CRITERI DI DETERMINAZIONE E MODALITA' DI VALUTAZIONE DELL'ASSEGNO DI MANTENIMENTO

 

Commento a sentenza Cassazione civile, sez. I°, 9 ottobre 2007, n. 21097

Autore: Carlo Carbone - in: Famiglia e Diritto, 4 / 2008, p. 334

La Cassazione torna a pronunciarsi sulla determinazione dell'assegno di mantenimento in sede di separazione, per chiarire ulteriormente i presupposti legali e le modalità di accertamento di essi. Dovrà accertarsi primariamente il tenore di vita tenuto in costanza di convivenza; successivamente verificare se il coniuge istante abbia redditi sufficienti per mantenerlo, tenuto conto anche dell'incidenza patrimoniale dell'affidamento dei figli. L'assegno potrà essere riconosciuto ove il raffronto dello stato reddituale dei coniugi esprima una differenza che lo giustifichi.

 

L'assegno di mantenimento

La separazione coniugale ha, come noto, effetti di natura personale e di natura patrimoniale.

Essa non estingue il vincolo coniugale, ma ha effetti limitativi di esso, soprattutto di natura personale, legati all'insostenibilità ed improseguibilità della convivenza tra i coniugi.

Resta fermo invece il diritto all'assistenza materiale che, venuto meno l'obbligo di convivenza, si traduce, tra l'altro, nel diritto al versamento di un assegno.

L'art. 156 c.c. stabilisce che in sede di separazione il giudice, nella pronunzia sulla separazione, può attribuire al coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall'altro quanto necessario al suo mantenimento, qualora non abbia adeguati redditi propri. L'entità della somministrazione varia in base alle circostanze e ai redditi dell'obbligato. In ogni caso restano fermi gli obblighi alimentari di cui all'art. 433 c.c.

L'addebito della separazione incide sulla maturazione del diritto: il coniuge cui è addebitata la separazione mantiene solo il diritto agli alimenti e perde il diritto al mantenimento e all'assistenza previdenziale e l'aspettativa successoria.

Quanto al coniuge obbligato, l'attribuzione dell'assegno può essere richiesta a prescindere dall'addebito. L'assegno non è infatti, una sanzione, ma un obbligo primario legato al persistente vincolo coniugale. La sanzione è, magari, la perdita del diritto al mantenimento.

Con la separazione viene meno l'accordo dei coniugi sull'indirizzo della vita familiare, e con esso il dovere di contribuzione di cui all'art. 143 c.c., sostituito dal dovere di mantenimento. Esso è parte del dovere di assistenza materiale scaturente dal matrimonio, nel quale si esprime la solidarietà matrimoniale. In passato pur prevedendosi l'assistenza reciproca dei coniugi, esisteva un evidente sbilanciamento, con la centralità della figura del marito, che doveva proteggere la moglie, tenerla presso di sé e mantenerla. Oggi, in ossequio al dettato costituzionale (art. 29) e all'esito della Riforma del Diritto di famiglia, "con il matrimonio marito e moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri". Tra questi, l'obbligo di assistenza morale e materiale, che comprende un dovere reciproco del coniuge che abbia maggiore reddito, di far partecipare l'altro al comune tenore di vita.

L'assegno ha la propria fonte nella legge, nel diritto all'assistenza materiale interente al vincolo coniugale: la sentenza determina il contenuto, rendendo il diritto liquido ed esigibile [1]. Il provvedimento che lo determina è una sentenza di condanna che costituisce titolo esecutivo per l'esercizio del diritto. Il diritto di mantenimento è riconosciuto su domanda di parte, anche in separato giudizio ed è irrinunciabile e intransigibile in via preventiva.

Dunque il coniuge che non abbia adeguati redditi propri e non abbia a suo carico l'addebito, può pretendere l'assegno di mantenimento, una prestazione pecuniaria periodica, da determinarsi in base alle circostanze e ai redditi dell'obbligato.

 

Criterio di determinazione

Secondo orientamento costante della Cassazione, l'assegno di mantenimento deve consentire di conservare il tenore economico avuto durante il matrimonio. Il difetto di "redditi adeguati" non deve cioè intendersi come stato di bisogno, ma come carenza di redditi sufficienti ad assicurare il tenore di vita goduto nel regime di convivenza.

Il tenore di vita va valutato in astratto, come quello che l'altro coniuge, in base alle sue sostanze, avrebbe dovuto consentire. Se il coniuge prima del matrimonio, per trascuranza o negligenza si sottraeva all'obbligo di contribuire, a misura dei suoi mezzi economici, alle esigenze globali della coppia e dei figli, costringendo l'altro in ristrettezze, o non consentendo il tenore che avrebbe potuto permettere, quest'ultimo potrà pretendere, dopo la separazione, l'assegno di mantenimento parametrato alla posizione economica del consorte, a prescindere dal tenore di vita "tollerato" in costanza di matrimonio.

Per il sorgere del diritto al mantenimento è necessaria, oltre alla mancanza di adeguati redditi propri, la disparità economica tra le parti.

Il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del concorso negli oneri finanziari, è costituito, secondo il disposto dell'art. 148 c.c., non soltanto dalle sostanze, ma anche dalla capacità di lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, e ciò implica, come vedremo, la valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali.

Il giudice ha facoltà di determinare l'assegno periodico di mantenimento, che un coniuge è obbligato a versare in favore dell'altro, in una somma di danaro unica o in più voci di spesa, che nel loro insieme risultino idonee a soddisfare le esigenze del coniuge in cui favore l'assegno è disposto, rispettando il requisito generale di determinatezza o determinabilità dell'obbligazione (art. 1346 c.c.). Pertanto, il coniuge può essere obbligato a corrispondere, oltre ad un assegno determinato in somma di danaro, anche altre spese, quali quelle relative al canone di locazione per la casa coniugale ed i relativi oneri condominiali, purché queste spese abbiano costituito oggetto di specifico accertamento nel loro ammontare e vengano attribuite nel rispetto dei criteri sanciti dai commi 1 e 2 dell'art. 156 c.c. [2].

E anzi, siccome la separazione instaura un regime che tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il "tipo" di vita di ciascuno dei coniugi, se prima della separazione i coniugi hanno concordato - o, quanto meno, accettato - che uno di essi non lavorasse, l'efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione [3].

Il parametro di riferimento, ai fini della valutazione di adeguatezza dei redditi del soggetto che invoca l'assegno, è dato dunque dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio e che "le circostanze" da considerare, ai fini della determinazione del quantum, sono quegli elementi fattuali di ordine economico, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti.

In mancanza del "difetto" di redditi adeguati non sarà possibile ottenere l'assegno, anche se vi siano differenze considerevoli con il reddito dell'altro coniuge.

La conservazione del precedente tenore di vita da parte del coniuge beneficiario dell'assegno costituisce in ogni caso un obiettivo tendenziale: non sempre la separazione, aumentando le spese fisse dei coniugi, ne consente la piena realizzazione, sicché esso va perseguito nei limiti consentiti dalle condizioni economiche del coniuge obbligato. [4]

La decorrenza dell'assegno retroagisce al momento della domanda. Dovranno essere effettuati i debiti conguagli rispetto all'assegno provvisorio stabilito nei decreti presidenziali, ma soltanto a favore del coniuge beneficiario: egli non sarà tenuto, in caso di diminuzione, a restituire alcuna somma, né potrà esigere il non riscosso, essendo venuto meno il titolo [5].

In conclusione, la valutazione prioritaria è quella del tenore di vita tenuto dai coniugi durante il matrimonio. In seguito, bisognerà esaminare se il coniuge che richiede l'assegno abbia i mezzi adeguati per mantenerlo, disponga cioè di "adeguati redditi propri".

I redditi propri

La sentenza di commento fa riferimento alle "entrate" del coniuge istante, ma esse sono state diversamente distinte nel tempo dalla Cassazione.

Partiamo dai redditi che il coniuge è in grado di produrre da sé.

Devono essere valutate, come detto, le potenzialità lavorative del coniuge bisognoso. L'attitudine al lavoro assume rilievo, nella quantificazione delle capacità di guadagno del coniuge bisognoso, solo come effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, tenuto conto di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non solo in base a considerazioni astratte ed ipotetiche [6].

E' irrilevante che il coniuge abbia una capacità di lavoro, ove sia involontariamente disoccupato oppure trovi difficoltà a ottenere occasioni di lavoro per via delle esigenze familiari; è irrilevante che il coniuge bisognoso abbia capacità lavorativa se le concrete possibilità di esplicazione non sia confacenti con le sue attitudini o siano eccessivamente gravose rispetto al livello di vita matrimoniale.

In definitiva l'inattività lavorativa può costituire circostanza idonea ad eliminare l'obbligo di versare i mezzi di sussistenza solo se è conseguente al rifiuto, debitamente accertato, di concrete, adeguate, effettive, e non meramente ipotetiche, opportunità di lavoro. Il mancato sfruttamento delle proprie attitudini e possibilità lavorative non può lasciar presumere, di per sé, il volontario rifiuto di occasioni di reddito o una scarsa diligenza nella ricerca di un lavoro, finché non siano provati il rifiuto ingiustificato di una concreta opportunità di occupazione, o la dismissione senza giusto motivo, di un'attività lavorativa pregressa [7]. Se la mancanza di occupazioni derivi da "inerzia colpevole" essa potrà incidere nella valutazione dell'obbligo dell'altro coniuge.

Inoltre, il diritto al mantenimento è subordinato alla condizione che chi lo pretenda "non abbia adeguati redditi propri", a differenza di quanto previsto, in materia di divorzio, dall'art. 5, comma 6, l. 1 dicembre 1970 n. 898, come modificato dall'art. 10, l. 6 marzo 1987 n. 74, del divorzio, che condiziona il diritto al fatto che chi lo pretende non possa procurarseli per ragioni oggettive; ciò in quanto se - ad esempio - prima della separazione i coniugi avevano concordato o, quanto meno, accettato anche per facta concludentia che uno di essi non lavorasse, l'efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione, perché la separazione instaura un regime che, a differenza del divorzio, tende a conservare il più possibile tutti gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tenore e il "tipo" di vita di ciascuno dei coniugi [8].

 

Circostanze incidenti sulla determinazione

Naturalmente, circostanze di fatto potranno incidere positivamente o negativamente sul tenore di vita del coniuge separato. Ad esempio influirebbe la convivenza del coniuge bisognoso con un terzo ove abbia carattere di continuità, e incida sulle condizioni economiche, così come le elargizioni corrisposte dai familiari cui pure la giurisprudenza riconosce una certa rilevanza [9]. La convivenza del coniuge percettore con altro soggetto può assumere rilevanza solo qualora presenti requisiti di stabilità tali da far presumere una stabile contribuzione del convivente sul piano patrimoniale.

L'adeguatezza dei mezzi a disposizione va valutata tenuto conto della sua situazione patrimoniale complessiva, comprendente non solo i redditi in senso stretto, ma anche i cespiti di cui egli abbia il diretto godimento ed ogni altra utilità suscettibile di valutazione economica. Occorre tenere conto anche del prezzo ricavato dall'alienazione di un immobile che, opportunamente reinvestito, può produrre nuovi profitti suscettibili di valutazione [10]. L'assegno poi deve essere determinato non solo in base ai redditi del coniuge obbligato, ma in relazione a tutte le sue sostanze, richiamandosi il principio dell'art. 143 c.c.

Il diritto al mantenimento va negato quando la posizione economica dell'obbligato sia tale da far sì che qualsiasi decurtazione si traduca nella privazione del minimo indispensabile per la sopravvivenza. La modesta entità non è ostativa ove sia possibile un equo contemperamento tra le esigenze dell'obbligato e l'opportunità di assicurare un pur minimo contributo alle necessità del secondo.

Accertato il diritto del richiedente all'assegno di mantenimento, il giudice, ai fini della determinazione del "quantum" dello stesso, deve tener conto anche degli elementi fattuali di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell'onerato, suscettibili di incidenza sulle condizioni delle parti, quali ad esempio l'obbligo di mantenimento, in misura consona al proprio tenore di vita, dei figli nati da una nuova relazione, o le ripercussioni sul piano reddituale della legittima scelta personale del coniuge obbligato al mantenimento di cessare l'attività professionale e il vantaggio derivante al coniuge beneficiario dell'assegno dal godimento della casa coniugale [11].

 

Modalità di accertamento

Ai fini della quantificazione dell'assegno a favore del coniuge separato, i redditi dei coniugi non devono essere accertati nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle situazioni patrimoniali complessive [12]. L'assegno di mantenimento, come detto, decorre dalla data della relativa domanda, in applicazione del principio per il quale un diritto non può restare pregiudicato dal tempo necessario per farlo valere in giudizio. Tale principio attiene soltanto al profilo dell'an debeatur della domanda, e non interferisce, pertanto, sull'esigenza di determinare il quantum dell'assegno alla stregua dell'evoluzione intervenuta in corso di giudizio nelle condizioni economiche dei coniugi, né sulla legittimità di fissare misure e decorrenze differenziate dalle diverse date in cui i mutamenti si siano verificati [13].

La valutazione comparativa della situazione dei due coniugi è il punto di riferimento costante per la sussistenza e l'ammontare dell'assegno. Essa tiene conto delle esigenze del coniuge bisognoso per mantenere il tenore di vita adeguato alla sua posizione economico-sociale, e dello stato patrimoniale dell'obbligato, per cui la variazione anche di uno soltanto di questi indici potrà giustificare una richiesta di revisione.

La determinazione del reddito può dedursi, attraverso l'esame della dichiarazione dei redditi, sia attraverso l'accertamento compiuto dagli ufficiali fiscali, sia attraverso la considerazione che il coniuge, pur non risultando avere beni propri o una propria fonte di guadagno, è tuttavia in grado di condurre una vita agiata. Deve anche tenersi conto delle elargizioni che l'obbligato riceve dai genitori durante il matrimonio, ove si protraggano nel regime di separazione con carattere di regolarità e continuità. Ancora il giudice, nel determinare l'assegno di mantenimento, potrà contenerne l'ammontare, stabilendo che il coniuge beneficiario potrà disporre della casa coniugale e del relativo arredo.

In passato si negava la possibilità di ancorare l'assegno di mantenimento alle modificazioni dell'indice del costo della vita, affermandosi che un meccanismo automatico avrebbe potuto comportare conseguenze ingiuste, poiché non sempre al deprezzamento della moneta corrisponde un aumento del reddito dell'obbligato.

In epoca recente si è data prevalenza alle esigenze di adeguamento alle necessità del coniuge e dei figli a favore della soluzione positiva, accolta dalla giurisprudenza più recente. Può allora applicarsi analogicamente l'art. 5 della l. n. 898/70, che al comma 7 prevede che la sentenza debba stabilire criteri di adeguamento automatico dell'assegno agli indici di svalutazione monetaria, fermo restando il potere del giudice di escludere la previsione con motivata decisione, ove essa possa portare a risultati sostanzialmente iniqui. Anzi il giudice può procedere all'aggiornamento agli indici Istat dell'assegno di mantenimento indipendentemente da domanda, in quanto tale aggiornamento si può considerare come pretesa già racchiusa nell'istanza di corresponsione del dovuto [14].

Il diritto all'assegno inoltre si estingue se viene meno successivamente il presupposto dell'insufficienza del reddito del beneficiario o se le condizioni economiche dell'altro coniuge si deteriorano al punto da equivalere a quelle del beneficiario. L'estinzione si basa su diritti diversi da quelli già accertati giudizialmente, per cui sarà necessario un provvedimento che accerti i nuovi fatti.

Il Tribunale su istanza di parte, potrà disporre in camera di consiglio ai sensi dell'art. 710 c.p.c. la revoca o modifica dei provvedimenti.

 

Rapporti con l'affidamento della prole

L'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole che grava su entrambi i genitori permane anche durante lo stato di separazione.

A seguito della separazione personale tra coniugi, la prole ha diritto ad un mantenimento tale da garantirle un tenore di vita corrispondente alle risorse economiche della famiglia ed analogo, per quanto possibile, a quello goduto in precedenza, continuando a trovare applicazione l'art. 147 c.c. che, imponendo il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, obbliga i genitori a far fronte ad una molteplicità di esigenze, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, alla opportuna predisposizione - fin quando l'età dei figli lo richieda - di una stabile organizzazione domestica, idonea a rispondere a tutte le necessità di cura e di educazione.

Il nuovo art. 155, al comma 4, c.c., dispone che salvi diversi accordi, ciascuno partecipa proporzionalmente al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice, ove, necessario, può imporre la corresponsione di un assegno periodico che consenta di realizzare il principio di proporzionalità. L'introduzione dell'"affido congiunto", come vedremo, non ha inciso in termini patrimoniali sui criteri di determinazione dell'assegno di mantenimento.

La Suprema Corte ha sottolineato che la determinazione della capacità reddituale, quale parametro per l'assegno ai figli, va effettuata considerando ogni forma di reddito o di utilità di ciascun genitore, compresi quindi gli immobili, siano essi direttamente abitati o diversamente impiegati; l'art. 148, c.c., nell'assumere quale parametro di riferimento non solo le sostanze dei coniugi ma anche le loro capacità di lavoro professionale o casalingo, intende valorizzare anche le potenzialità reddituali e funzionali dei coniugi stessi. La capacità economica di ciascun genitore, va determinata anche a tal fine in riferimento al complesso patrimoniale costituito dai redditi di lavoro subordinato o autonomo, da ogni altra forma di reddito o utilità, quali il valore dei beni mobili o immobili posseduti, le quote di partecipazione sociale, i proventi di qualsiasi natura. 

La Cassazione ha inoltre definito il rapporto intercorrente fra l'affidamento congiunto e l'assegno di mantenimento. Essa sottolinea le diverse finalità assolte dall'affidamento congiunto e dall'assegno di mantenimento, nel contesto delle vicende di separazione o di scioglimento del matrimonio. L'affidamento congiunto non ha una valenza patrimoniale, attiene all'interesse esistenziale del minore ed è finalizzato alla tutela del suo equilibrio psico-fisico, laddove la corresponsione dell'assegno di mantenimento presenta una natura prettamente patrimoniale ed è volta a realizzare la cd. assistenza materiale del minore, consistente nella corresponsione delle spese necessarie per il suo sviluppo psico-fisico. La soluzione della Corte, affermata già prima della l. n. 54/2006, trovava conferma nella previsione di cui all'art. 6 della l. 1 dicembre 1970 n. 898, in materia di divorzio, come novellata dalla l. 6 marzo 1987, n. 74, che attribuisce al giudice il potere discrezionale di disporre l'affidamento congiunto o alternato, avuto riguardo all'interesse del minore, ed è stata consacrata nelle nuove disposizioni in tema di affidamento condiviso. L'interesse coinvolto è di natura morale ed esistenziale: l'affidamento congiunto non presenta alcun riflesso di natura patrimoniale e, in particolare non comporta l'obbligo di ciascun coniuge di provvedere in via diretta e in misura paritaria al mantenimento dei figli. E' istituto fondato sull'esclusivo interesse del minore, e non fa venir meno l'obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo però escluso che esso implichi, automaticamente che ciascun genitore debba provvedere paritariamente. [15]

 

Conclusioni: il caso di specie

Nel caso di specie, la Corte ha rigettato il ricorso del coniuge che contestava al giudice di merito di non aver accertato sufficientemente il reddito dei due coniugi prima di procedere alla determinazione dell'assegno, né le intervenute modifiche alle condizioni dei coniugi.

Osserva la S.C. che il giudice di merito ha previamente proceduto alla valutazione delle condizioni della coppia, giudicandole "in termini senz'altro soddisfacenti" in base ai redditi derivanti dalle attività di entrambi, in base alla verifica dei movimenti contabili, dell'acquisto di un immobile, e degli indici fattuali del caso.

In secondo luogo ha proceduto ad accertare lo stato della moglie, affidataria dei figli, successivo alla separazione. In particolare si rilevava che, quanto essa avrebbe potuto guadagnare, proseguendo nelle medesime attività, veniva gravato delle spese di affitto, e inoltre la sua stessa capacità lavorativa trovava un limite nelle necessità familiari derivanti dall'affidamento di due figli in giovane età: senza le entrate del marito ella avrebbe avuto gravi difficoltà a mantenere il medesimo tenore di vita.

Infine era stata effettuata la valutazione comparativa, in base alle risultanze fiscali, dei mezzi di ciascun coniuge successivi alla separazione.

Pertanto la corte di merito si era attenuta alle indicazioni di legge e alle istruzioni tracciate negli anni dalla medesima S.C. nell'accertamento delle condizioni dei due coniugi, tenendo conto delle possibili fonti di introito. L'incremento alla moglie e l'impoverimento del marito nel caso di specie lasciano fermo un divario che rende ragionevole l'imposizione dell'assegno, tenuto conto di quanto residua a quest'ultimo al netto dell'assegno.

Quanto all'invocata denegazione del riconoscimento delle somme derivanti dalla vendita delle quote societarie fiduciariamente intestate alla moglie, la Cassazione oltre a ribadire la tardività della richiesta sotto il profilo processuale, e la necessità che essa venga conosciuta dai giudici di merito, ha chiarito che tale vendita non incide, secondo i criteri fissati, sullo stato reddituale del coniuge, trattandosi non di un provento stabile ma di un singolo atto dispositivo, e che in ogni caso non sarebbe incidente sullo stato reddituale una somma di cui egli stesso pretende la restituzione.  


Note:


1 Bianca, Diritto civile. Famiglia e successioni. Vol. II, Milano 2001, 191; Russo, Le convenzioni matrimoniali, Milano, 1983, 221.

2 Cass. civ. sez I, 30 luglio 1997, n. 7127, Giust. Civ. Mass., 1997, 789.

3 Cass. civ. sez. I, 7 marzo 2001 n. 3291, in questa Rivista, 2001, 608, nt Naddeo; Cass. civ. 4 aprile 1998 n. 3490; 18 agosto 1994 n. 7437 in Nuova Giust. Civ., 1995; I, 551.

4 Cass. civ. sez. I, 16 novembre 2005 n. 23071, in Giust. Civ. Mass., 2005, 11.

5 Cass. civ. sez. I, 5 ottobre 1999 n. 11029, in Giust. Civ. Mass., 1999, 2066.

6 Cass. civ. sez. I, 19 marzo 2002, n. 3975, in Giust. Mass., 2002, 489.

7 Cass. civ. sez. I, 2 luglio 2004, n. 12121, in Foro it., 2006, 2, 580.

8 Cass. civ. sez. I, 19 marzo 2004, n. 5555, in Giust. Civ. Mass., 2004, 3.

9 Cass. civ. sez. I, 12 dicembre 2003 n. 19042, in questa Rivista, 2004, 373 con nota di Cosco; Cass. civ. 8 febbraio 1977 n. 556, in Foro It., 1978, I, 2268; 26 giugno 1996 n. 5916, in questa Rivista, 1996, 530 e 8 novembre 1997 n. 11031, ivi 1998, 347 con nota di Giuliano.

10 Cass. Civ. sez. I, 2 luglio 1990, n. 6774, in Giust. Civ. Mass., 1990, 7.

11 Cass. civ. sez. I, 4 aprile 2002, n. 4800, in Giust. Civ. Mass. 2002, 739; in Giur. It., 2003, 686 con nota di Barbiera.

12 Cass. civ. sez. I 19 marzo 2002, n. 3974, in Giust. Civ. Mass. 2002, 488; 8 maggio 1998, n. 4679, in Giust. Civ. Mass., 1998, 683.

13 Cass. civ. sez. I, 22 ottobre 2002, n. 14886, in Giust. Civ. Mass., 2002, 1829; 22 aprile 1999, n. 4011 in questa Rivista, 1999, 560, con nota di Morello Di Giovanni.

14 Cfr. Cass. civ. 6 dicembre 1999 n. 13610, citata in Bianca, Diritto civile. Famiglia e successioni. Op. cit., 193, nt. 84; Cass. civ. sez. I, 4 febbraio 2000 n. 1126, in questa Rivista, 2000, 582, con nota di Ivaldi.

15 Cass. civ. sez. I, 18 agosto 2006 n. 18187, in Giust. Civ. Mass. 2006, 7-8.

Autore: Carlo Carbone - in: Famiglia e Diritto, 4 / 2008, p. 334