CORTE DI CASSAZIONE - SEZ. I CIVILE
Sentenza 15 gennaio 2009, n. 806

(Pres. Vitrone - est. Panebianco)

...omissis...

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il Ministero dell'Interno denuncia insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione nonché violazione dell'art. 342 c.p.c. Lamenta che la Corte di merito abbia ritenuto che dall'atto di appello non si comprende se si sia inteso censurare la sentenza nella parte in cui aveva disatteso le contestazioni relative alla mancanza di un atto formale di costituzione in mora ovvero se le doglianze dell'appellante abbiano investito la mancata valutazione della non imputabilità nel ritardo dei pagamenti, malgrado la stessa Corte sia stata in grado di riferirne il contenuto. Sostiene che la Corte di merito, incorrendo in errore, ha ritenuto evidentemente inammissibile la possibilità di inserire più argomenti in un solo punto. Deduce poi che in realtà la Corte d'Appello, nell'affermare che l'emissione delle fatture, pur senza l'indicazione di un termine di pagamento, comportava la messa in mora, ha finito per non esaminare un motivo assolutamente chiaro proposto al riguardo, così come non aveva esaminato la doglianza relativa al mancato assolvimento da parte della società dell'onere di provare la sussistenza di un inadempimento incolpevole da parte dell'Amministrazione in presenza di una situazione caratterizzata da un numero di profughi nettamente superiore a quello preventivato e della accettazione da parte della società del rinnovo della convenzione nonostante i tempi di pagamento si fossero rilevati soggetti ad una certa variabilità.

La censura prospetta una questione di ordine processuale riguardante l'atto di appello che, a giudizio della Corte di merito, non presenterebbe un chiaro contenuto, non consentendo di individuare "le statuizioni concretamente impugnate" né "le ragioni sulle quali si fonda il gravame" in quanto non esposte con sufficiente grado di specificità.

Al riguardo va in primo luogo dissipato il dubbio che trattasi di questione di interpretazione dell'atto di appello, riservato certamente al giudice di merito. Risolvendosi sostanzialmente la statuizione della Corte d'Appello nel convincimento della mancanza di un'effettiva censura alla decisione del Tribunale, la questione si pone senza dubbio sotto il profilo processuale in quanto riguarda il problema dell'idoneità dell'atto, ai sensi dell'art. 342 c.p.c. espressamente richiamato, ad espletare il suo effetto devolutivo ed a far conoscere quindi al giudice di secondo grado i termini dell'impugnazione per decidere su di esso.

Orbene, dalla lettura dell'atto di appello, consentita appunto in virtù della natura processuale del contenuto della censura, risulta chiaramente che il Ministero aveva in quella sede dedotto l'erronea valutazione da parte del Tribunale delle eccezioni sollevate dalla stessa Amministrazione, riguardanti la mancanza di un formale atto di costituzione in mora, erroneamente individuate invece nell'emissione delle fatture, nonché l'omessa valutazione delle cause che avevano determinato i ritardi nei pagamenti.

Del resto, come correttamente dedotto dalla Amministrazione con il ricorso, la stessa Corte d'Appello, nel riferire il contenuto del gravame per evidenziarne le lacune, dà atto nei termini sopra esposti delle censura prospettate e, pur precisando di non comprendere se le doglianze si riferissero all'una od all'altra singola censura (alla validità dell'atto di costituzione in mora ovvero all'imputabilità nel ritardo), le esamina ugualmente, mostrando in tal modo, contrariamente alle premesse, di averle comprese.

L'accoglimento del presente motivo di ricorso consente di esaminare il secondo, riguardante la questione di diritto sostanziale che, a giudizio della Corte d'Appello, si opporrebbe all'accoglimento della domanda.

Con il secondo motivo infatti il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del R.D. n.2440 del 1923 e dei principi in materia di contabilità dello Stato nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce che la Corte d'Appello non ha considerato che i ritardi nei pagamenti erano dipesi dal rispetto della normativa sulla contabilità oltre che dalla carenza di fondi né ha tenuto conto che per i debiti pecuniari della P.A. i pagamenti si effettuano, in deroga al principio di cui all'art. 1182 comma 3 c.c., presso gli uffici della tesoreria dell'Amministrazione debitrice, con la conseguenza che, trattandosi di obbligazioni "querable", il ritardo non determina automaticamente gli effetti della costituzione in mora ex re prevista dall'art. 1219 comma 2 c.c. ma è necessaria la richiesta fatta per iscritto ai sensi del comma 1 dello stesso art. 1219 c.c..

La censura è fondata.

La questione sottoposta all'esame di questa Corte con il presente motivo costituisce il punto nodale per la soluzione della controversia avente ad oggetto la richiesta di pagamento degli interessi e di risarcimento del danno per i ritardati pagamenti, accolta dai giudici di merito sul presupposto dell'applicabilità dell'art. 1219 comma 2 n. 3 c.c., secondo il quale, ai fini della costituzione in mora del debitore, non è necessaria alcuna intimazione o richiesta per iscritto allorché, scaduto il termine, la prestazione debba essere eseguita al domicilio del creditore (cd. mora "ex re").

Nel pervenire a tali conclusioni non ha considerato però la Corte d'Appello che, nell'ipotesi in cui il debitore sia la P.A., il luogo del pagamento di una somma di denaro, in deroga all'art. 1182 comma 2 c.c. ed in osservanza della disciplina sulla contabilità generale dello Stato, debba essere individuato nella sede dell'ufficio di tesoreria dell'Amministrazione interessata, con la conseguente natura "querable" anziché "portable" del debito.

Pertanto, non essendo nel caso in esame l'obbligazione eseguibile nel domicilio del creditore ma del debitore, non può trovare applicazione il principio della "mora ex re" fissato dal richiamato art. 1219 comma 2 n. 3 c.c. al quale erroneamente la Corte d'Appello ha invece fatto riferimento.

Ai fini della costituzione in mora sarebbe stata necessaria quindi un'intimazione o richiesta fatta per iscritto, come espressamente prevede il primo comma dello stesso art. 1219 c.c..

Di tale intimazione la Corte d'Appello sembra dare atto con il richiamo alla decisione del primo giudice nella parte in cui all'emissione delle fatture era stata attribuita tale efficacia. Una tale qualificazione è però giuridicamente errata, non potendosi attribuire un contenuto del genere al semplice invio mensile delle fatture qualora non contengano o non siano accompagnate da una precisa domanda di pagamento (Cass. 10434/02; Cass. 5363/97).

Né l'emissione delle fatture potrebbe considerarsi rilevante sotto altro profilo, vale a dire come atto coincidente con la scadenza del termine per l'adempimento in quanto, a parte l'impossibilità, per le ragioni che saranno fra poco esposte, di individuare una tale coincidenza, si riproporrebbe in ogni caso, ai fini della configurabilità della "mora ex re", il problema della necessità che la prestazione sia eseguibile nel domicilio del debitore e non già, come nell'ipotesi in esame, del creditore.

La mancanza, sotto entrambi i profili, di una costituzione in mora comporta l'impossibilità di riconoscere gli interessi moratori.

La diversa richiesta di risarcimento del danno, che dalla costituzione in mora può anche in linea di principio prescindere, richiede però la presenza almeno di un ritardo colpevole. A tale ultimo riguardo si osserva che, non risultando dalla sentenza impugnata che fosse stato fissato un termine per l'adempimento (dal riferimento contenuto alla pag. 1 della sentenza sulla previsione contrattuale risulta l'indicazione circa l'emissione delle fatture che doveva avvenire alla fine di ogni mese ma non anche la scadenza del termine per l'adempimento che non può del resto certamente coincidere con il primo termine), trova applicazione l'art. 1183 c.c. in base al quale in tal caso il creditore può esigere immediatamente la prestazione. Ma in tale diverso ambito, caratterizzato dalla mancata previsione di un termine, è pur sempre necessario, ancora una volta, l'invio di una richiesta che, come si è sottolineato, non può individuarsi nell'emissione della fattura, la cui funzione è solo quella di evidenziare documentalmente gli elementi relativi all'esecuzione del contratto, con la conseguenza che non può integrare da sola una domanda se non espressamente in essa contenuta.

Pertanto anche la domanda di risarcimento del danno, derivato dalla insorta necessità di instaurare rapporti di factoring in conseguenza del preteso ritardo nei pagamenti, non può trovare accoglimento in mancanza, appunto, di un ritardo colpevole.

L'accoglimento del presente motivo, escludendo in radice la fondatezza della domanda, comporta l'assorbimento del terzo, riguardante le modalità di accertamento del danno che sarebbe stato liquidato senza la precisa indicazione dei documenti da cui la Corte d'Appello aveva tratto le proprie conclusioni sulla sua entità, confermando la sentenza del Tribunale.

L'impugnata sentenza deve essere pertanto cassata.

Risultando dalla stessa sentenza non solo che le somme dovute a titolo di rimborso sono state corrisposte prima della proposizione della citazione introduttiva del presente giudizio la quale costituisce l'unico atto di messa in mora, ma anche che i contratti di factoring sono stati stipulati in epoca precedente a qualsiasi richiesta di pagamento enucleabile nell'art. 1183 c.c., ricorrono certamente le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell'art. 384 comma 1 c.p.c. nel senso dell'infondatezza della domanda e, conseguentemente, del suo rigetto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo in relazione anche ai giudizi di merito.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione

Accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso. Dichiara assorbito il terzo. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Condanna la società controricorrente Forum Travel s.r.l. al pagamento delle spese processuali dell'intero giudizio che liquida, quanto al giudizio avanti al Tribunale, in euro 4.000,00 per onorario ed in euro 900,00 per diritti oltre alle spese prenotate a debito, quanto al giudizio avanti alla Corte d'Appello, in euro 4.500,00 per onorario ed in euro 1.500,00 per diritti oltre alle spese prenotate a debito e, quanto infine al giudizio di legittimità, in euro 7.000,00 per onorario oltre alle spese prenotate a debito.