Gli effetti delle fusioni e dei conferimenti negli appalti pubblici

(commento all'art. 35 L. 11/02/94 n. 109)

L'art. 35 della Legge n. 109/1994, e successive modifiche, rubricato “ Fusioni e conferimenti”, disciplina le ipotesi di cessione d'azienda nonché di trasformazione, fusione e scissione relative ad imprese che eseguono opere pubbliche, individuando le condizioni ed i presupposti per la verifica del possesso dei requisiti richiesti ai fini della partecipazione alle gare nonché per il subentro del nuovo soggetto nel contratto di appalto nei confronti dell'ente appaltante.

La norma nasce in un periodo contingente al fine di consentire alle imprese di costruzione, all'epoca in difficoltà per la crisi del settore ed a causa della concorrenza con le imprese straniere, di procedere alla necessaria ristrutturazione imprenditoriale, contemperando detta esigenza con la tutela della collettività dall'infiltrazione della delinquenza mafiosa; nasce, pertanto, come norma transitoria ed a carattere tendenzialmente eccezionale, tuttavia, permanendo in vigore ha perso detto caratteri, essendosi stabilizzata nell'ordinamento.

La norma in commento, che non ha subito alcuna modifica da parte delle LL. 216/1995 e 415/1998, ha una notevole portata innovativa nella materia, in quanto, da un lato, disciplina per la prima volta espressamente detto istituto e, dall'altro, lo fa procedendo ad un adattamento dello schema privatistico all'ambito pubblicistico.

In precedenza mancava una disciplina specifica in materia, in quanto la L. 203/1991 aveva abrogato gli artt. 334 e 339 della legge fondamentale dei lavori pubblici, nella parte in cui veniva consentita la cessione dell'appalto di opere pubbliche previa autorizzazione da parte dell'autorità competente, ed aveva con l'art. 22 della stessa legge novellato l'art. 18 della L. 55/1990, introducendone il capoverso, secondo cui “ il contratto non può essere ceduto, a pena di nullità”, non colpito a sua volta dalle innovazioni apportate a detto articolo con la L. 415/1998.

In mancanza di una normativa espressa sul punto, la dottrina e la giurisprudenza precedenti all'entrata in vigore della L. 109/1994, si erano attestate in senso contrario all'opponibilità della cessione dell'azienda o di un suo ramo all'ente appaltatore con successione nel contratto ai sensi dell'art. 2558 c.c., attraverso l'applicazione estensiva alla fattispecie all'esame del disposto di cui all'art. 18 della L. 55/1990, da intendersi come divieto assoluto della cessione del contratto di appalto di opere pubbliche, sia per effetto di un negozio diretto sia a causa di un negozio indiretto, dovendosi intendere la cessione del contratto non come “nomen iuris” di uno specifico schema contrattuale ma come effetto giuridico che si verifica quando vi è comunque successione di un terzo in un contratto preesistente, e argomentando in merito alla natura del contratto di appalto di opere pubbliche da qualificarsi in termini di contratto “intuitu personae”, ossia a carattere personale, e pertanto escluso, a norma dell'art. 2558 c.c., dalla successione dei contratti conseguente alla cessione di azienda ( v. C.d.S., sez. II, 3 febbraio 1993, n. 53, in Cons. Stato 1994, I, 1450 e C.d.S., sez. V, 13 maggio 1995, n. 761 in Cons. Stato 1995, I, 717, e T.A.R. Campania, Napoli, 7 ottobre 1997, n. 2471 in Foro Amm. 1998, 2202).

In tal senso erano indirizzati tanto i conformi pareri dell'Avvocatura generale dello Stato n. 55935 del 25 maggio 1992 e n. 80774 dell'1.8.1992, quanto il parere del Consiglio di Stato, sez. II, n. 53 del 3 febbraio 1993 ( in Cons. Stato 1994, I, 1450), sulla base della ritenuta assimilabilità della cessione d'azienda alla cessione del contratto, trattandosi di una differenziazione eminentemente quantitativa e non, invece, qualitativa.

Non mancavano, tuttavia, decisioni in senso contrario che negavano al divieto in questione la qualificazione in termini di principio generale, facendone derivare l'insuscettibilità di interpretazione estensiva ed analogica, in quanto norma eccezionale che mira a prevenire la delinquenza di tipo mafioso ed altre gravi manifestazioni di pericolosità sociale, dovendo invece trovare applicazione il disposto di cui all'art. 2558 c.c. ( v. T.A.R. Puglia, sez. II, Lecce, 11 febbraio 1994, n. 104, in T.A.R. 1994, I, 1616 e idem, 7 aprile 1997, n. 242, in T.A.R. 1997, I, 2090, T.A.R. Abruzzo, sez. L'Aquila, 25 ottobre 1996, n. 563, in T.A.R. 1996, I, 4604).

La dottrina, in particolare, ha rilevato come il concetto di contratto personale ai sensi dell'art. 2558 c.c. andasse inteso in senso più restrittivo rispetto al contratto comunemente qualificato dall'intuitus personae, nella cui categoria andava ricompreso il contratto di appalto di opere pubbliche, in quanto la prestazione dedotta non assume il carattere dell'infungibilità e non assumono rilevanza determinante del consenso l'identità e le qualità personali dell'imprenditore, sebbene prese in considerazione ai fini dell'esattezza e della puntualità dell'adempimento.

La posizione originariamente assunta dal Consiglio di Stato è stata superata dal disposto espresso della norma in commento, la quale ha disciplinato tanto i rapporti contrattuali già in essere, con i commi 1,2, e 3, quanto l'ammissione dei concorrenti alla procedura di gara, con il co. 4, consentendo la cessione dell'azienda ed altre simili operazioni subordinatamente ad un procedimento di verifica del possesso dei requisiti richiesti dalla normativa in materia.

Con l'art. 35 è stato, pertanto, dettato un regime intermedio tra la normativa pubblicistica di cui all'art. 18 della L. 55/1990, che sancisce la radicale nullità della cessione del contratto di appalto, e la disciplina civilistica che prevede la libera cessione dei contratti con valido consenso ex art. 1406 c.c. o la cessione dell'azienda ai sensi dell'art. 2558 c.c., con i limiti ivi indicati, data dall'efficacia condizionata della cessione al positivo espletamento del procedimento di verifica.

Il legislatore ha voluto contemperare le opposte esigenze di consentire la circolazione dei beni aziendali e di tutelare la collettività dall'infiltrazione di tipo mafioso.

L'art. 35 introduce, pertanto, un modello normativo di compromesso tra opposte esigenze, valorizzare la regola di necessaria verifica dei requisiti soggettivi del contraente e consentire il subentro quando in concreto il cessionario dell'azienda si sottoponga volontariamente a detta verifica ( v. T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 9 settembre 1998, n. 1023, in Appalti urbanistica edilizia 1999, 665).

E' stato ritenuto che l'art. 35 rappresenti una applicazione di principi già presenti nella legislazione quanto al contenuto della cessione del ramo d'azienda ed alla qualificazione come privi di carattere personale dei contratti di appalto dei lavori pubblici, avendo, invece, portata innovativa nella parte in cui subordina l'efficacia della cessione nei confronti di ciascuna amministrazione aggiudicatrice a determinati adempimenti e condizioni ( v. T.A.R. Puglia, sez. II, Lecce, 7 aprile 1997, n. 242 in Foro Amm. 1997, 3242).

Pur a seguito dell'entrata in vigore della norma in commento permangono alcuni problemi di ordine operativo inerenti all'esatta individuazione dell'ambito soggettivo ed oggettivo di applicazione della stessa.

Per quanto attiene al primo aspetto si rileva che l'art. 2, co. 3, della L. 109/1994, nel testo modificato con la L. 216/1995, escludeva o non prevedeva espressamente l'applicazione dell'art. 35 per alcuni dei soggetti ivi indicati, esclusione che, secondo una parte della dottrina, era da imputarsi ad un errore di coordinamento del testo.

Con l'ordinanza del T.A.R. Emilia Romagna 10 dicembre 1996 ( in G.U., n. 17, 1° serie speciale del 1997) è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2 e 35 della L. 109/1994 in riferimento agli artt. 3, 41 e 97 Cost. per disparità di trattamento, violazione del principio di imparzialità e ingiustificata limitazione alla libertà di iniziativa economica, in quanto da dette disposizioni si ricavava il principio per cui la cessione d'azienda e la trasformazione societaria fosse ammissibile solo nel caso in cui l'ente appaltatore fosse stata una pubblica amministrazione in senso stretto, con esclusione dei soggetti diversi in ogni caso tenuti all'applicazione della normativa in materia.

La Corte Costituzionale con l'ordinanza del 5 marzo 1998 n. 47 ( in Giur. Cost. 1998, 534) ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione per difetto di motivazione in ordine alla rilevanza della questione, in quanto il giudice a quo avrebbe dovuto specificare tanto la natura del soggetto aggiudicatore quanto quella della convenzione inizialmente instaurata.

La problematica è stata risolta in sede legislativa attraverso le modifiche apportate all'art. 2 della Legge quadro dalla L. 415/1998, che ha eliminato ogni richiamo all'art. 35 dall'art. 2, rendendo conseguentemente applicabile detta norma per tutti i soggetti tenuti all'applicazione della normativa in materia.

L'ambito oggettivo di applicazione della norma con riferimento alle ipotesi in cui la stessa trova applicazione è definito attraverso il richiamo alle fattispecie della cessione d'azienda da un lato e, dall'altro, della trasformazione, fusione e scissione delle società.

Con l'art. 35 il legislatore ha voluto, infatti, evitare che si ponessero gli stessi problemi di interpretazione con riferimento alla novazione soggettiva del contratto di appalto conseguente a successioni di tipo universale.

Si tratta di nozioni di derivazione essenzialmente commercialistica, tra cui rileva, per la sua attualità la nozione della scissione, di derivazione comunitaria e recentemente recepita nel nostro ordinamento, ed istituti da tempo consolidati da parte della dottrina e della giurisprudenza commercialistica, ed esaustivi di tutte le ipotesi di trasferimento del contratto, quale conseguenza indiretta della volontà negoziale ed risultato di un negozio giuridico più ampio, e, pertanto, diverse dalla fattispecie di cui all'art. 1406 c.c..

La norma considera espressamente le due ipotesi, l'una, di cui ai primi tre commi, dei rapporti contrattuali già in essere, ammettendo il subentro nei contratti già conclusi, con efficacia condizionata al verificarsi o meno di eventi ulteriori, e l'altra, di cui al quarto comma, dell'ammissione dei concorrenti alle procedure di gara, ossia dell'ingresso nella procedura di scelta mentre è in corso la procedura di recupero dell'iscrizione all'A.N.C..

L'art. 35, ai commi 1, 2 e 3, stabilisce che la cessione o la modificazione della struttura imprenditoriale dell'appaltatore non producono effetti nei confronti dell'amministrazione fino a quando il cessionario od il nuovo soggetto imprenditoriale non abbia provveduto ad effettuare le comunicazioni di cui all'art.1 del D.P.C.M. 11 maggio 1991 n. 187 documentando il possesso dei requisiti richiesti dall'art. 10-sexies della L. 575/1965; che nei sessanta giorni successivi all'effettuazione di detta comunicazione, l'amministrazione può opporsi al subentro del nuovo soggetto nella titolarità del contratto e che la mancata opposizione nel termine di sessanta giorni dall'effettuazione della comunicazione di cui al primo comma, gli atti producono i loro effetti.

Per quanto attiene ai motivi dell'opposizione possono proporsi due diverse soluzioni l'una volta a ritenere che i motivi debbano necessariamente ricadere sul mancato rispetto dei requisiti richiesti- riferiti alle condizioni per poter contrarre con la P.A. in quanto non soggetto a provvedimenti cautelari previsti a tutela della collettività dai fenomeni di criminalità organizzata- con impossibilità per l'amministrazione di opporsi per motivi diversi rispetto a quelli espressamente presi in considerazione, o meglio sulla mancanza di risultanza della sussistenza di detti requisiti, con l'ulteriore problema della verifica della sussistenza della possibilità per l'amministrazione, in difetto dei necessari elementi di valutazione, di richiedere all'impresa chiarimenti in merito, così sospendendo il decorso del termine, o ritenendo al contrario che, in caso di dubbio, debba essere assunto un provvedimento negativo, e l'altra volta, invece, a ritenere sufficiente che detti motivi siano determinati da un interesse pubblico.

Dall'altra la norma prevede la facoltà di opposizione al subentro nel contratto, mentre più esattamente dovrebbe in tal caso configurarsi un obbligo della stessa.

Inoltre ci si chiede se possa in ogni caso trovare applicazione il disposto di cui all'art. 2558, co. 2, c.c., nella parte in cui riconosce al contraente ceduto una generale facoltà di recesso per giusta causa entro i tre mesi successivi all'alienazione.

Al quesito dovrebbe darsi risposta affermativa partendo dalla considerazione che l'art. 35 costituisce un adattamento della norma civilistica di cui all'art. 2558 c.c. all'ambito pubblicistico e considerato che, in caso contrario, la posizione dell'amministrazione sarebbe stata garantita in modo minore rispetto a quello spettante agli altri contraenti iure privatorum, con la conseguenza che detta norma potrebbe essere invocata dall'amministrazione per fare valere qualsiasi altra ragione che integri gli estremi della giusta causa per la stazione appaltante.

Si rinviene, invece, una apparente contraddizione tra il secondo ed il terzo comma dell'articolo in commento nella parte in cui l'opposizione dell'amministrazione risolverebbe effetti che in realtà non si sono mai prodotti in quanto sottoposti alla condizione sospensiva del decorso dei sessanta giorni senza opposizione.

All'atto di opposizione va, poi, riconosciuta la natura di un vero e proprio provvedimento amministrativo che impone, ai sensi dell'art. 3, all'amministrazione di fornire una adeguata motivazione in ordine alle scelte effettuate.

Al riguardo la dottrina ha formulato due diverse valutazioni, ritenendo, da un lato, che l'espressione condizione risolutiva sia usata in modo atecnico da parte del legislatore, individuando l'impedimento del verificarsi della condizione sospensiva con l'inutile decorso del termine, e, dall'altro, ritenendo che gli effetti risolti con l'opposizione siano diversi e più ridotti rispetto a quelli che si producono con il decorso dei sessanta giorni; si tratterebbe, pertanto, di uno stato intermedio di produzione di qualche effetto suscettibile di neutralizzazione, nell'ambito di una graduale produzione degli effetti, dato dalla liberazione dal vincolo contrattuale dell'appaltatore ceduto o nella possibilità per l'amministrazione di autorizzare la prosecuzione dei lavori da parte del nuovo soggetto.

L'art. 35, co. 4, disciplina l'ammissione dei concorrenti alle procedure di gara, statuendo che, ai fini dell'ammissione, si applicano le disposizioni di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici 2 agosto 1985, n. 382, intitolata “ Snellimento delle procedure concernenti modifiche di iscrizione all'Albo nazionale costruttori..”, pubblicata nella G.U. n. 190 del 13 agosto 1985, attraverso il cd. recupero dell'iscrizione all'Albo nazionale costruttori da parte dell'impresa cessionaria.

La norma in commento dà forza di legge al contenuto della circolare limitatamente a quanto richiamato, rendendola insensibile all'eventuale abrogazione della stessa, sebbene fosse stata superata dalla successiva legislazione, ed, in particolare, dal D.M. 9 marzo 1989 n. 172, art. 25, improntata ad un maggiore garantismo ( come ritenuto dalla Corte dei Conti- sezione controllo stato che ne ha ritenuto la sostanziale abrogazione).

La circolare prevede una procedura semplificata ai fini dell'iscrizione all'albo in caso di cessione di azienda o di diversa vicenda di trasformazione imprenditoriale, riconoscendo alla nuova impresa la possibilità di partecipare alle gare per l'aggiudicazione di appalti di opere pubbliche in attesa della nuova iscrizione, nel caso di presentazione dell'iscrizione della impresa cedente o precedente e dell'atto recante la modifica dell'atto costitutivo o l'atto di conferimento dell'impresa in forma di copia autentica notarile.

Detto istituto, prima dell'entrata in vigore della L. 109/1994, era stato oggetto di alcune pronunce giurisprudenziali che si erano occupate del problema di verificare se nelle more del formale riconoscimento del recupero d'iscrizione a seguito di presentazione di apposita domanda, l'impresa cessionaria potesse partecipare alle gare per l'aggiudicazione di appalti di opere pubbliche producendo ai fini dell'ammissione i documenti comprovanti la nuova consistenza dell'impresa.

Si erano formati due contrapposti orientamenti l'uno volto al riconoscimento dell'effetto costitutivo dell'iscrizione, inteso come accertamento costitutivo dello status richiesto, con la conseguenza che il recupero dell'iscrizione non avrebbe legittimato la successione nei contratti di appalto, l'altro, invece, incline a rinvenire nella iscrizione un semplice riconoscimento di effetti già prodotti dall'atto di trasferimento.

La circolare richiamata prevede che il comitato centrale formula la presunzione che l'impresa cessionaria abbia la stessa idoneità ad operare nel settore dei lavori pubblici in precedenza riconosciuta all'impresa cessionaria.

L'istituto del recupero dell'iscrizione dovrebbe trovare applicazione anche per il subentro nel contratto già concluso ed in corso di esecuzione, atteso che, da un lato, il possesso dei requisiti di cui agli artt. 8 e 9 della legge quadro di cui al primo comma della norma in commento corrispondono integralmente ai requisiti per la partecipazione alle gare e che si ravvisa nel recupero un semplice riconoscimento degli effetti già prodotti con l'atto di trasferimento, in caso contrario, infatti, verrebbe interrotta la continuità delle iscrizioni( v. T.A.R. Sicilia, 5 dicembre 1996, n. 2266 in T.A.R. 1996, I, 780, T.A.R. Puglia, sez. II, 11 febbraio 1994, n. 104 ivi 1994, I 1616 e T.A.R. Abruzzo, 25 ottobre 1996, n. 563 ivi 1996 I, 4604).

L'istituto del recupero consente pertanto la prosecuzione del rapporto con l'amministrazione da parte dell'impresa succeduta nel contratto di appalto.

Sull'art. 35, co. 4, si è formata una variegata casistica giurisprudenziale.

In particolare è stata ritenuta l'illegittimità dell'ammissione alla gara dell'impresa che non abbia presentato documentazione conforme alle prescrizioni della circolare richiamata ( T.A.R. Campania, Napoli, 8 luglio 1997, n. 1761, in T.A.R. 1997, I, 3709).

E' stato inoltre rilevato che la documentazione da presentare ai fini della partecipazione alla gara, atta a dimostrare la capacità tecnico economica e finanziaria dell'impresa, non è solo quella dell'impresa cessionaria, effettivamente partecipante alla gara, ma anche quella dell'impresa intestataria dell'iscrizione utilizzata, per cui in pendenza del procedimento di recupero dell'iscrizione, deve essere prodotto anche il certificato fallimentare dell'impresa cedente (C.G.A. Sicilia, sez. giur., 8 agosto 1998, n. 461 in G.A.S. 1998, 381 con nota di Virga).

I requisiti di partecipazione ad una gara d'appalto pubblico devono essere accertati con riferimento alla data recante il termine finale per la presentazione delle offerte, per cui, in assenza di altre o più specifiche regole, la norma del bando, che richiede la presentazione del certificato del casellario giudiziale degli amministratori muniti del potere di rappresentanza dell'impresa partecipante, non può intendersi che riferita agli amministratori in carica alla data di presentazione delle offerte stesse, in quanto l'art. 35 comma 4 l. 11 febbraio 1994 n. 109 richiama sì il disposto della circolare del ministero dei LL.PP. 2 agosto 1985 n. 382, ma solo per rammentare alle amministrazioni la facoltà di indicare espressamente, nel bando e/o nella lettera d'invito, che le imprese partecipanti forniscano idonea documentazione pure sugli amministratori dimissionari, oppure di procedere d'ufficio a un siffatto accertamento ( C. d. S., sez. V, 10 dicembre 1999, n. 811, in Foro amm. 1999, 2508 ).

Inoltre è stato specificato che l'art. 35, co. 4, nello stabilire l'ammissione alla partecipazione alla gara dell'impresa cessionaria previa presentazione del certificato di iscrizione all'A.N.C. dell'impresa cedente e dell'atto di cessione reso in forma autenticata notarile, la ha limitata al solo periodo interinale alla presentazione della domanda per l'iscrizione nell'albo e la conclusiva ratifica da parte del comitato centrale, con la conseguenza che grava sull'impresa interessata l'onere probatorio di dimostrare che essa si trova effettivamente in detto periodo ( T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 13 marzo 1998, n. 135 in Comuni d'Italia 1998, 1545).

Rimane, invece, aperta la questione dell'ammissibilità del subentro del nuovo soggetto imprenditoriale nella posizione di partecipante alla gara mentre è ancora in corso la procedura di scelta del contraente, ossia in una situazione intermedia tra la conclusione del contratto e l'inizio della procedura di scelta, rispettivamente disciplinate in modo espresso, la prima, nei primi tre commi della norma in commento e, la seconda, nel quarto comma.

La modificabilità del soggetto partecipante ad una pubblica gara nel periodo ricompreso tra il superamento della fase della prequalificazione e l'aggiudicazione della gara, infatti, non è expressis verbis disciplinato da alcuna disposizione normativa e pone il problema, da un lato, della tutela della par condicio dei concorrenti e, dall'altro, del rischio di aggiramento della normativa antimafia, facendo subentrare un soggetto del quale l'amministrazione non ha potuto verificare il possesso dei requisiti.

Al riguardo si pone il problema di rinvenire la norma di riferimento da applicarsi in sede di interpretazione estensiva o di applicazione in via analogica, verificando se la stessa sia da identificarsi nell'art. 18 della L. 55/1990, portatore del principio di incedibilità assoluta del contratto di appalto di opere pubbliche, o non, invece, nella norma in commento, che detta cessione consente condizionandola ad un procedimento di verifica dei requisiti, ed individuando in quale direzione operi il rapporto di regola generale-eccezionale esistente tra le due norme.

L'operatività in detta ipotesi dell'art. 18 dovrebbe essere esclusa sulla base di alcune considerazioni, già effettuate in merito alla differenza esistenza tra i due istituti giuridici della cessione del contratto di appalto e del subentro nel contratto di appalto come conseguenza della cessione di azienda o di una vicenda di trasformazione imprenditoriale, in quanto quest'ultimo rappresenta un effetto di un comportamento negoziale e non suo principale oggetto diretto, con la conseguenza che, indipendentemente dalla sua qualificazione giuridica in termini di norma eccezionale o meno, ne dovrebbe essere esclusa non solo l'applicazione analogica ma anche l'interpretazione estensiva, nella sussistenza di una norma che presenta maggiori caratteri di affinità con la specifica ipotesi in considerazione.

Inoltre, mentre l'art. 18 riguarda esclusivamente i contratti già conclusi, l'art. 35, nella sua complessa articolazione, attiene anche all'ammissione al procedimento di gara, riguardando, pertanto, un momento anteriore alla stipulazione del contratto.

Vi è ancora che, una volta ammesso che il cd. recupero dell'iscrizione consente tanto l'ammissione alla partecipazione alle gare quanto il subentro nel contratto già concluso, non si vede perché il subentro debba essere escluso nel solo caso in cui la procedura di scelta del contraente sia già iniziata, considerato che, in tal caso, almeno in parte il procedimento di verifica dei presupposti interessa anche l'impresa cessionaria o la nuova impresa.

Nello stesso senso opererebbero, secondo la dottrina che si è occupata specificatamente del problema, le modifiche apportate all'art. 18 nella parte inerente il subappalto, essendo stato condizionato il subappalto esclusivamente all'indicazione dei lavori da subappaltare e non più anche all'indicazione dei subappaltatori nonché la nuova normativa in materia di qualificazione delle imprese ai sensi dell'art. 8 della legge quadro, con riferimento preminente all'impresa nel suo dato oggettivo.

In tal caso, le esigenze in precedenza riscontrate sarebbero pienamente tutelate nel senso che, da un lato, la nuova impresa sarebbe in ogni caso tenuta alla verifica del possesso dei requisiti richiesti e, dall'altro, non si determinerebbe una lesione della par condicio, nei limiti in cui, svolgendosi la verifica successivamente al superamento della fase di prequalificazione, il procedimento è soggetto all'eventuale controllo di legittimità da parte degli altri concorrenti.

La giurisprudenza si è occupata del problema affermando che quando la cessione dell'azienda si verifica nel corso del procedimento di individuazione del contraente, deve ammettersi la partecipazione alla gara della ditta cessionaria, pur in pendenza del procedimento di recupero dell'iscrizione all'A.N.C., in successione all'impresa originaria concorrente, senza che ciò comporti violazione della par condicio tra i concorrenti, in quanto il recupero dell'iscrizione è condizionato alla sussistenza in capo all'impresa cessionaria della situazione economico finanziaria e tecnica dell'impresa cedente e quindi dei requisiti accertati in capo a quest'ultima ai fini del superamento della fase di prequalificazione ed ammissione alla gara, con la conseguenza che la ditta cessionaria potrà anche risultare aggiudicataria, ma subordinatamente alla condizione risolutiva dell'esito negativo del procedimento di recupero dell'iscrizione ( v. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. II, 11 febbraio 1994, n. 104, in Riv. Trim. appalti 1996, 320 con nota di Chito).

Detta pronuncia è stata, tuttavia, riformata in sede di appello dal Consiglio di stato con la decisione già citata della V sez, del 13 maggio 1995, n. 761 che ha ribadito come nessuna legge consenta, prima dell'aggiudicazione della gara, il trasferimento della posizione di partecipante alla gara nel procedimento amministrativo in itinere, consentendole di conseguire l'aggiudicazione in quanto l'infungibilità nella posizione delle imprese serve ad evitare turbamenti negli interessi pubblici indisponibili in materia di appalti nonché ad impedire che, grazie all'espediente della cessione di azienda, imprese non partecipanti alla gara ottengano l'aggiudicazione oppure che imprese prive dei requisiti riescano a conseguirli violando la par condicio od ancora che l'amministrazione debba subire gli effetti della predetta cessione, mentre in materia di subappalto o di cessione del contratto di appalto già stipulato le norme sono assai rigorose verso le imprese a salvaguardia degli interessi pubblici.

Sulla stessa linea di onda la giurisprudenza di merito ha rilevato che, nel caso in cui ad una gara per l'aggiudicazione di un appalto di opere pubbliche abbia partecipato una impresa che, pur avendo titolo all'aggiudicazione, abbia ceduto ad altra impresa in tutto od in parte, la propria azienda, l'aggiudicazione non può essere disposta in favore della cessionaria ( v. T.R.G.A. Trentino, 10 novembre 1997, n. 349, in T.A.R. 1998, I, 103).

Nello stesso senso si è pronunciata la sezione di controllo della Corte dei conti che ha affermato ulteriormente il principio di non modificabilità del soggetto partecipante alla gara ( Corte dei Conti- sezione controllo, 4 marzo 1997, n. 38 in T.A.R. 1997, II, 1417).

Successivamente è intervenuta una giurisprudenza favorevole che ha statuito che alla fattispecie della cessione del ramo di azienda avvenuta in corso di gara si applica l'art. 35 della L. 109/1994, che tempera il divieto di cui all'art. 18, co. 2, della L. 55/1990, con la conseguenza che il subentro dell'impresa cessionaria nella posizione di partecipante alla gara è subordinato alla positiva conclusione del subprocedimento di valutazione dei requisiti oggettivi e soggettivi in capo al subentrante ( v. T.A.R. Lombardia, Brescia, 7 aprile 1998, n. 289 in Guida al diritto 1998, fasc. 11, 1207 con nota di Di Palma).

Non è mancato, tuttavia, un successivo contrario orientamento che ha ripreso la posizione assunta dall'organo di appello sul tema che interessa statuendo che non esiste alcuna norma che consenta una successione del ramo di azienda nel corso del procedimento di gara, atteso il principio della identità del soggetto aggiudicatario della gara con quello che vi ha concretamente preso parte( v. T.A.R. Puglia, sez. II, Lecce, 15 dicembre 1998, n. 829, in Foro Amm. 1998, 1102).

Da ultimo è stato affermato che l'art. 35, pur riferendosi testualmente all'ipotesi di subentro per cessione di un ramo di azienda nella titolarità di un contratto già stipulato con l'amministrazione in tema di appalto di lavori pubblici, non esclude che nel rispetto delle medesime garanzie sostanziali e procedimentali, la cessione possa operare anche prima della stipulazione del contratto, avendo in tal caso ad oggetto il “ diritto a stipulare” legittimamente acquisito dall'impresa cedente a seguito dell'esito favorevole della procedura di gara cui la stessa abbia partecipato (v. C.G., 22 marzo 2000, n. 119 in Cons. Stato 2000, 754).

Ulteriore problema applicativo è quello inerente alla sorte spettante alle penali maturate dalla cedente in sede di esecuzione del contratto di appalto nel caso di cessione di azienda o di un ramo di azienda.

La norma di cui all'art. 35, individuando le condizioni alle quali possa verificarsi la cessione al fine del subentro nel contratto di appalto, pone una condizione ulteriore rispetto a quanto statuito in sede di codice civile, rappresentata dalla procedimentalizzazione della verifica della sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa in materia, senza, tuttavia, determinare alcuna limitazione nell'applicazione della normativa civilistica.

Prendendo quindi le mosse dall'art. 2558 c.c. si rileva come la norma nulla dica espressamente in ordine alla responsabilità del cedente in ordine ai rapporti ceduti.

L'orientamento prevalente ritiene che il cedente sia liberato dalle obbligazioni gravanti su di lui, argomentando dal disposto dell'art. 2558 c.c. nella parte in cui fa salva la responsabilità dell'alienante nel solo caso in cui il ceduto receda per giusta causa dal contratto nonché dal disposto dell'art. 2560 c.c. che statuisce la mancata liberazione del cedente per i debiti inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta a meno che i creditori non vi abbiano assentito, introducendo una eccezione per i debiti cd. puri, ossia non nascenti da contratti a prestazioni corrispettive ma pur sempre inerenti all'esercizio dell'azienda, rispetto alla regola della liberazione.

Per la dottrina e la giurisprudenza prevalenti l'automatico trasferimento in capo al cessionario conseguente al trasferimento di azienda si esclude, non solo per i rapporti obbligatori sorti dai contratti a prestazioni corrispettive che abbiano avuto esecuzione da parte dei uno dei contraenti originari, ma anche per i rapporti obbligatori derivanti da contratti unilaterali, in quanto detti rapporti esulerebbero dalla logica dell'art. 2558 c.c. che giustifica il trasferimento dei debiti sulla base della esistenza di corrispondenti crediti.

Al fine di verificare quale sia la sorte delle cd. penali da ritardo, ossia le clausole contrattuali che pongono a carico di uno dei contraenti l'obbligo del pagamento di una determinata somma di denaro per ogni giorno di ritardo durante l'adempimento delle obbligazioni poste a carico della parte, normalmente previste nei contratti stipulati con la pubblica amministrazione, si deve prendere le mosse dall'individuazione della loro natura giuridica.

Sul punto si rileva che le stesse hanno natura tanto satisfattoria dei danni da ritardo quanto funzione di coazione indiretta all'esatto adempimento, di tal che non è agevole stabile se rientrino tra le posizioni trasferibili ai sensi dell'art. 2558 c.c. o se,invece, vadano escluse ai sensi dell'art. 2560 c.c. in quanto privi del carattere di reciprocità con un altro credito.

Diversamente è a dirsi per le obbligazioni risarcitorie da fatto illecito per le quali la giurisprudenza è concorde nell'escludere il subentro automatico ai sensi dell'art. 2558 c.c., trovando invece applicazione le norme di cui agli artt. 2559 e 2560 c.c., per il cui il cessionario ne può rispondere in via cumulativa e solo quando risultino dai libri contabili obbligatori dell'azienda ceduta.

L'art. 35 ha risolto il problema dell'ammissibilità della cessione d'azienda esclusivamente per gli appalti di opere pubbliche, rimanendo invece aperta la questione con riferimento agli appalti di forniture e di servizi, non regolati espressamente da detta norma.

Il Consiglio di Stato ha affermato che per detti contratti rimane valido il principio di non cedibilità del contratto in quanto l'art. 35 rappresenterebbe una deroga al principio generale della personalità del contratto di appalto, ed in quanto norma a carattere eccezionale non sarebbe applicabile ad appalti diversi da quelli di esecuzioni delle opere pubbliche cui espressamente si riferisce ( v. parere C.d.S., sez. III, 5 luglio 1994, n. 649, in Cons. Stato 1996, I, 344 e idem, sez. V, 13 maggio 1995, n. 761, cit.).

Una giurisprudenza successiva ha ritenuto diversamente interpretando la norma di cui all'art. 35 come espressione di un principio generale di cedibilità procedimentalizzata dell'appalto di opere pubbliche previa verifica da parte dell'amministrazione dei requisiti oggettivi e soggettivi di cui allo stesso art. 35, e pertanto applicando detto principio in via analogica od estensiva all'appalto di pubbliche forniture ( v. T.A.R. Lombardia, Brescia, 7 aprile 1998, n. 289 in Contratti Stato enti pubblici 1999, 75 con nota di Biagini), ed infatti in relazione al caso di specie, relativo alla cessione della posizione di partecipante alla gara, il caso simile sarebbe dato proprio dall'art. 35, co. 4, inerente alla cessione d'azienda e non dall'art. 18 della L. 55/1990 inerente invece alla cessione del contratto, attesa la differenza tra le due ipotesi.

La dottrina in sede di commento di detta decisione ha ritenuto che l'art. 35, in quanto frutto di una operazione di adattamento della disciplina civilistica all'ambito pubblicistico, vada applicato anche agli appalti di fornitura e di servizi sulla base delle considerazioni che la disciplina dell'appalto di opere pubbliche ha sempre costituito il principale riferimento per tutti gli appalti per la sua completezza ed organicità - per cui l'adattamento della disciplina civilistica non potrebbe avere efficacia solo per i contratti di lavori-, che negli appalti di fornitura il carattere personale del contratto, già in discussione nell'appalto di opere pubbliche, perde ulteriormente di rilevanza, escludendosi in ogni caso detto carattere, e che vi è una differenziazione di ordine strutturale tra la cessione del contratto e la cessione dell'azienda, in quanto interessante tutti i rapporti facenti capo all'imprenditore nello specifico settore interessato.

Autore: Cons. Dott. S. Luce - apr. 2001