AMBIGUITA', OSCILLAZIONI E CONTRADDIZIONI IN TEMA DI PROVA DELLA CONOSCENZA DELLO STATO DI INSOLVENZA

 

SOMMARIO

1) gli indici sintomatici dell'insolvenza nella casistica giurisprudenziale
2) le peculiarità nel caso di revocatoria bancaria
3) ambiguità probatorie: conoscenza dello stato d'insolvenza o mera conoscibilità ?
4) ambivalenza dei singoli indici sintomatici
5) incertezze nella dimostrazione della scientia decoctionis
6) conclusioni.
 

 

1) gli indici sintomatici dell'insolvenza nella casistica giurisprudenziale

In tema di azione revocatoria fallimentare, nei casi indicati dall'art. 67 comma 2 L.F. spetta al curatore la dimostrazione della altrui conoscenza dello stato d'insolvenza. Ed e noto che, a tal fine, la giurisprudenza fa ricorso a circostanze oggettive che permettono di risalire - per presunzione - al fatto che, al momento del compimento dell'atto pregiudizievole, la controparte del fallito era al corrente della crisi economica di quest'ultimo.

Si ricorre infatti ad indici sintomatici esterni per dedurre che il convenuto in revocatoria, stante la loro presenza, non poteva ignorare l'incapacità sistematica del debitore di far fronte alle proprie obbligazioni.

In proposito, un primo indice viene tradizionalmente riconosciuto nell'esistenza di protesti a carico del debitore (di recente vedasi Trib. S. Remo 19.3.2002 in www.ilfallimento.it); cio a fortiori quando i titoli protestati siano rilasciati allo stesso convenuto (cfr. Cass. 28.4.1998 n. 4318).

Analogo valore indiziario assume l'esistenza di procedure esecutive a carico del fallito; con la precisazione che, qualora si tratti di esecuzione mobiliare, non sussiste un elemento che rivela inequivocabilmente la crisi economica dell'imprenditore, data l'assenza di pubblicità che connota tale procedura  (Trib. Venezia 15.12.2000 in Foro Padano 2001, I, 399).

Anche l'iscrizione di un'ipoteca viene considerata indizio che, unito ad altri, manifesta lo stato di dissesto, ponendo a carico del terzo un indizio a suo svantaggio (Cass. 14.4.1994 n.3507), come la trascrizione di un sequestro conservativo (Cass. 7.8.1997 n.7298), senza contare che in entrambi i casi vige la pubblicità dei registri immobiliari.

Un altro segnale viene talvolta rinvenuto nella emissione di decreti ingiuntivi, soprattutto nel caso in cui il creditore sia un'impresa di dimensioni rilevanti (vedasi Trib. Milano 21.5.1992 in Dir. Fall. 1992, 982).

Certamente l'istanza di fallimento presentata dallo stesso creditore manifesta la consapevolezza della altrui incapacità di far fronte alle obbligazioni (Cass. 28.10.1998 n.10738) e ciò anche quando l'istanza venga respinta (cfr. Cass. 4318/98 cit.).

Venendo ad elementi che assumono grande peso nel caso di società di ingenti dimensioni, un considerevole "termometro" dell'insolvenza e dato dal bilancio, tanto che in alcuni casi lo si considera elemento decisivo a prescindere da ulteriori sintomi del dissesto (cosi Corte App. Bologna 13.4.2000 in Dir. Fall. 2000, II, 782).

Quanto agli indici non strettamente giuridici, un risalto notevole possono assumere le notizie di stampa riguardanti alcune vicende dell'impresa (scioperi, cassa integrazione ecc.). Tali notizie, specialmente se unite ad altri elementi, vengono considerate un indizio particolarmente rilevante (cfr. Cass. 23.1.1997 n. 699).

Ancora: sono ritenuti apprezzabili tutti quei segnali che denotano una degenerazione degli ordinari rapporti imprenditoriali. Si pensi ai reclami dei fornitori, alle rateizzazioni del credito, ai ritardi dei pagamenti o al ricorso a mezzi anormali nell'esecuzione degli stessi (cfr. Trib. Padova 1.3.2002 in Giur. merito 2002, 1264).

Risolutiva ai fini della prova in esame, infine, viene giustamente valutata la lettera inviata dal debitore contenente l'ammissione di difficoltà finanziarie con relativa richiesta di dilazione dei pagamenti (cfr. Trib. Torino 11.11.1992 in Giur. it. 1993, I, 2, 113), ovvero la proposta di definizione transattiva a stralcio, stante l'assenza di liquidità (Trib. Milano 26.9.1988 in Dir. Fall. 1989, II, 633).

2) le peculiarità nel caso di revocatoria bancaria

Nel campo della revocatoria proposta contro gli istituti di credito agli indicatori dell'insolvenza sopra descritti se ne aggiungono altri, connessi al profilo peculiare del soggetto che entra in rapporto con l'imprenditore in difficoltà.  

Il tema ha una connotazione specifica, se si valuta che lo status di banchiere costituisce un dato che depone per la sua consapevolezza del dissesto, sulla base dei comportamenti assunti generalmente dalle banche e della loro capacita di analisi dei dati economici (cfr. in questo sito Trib. Mantova 13.3.2003). Trattasi infatti di operatore qualificato dal quale, con riferimento alla possibile conoscenza della crisi, ci si attende una diligenza superiore alla media.   

In quest'ottica, nell'ambito degli indicatori di cui le banche dispongono in maniera privilegiata, si possono citare in primo luogo i dati desunti dal bilancio, di cui esse entrano normalmente in possesso: a maggior ragione se si riconosce che tali enti sono dotati di strumenti interpretativi particolarmente raffinati (Corte App. Bologna 13.4.2000 cit.).

Determinante risulta poi la facoltà di controllare costantemente lo stato di salute dell'impresa monitorando l'andamento del conto corrente. Infatti, eventi quali l'addebito di numerosi insoluti, l'omesso pagamento delle rate di un leasing, la difficoltà a rientrare dagli sconfinamenti concessi ecc., costituiscono circostanze decisive per provare la scientia decoctionis (cfr. Quatraro-Ciaccia, La prova della conoscenza dello stato di insolvenza nei giudizi di revocatoria delle rimesse bancarie in Dir. fall. 2003, I, 1206).

Secondo parte della giurisprudenza anche le informazioni risultanti dalla Centrale dei rischi possono condurre alla presunzione di conoscenza dello stato d'insolvenza (cfr. Trib. Milano 27.10.1999 in Banca Borsa tit. cred. 2001, II, 341).

La stessa precostituzione di garanzie reali attraverso la trasformazione di un saldo passivo di c/c in un mutuo ipotecario - tralasciando l'aspetto relativo alla simulazione contrattuale eventualmente realizzata dalla banca - costituirebbe un segnale tipico di una situazione prefallimentare universalmente nota (Trib. Monza 19.11.2001 in www.ilfallimento.it ).        

La massima importanza rivestono poi comportamenti quali la revoca del fido o la richiesta di rientro: comportamenti che potrebbero quasi considerarsi una prova diretta della conoscenza dell'insolvenza.  

Nel campo della revocatoria bancaria, tuttavia, in alcuni casi si manifesta chiaramente il profilo d'incertezza che connota alcuni degli indici in questione. L'esempio paradigmatico e quello che concerne il mantenimento del fido (o la concessione di ulteriore credito). Come interpretare tale segnale ?

Ovviamente la banca convenuta cercherà di sottolineare che tale circostanza e indice della sua scientia decoctionis., tesi peraltro condivisa in alcune sentenze (cfr. in questo sito Corte App. Brescia 15.5.2002).

Per altro verso, si può invece ritenere che la rinnovata fiducia concessa all'imprenditore trovi fondamento nella speranza che il nuovo credito lo aiuti a superare una crisi economica che risulta ampiamente nota all'ente creditizio: cosicché si percepisce l'ambivalenza di tale elemento (cfr. Cass. 5.1.1995 n.189).           

 

3) ambiguità probatorie: conoscenza dello stato d'insolvenza o mera conoscibilità ?

Quest'ultima osservazione permette di riflettere, più in generale, sulla natura sfuggente della prova della conoscenza del dissesto.

Da un lato si osserva che l'attore in revocatoria - laddove non vige una presunzione a suo favore - deve dimostrare l'effettiva conoscenza, da parte dell'accipiens, dello stato d'insolvenza del debitore, ragion per cui l'onere probatorio non può essere assolto sulla scorta di un giudizio di mera conoscibilità potenziale (cfr. ad esempio Cass. 28.8.2001 n.11289). Addirittura si afferma che, agli effetti della revoca, "assume rilievo soltanto la concreta situazione psicologica del creditore" (Cass. 3507/94 cit.). 

D'altra parte si rimarca pero che presunzioni gravi, precise e concordanti permetterebbero di dedurre, sulla scorta del canone della normale diligenza, la conoscenza dello stato d'insolvenza da parte del beneficiario dell'atto (cfr. tra le tante Cass. 13.9.2000 n. 12057).

In questo quadro la prospettiva che privilegia la dimostrazione dell'effettiva scientia decoctionis si giustifica con esigenze garantistiche e di rispetto per gli ordinari canoni probatori (art. 2697 c.c.), rifiutando "scorciatoie" favorevoli al curatore. Senza contare che il legislatore utilizza il termine "conoscenza" non a caso, se e vero che in altri ambiti non esita a fare uso della categoria della "conoscibilità" (cfr. art. 1341 c.c. in tema di condizioni generali di contratto).   

D'altro canto, pero, l'imperscrutabilità di uno stato psicologico favorisce la tesi secondo cui nel caso di specie non si può fare a meno della prova logica. In questa direzione parte della giurisprudenza privilegia il dato secondo cui un soggetto avveduto "non poteva non sapere" che la controparte si trovava in difficoltà (in tal senso, di recente, Trib. Torino 8.1.2003 in Giur. it. 2003, 1200).

Si tratta di due ottiche diverse: una cosa e dimostrare - tramite elementi diretti - che un soggetto effettivamente sapeva della crisi altrui; altra cosa e presumere che lo stesso - in base ad un comportamento mediamente diligente - poteva venirne al corrente. Tuttavia, in molte sentenze i due piani vengono fatti coincidere: spesso si dice che la prova della conoscenza può essere integrata dalla prova della conoscibilità (cosi testualmente Cass. 21.12.1998 n. 12736).

Ad esempio si legge che "la conoscenza dello stato d'insolvenza dell'imprenditore, da parte del terzo contraente, deve essere effettiva e non meramente potenziale ma, non ponendo la legge alcun limite ai mezzi di prova esperibili dal curatore, gli elementi indicativi della conoscenza della situazione d'insolvenza possono risultare da semplici elementi indiziari, attinenti alla conoscibilità dell'insolvenza stessa da parte di un soggetto di ordinaria prudenza e avvedutezza." (cosi tra le tante Cass. 12057/00 cit.). 

Ora, e vero che - a parte il caso di una confessione o forse anche di una prova testimoniale inequivocabile - la prova diretta della scientia decoctionis appare oltremodo ardua, per cui il ricorso alle presunzioni di cui all'art. 2729 c.c. risulta indefettibile. E' pero anche vero che, se si imbocca questa strada, il simultaneo richiamo alla "conoscenza effettiva" dell'insolvenza rimane lettera morta, non avendo alcuna conseguenza concreta sotto il profilo probatorio.

 

4) ambivalenza dei singoli indici sintomatici

Per dimostrare la differenza che sussiste tra le due impostazioni e l'ambiguita probatoria (spesso ignorata) che connota l'elemento soggettivo in esame, si possono riprendere gli esempi citati ai punti 1 e 2, sottolineandone l'ambivalenza ermeneutica.

I protesti cambiari o le procedure esecutive: si afferma generalmente che dovrebbero far presumere nei creditori la cognizione del dissesto. Peraltro, come sottolinea autorevole dottrina, da strumenti di pubblicità quali i bollettini dei protesti, i registri di cancelleria ed immobiliari, non discende ne un effetto di pubblicita-notizia legale, ne soprattutto di conoscenza effettiva. Ciò in quanto alla rilevanza di fronte ai terzi di dette forme di pubblicita - che può determinare il sorgere di affidamenti, aspettative od obblighi - può non corrispondere in concreto un'effettiva diffusione e conoscenza della rappresentazione dei fatti, contenuta nell'atto pubblicato (Bonsignori, Diritto Fallimentare, Torino, 1992, 191; in quest'ottica Trib. Milano 22.6.1995 in Gius. 1995, 3164).   

Seguendo questa impostazione, in alcune sentenze si afferma che l'onere della prova della scientia decoctionis non può assolversi semplicemente ricorrendo all'esistenza di protesti cambiari, quando il creditore abbia sede in una provincia diversa da quella del debitore e quando la struttura imprenditoriale del primo non sia tale da consentire agevolmente il controllo dei bollettini dei protesti in altre province (Trib. Catania 20.10.1998 in Giur. it. 1999, 109; contra Cass. 7298/97 cit.).

Quanto alle risultanze del bilancio, si e gia accennato che queste possono ragionevolmente costituire un elemento presuntivo a favore del curatore. E' stato tuttavia rilevato che il creditore non ha l'onere di una loro interpretazione critica (Corte App. Roma 25.3.2002 in Dir. Fall. 2002, II, 719). A volte, poi, non sussistono dati evidenti a carico del convenuto: l'analisi del bilancio viene demandata a posteriori ad un consulente le cui valutazioni potrebbero travalicare i limiti dell'ausilio tecnico per assumere connotati esplorativi (cfr. Fabiani, Preclusioni istruttorie e onere della prova nelle consulenze tecniche in tema di revocatoria fallimentare, in Giur. it. 2003, 265).

Ancora: con riguardo all'ipotesi di gruppo di imprese, si afferma da un lato che la prova può essere desunta dalla conoscenza della crisi del gruppo (cfr. Trib. Como 11.9.2002 in Giur. it. 2003, 517), dall'altro che la cognizione dell'insolvenza deve riferirsi alla sola società debitrice (Trib. Napoli 26.11.1984 in Foro it. 1985, I, 867). Insomma, anche qui si oscilla tra un livello più alto di aspettativa probatoria ad uno più basso.

Pure i classici segnali premonitori della crisi come i ritardi nei pagamenti, le richieste di dilazione, l'estinzione dei debiti con mezzi anomali, potrebbero non essere decisivi. In effetti, una cosa e ricostruire a posteriori l'esistenza di una situazione di crisi al momento del compimento di un atto, altra cosa e dimostrare che le informazioni ostentate in giudizio dalla curatela siano state tempestivamente conosciute dal terzo contraente (aspetto sottolineato da Corte App. Roma 12.5.1980 in Fall. 1981, 665; Trib. Nola 2.7.2003 in www.iussit.it).

Infine, tornando al caso in cui l'accipiens e una banca - che pure risulta meno incerto degli altri - si e gia detto che essa può accedere direttamente a preziose informazioni tramite la Centrale dei rischi. Nondimeno, e stato sottolineato che la prova della scientia decoctionis non e desumibile dalla revoca, da parte di altro istituto di credito, degli affidamenti concessi all'imprenditore - ancorché pubblicizzata presso detta Centrale - posto che tale atto di pubblicità "evidenzia solo la eventuale riduzione degli affidamenti senza ulteriore specificazione dei soggetti interessati e soprattutto delle cause della riduzione stessa" (Trib. Parma 27.5.1998 in Fall. 1999, 565).

 

5) incertezze nella dimostrazione della scientia decoctionis

Ragionando su questi esempi sorge una perplessità ulteriore. Tramutare sic et simpliciter la conoscenza dello stato d'insolvenza nella conoscibilità dei suoi segni esteriori potrebbe condurre ad una sostanziale equiparazione tra la revocatoria di cui al primo comma dell'art. 67 e quella di cui al secondo comma.

Nei casi di cui al secondo comma, a fronte della prova dell'esistenza di tali segni riconoscibili, non sarebbe più onere del curatore provarne la conoscenza in capo al convenuto bensì onere di costui fornire la prova contraria (in questi termini Cass. 9.4.1991 n.3716; sottolinea questa incongruenza Corsi, Per una nuova revocatoria, in Giur. comm. 2001, I, 459).

Il discorso si complica ancora se si assume il punto di vista del terzo che deve fornire la prova della scientia decoctionis, secondo quanto la legge impone per i casi in cui il fallito ha compiuto un atto anomalo (art. 67 comma 1 L.F.).

In proposito si sostiene che le medesime circostanze che debbono essere provate per dimostrare la conoscenza dell'insolvenza costituiscono gli elementi decisivi, se dimostrati insussistenti, per fornire la prova della non conoscenza di tale stato: a tal fine sarebbe sufficiente dimostrare l'inesistenza degli elementi rivelatori della crisi, stante l'impossibilita di fornire una prova negativa di "non conoscenza" (cfr. Tedeschi, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2001, 350).

Ad esempio: nel caso di revocatoria ai sensi del I? comma il terzo potrebbe sottrarsi alla revoca allegando i certificati negativi di iscrizione nel bollettino dei protesti o di esecuzioni a carico della controparte (cosi Cass. 27.9.2002 n. 14012).

Dunque, anche il convenuto può utilizzare le presunzioni per dimostrare la propria inscientia decoctionis (dal fatto noto dell'assenza di protesti si risale al fatto ignoto dell'inconsapevolezza dello stato d'insolvenza) cosi che la ripartizione dell'onere probatorio può divenire oltremodo incerta.   

Infatti, a voler essere rigidi, la semplice dimostrazione dell'assenza di indici sintomatici dell'insolvenza parrebbe insufficiente: per evitare la revocatoria, il convenuto dovrebbe addirittura dimostrare, in positivo, la sussistenza di una normale situazione di esercizio dell'impresa poi fallita (cfr. Cass. 9.1.1998 n.119).

Ecco perché e evidenziato, sotto questo profilo, che la prova a carico dell'accipiens e diabolica, o che questi può trovare una via di salvezza solo dimostrando che l'anomalia dell'operazione realizzata con il fallito aveva una precisa spiegazione: l'esiguità del corrispettivo dell'acquisto dipendeva da particolari circostanze in cui era stato concluso l'affare; sussisteva un collegamento con un'altra operazione; si e frainteso l'effettivo valore commerciale del bene etc. (Terranova in Commentario Scialoja-Branca, art.64-71 Legge Fallimentare, Bologna-Roma, 1993, I, 108).

 

6) conclusioni

Ora, le incertezze probatorie non riguardano ovviamente tutti i casi. Di fronte ad alcune circostanze si può ragionevolmente giungere all'affermazione della conoscenza dello stato di insolvenza: si pensi all'istanza di fallimento presentata dallo stesso convenuto, alla lettera contenente il riconoscimento di difficolta finanziarie, alla revoca del fido da parte della banca.

In molte fattispecie, tuttavia, non vi sono contorni netti: ci si trova di fronte il classico bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Il giudice, pero, non ha scelta poiche deve accogliere la domanda o respingerla. Il bicchiere a meta va riempito o svuotato del tutto.

Nei casi ambigui, in presenza del medesimo quadro probatorio si giunge a conclusioni esattamente opposte: la domanda viene accolta o respinta a seconda della maggiore o minore considerazione degli indici sintomatici sopra descritti; e cio senza che la decisione possa essere esposta a censure decisive (soprattutto avanti alla Cassazione, posto che il giudizio circa la sussistenza della scientia decoctionis, configurando un apprezzamento di fatto, e incensurabile in sede di legittimita).

E' vero poi che l'accertamento della scientia decoctionis va effettuato caso per caso; ma e altrettanto vero che le fattispecie sono spesso molto simili, specialmente quando ad essere convenuto e un istituto di credito. Se dunque si reputa indefettibile il ricorso a presunzioni, sarebbe bene abbandonare il richiamo alla "conoscenza effettiva" posto che - ritenutasi sufficiente la prova indiziaria - di "effettivo" rimane ben poco.    

Basti pensare che spesso convenuto e attore citano a propria difesa la medesima sentenza. Il primo richiama la parte in cui questa sancisce che la conoscenza dell'insolvenza deve essere effettiva e non meramente potenziale.  Il secondo richiama la parte successiva in cui si afferma che gli elementi indicativi della conoscenza della situazione d'insolvenza possono risultare da semplici elementi indiziari, attinenti alla conoscibilità da parte di un soggetto di ordinaria prudenza e avvedutezza.

L'ambiguita non pare di poco conto, anche sotto il profilo pratico, e stupisce che venga ignorata dalla giurisprudenza e sottovalutata da parte della dottrina (cfr. Quatraro-Ciaccia,  op. cit., 1199 ss.; la sottolinea pero Terranova, op. cit., 104). Come si può constatare dalle pronunce citate, non e raro che la giurisprudenza, di fronte a casi analoghi, giunga a decisioni opposte.

In verita, almeno in un caso la Suprema Corte ha tentato di spiegare l'equiparazione tra conoscenza e conoscibilità: ha sostenuto che le due situazioni sono parificate dallo schema logico deduttivo proprio delle presunzioni (Cass.7.2.2001 n.1719). Cio aderendo in sostanza alla tesi per cui le presunzioni non hanno minore dignita ed intensita rispetto alle prove storiche (cfr. sul punto Comoglio, Le prove civili, Torino, 1998, 294 ss.).

Tuttavia, e chiaro che altro e risalire - con un margine di buona probabilita - alla velocita di un veicolo conoscendo il numero di metri della sua frenata; altro e risalire - secondo un metro di possibilita astratta - alla scientia decoctionis semplicemente sulla base di una iscrizione ipotecaria. Tanto piu se si riconosce sufficiente ai fini presuntivi l'esistenza di un solo unico indizio, svalutando il requisito della "concordanza" ex art.2729 c.c. (sul punto, in generale, cfr. Cass. 4.2.1993 n.1377).          

Ne si comprende come la Cassazione possa, da un lato, "rifiutare il parametro tutto teorico del creditore avveduto" (tra le altre Cass.1719/01 cit.) e, dall'altro, enucleare la categoria di "imprenditore commerciale avveduto" sul quale incombe un onere di diligenza nel percepire i sintomi del dissesto (tra le altre Cass. 683/99 cit.).

Se e vero che la materia in questione e di per se sfuggente, al fine di assicurare maggiore uniformita di pronunce bisognerebbe quantomeno operare una scelta di campo: o imboccare con maggior decisione la strada della conoscenza concreta, con tutti i rigori probatori che questo comporta, o imboccare con fermezza la strada della mera conoscibilità potenziale, con minori remore soprattutto quando e una banca ad essere convenuta.

Continuare a far coesistere le due prospettive significa - a modesto parere di chi scrive - alimentare pericolosi equivoci circa un aspetto fondamentale dell'azione revocatoria.   

 

Autore: Avv. Pietro Gobio Casali - tratto da www.ilcaso.it - dicembre 2004