DEBITO E LESIONE DEI DOVERI FAMILIARI: L'ARDUO COMPITO DI INDIVIDUARE IL RAPPORTO CAUSA-EFFETTO CON LA INTOLLERABILITA' DELLA CONVIVENZA

 

 

CASS., SEZ. 1° CIV, 27/05/2008 N. 13827
Separazione personale - Addebito - Comportamenti lesivi di beni e diritti fondamentali della persona - Irrilevanza ai fini del giudizio di comparazione con i comportamenti dell'altro coniuge - Sussistenza.
Massima
I fatti accertati a carico di un coniuge, che costituiscono violazioni di norme di condotte imperative ed inderogabili in quanto si traducono in aggressione dei beni e diritti fondamentali, quali l'incolumità e l'integrità fisica, non possono essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento dell'altro coniuge, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere.

CASS., SEZ. 1° CIV., 28/05/2008 N. 14042
Separazione coniugale - Addebito - Relazione extraconiugale instaurata nell'immediatezza della cessazione della convivenza - Necessità di verifica dell'epoca d'instaurazione della relazione - Instaurazione in costanza di convivenza esclusivamente formale tra i coniugi - Irrilevanza.
Massima
1) La pronuncia di separazione con addebito non può essere fondata sulla sola inosservanza, dei doveri matrimoniali ex art. 143 c.c. da parte di uno dei coniugi: è, infatti, necessario dimostrare che vi sia un nesso di causalità fra la condotta ascritta, con una violazione consapevole di quegli obblighi, e il determinarsi dell'intollerabilità della convivenza.
2) Il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tenuto dal coniuge successivamente al venire meno della convivenza, sia pure in tempi immediatamente prossimi alla data di cessazione, può rilevare ai fini dell'addebito solo qualora si ponga come una sostanziale conferma del passato e concorra a dimostrare la condotta pregressa posta in essere in violazione di quei doveri.

1. Introduzione

La Corte di Cassazione ritorna sull'istituto dell'addebito in materia di separazione tra coniugi per precisarne i contorni e le modalità applicative con due sentenze rese a brevissima distanza l'una dall'altra.
L'istituto in esame, sconosciuto negli altri ordinamenti, ricorre di frequente nella prassi soprattutto in considerazione del valore stigmatizzante che viene associato alla pronuncia di addebito, la quale viene ricondotta al concetto di "colpa" della separazione (1) o comunque ad una sorta di individuazione in capo ad uno dei coniugi della responsabilità del fallimento del rapporto matrimoniale. Tale pronuncia, anche per l'autorevolezza della fonte da cui proviene, assume dunque, nella coscienza sociale il valore di "rimprovero di colpevolezza" nei confronti del coniuge cui l'addebito viene ascritto.
La pronuncia di addebito è vista altresì come strumento di pressione sull'altro coniuge in sede di separazione in vista di raggiungimento di accordi (anche e soprattutto di tipo patrimoniale (2)) per mezzo dello sfruttamento degli effetti giuridici che la pronuncia di addebito produce. Tale effetti - prettamente di tipo economico - riguardano la regolamentazione patrimoniale dei rapporti tra i coniugi. In particolare l'art. 156 c.c. prevede che non ha diritto all'assegno il coniuge cui sia addebitata la separazione; l'art. 458 c.c., invece, prevede l'esclusione di questi dal novero dei successibili; inoltre la pronuncia di addebito ha un'efficacia moderatrice sull'assegno di divorzio ai sensi dell'art. 5 della legge n. 898 del 1970.
Tutto ciò ha come conseguenza le critiche che recente dottrina (3) ha mosso nei confronti dell'istituto in quanto foriero di negative ripercussioni sul carico di lavoro degli uffici giudiziari gravati da accertamenti particolarmente complessi e laboriosi e per i quali è necessario spesso un'attività istruttoria gravosa.


2. L'intollerabilità della convivenza e l'addebito

Il presupposto per la separazione è il verificarsi, ai sensi dell'art. 151 c.c., di una situazione di intollerabilità del menàge coniugale che è espressione del venir meno, dell'affectio coniugalis tra i coniugi. La giurisprudenza e la dottrina si sono interrogate a lungo sulla natura della intollerabilità della separazione finendo per distinguerne due concezioni: la prima oggettiva e l'altra soggettiva.
La concezione oggettiva, che più frequentemente ricorre nelle pronunce giurisprudenziali ed ha avuto maggiore considerazione anche nelle opinioni dottrinali, prevede che l'intollerabilità abbia rilievo oggettivo e si sostanzi in fatti, motivazioni e situazioni che giustifichino l'interruzione della vita matrimoniale sulla base di una valutazione sociale (4). In particolare i fatti ed i motivi giustificanti la separazione devono essere in grado di determinare l'impossibilità del prosieguo del mènage matrimoniale da parte dei coniugi e tale impossibilità deve essere rilevata attraverso una valutazione che abbia come riferimento la sensibilità dell'uomo medio. Non hanno rilievo, quindi, le singole determinazioni volitive dei coniugi e di conseguenza si rende evidente che la concezione in esame subordina l'interesse all'allontanamento dei singoli coniugi all'interesse generale della conservazione dell'unità della famiglia.
L'intollerabilità è stata anche intesa in senso soggettivo e consisterebbe nel senso di sofferenza, di frustrazione, di pena che insorgono nell'animo del coniuge in conseguenza della prosecuzione del rapporto matrimoniale. Così espressa l'intollerabilità deriverebbe, in sostanza, dalla assenza di volontà di uno dei coniugi (o di entrambi) in ordine alla prosecuzione della convivenza. A differenza che nella concezione oggettiva, l'assenza di dati obiettivi ai quali ancorare la valutazione sull'insorgenza della intollerabilità impone al giudice di prendere atto della volontà di interrompere la vita matrimoniale manifestata e dedotta da parte di (almeno) uno dei coniugi. In questa concezione prevale, come è evidente, il diritto ad autodeterminarsi di ciascun coniuge, eventualmente anche in contrasto con l'interesse del nucleo famigliare.
La prevalenza attribuita all'interesse soggettivo del coniuge rispetto all'interesse della famiglia, tradizionalmente considerato interesse sovraordinato, ha però sempre scatenato allarmismi in dottrina (5). Anche la giurisprudenza ha sempre esitato nell'accoglimento pieno di tale tesi; tuttavia, recentemente e in accordo con le linee evolutive del diritto di famiglia (6), la Suprema Corte sembrerebbe avere riconosciuto fondamento, perlomeno in via di fatto, alla tesi soggettiva vincolandola a parametri costituzionali (7).
In ogni caso, il verificarsi del presupposto della separazione è indipendente, a differenza che nel vecchio regime di separazione per colpa, dal comportamento posto in essere da uno dei coniugi in violazione dei doveri nascenti dal matrimonio di cui agli artt. 143 e ss. del c.c.. É infatti stato chiarito in più occasioni dalla Corte di Cassazione che l'intollerabilità della convivenza può verificarsi a prescindere dal comportamento, colpevole o meno, di uno dei coniugi e può insorgere addirittura come fatto spontaneo derivante dalla cessazione di quel legame affettivo e spirituale che teneva uniti i coniugi in matrimonio.
L'eventuale comportamento in violazione dei doveri imposti dagli artt. 143 c.c. e s.s. del c.c. può però divenire rilevante ai fini dell'addebito (anche se non esclusivamente a tali fini (8)), con tutte le conseguenze che esso comporta. Anche qui però non basta che vi sia la semplice violazione dei doveri matrimoniali ma è necessario che la stessa si ponga in rapporto di causa-effetto rispetto alla insorgenza della situazione di intollerabilità della convivenza (9). L'accertamento demandato al giudice non si dovrà arrestare, quindi, alla esistenza della condotta "illecita" di uno dei coniugi ma dovrà essere mirato ad accertare che tale condotta abbia effettivamente determinato la frattura del rapporto di coniugio, il venire meno dell'affectio coniugalis.
Il principio in questione è stato applicato a diverse ipotesi di violazione dei doveri coniugali: ad esempio, in caso di allontanamento dalla casa coniugale, la Corte di Cassazione ha sancito che il giudice dovrà verificare se la condotta posta in essere in violazione del dovere di coabitazione sia conseguente ad una frattura già insorta del rapporto matrimoniale oppure l'abbia determinata (10); allo stesso modo in ipotesi di infedeltà coniugale (11) si è affermato che il giudice deve accertare se l'infedeltà sia stata origine della situazione di intollerabilità oppure se, invece, ne sia stata la causa.
Infine l'indagine sulla intollerabilità della convivenza ai fini della pronuncia di addebito, per giurisprudenza consolidata (12), deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell'uno essere giudicata senza un suo raffronto con quella dell'altro. Solo attraverso tale comparazione, infatti, è possibile valutare il riscontro dell'incidenza delle condotte medesime, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi del rapporto coniugale.
La Suprema Corte tuttavia esclude che alcuni comportamenti possano essere valutati ai fini di tale giudizio di comparazione: invero, nell'ipotesi in cui i fatti accertati a carico di un coniuge integrino violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - in quanto si traducano nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale e la dignità dell'altro coniuge - essi sono sottratti al giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificati come atti di reazione o ritorsione rispetto al comportamento dell'altro (13).


3. Valutazione complessiva del comportamento dei coniugi e comportamenti lesivi della dignità e della integrità fisica del coniuge. Relazione con l'addebito

La prima delle sentenze in commento si sofferma proprio sull'esclusione di alcuni comportamenti dal giudizio di comparazione e valutazione della condotta tenuta dai coniugi nell'arco della rapporto coniugale che, come già accennato, l'organo giudicante deve effettuare ai fini della pronuncia dell'addebito.
La vicenda concreta alla base di tale pronuncia trova origine nel ricorso proposto da S. L. volto a riformare la sentenza della Corte d'Appello di Palermo che gli aveva addebitato la separazione con conseguente imposizione di un assegno di mantenimento pari a ? 150,00 a favore della moglie F.R.. La pronuncia della Corte d'Appello - emanata in parziale riforma di quella di primo grado, che aveva addebitato la separazione ad entrambi i coniugi - traeva origine dai comportamenti tenuti dal marito, accertati in corso di causa tramite dichiarazioni testimoniali e certificazioni mediche, lesivi della dignità ma anche della integrità fisica della moglie.
Tra i motivi di ricorso il S.L. deduceva la violazione e mancata applicazione di legge ex art. 360 n. 3 c.p.c. in riferimento all'art. 151 c.c. ed insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 n. 5 c.p.c. affermando in particolare l'assenza di nesso di causalità tra la propria condotta e l'insorgenza della intollerabilità della separazione: il ricorrente censurava l'addebito a sé della separazione sulla base della considerazione che il nesso di causalità era stato apoditticamente indicato, senza alcun riscontro probatorio, e che l'intollerabilità della convivenza era sorta a causa dell'insofferenza della moglie per la situazione economica della famiglia che la stessa gli addebitava. Da tale insofferenza erano scaturiti comportamenti offensivi, ingiuriosi e denigratori nei suoi confronti e che erano causa dei suoi contegni reattivi.
La Corte di Cassazione conferma sostanzialmente la sentenza della Corte d'Appello di Palermo richiamando l'orientamento già espresso dalla medesima Suprema Corte (14) secondo il quale i comportamenti di uno dei coniugi posti in essere in violazione di norme imperative ed inderogabili che si traducono in aggressione di beni fondamentali, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge non possono essere considerati ai fini del giudizio di valutazione comparata che il giudice è tenuto ad effettuare ai fini della dichiarazione di addebito, nel senso che non è possibile escludere l'addebitabilità della separazione al coniuge che pone in essere i comportamenti predetti sulla scorta della argomentazione che quest'ultimi siano ritorsioni o reazioni a comportamenti dell'altro coniuge, proprio perché condotte che oltrepassano la soglia minima di solidarietà e rispetto nei confronti del partner.
La Corte di Cassazione puntualizza che il giudizio di comparazione non può essere il mezzo per escludere l'addebitabilità della separazione al coniuge che ha posto in essere i comportamenti sopra descritti.


4. Accertamento del nesso di causalità in relazione all'insorgenza dell'intollerabilità della convivenza

La sentenza n. 14042/2008 della Corte di Cassazione affronta il problema della rapporto di causalità intercorrente tra la violazione dei doveri nascenti dal matrimonio ai sensi dell'art. 143 c.c. e l'insorgenza della causa di intollerabilità della convivenza ai fini della pronuncia sull'addebito.
Con sentenza depositata il 23 ottobre 2001, il Tribunale di Chiavari pronunciava la separazione personale dei coniugi C.V. e V.B., respingendo la domanda d'addebito avanzata nei confronti della moglie C.V. in considerazione del fatto che i comportamenti lesivi dei doveri coniugali ex  art. 143 c.c.- tra i quali l'abbandono del tetto coniugale, l'instaurazione di una relazione extra-coniugale e numerose condotte volte ad ostacolare il diritto alla genitorialità del coniuge - erano intervenuti in un periodo successivo alla frattura dell'affectio coniugalis. Il marito impugnava la pronuncia del Tribunale, censurandone il rigetto della propria domanda di addebito della separazione alla moglie, ma la Corte d'Appello di Genova ne confermava il rigetto sulla scorta delle medesime motivazioni utilizzate dal giudice di prime cure, e cioè che i comportamenti posti in essere dalla moglie in violazione dell'art. 143 c.c. erano intervenuti successivamente all'insorgenza della causa di intollerabilità della convivenza. La medesima Corte d'Appello non teneva in considerazione, ai fini dell'addebito, i comportamenti con i quali la moglie - a detta dell'appellante - tentava di ostacolare il rapporto tra i figli ed il padre (15) in quanto anch'essi posteriori all'insorgenza della frattura del rapporto coniugale: tali comportamenti assumevano valore solo sulla decisione sull'affidamento dei figli, con la quale la Corte disponeva la revoca dell'affido al padre, decisa dal giudice di prime cure, e la conseguente collocazione in affidamento dei medesimi presso il Comune di Castiglione Chiavarese.
Con il ricorso in Cassazione il V.B. deduceva la violazione degli artt. 143 e 151 c.c. nonché la carenza e la contraddittorietà della motivazione della sentenza della Corte d'Appello. Si insisteva, in particolare, sulla rilevanza dei comportamenti della moglie in quanto posti in essere in costanza del rapporto di matrimonio ma anche in quanto gravi violazioni dei doveri coniugali previsti dall'art. 143 c.c.. Al contempo veniva censurata anche la mancata considerazione dei comportamenti tesi ad ostacolare il rapporto tra i figli ed il loro padre ai fini dell'addebito.
La Corte di Cassazione pronunciandosi sui motivi del ricorso ha l'occasione di evidenziare e chiarire gli orientamenti consolidati in materia di imputabilità dell'addebito al coniuge.
In primo luogo si afferma che la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla solo inosservanza dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo necessaria la prova che l'irreversibile crisi coniugale sia imputabile casualmente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario a tali doveri da parte di uno o di entrambi i coniugi. È necessario, cioè, ai fini della pronuncia di addebito, che la frattura del rapporto di coniugio sia direttamente collegabile al comportamento contrario ai predetti doveri posto in essere da uno dei coniugi. Ed in mancanza del raggiungimento di una prova in tal senso non può avere luogo la pronuncia di addebito (16).
In secondo luogo la Corte precisa che, in conformità con l'orientamento pregresso (17), il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio, tenuto successivamente alla separazione personale dei coniugi ed in tempi immediatamente prossimi alla cessazione della convivenza può avere rilevanza ai fini della dichiarazione di addebito solo se esso appaia come una sostanziale conferma del passato e concorra a dimostrare la condotta pregressa.
La logica dell'orientamento della Cassazione è evidente: i comportamenti successivi alla separazione non potranno avere alcuna influenza sulla dichiarazione di addebito in quanto non suscettibili di essere antecedenti causali dell'insorgenza dell'intollerabilità della convivenza, con l'unica eccezione, appunto, di quei comportamenti che, pur successivi, si rivelino essere la prosecuzione di comportamenti già posti in essere da uno dei coniugi prima della frattura del rapporto coniugale.
Nel caso concreto la Cassazione rigetta il ricorso in quanto la Corte d'Appello aveva correttamente rilevato, sulla base delle risultanze probatorie, che i comportamenti posti in essere dalla moglie in violazione degli artt. 143 e ss. cod. civ.- ed in particolare l'instaurazione di una relazione extra-coniugale - erano sicuramente successivi all' l'insorgenza dell'intollerabilità della convivenza. Tale convincimento era derivato dalla risultanze probatorie acquisite, con particolare riferimento alla concorde volontà dei coniugi di procedere ad una separazione consensuale, alla quale poi, tuttavia, non si fece luogo. La Corte di merito ha quindi correttamente escluso qualsiasi rilievo di detti comportamenti sulla intervenuta intollerabilità della convivenza, e dunque ai fini della pronuncia di addebito.


5. Conclusioni

Con queste due sentenze la Corte di Cassazione ha ulteriormente precisato gli ambiti ed i contorni applicativi dell'istituto dell'addebito, contribuendo a chiarire - anche tramite il richiamo a pregressi orientamenti - alcune questioni rilevanti, soprattutto in ordine al complesso rapporto tra diritto a separarsi, violazione dei doveri materiali e presupposti fondamentali dell'addebito.
Interessante è rilevare come i giudici di legittimità continuino a reputare fondamentale l'accertamento, da effettuarsi in termini rigorosi, del nesso di causalità tra il comportamento del coniuge in violazione dei canoni fondamentali della vita matrimoniale e la constatazione dell'impossibilità di proseguire la vita in comune.
Rimane, tuttavia, qualche perplessità di fondo, suscitata dalla portata applicativa dell'addebito che appare ridimensionata, soprattutto in relazione al più difficoltoso accertamento dei fatti costitutivi dell'istituto, dalla nuova valenza del concetto di intollerabilità - il quale sembra ormai, anche formalmente, avere trovato la sua collocazione nell'ambito della concezione soggettiva - e soprattutto dal riconoscimento della giurisprudenza del "diritto a separarsi" (18).
Ad esempio, nell'ipotesi di abbandono del tetto coniugale, la giurisprudenza ha stabilito che la condotta di abbandono è addebitabile al coniuge che l'ha posta in essere nella sola ipotesi in cui essa si ponga quale antecedente causale della intollerabilità della convivenza (19). Con l'adesione alla concezione soggettiva dell'intollerabilità, consistendo la medesima in percezione soggettiva del coniuge, diventa più difficile accertare tale antecedenza causale (o anche solo quella temporale) e, conseguentemente, è più difficoltoso per il giudice pronunciarsi sull'addebito a carico del coniuge che tale condotta ha posto in essere.
Il confine tra comportamento lecito, espressione del diritto a separarsi, e la violazione dei doveri matrimoniali determinante l'insorgenza della intollerabilità della convivenza, appare divenuto, dunque, molto labile; in conseguenza di ciò l'accertamento giudiziale in ordine alla sussistenza dei presupposti della pronuncia di addebito si prospetta un compito ad oggi indubbiamente più impegnativo.


Autore: Dott. Ferdinando Aricò - tratto dal sito www.questionididirittodifamiglia.it

 

Note:

(1) Nel previgente regime di separazione la stessa poteva essere richiesta per colpa in presenza di tassative previsioni di comportamenti contrari ai doveri matrimoniali.
(2) Dogliotti, La separazione giudiziale, in Il diritto di famiglia, Tratt. Bonilini, Cattaneo, I, Torino, 1997.
(3) Arceri, Tre sentenze in tema di addebito, in www.questionididirittodifamiglia.it.
(4) Cass., n. 1304 del 1983, in Dir. Fam. pers., 492, secondo cui: "L'intollerabilità della convivenza, che giustifica la pronunzia di separazione dei coniugi ai sensi dell'art. 151 c.c., va ravvisata in circostanze obiettive, non predeterminate nominativamente dalla legge e rimesse all'attenta e prudente valutazione del giudice, commisurata alle regole di comportamento proprie dell'ambiente sociale in cui la famiglia è inserita e desumibile secondo razionali criteri di comune esperienza".
(5) U. Breccia, voce Separazione personale dei coniugi, in Nov. Dig. Disc. Priv., XVIII, Torino, 1998, p. 384.
(6) Sembra ormai superata l'idea che l'oggetto della tutela sia la famiglia intesa quale istituzione sociale fondamentale essendo orma divenuto obiettivo primario la tutela dei diritti individuale dei suoi componenti: L. MENGONI, La famiglia nell'ordinamento giuridico italiano, in AA.VV., La famiglia crocevia della tensione tra "pubblico" e "privato", Milano, 1979, 286; V. POCAR, P. RONFANI, La famiglia ed il diritto, Bari, 1998, 7; M. SESTA, Verso nuovi sviluppi del principio di eguaglianza fra i coniugi, in Nuova Giur. Civ. comm., 2004, II, 385.
(7) Cass., 14 febbraio 2007, n. 3356, in Famiglia e Diritto, 2008, 1, 34, con nota di M. La Torre, Perdita dell'affectio coniugalis e diritto alla separazione; in www.questionididirittodifamiglia.it con nota di A. Arceri, Non c'è pace. sulla intollerabilità della convivenza. Per Cass. 14 febbraio 2007, n. 3356: "Il rapporto coniugale deve ritenersi incoercibile e collegato al perdurante consenso di ciascuno dei coniugi per cui, ove si verifichi una situazione di disaffezione al matrimonio tale da rendere intollerabile la convivenza anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia il diritto di chiedere la separazione pur a prescindere da elementi di addebitabilità all'altro coniuge"; e Cass., 9 ottobre 2007, n. 21099, ivi ed in www.questionididirittodifamiglia.it con nota di A. Arceri, cit.:"Ciascuno dei coniugi ha un diritto costituzionalmente fondato di ottenere la separazione personale e interrompere la convivenza, ove tale convivenza sia divenuta intollerabile tanto da non consentire un adeguato svolgimento della propria personalità nella famiglia quale società naturale costituita con il matrimonio. Il concetto di intollerabilità della convivenza si presta a una interpretazione aperta a valorizzare anche elementi di carattere soggettivo, costituendo un fatto psicologico squisitamente individuale, riferibile alla formazione culturale, alla sensibilità e al contesto interno alla vita dei coniugi".
(8) In alcuni casi la giurisprudenza di legittimità ha ammesso il ristoro ai sensi dell'art. 2043 c.c. dei danni derivanti dalla violazione dei doveri matrimoniali posta in essere con comportamenti coscienti e volontari da uno dei coniugi nei confronti dell'altro e che abbiano causato lesione di diritti soggettivi di rilievo primario di quest'ultimo; cfr. Cass., 10 maggio 2005, n. 9801, in Famiglia e Diritto, 2005, 365, con note di M. SESTA, Diritti inviolabili della persona e rapporti familiari: la privatizzazione arriva in Cassazione, e di G. FACCI, L'illecito endofamiliare al vaglio della Cassazione, in Giust. Civ., 2006, 98, con nota di A. PINELLI, Violazione dei doveri matrimoniali e responsabilità civile; in Danno e resp., 2006, 37, con nota di F. GIAZZI, Anche i matrimoni in bianco hanno un costo.
(9) Cass., 28 settembre 2001, n. 12130, in Giust. Civ. Mass., 2001, 1700: "In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai doveri nascenti dal matrimonio tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa del fallimento della convivenza, deve essere pronunciata la separazione senza addebito". Cass., sez. I, 18 settembre 2003, n. 13747, in Dir e Giust., 2003, 39, 106.
(10) Cass., 10 aprile 2008, n. 9338: "L'abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato da una giusta causa, ossia dalla ricorrenza di situazioni di fatto, o anche di avvenimenti o comportamenti altrui, di per sé incompatibili con la protrazione della convivenza, ovvero quando sia intervenuto in un momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione di detta convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (nella specie, la Corte ha confermato le decisioni nel merito secondo cui l'allontanamento dalla casa familiare non costituiva causa determinante della separazione, ma risultava l'effetto di una situazione di intollerabilità della convivenza da tempo maturata, in ragione di una situazione di profonda crisi nel rapporto tra i coniugi, che aveva portato gli stessi ad una estraneità affettiva e relazionale), in Diritto & Giustizia, 2008.
(11) Cass. Civ., sez. I, 12 aprile 2006, n. 8512, in Famiglia e diritto, 3/2007, p. 249, con nota di L. SCARANO, Crisi coniugale ed obbligo di fedeltà: "In tema di separazione tra coniugi, l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale rappresenta una violazione particolarmente grave, la quale, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi, di regola, circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge responsabile, sempre che non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale. Pertanto, la riferita infedeltà può essere causa (anche esclusiva) dell'addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell'unione, mentre il relativo comportamento (infedele), se successivo al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito"; Cass. Civ., sez. I,19 settembre 2006, n. 20256, ivi: "L'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale, anche quando si sostanzi nell'abbandonarsi al meretricio,può essere causa (anche esclusiva) dell'addebito della separazione solo quando risulti accertato che ad essa sia, in fatto, riconducibile la crisi dell'unione, mentre se successiva al verificarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza, non è, di per sé solo, rilevante e non può, conseguentemente, giustificare una pronuncia di addebito. Il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, è invece privo di efficacia autonoma nel determinare l'intollerabilità della convivenza stessa, potendo rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione qualora costituisca conferma del passato, e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa.
(12) Ex multis: Cass. Civ., 05 febbraio 2008, n. 2740: "Ai fini dell'addebitabilità della separazione, l'indagine sull'intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e sulla comparazione dei comportamenti di entrambi i coniugi, non potendo la condotta dell'uno essere giudicata senza un suo raffronto con quella dell'altro, consentendo solo tale comparazione di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crisi matrimoniale" in Diritto & Giustizia 2008, con nota di CORRADO.
(13) La questione è il tema principale della sentenza in commento 27 maggio 2088, n. 13827; cfr. anche Cassazione civile , sez. I, 05 agosto 2004 , n. 15101, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8 : "In tema di addebitabilità della separazione personale, ove i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili - traducendosi nell'aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l'incolumità e l'integrità fisica, morale e sociale dell'altro coniuge, ed oltrepassando quella soglia minima di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità del partner - essi sono insuscettibili di essere giustificati come ritorsione e reazione al comportamento di quest'ultimo, e si sottraggono anche alla comparazione con tale comportamento, la quale non può costituire un mezzo per escludere l'addebitabilità nei confronti del coniuge che quei fatti ha posto in essere".
(14) Cassazione civile, sez. I, 05 agosto 2004, n. 15101, cit.
(15) Tali comportamenti assumevano valore solo in relazione alla decisione sull'affidamento dei figli, che con la quale la Corte disponeva la revoca dell'affido al padre, decisa dal giudice di prime cure, e conseguente affido dei medesimi presso il Comune di Castiglione Chiavarese.
(16) Ex multis Cass., 14840 del 2006, in Giust. Civ. Mass., 2006, 6: "La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza; pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la separazione senza addebito" ; Cass., n. 12383 del 2005, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6: "La dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità della ulteriore convivenza. Pertanto, in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento contrario ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunziata la separazione senza addebito" ;
(17) Cass., n. 20256 del 2006, in Giust. Civ. Mass., 2007, 1, 112: L'inosservanza dell'obbligo di fedeltà coniugale e anche un comportamento estremo quale l'abbandonarsi al meretricio non può giustificare, da sola, una pronunzia di addebito, qualora una tale condotta sia successiva al verificarsi di un'accertata situazione di intollerabilità della convivenza, sì da costituire non la causa di detta intollerabilità ma una sua conseguenza; Cass., n. 17710 del 2005, in Giust. Civ. Mass., 2005, 6 ed in Giur. it., 2006, 12, 2289: "Il comportamento tenuto dal coniuge successivamente al venir meno della convivenza, ma in tempi immediatamente prossimi a detta cessazione, sebbene privo, in sè, di efficacia autonoma nel determinare l'intollerabilità della convivenza stessa, può nondimeno rilevare ai fini della dichiarazione di addebito della separazione allorché costituisca una conferma del passato e concorra ad illuminare sulla condotta pregressa".
(18) Cass., 9 ottobre 2007, n. 21099, cit.
(19) Cass., 10 aprile 2008, n. 9338, cit.