Corte di Cassazione - Sezione lavoro

12/12/2008 n. 29258

 

Svolgimento del processo

Con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. dinanzi al Giudice del lavoro di Genova A. C. conveniva in giudizio la s.n.c. "CREM di B. D. & c." esponendo di avere lavorato alle dipendenze della convenuta dal 12 febbraio 1997 al 28 maggio 1999 in qualità di operaio di "V livello c.c.n.l. aziende metal meccaniche" artigiane con mansioni di manutentore ed operaio di produzione e, successivamente a tale rapporto, di avere lavorato per altra azienda ma di avere ripreso a lavorare per la società convenuta in data 15 giugno 1999, svolgendo le identiche mansioni che aveva svolto dal 1997 (solo successivamente gli era stato consegnato un documento senza data nel quale era indicato che l'assunzione era a termine, con scadenza il 16 febbraio 1999; in seguito, gli veniva consegnato altro contratto a termine con scadenza il 16 aprile 2000 che non aveva mai sottoscritto; in data 16 giugno 1999 aveva ricevuto la comunicazione di cessazione del rapporto per scadenza del termine). In base a tali circostanze di fatto il ricorrente deduceva che illegittimamente era stato apposto il termine al rapporto di lavoro, sia perché il primo contratto era stato sottoscritto posteriormente all'effettivo inizio del rapporto, proseguito poi anche dopo la scadenza del termine, sia perché il secondo contratto non era stato mai sottoscritto, e comunque era posteriore alla data indicata nel documento ed era stato stipulato senza il rispetto dei termini ex art. 2 della legge n. 230 del 1962; eccepiva, inoltre, la nullità del contratto perché il motivo della sua stipulazione come contratto di lavoro a tempo determinato (consistente nell'esecuzione di un'opera o di un servizio definito e predeterminato nel tempo ed avente carattere occasionale e straordinario) non corrispondeva a verità. Il ricorrente chiedeva, pertanto, dichiararsi la nullità della clausola contenente la fissazione del termine e condannarsi la società convenuta a reintegrarlo nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno pari alla retribuzione dalla data del licenziamento a quella dell'effettiva reintegra, e, comunque, in misura non inferiore al minimo legale di cinque mensilità o, gradatamente (ove non fosse stata provata la sussistenza del requisito numerico), la condanna a riassumere esso ricorrente ed a corrispondergli l'indennità di cui all'art. 2 della legge n. 108 del 1990; in via subordinata, previa declaratoria della perdurante vigenza del rapporto di lavoro, condannarsi la società convenuta al pagamento della ordinaria retribuzione dal 17 giugno 2000 al giorno dell'effettiva riammissione in servizio.
Si costituiva in giudizio la società convenuta, che impugnava integralmente la domanda attorea e ne chiedeva il rigetto.
L'adito Tribunale di Genova - con sentenza 11 settembre 2002 - accoglieva il ricorso, dichiarando la nullità della pattuizione del termine apposto al primo contratto di lavoro e giudicando non essere stata provata la sua stipulazione in data anteriore o contestuale all'inizio del rapporto, e dichiarava, pertanto, l'avvenuta costituzione di un rapporto a tempo indeterminato, condannando l'azienda al pagamento dell'ordinaria retribuzione fino all'effettiva riammissione in servizio, oltre alle spese di lite; ma - a seguito di appello principale di B. D. (in proprio e quale legale rappresentante della s.n.c. CREM) e di appello incidentale di A. C. - la Corte di appello di Genova, con sentenza n. 204/2005, "respingeva l'appello principale e, in accoglimento dell'appello incidentale, condannava l'appellante principale a corrispondere sulla sorte capitale la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sulle retribuzioni maturate dal 17 giugno 2000 in avanti, oltre al pagamento delle spese del grado".
Per la cassazione della cennata sentenza la s.n.c. "CREM di B. D. & c." propone ricorso affidato a due motivi.
L'intimato A. C. resiste con controricorso e propone "ricorso incidentale condizionato" assistito da un motivo, a cui resiste la ricorrente principale con "controricorso a ricorso incidentale".
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Il difensore della ricorrente principale ha depositato "osservazioni per iscritto" ex art. 379, quarto comma c.p.c..

Motivi della decisione

I - Deve essere disposta la riunione dei cennati ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
II - Con il primo motivo del ricorso principale la ricorrente - denunciando violazione dell'art. 2 comma 1 della legge n. 230 del 1962 e di ogni altra norma e principio in materia di prevedibilità o meno delle ragioni idonee a giustificare la proroga di un rapporto di lavoro a tempo determinato, in una con insufficienza e contraddittorietà della motivazione su punto decisivo" - rileva criticamente che "la valutazione espressa dal Giudice di appello si pone in aperta contraddizione con l'accertamento in fatto espresso dalla stessa Corte, laddove nella sentenza che si impugna si legge che il motivo addotto per la stipulazione del contratto di lavoro a tempo determinato, costituito dall'esigenza di rimettere in funzione i macchinari acquistati dal fallimento per rivenderli ad altra impresa che aveva intenzione di acquistare lo stabilimento della fallita per riattrezzarlo con gli stessi macchinari, era un motivo vero e plausibile, e che tale originario programma non aveva potuto trovare attuazione solo perché si era verificato il fatto, imprevisto e imprevedibile, che l'impresa cui i macchinari avrebbero dovuto essere rivenduti non aveva ottenuto il necessario finanziamento e non era perciò in condizioni di perfezionare il progettato acquisto, e che di conseguenza la CREM non aveva altra possibilità, per utilizzare in qualche modo i macchinari acquistati e quindi mettere a frutto i capitali impiegati nell'acquisto, che quella di rimontarli e metterli in funzione nello stabilimento proprio, in vista della quale sopravvenuta esigenza aveva dovuto prorogare il rapporto di lavoro a termine con il C.".
Con il secondo motivo (definito "subordinato") la società ricorrente - denunciando "violazione dell'art. 18 della legge n. 300/1970 e dell'art. 2697 cod. civ., nonché vizi di motivazione" censura la sentenza impugnata in quanto "la condanna alla reintegrazione e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate e maturande fino alla reintegra merita di essere cassata, oltre che per violazione delle norme sostanziali relative alla ripartizione dell'onere della prova sul presupposto dimensionale dell'azienda, anche per un vizio di vera e propria omessa pronuncia su di un capo di impugnazione esplicitamente proposto e ribadito (art. 112 c.p.c.), oltre che di difetto assoluto di motivazione su punto decisivo".
Con l'unico motivo del "ricorso incidentale condizionato" il ricorrente - denunciando "violazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 230/1962 e motivazione contraddittoria" - rileva criticamente che "la Corte di appello in punto legittimità del primo contratto e di corrispondenza della esigenza indicata con l'opera reale voluta e richiesta è andato in contraddittorietà di motivazione negando da una parte quello che contemporaneamente affermava dall'altra".
III/a - Il primo motivo di ricorso non appare meritevole di accoglimento.
Al riguardo - in merito alle circostanze che, a norma dell'art. 2 della legge n. 230/1962, sono ritenute idonee a legittimare la proroga del contratto di lavoro a tempo determinato (il cui onere probatorio, vale precisare, grava sul datore di lavoro ex art. 3 della legge n. 230 cit.) - questa Corte ha rimarcato che le cennate circostanze debbono essere ontologicamente diverse da quelle che hanno giustificato l'originaria apposizione del termine e debbono rivestire i caratteri della contingenza e della imprevedibilità, tenendo presente, con riferimento a quest'ultima (da accertarsi alla stregua del criterio della diligenza media osservabile dall'imprenditore), che deve ritenersi prevedibile qualsiasi situazione di cui l'imprenditore possa, anche in via di mera probabilità, rappresentarsi l'ulteriore sviluppo secondo l'id quod plerumque accidit (da ultimo Cass. n. 24886/2006, Cass. n. 24655/2006).
Nella specie, la Corte di appello di Genova ha testualmente affermato, nella parte finale della motivazione della sentenza impugnata, che "la segretaria ha affermato che all'atto della prima assunzione a termine fece presente al C. che sarebbero stati stipulati due contratti a termine ed il teste R., sentito in questo grado del giudizio relativamente alle circostanze relative alla proroga, ha specificato che C. aveva fatto presso di noi già due contratti a termine, per cui quando lo stesso mi telefonò per chiedere di lavorare gli dissi che gli avrei fatto un contratto a termine di cinque mesi prolungabile per altri sei nel caso di buon fine del discorso macchine" e più avanti, che "la circostanza dedotta dalla società, cioè che la proroga del contratto a termine sarebbe giustificata dall'esigenza di utilizzare le macchine acquistate, in quanto non potevano più essere rivendute a causa del mancato finanziamento alla società acquirente, è smentita dalla stessa segretaria della CREM, che ha affermato che le macchine rimasero non aggiustate e che non serviva aggiustarle "in quanto la CREM essendo una ditta piccola non aveva modo di usarle".
Pertanto, "sulla base dei dati di fatto" [così come testualmente richiamati nelle "osservazioni scritte ex art. 379, ultimo comma, c.p.c." del difensore dalla società ricorrente (a conferma del suo notevole impegno difensivo)], si evidenzia che le esigenze che avevano determinato la cd. proroga del contratto di lavoro (rectius, la prosecuzione ininterrotta del rapporto di lavoro) non erano ontologicamente diverse e, quindi, non erano tali da giustificare ex art. 2 della legge n. 230/1962 l'apposizione del termine e la proroga del contratto di lavoro.
III/b - Sono, altresì, da respingere le doglianze della ricorrente in ordine all'accertamento delle risultanze istruttorie in quanto - giova specificamente precisare - la valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. n. 322/2003). Pervero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un'esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purché risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, a quelli utilizzati (così, nella specie, ove nella sentenza impugnata è stato rimarcato quanto dianzi testualmente riportato).
Comunque, ove con il ricorso per cassazione venga dedotta l'incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l'asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività delle risultanze non valutate (o insufficientemente valutate), che il ricorrente precisi - mediante integrale trascrizione delle medesime nel ricorso le dichiarazioni dell'interrogatorio delle parti e la risultanza che asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di cassazione, alla quale è precluso l'esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa (Cass. n. 9954/2005).
III/c - Con riferimento, inoltre, ai pretesi vizi di motivazione - che, secondo la ricorrente, connoterebbero la sentenza impugnata - vale rilevare che: a) il difetto di motivazione, nel senso d'insufficienza di essa, può riscontrarsi soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice e quale risulta dalla sentenza stessa emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero l'obiettiva deficienza, nel complesso di essa, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, - come per le doglianze mosse nella specie dalla ricorrente - quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; b) il vizio di motivazione sussiste unicamente quando le motivazioni del giudice non consentano di ripercorrere l'iter logico da questi seguito o esibiscano al loro interno non insanabile contrasto ovvero quando nel ragionamento sviluppato nella sentenza sia mancato l'esame di punti decisivi della controversia - irregolarità queste che la sentenza impugnata di certo non presenta -; c) per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse.
Benvero, le censure con cui una sentenza venga impugnata per vizio della motivazione non possono essere intese a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte - pure in relazione al valore da conferirsi alle "presunzioni" [la cui valutazione è anch'essa incensurabile in sede di legittimità alla stregua di quanto già riferito in merito alla valutazione delle risultanze probatorie (Cass. n. 11906/2003)] - e, in particolare, non vi si può opporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'art. 380, n. 5, cod. proc. civ.: in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, id est di una nuova pronuncia sul fatto sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.
IV - Anche il secondo motivo non può essere accolto.Infatti, del tutto impropriamente la ricorrente ha addebitato alla Corte di appello di Genova di avere disposto la reintegrazione del C. nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300/1970 senza verificare i requisiti dimensionali dell'azienda ai fini dell'applicabilità di tale norma, e ciò in quanto con la decisione impugnata il giudice di appello ha confermato espressamente la sentenza di primo grado (salvo l'ulteriore condanna alla rivalutazione monetaria ed agli interessi legali sulle retribuzioni maturate) in forza della quale "la s.n.c. CREM era stata condannata al pagamento dell'ordinaria retribuzione dal 17 giugno 2002 sino al dì dell'effettiva riammissione in servizio (alla stregua) della conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato come stabilito, a titolo sanzionatorio, dall'art. 2 della legge n. 230/1962". Di conseguenza, nella specie, non è stato applicato (né è venuta in discussione l'applicabilità dell') l'art. 18 stato lav., bensì il principio rimarcato da questa Corte secondo cui "nel caso di illegittima apposizione di termine di contratto di lavoro, il lavoratore ha diritto ad essere riammesso in servizio, ma la relativa azione va configurata non come richiesta di reintegrazione per illegittimo licenziamento, bensì come richiesta di adempimento del rapporto a tempo indeterminato in considerazione della nullità della clausola di apposizione del termine" (ex plurimis, Cass. n. 19899/2004). Con la precisazione a mente della quale il lavoratore che - ottenuta una pronunzia di conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della legge 18 aprile 1962 n. 230, non venga riammesso in servizio - ha diritto al ristoro del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di riassunzione del datore di lavoro, nei cui confronti trovano applicazione le regole sulla mora del creditore e in particolare quella concernente l'obbligo risarcitorio, fissata nell'art. 1206, 2° comma c.c., con conseguente necessità di riconoscere al lavoratore il diritto alla retribuzione l'attività lavorativa ingiustificatamente impeditagli, (Cass. n. 5518/2004).
V - In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso "principale" deve essere rigettato e tale pronuncia non può che comportare l'assorbimento del ricorso "incidentale" in quanto lo stesso è stato proposto "in via condizionata" e siffatta condizione (id est, "accoglimento del ricorso principale") non si è avverata.
La società ricorrente, per effetto della soccombenza, deve essere condannata al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna la s.n.c. "CREM di B. D. & c." al pagamento, a favore di A. C., delle spese del giudizio di cassazione che liquida in euro 30,00 oltre a euro 2.000,00 per onorario, e alle spese generali ed agli ulteriori oneri di legge.