La giurisprudenza della Cassazione in materia di licenziamenti collettivi e procedure di mobilità

 

La violazione dell'obbligo di comunicazione da un lato integra una condotta antisindacale che può formare oggetto dell'azione prevista dall'art 28 L. 300/70; dall'altro lato, determinando la mancata verifica del corretto esercizio del potere datoriale, causa l'inefficacia del provvedimento finale.

 

Sintesi del fatto

La Cassazione n. 148/2006 [1] è stata pronunciata a seguito del giudizio instaurato dal ricorrente nei confronti della ditta presso cui aveva prestato lavoro finchè non era stato messo, dapprima in casa integrazione ordinaria, poi in cassa integrazione straordinaria, per essere successivamente posto in mobilità e assoggettato a licenziamento collettivo.

Il ricorrente lamentava l'illegittimità formale dei relativi provvedimenti, per violazione delle norme disciplinanti tali istituti e, sotto un profilo sostanziale, li riteneva discriminatori in quanto volti a sanzionare con l'esclusione dall'azienda, l'attività sindacale, da lui svolta in qualità di RSU e RSL, sgradita al datore di lavoro.

Pertanto, egli chiedeva la declaratoria di invalidità del licenziamento, con conseguente tutela reintegratoria nel posto di lavoro e risarcitoria per il danno subito; chiedeva inoltre la declaratoria di illegittimità della sospensione per CIGO ( cassa integrazione guadagni ordinaria) e CIGS (cassa integrazioni guadagni straordinaria), con condanna generica a risarcire i danni da quantificare in separato giudizio; infine chiedeva il risarcimento dei danni derivanti dalla pretesa discriminazione professionale ed inattività.

La sentenza offre lo spunto per un excursus sugli istituti della messa in mobilità, della cassa integrazione e dei licenziamenti collettivi.

Procedura e criteri della Cassa Integrazione

Con il termine "mobilità", oggi si indica il licenziamento collettivo, che l'imprenditore può adottare in presenza delle due seguenti condizioni, previste dalla legge 223/91. La prima ricorre nel caso in cui l'imprenditore, che ha già in atto sospensioni dal lavoro con intervento della Cassa integrazione guadagni straordinaria, valuti l'impossibilità di procedere ad un risanamento o ad una ristrutturazione necessari al superamento dei presupposti di fatto che avevano determinato il ricorso all'istituto della Cassa. La seconda si verifica, invece, quando l'imprenditore, che occupi più di 15 dipendenti, intenda licenziare almeno 5 lavoratori, nell'arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o di una trasformazione di attività o di lavoro, o quando lo stesso intenda cessare l'attività.

Scopo primario della l. 231\91 è quello di favorire la c.d. "mobilità" dei lavoratori licenziati, attraverso la loro iscrizione in liste di occupazione privilegiate, per permettere la ricollocazione dei lavoratori stessi.

Al contempo, va però osservato che l'istituto ha assunto progressivamente un carattere e una finalità "assistenziale", a protezione di un numero crescente di lavoratori invero qualificabili come veri e propri "disoccupati" occulti[1].

La procedura di mobilità trova applicazione in tutti i casi di eccedenze di personale delle imprese, distinguendosi formalmente due ipotesi:

  1. esuberi manifestatisi a causa di un processo di trasformazione o di crisi aziendale per il quale sia concesso l'intervento straordinario della Cassa integrazione guadagni ( CIGS) , nel caso in cui l'impresa ritenga di non poter garantire il reimpiego dei lavoratori eccedenti (c.d. "messa in mobilità");
  2. esuberi dovuti a riduzione o trasformazione di attività o lavoro o cessazione di attività in seguito ai quali il datore di lavoro decida di procedere alla riduzione del personale (cd. Licenziamento collettivo per riduzione del personale[2]).

In presenza di situazioni di crisi aziendale, caratterizzata dalla temporaneità[3] e dalla certezza della ripresa dell'attività produttiva, il datore di lavoro può sospendere i lavoratori dal lavoro e ricorrere alla CIGO. In tal caso, egli ha l'obbligo di richiedere l'integrazione salariale, restando, in caso contrario, responsabile per i danni subiti dai lavoratori nell'ipotesi di mancata corresponsione della stessa[4].

Qualora invece si realizzi una situazione di crisi di lunga durata e dall'esito incerto, il datore di lavoro può scegliere di intraprendere due diverse vie.

La prima via può consistere nella sospensione dei lavoratori dal lavoro richiedendo, al contempo, l'intervento della Cassa integrazione straordinaria (CIGS). Cessato il periodo di fruizione della CIGS, qualora il datore non sia in grado di garantire il reimpiego dei lavoratori, può avviare le procedure di riduzione del personale;

la seconda, invece, si realizza attraverso la stipulazione di un contratto di solidarietà difensivo (cds), ossia un accordo tra datore di lavoro e rappresentanze sindacali atto a ridurre l'orario di lavoro per evitare o limitare i licenziamenti attraverso un più razionale impiego della forza lavoro.

Il ricorso alla CIGS è giustificato nelle ipotesi di:

  • - crisi aziendale,
  • - processi di ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale,
  • - procedure concorsuali.

L'art. 1, co. 8, L. 223\91 prevede che il datore di lavoro, in caso di utilizzo della CIGS, deve alternare tra loro i lavoratori sospesi o a orario ridotto, per evitare che solo alcuni di essi siano gravati della minor retribuzione rappresentata dall'integrazione salariale (cd rotazione).

Qualora sussistano ragioni di ordine tecnico-organizzativo, dirette al mantenimento dei normali livelli di efficienza, per cui l'imprenditore ritenga di adottare, nella scelta dei lavoratori da sospendere, tra quelli che svolgono le medesime mansioni, criteri diversi da quello della rotazione, egli deve indicare nel programma da presentare alle RSU o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia, gli specifici motivi che hanno determinato tale scelta.

In merito, va segnalato che la Suprema Corte, a Sezioni Unite[5], ha sancito l'illegittimità della sospensione qualora il datore di lavoro, sia che intenda adottare il meccanismo della rotazione, sia in caso contrario, ometta di comunicare alle organizzazioni sindacali, ai fini dell'esame congiunto, gli specifici criteri eventualmente diversi dalla rotazione, di individuazione dei lavoratori che debbano essere sospesi.

È infatti previsto dalla disciplina normativa che l'imprenditore, il quale intende richiedere la CIGS, deve darne tempestiva comunicazione alle RSU o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori comparativamente più rappresentative operanti nella provincia.

Nel caso in cui nel corso o al termine del programma di CIGS il datore non sia in grado di reimpiegare anche un solo lavoratore, si applicherà la procedura stabilita per il licenziamento collettivo.

Licenziamento collettivo: presupposti e finalità

La l. 233\91 detta una disciplina apposita per il licenziamento collettivo, individuandone la nozione e stabilendo le regole procedurali da applicare.

Il licenziamento collettivo si realizza allorché l'imprenditore che occupi più di 15 dipendenti, a seguito di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, in un arco di 120 giorni, intenda procedere ad almeno 5 licenziamenti in un'unica unità produttiva o in più attività produttive presenti sul territorio della stessa provincia. È comunque espressamente ricompreso nella nozione di licenziamento collettivo, quello intimato dall'imprenditore che intende cessare totalmente l'attività.

Al licenziamento collettivo si applicano tutte le disposizioni dettate per il collocamento in mobilità.

La disciplina dettata dalla legge in esame, trova quindi applicazione per ogni ipotesi di eccedenza del personale, e, più precisamente, in presenza di esuberi dovuti a processi di trasformazione o di crisi aziendale per il quale sia concesso l'intervento della Cassa integrazione guadagni (CIGS), nel caso in cui l'impresa ritenga di non poter garantire il reimpiego dei lavoratori eccedenti(cd messa in mobilità) e nel caso in cui si integrino esuberi conseguenti a riduzione o trasformazione di attività o lavoro o cessazione di attività in seguito ai quali il datore di lavoro intenda procedere a riduzione (almeno 5 licenziamenti in 120 giorni) del personale ( cd. "licenziamento collettivo per riduzione del personale").

La procedura prevista per i licenziamenti collettivi per riduzione del personale è sostanzialmente coincidente con quella relativa alla procedura di mobilità differenziandosene unicamente per il fatto che, in questa seconda ipotesi, il licenziamento è preceduto da un periodo di CIGS.

Inoltre i soli dipendenti delle imprese assoggettate alla disciplina della CIGS, dopo la collocazione in mobilità, possono godere della cd. Indennità di mobilità, ossia di un trattamento di sostegno previdenziale espressamente previsto alla L.223\91.

Pertanto, sulla base della normativa vigente, presupposti di procedibilità del licenziamento collettivo sono i seguenti:

  • - deve trattarsi di un'impresa che occupi più di quindici dipendenti e che intenda effettuare almeno cinque licenziamenti nell'arco di 120 giorni;
  • - ciò avvenga nell'ambito della medesima unità produttiva o nell'ambito di più unità produttive della stessa provincia;
  • - detti licenziamenti siano conseguenza della riduzione o trasformazione di attività o lavoro ovvero della cessazione dell'attività.

Nel caso in cui un'impresa intenda procedere a licenziamento collettivo, deve preliminarmente darne comunicazione alle rappresentanze sindacali aziendali (RSA e RSU), nonchè alle rispettive associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

La comunicazione deve indicare:

  1. i motivi che determinano la situazione di eccedenza di personale;
  2. i motivi tecnici, organizzativi e\o produttivi per i quali si ritiene di non poter evitare i licenziamenti;
  3. il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente nonchè del personale abitualmente impiegato. Alla luce di quanto esposto, il datore di lavoro che voglia cessare l'attività, deve preliminarmente informare le Rsa e le rispettive associazioni sindacali, indicando i motivi del licenziamento e le ragioni che impediscono l'adozione di soluzioni alternative. A richiesta del sindacato, il datore di lavoro sarà eventualmente chiamato ad un esame congiunto della questione. L'esame congiunto potrà concludersi con un accordo o, al contrario, con la presa d'atto che nessun accordo è possibile.

Solo a questo punto il datore di lavoro può inviare le lettere di licenziamento ai singoli lavoratori, che saranno conseguentemente iscritti nelle liste di mobilità e che percepiranno la corrispondente indennità. Contestualmente, il datore di lavoro deve fornire - al sindacato, all'Ufficio regionale del lavoro e della massima occupazione, nonché alla Commissione regionale per l'impiego - l'elenco dei lavoratori licenziati.

L'art. 5 della citata L. 223 prevede esplicitamente l'inefficacia del licenziamento collettivo intimato in violazione della procedura sopra brevemente descritta. Inoltre, la stessa norma precisa che, nel caso di inefficacia del licenziamento collettivo, si applica l'art. 18 S.L. che dispone la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel proprio posto di lavoro.

Nell'ipotesi in esame il ricorrente lamentava innanzitutto l'illegittimità del licenziamento collettivo comminato all' esito della procedura di mobilità.

La Corte ha ritenuto fondata la domanda in quanto l'art. 5 L. 223/91 stabilisce regole ben precise per l'individuazione dei soggetti nei cui confronti deve essere attuato il licenziamento collettivo. E' infatti previsto che l'individuazione di tali soggetti debba avvenire sulla base dei criteri stabiliti mediante accordo tra organizzazioni sindacali e azienda. In caso di mancanza di accordo, la legge prevede che l'individuazione debba avvenire secondo criteri oggettivi e imparziali, evitando qualsiasi discriminazione in danno di soggetti eventualmente sgraditi dall'impresa per motivi personali (svolgimento di attività sindacale o politica, fede religiosa, razza, sesso, malattie subite e altri ancora). Per questo la legge stabilisce che debbano essere seguiti i seguenti criteri, da applicare in concorso gli uni con gli altri: a) carichi di famiglia; b) anzianità (di servizio e anagrafica); c) esigenze tecnico-produttive e organizzative.

Nel caso di specie, l'impresa de qua aveva posto in mobilità "11 lavoratori strutturalmente eccedenti rispetto alle esigenze aziendali", limitandosi a prevedere che "numero, collocazione aziendale e profili professionali dei lavoratori eccedenti. sono riportati in allegato", ed evidenziando in tale allegato che la mobilità riguardava nove operai addetti alla produzione su un totale di 52 operai addetti alla produzione stessa. I lavoratori licenziati si erano quindi venuti a trovare in una situazione di mera soggezione, subendo la scelta dell'azienda che non aveva osservato i criteri stabiliti dall'art 5 Legge n. 231\90 per l'individuazione dei soggetti nei cui confronti deve essere attuato il licenziamento collettivo.

Ebbene, secondo la Suprema Corte, essendo quindi il licenziamento collettivo illegittimo, trovando applicazione l'art. 18 S.L. , il datore di lavoro deve procedere alla la reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato nel proprio posto di lavoro nonché al risarcimento del danno patito dal lavoratore, commisurato all'entità della retribuzione globale di fatto ed al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento, al momento dell'effettiva reintegrazione[6].

Il ricorrente richiedeva poi la condanna generica di parte convenuta a risarcire il danno derivato dall'illegittima sospensione in CIGS, riservando ad un separato giudizio la quantificazione di tale danno, censurando il provvedimento di sospensione in CIGS, oltre che per finalità asseritamente discriminatorie, anche per violazione delle regole procedimentali previste dalla legge 223/91.

Anche in questo caso, il Tribunale di Ivrea ha ritenuto la domanda fondata e, come tale, la ha accolta.

Al di là del criterio della rotazione, così disciplinato, si deve evidenziare che la garanzia approntata dal settimo comma è esclusivamente procedimentale: il datore di lavoro, che non intenda adottare il criterio della rotazione, può individuare ulteriori e diversi criteri di scelta tra quelli che ritiene più opportuni per realizzare il programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale (con il limite, ovviamente, del divieto di atti discriminatori posto dall'art. 15 Stat. lav. ed il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede oggettiva[7]), ma deve farne oggetto delle comunicazioni e dell'esame congiunto previsti dall'art. 5 L. n. 164/75; disposizione questa che prescrive che l'imprenditore è tenuto a comunicare alle rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, alle organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia la durata prevedibile della sospensione, il numero dei lavoratori interessati e i criteri di individuazione di tali lavoratori[8].

A richiesta poi dello stesso datore di lavoro o delle organizzazioni sindacali si procede ad esame congiunto che può concludersi, o meno, con un accordo sindacale.

La verifica dell'esame congiunto di cui all'art. 5 L. 20 maggio 1975 n.164 presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione costituisce presupposto perché poi la richiesta possa essere inoltrata al Ministero del lavoro e della previdenza sociale nonché alla commissione regionale per l'impiego che, con l'assistenza tecnica dell'agenzia per l'impiego, possa esprimere motivato parere entro venti giorni[9].

Peraltro il programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale, che accompagna la richiesta di intervento straordinario di integrazione salariale può essere modificato anche nel corso del suo svolgimento, sicché il datore di lavoro neppure è vincolato all'originaria individuazione dei criteri di scelta ove dovessero sopravvenire evenienze tali da far ritenere inadeguati i criteri originariamente comunicati. Però anche in tal caso è prescritta una garanzia di tipo procedimentale: il datore di lavoro deve sentire le rappresentanze sindacali o, in mancanza di queste, le organizzazioni sindacali di categoria più rappresentative operanti nella provincia. Se quindi la modifica del programma concerne anche (o in ipotesi solo) i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, la prescritta previa consultazione delle organizzazioni sindacali da parte del datore di lavoro implica anche la previa comunicazione dei nuovi criteri.
Quindi, mentre per il criterio della rotazione la garanzia è in parte sostanziale (perché, se il datore di lavoro non lo respinge, indicandone le ragioni, si applica residualmente quello della rotazione) ed in parte procedimentale (perché l'apprezzamento delle ragioni, allegate dal datore di lavoro, che giustificano la mancata adozione della rotazione, è fatto in sede di uno specifico procedimento amministrativo che culmina in un provvedimento), per gli altri criteri la garanzia è meramente procedimentale (perché il datore di lavoro, pur essendo libero di individuare tali criteri, ha l'onere della previa comunicazione e quello del confronto sindacale).

Peraltro questo duplice onere persegue un'altrettanta duplice finalità. Mentre il prescritto previo esame congiunto mira a sollecitare la regolamentazione sindacale dell'esercizio di un potere datoriale, quale quello di sospensione, la previa comunicazione dei criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere ha una finalità più pregnante che è quella rendere trasparente e verificabile la scelta datoriale in funzione di tutela (minima) di quei lavoratori che, in quanto in una situazione di soggezione a fronte di un potere privato legittimato dal provvedimento concessivo dell'integrazione salariale, tale scelta subiscono .

Si ha allora - per riprendere la comparazione in esame - che, mentre in caso di licenziamenti collettivi o di recesso per mobilità i lavoratori fruiscono della garanzia per cui i criteri di scelta sono determinati dalle parti sociali con contratto collettivo ovvero residualmente sono fissati dalle legge, ma in nessun caso sono rimessi alla discrezionalità del datore di lavoro, invece nel caso di sospensione per intervento della c.i.g.s. da una parte il criterio legale della rotazione (i.e. garanzia sostanziale) è flessibile perché, sussistendo giustificati motivi (peraltro apprezzati in sede di procedimento amministrativo), può legittimamente non operare, d'altra parte criteri di scelta alternativi alla rotazione possono essere fissati dal datore di lavoro discrezionalmente (con i limiti sopra richiamati), ma almeno devono essere comunicati prima perché possa verificarsene il successivo rispetto ( ed in ciò risiede la garanzia procedimentale).

Se poi si passa a considerare la portata e gli effetti di tali prescrizioni in termini di idoneità a condizionare la legittimità delle scelte datoriali - per il giudice di legittimità - può ancora distinguersi il duplice profilo, sostanziale e procedimentale.I1 carattere sostanziale della garanzia della rotazione (nei limitati termini in cui è riconosciuta) implica in sé - in ragione della ratio della sua previsione - che l'eventuale inosservanza di tale criterio, destinato ad operare a valle del provvedimento concessivo dell'intervento straordinario di integrazione salariale e quindi in realtà senza condizionarne la legittimità, incide direttamente sul rapporto di lavoro nel senso che, una volta verificato che il criterio di scelta è quello della rotazione (vuoi perché il datore di lavoro ne ha comunicato - e poi sottoposto ad esame congiunto - le modalità di applicazione; vuoi perché la sua adozione è prescritta con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, che quindi fa corpo con il decreto concessivo dell'intervento straordinario della c.i.g.), la sospensione del singolo lavoratore è illegittima, se il criterio non è rispettato.

Né potrebbe obiettarsi - secondo la Suprema Corte - che soltanto per la collocazione in mobilità e per il licenziamento collettivo la violazione dei criteri di scelta comporta l'annullabilità del recesso (terzo comma dell'art. 5 cit.). Da ciò non può argomentarsi a contrario che la violazione dei criteri di scelta nel caso della sospensione del rapporto per intervento della c.i.g.s. sia priva di sanzione.

Infatti in un caso la facoltà di recesso del datore di lavoro è espressamente prevista (dall'art. 4, comma 9, e dall'art. 5) come diretta a produrre l'effetto risolutivo del rapporto, effetto che, verificandosi la violazione di una disposizione imperativa, necessita di essere paralizzato dall'altrettanta espressa previsione dell'annullabilità dell'atto.

Invece la «sospensione» del rapporto per intervento della c.i.g.s. concorre in realtà ad incidere soltanto sul regime dell'adempimento derogandolo nel senso di elevare al livello dell'impossibilità della prestazione, prevista dall'art. 1218 c.c. quale ragione di esonero dalle conseguenze dell'inadempimento, situazioni quali quelle della ristrutturazione, riorganizzazione o riconversione aziendale, che rappresenterebbero invece solo difficoltà nell'adempimento e che in sé non esonererebbero il datore di lavoro dall'obbligazione retributiva; sicché simmetricamente, ove questa diversa fattispecie legale non sia interamente verificata, non c'è in realtà alcunché da invalidare, ma riprende vigore l'ordinario regime dell'adempimento (solo in tal senso può sinteticamente, ma ellitticamente, parlarsi di illegittimità della sospensione).

Di tale diversità di prospettiva costituisce poi visibile punto di emersione la disciplina della prescrizione che, in tal caso, non è affatto quella dell'annullabilità, bensì quella ordinaria dei crediti retributivi (quanto alla pretesa azionata dal lavoratore di percepire la retribuzione per la sua prestazione non divenuta impossibile). Questa fattispecie legale complessa deve essere interamente verificata anche con riferimento alle prescrizione, di carattere procedimentale; ciò essenzialmente perché il legislatore, nel disegnare la fattispecie e nel collegarvi l'effetto di schermare la disciplina ordinaria dell'adempimento, non opera alcuna distinzione tale da indurre a ritenere che alcune prescrizioni, a differenza di altre, siano esterne alla fattispecie e quindi non impediscano il prodursi dell'effetto medesimo.

E' quindi ininfluente - nella prospettiva del giudice di legittimità - sotto questo profilo, il carattere meramente procedimentale della garanzia predisposta a tutela del lavoratore che subisce l'innesto (nella disciplina del rapporto) di una causa extra ordinem di esonero dall'adempimento del datore di lavoro. In ogni caso la fattispecie legale non si è completata e quindi non insorge l'effetto che alla fattispecie è collegato.
La circostanza poi che, nella specie, la garanzia procedimentale consista in un obbligo (di comunicazione) posto a carico del datore di lavoro ed in favore delle organizzazioni sindacali, anziché di ogni singolo lavoratore potenzialmente destinatario della sospensione, non è idonea a revocare in dubbio l'affermazione fatta.

Vi è infatti un doppio piano - quello delle prerogative sindacali e quello delle garanzie individuali - sicché l'obbligo di comunicazione in questione assolve ad una duplice funzione in quanto da una parte mira a porre le associazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere; d'altra parte assicura al lavoratore, potenzialmente destinatario della sospensione, un minimo di tutela consistente nella previa individuazione dei criteri di scelta comunicati al sindacato e quindi essenzialmente nella trasparenza (e verificabilità) dell'esercizio di questo potere privato del datore di lavoro, derogatorio della posizione di parità delle parti, altrimenti tipica di un rapporto (quale quello di lavoro) espressione di autonomia delle parti.
L'opposta tesi, invece, presuppone ed è una (in realtà non prevista) scissione della fattispecie nel senso che alcuni presupposti non riguarderebbero propriamente l'effetto tipizzato dell'alterazione della disciplina dell'adempimento nel rapporto di lavoro, bensì l'adempimento di obblighi relativi al rapporto sindacale.

Ma la sovrapposizione del piano collettivo a quello individuale (e la loro asserita separatezza), sottesa alla ritenuta esclusione dei lavoratori a far valere l'inadempimento del datore di lavoro al suddetto obbligo di comunicazione, avrebbe richiesto una previsione espressa ed avrebbe anche comportato per il legislatore (in ragione degli irrisolti limiti derivanti all'azione sindacale di diritto comune dalla mancata attuazione della prescrizione posta dall'art. 39 Cost.) una rigorosa soluzione del problema della rappresentatività sindacale, essendo in gioco diritti soggettivi individuali (a percepire la retribuzione per la prestazione lavorativa che non sia divenuta impossibile) e non già interessi collettivi o mere aspettative di fatto.

In tale contrastata prospettiva, nel caso in cui il sindacato nulla obiettasse in sede di concertazione sindacale all'inadempienza del datore di lavoro in ordine alla previa individuazione dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere, si finirebbe per delegare al sindacato stesso la verifica di una garanzia procedimentale posta a presidio di una situazione individuale di diritto soggettivo di ogni singolo lavoratore sospeso, anche se non affatto affiliato al sindacato stesso.
Quindi anche se - essendo gli obblighi di comunicazione e concertazione previsti in favore del sindacato - una tale violazione procedimentale possa atteggiarsi quale condotta antisindacale suscettibile di essere contrastata con il procedimento di repressione previsto dall'art. 28 Stat. lav., rimane comunque la rilevanza sul piano del rapporto di lavoro nel senso che non essendosi completata la fattispecie tipica, non insorge neppure l'effetto di deroga all'ordinaria disciplina dell'adempimento.

D'altra parte non costituisce affatto una contraddizione o un'anomalia l'evenienza che una condotta antisindacale si atteggi, in quanto plurioffensiva, anche a violazione di diritti soggettivi individuali dei lavoratori[10].

Parimenti è nota l'incidenza di garanzie procedimentali nell'esercizio di poteri privati (tipico nel rapporto di lavoro è il potere disciplinare che può essere legittimamente esercitato solo- a condizione del rispetto delle garanzie procedimentali poste dall'art. 7 Stat. lav.). Mette conto più specificamente di ricordare - quanto all'obbligo (gravante sul datore di lavoro, che eserciti la facoltà di collocamento in mobilità, e posto in favore, tra l'altro, delle associazioni sindacali) di « puntuale indicazione delle modalità con le quali sono stati applicati i criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1 » , cit. - che espressamente l'art. 4, comma 12, sancisce l'inefficacia delle comunicazioni (di recesso) effettuate senza l' «osservanza ... delle procedure» previste dalla medesima disposizione, mostrando così la ritenuta valorizzazione delle garanzie procedimentali.

D'altra parte, la pregnanza delle garanzie procedimentali (e l'equiparazione, sotto questo profilo, delle garanzie sostanziali) risulta già, con riferimento alla fattispecie parallela dei licenziamenti collettivi, dalla giurisprudenza di questa Corte[11].

Si è infatti affermato che i licenziamenti per riduzione di personale effettuati ai sensi dell'art. 4 1. 23 luglio 1991 n. 223 sono inefficaci, ai sensi dell'art. 5, 3° comma, stessa legge, qualora siano intimati in violazione delle procedure previste dal medesimo art. 4, che impone la comunicazione agli uffici competenti e alle organizzazioni sindacali delle specifiche modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare[12].

Inoltre - considerata la duplice articolazione della prospettazione difensiva dei ricorrenti, disattesa (anche sotto questo ulteriore profilo che si viene ad esaminare) dalla sentenza impugnata - c'è da rimarcare che per le garanzie procedimentali può predicarsi anche l'incidenza indiretta sul rapporto di lavoro perché destinate ad operare all'interno del procedimento che poi sfocia nel provvedimento concessivo. Questa valenza endoprocedimentale della previsione normativa in esame - come di ogni altra prescrizione che scandisce e modula i tempi e gli adempimenti che precedono, come presupposti di fatto, l'emissione del provvedimento - orienta la ricerca della sanzione -anche all'interno dello stesso procedimento nel senso che il provvedimento è condizionato, come presupposto di legittimità, dal suo puntuale rispetto[13].

D'altra parte costituirebbe sì un'anomalia ed una contraddizione - perché di dubbia compatibilità con il canone costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.) - assegnare ad una verifica esterna del rispetto delle regole che presiedono alle relazioni sindacali anche la legittimità dell'azione amministrativa, tanto più quando le situazioni soggettive coinvolte siano innanzi tutto individuali e del rango di diritti soggettivi.

Deve quindi ritenersi - a avviso della Suprema Corte - che una violazione delle regole del procedimento incida direttamente sulla legittimità del provvedimento amministrativo di concessione dell'intervento straordinario di integrazione salariale che non può essere assentito in una situazione in cui né il criterio della rotazione, né altro criterio sia indicato per l'individuazione dei lavoratori da sospendere; sicché, con riferimento alla fattispecie in esame, è illegittimo un provvedimento concessorio nel caso in cui da una parte l'adozione del criterio della rotazione risulti espressamente esclusa, né alternativamente sia introdotto dal provvedimento di cui all'ottavo comma dell'art. 1 cit., d'altra parte nessun altro criterio risulti essere stato comunicato dal datore di lavoro ed assoggettato ad esame congiunto.

L'illegittimità del provvedimento concessorio incide poi in sequenza logica anche sulla sospensione disposta dal datore di lavoro che tale provvedimento presuppone.

Si ha allora che, avendo la posizione dei lavoratori natura di diritto soggettivo (a percepire la retribuzione per la prestazione lavorativa che non sia divenuta impossibile) e non essendo prevista in ordine a tale situazione soggettiva un'idoneità ablatoria del provvedimento che la degradi in interesse legittimo, ben possono i lavoratori sospesi sollecitare l'accertamento incidenter tantum dell'illegittimità del provvedimento amministrativo - ancorché la sua mancata impugnazione innanzi al giudice amministrativo lo renda definitivo (in particolare nei rapporti tra datore di lavoro ed I.N.P.S.) - chiedendo che il giudice ordinario lo disapplichi (ex art. 5 legge 20 marzo 1865 n.2248, All. E) e conseguentemente accerti l'«illegittimità» (nel significato sopra precisato) della sospensione dal lavoro (resa insuscettibile di essere orientata secondo criteri di scelta previamente comunicati) facendo così valere l'inadempimento del datore di lavoro alla stregua dei canoni generali, non più schermati da alcun valido provvedimento di sospensione[14].

Le argomentazioni finora sviluppate sotto l'uno e l'altro profilo (da ultimo sub 5.8. e 5.9.), convergono a fondamento dell'affermazione conclusiva che, ove il datore di lavoro, nel respingere il criterio della rotazione, non abbia adempiuto all'obbligo posto dall'art. 1, comma 7, 1. n.223/91 di comunicare previamente alle organizzazioni sindacali i (diversi) criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, è illegittima la sospensione stessa (nel significato sopra precisato) e quindi opera - in ordine all'obbligazione retributiva - l'ordinario regime dell'adempimento previsto dall'art. 1218 c.c..

Ebbene, in materia sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, componendo un contrasto giurisprudenziale circa l'interpretazione dei commi 7 ed 8 dell'articolo 1 legge 223/91 ed aderendo alla tesi già fatta propria dalla citata Cassazione lavoro, 11263/98 e 2882/98, con la pronuncia n. 302/2000 hanno chiarito che l'onere del datore di lavoro in ordine alla comunicazione ed all'eventuale esame congiunto, riguarda, in generale, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, ivi compresi quelli concernenti le modalità della rotazione ove prevista.

Spiega infatti la S.C. che quello della rotazione è un criterio generale, dal quale il datore di lavoro può discostarsi soltanto se indica, nel programma che accompagna la richiesta di integrazione salariale, i motivi di questa diversa scelta mediante la segnalazione di altri criteri idonei ad individuare i lavoratori da sospendere, ed anche questi diversi criteri, per conseguenza, debbono formare oggetto della comunicazione e dell'esame congiunto.

Per il giudice di legittimità la comunicazione è stata prevista per assolvere ad una duplice funzione:

  1. porre le organizzazioni sindacali nella posizione di concordare la scelta dei lavoratori da sospendere;
  2. assicurare la tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla crisi dell'impresa

Pertanto, seguendo la condivisibile impostazione della Suprema Corte, "la violazione dell'obbligo di comunicazione, da un lato integra una condotta antisindacale che può formare oggetto dell'azione prevista dall'art 28 l. 300\70; dall'altro determinando la mancata verifica del corretto esercizio del potere datoriale, causa l'inefficacia del provvedimento finale".


Note:

[1] In proposito, ad es., Cass., 28 maggio 2003 n. 8489, in GIUS, 2002, 22, 2546 ha escluso l'applicabilità dell'art. 2103 cod. civ. ai dipendenti di una società promossa dalla GEPI nel passaggio ad altro datore, sul presupposto del carattere fittizio dei relativi rapporti di lavoro.

[2] V. Del Giudice - Mariano - Izzo, Napoli, 2005, 404 ss.

[3] Si deve rilevare come Cons. Stato, VI, 22 agosto 2000, n. 4549, in Cons. Stato, 2000, I, 1888, abbia escluso la legittimità del diniego della CIGO in presenza di una contrazione costante dell'attività di ciascun anno, atta a escludere il necessario presupposto della temporaneità dell'evento.

[4] In tema, v. AA.VV., Diritto del Lavoro, II, Il rapporto di lavoro subordinato, Torino, 2005, 281 ss.

[5] Cass, S.U. 11 maggio 2000 n. 302.

[6] Ex art. 18 4° co., legge n. 300/70.

[7] V. Corte Cost. 9 giugno 1988 n. 694.

[8] per effetto dell'integrazione apportata dal cit. settimo comma dell'art. 1 cit.

[9] Ciò in base al disposto dell'art. 1 D.lgs. 16 maggio 1994 n. 299, convertito in Legge 19 luglio 1994 n. 451.

[10] Cfr., in tema di licenziamento: Cass. SS. UU. 17 febbraio 1992 n.1916; in tema di trasferimento: Cass. SS. UU. 13 dicembre 1993 n. 12261).

[11] Non senza considerare che di procedimentalizzazione dell'esercizio del potere imprenditoriale di scelta dei lavoratori, con riferimento però alla disciplina dei licenziamenti collettivi, parla anche C. Cost. 30 giugno 1994 n.268, cit.

[12] Cass. 26 luglio 1996 n.6759; conf. anche analogamente Cass. 27 maggio 1997 n.4685.

[13] Con riferimento alla procedura di consultazione sindacale prevista dall'art. 5 1. 20 maggio 1975 n. 164, Cass. 16 gennaio 1996 n.318 parla di efficacia endoprocedimentale, influente sull'esercizio del potere amministrativo di autorizzazione all'integrazione salariale

[14] Sulla possibilità della disapplicazione dell'atto amministrativo ad opera del giudice ordinario ogni qual volta incida in situazioni di diritto soggettivo cfr. da ultimo Cass. SS.UU. 18 novembre 1997 n. 11435.

Autore: Avv. Giulio Bruno - tratto da "Il Quotidiano Giuridico" - 09/04/08