questo genere si avvicinano in maniera estremamente significativa alla risoluzione per inadempimento) o di un potere di supremazia attribuito ad uno dei contraenti, che gli consente di liberarsi dal vincolo contrattuale.

A quest'ultimo proposito, una ipotesi di potere di supremazia riconosciuto ad una delle parti è certamente ravvisabile nella disciplina del recesso unilaterale in tema di contratto di appalto. L'art. 1671 c.c. prevede infatti il diritto del committente di recedere dal contratto a propria assoluta discrezione, anche qualora l'esecuzione dell'opera o la prestazione del servizio siano già iniziate da parte dell'appaltatore.

Peraltro questa possibilità non è priva di conseguenze per il committente, che dovrà in ogni caso rifondere all'appaltatore le spese sostenute e tenerlo indenne dei lavori già eseguiti e del mancato guadagno conseguente all'anticipata cessazione del contratto di appalto.

Altre ipotesi di recesso straordinario, o risolutivo, da intendersi come mezzi di impugnazione, sono previste nella disciplina del contratto di agenzia, e più precisamente nell'art. 1751 c.c. (come modificato dai d.lgs. 303/91 e 65/99). In questi casi è espressamente consentito ad una delle parti di travolgere il regolamento negoziale in funzione di specifici vizi sopravvenuti nel corso del rapporto. Nella norma è infatti prevista espressamente la possibilità per il preponente di risolvere il rapporto a causa di un'inadempienza attribuibile all'agente che, per la sua gravità non consenta la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto, e con l'esclusione del diritto dell'agente all'indennità. E' dunque garantita al preponente la possibilità di porre termine al rapporto in ragione di un inadempimento che, date le sue caratteristiche, esonera il recedente dalla necessità di concedere il preavviso di cui all'art. 1750 c.c., così configurando una ipotesi di recesso risolutivo.

Ulteriore fattispecie riconducibile al recesso quale mezzo di impugnazione attribuito ad uno dei contraenti in forza di vizi sopravvenuti, è previsto dal successivo capoverso dell'art. 1751 c.c., dove si precisa che l'agente può recedere dal contratto a causa di circostanze attribuibili al preponente, ciò nonostante conservando il diritto all'eventuale indennità di fine rapporto, che avrebbe altrimenti perso in caso di recesso ordinario.

In questa ipotesi, la cui esatta delimitazione è ancora incerta in dottrina ed in giurisprudenza, non essendo allo stato ben chiaro cosa debba intendersi per "circostanze attribuibili al preponente", per la verità non appare scontata la possibilità di non concedere il termine di preavviso dovuto in caso di recesso ordinario, ma piuttosto la sua particolarità è costituita dal mantenimento per l'agente del diritto all'indennità di fine rapporto.

Ancora in tema di contratto di agenzia, la giurisprudenza dominante ritiene, pur con le dovute differenziazioni, applicabile analogicamente il meccanismo di recesso per giusta causa di cui all'art. 2119 c.c.

 

Differenti modalità operative di recesso e risoluzione
in caso di inadempimento

In conclusione, dal punto di vista pratico ed in termini generali, fatti salvi i casi di recesso unilaterale nei contratti di durata privi di termine finale (con il connesso onere di concessione di un termine di preavviso), laddove si verta in tema di inadempimento il legislatore consente alla parte che lo subisce di optare tra differenti possibilità.

Nel caso in cui si prediliga una maggiore rapidità e speditezza, ed ammesso che sia in ipotesi praticabile per un richiamo espresso contrattualmente pattuito o contenuto nella disciplina del singolo tipo contrattuale, la parte potrà ricorrere al recesso o alla risoluzione di diritto (vuoi sulla base di una clausola risolutiva espressa vuoi in applicazione del meccanismo solutorio di cui all'art. 1454 c.c.). Qualora invece si ritengano prevalenti le esigenze di certezza su quelle di rapidità, sarà possibile utilizzare la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c. ricorrendo al giudice per ottenere una sentenza costitutiva della cessazione degli effetti del contratto, con efficacia retroattiva (laddove possibile).

Dal punto di vista pratico l'utilizzo ad esempio della diffida ad adempiere, come ho evidenziato in proposito, consente tuttavia al debitore della prestazione un adempimento tardivo, in quanto la stessa costituisce in effetti una sorta di remissione in termini.

Con la clausola risolutiva espressa invece è sufficiente che colui in favore del quale la stessa è predisposta, e sul presupposto che l'inadempimento esista e sia imputabile all'altra parte, dichiari la propria intenzione di volersi avvalere del meccanismo risolutivo ivi previsto. Dal momento del ricevimento della comunicazione, il contratto dovrà considerarsi risolto.

Il ricorso al giudice per l'ottenimento di una pronuncia costitutiva di risoluzione del contratto impedisce invece, con effetto dal momento della proposizione della domanda, l'adempimento tardivo del debitore.

Debbo sottolineare tuttavia che, anche qualora si prediliga l'utilizzo di rimedi solutori stragiudiziali, quali ad esempio la diffida ad adempiere, il termine essenziale e la clausola risolutiva espressa, potrà ciò nonostante risultare comunque necessario ricorrere al giudice (più probabilmente ad opera di chi subisce la risoluzione di diritto) al fine di ottenere una sentenza non più costitutiva, ma dichiarativa dell'intervenuta risoluzione, oltre ad una condanna al risarcimento del danno subito.