RESPONSABILITÀ DEL LIQUIDATORE

NEI CONFRONTI DEI

CREDITORI PRETERMESSI

(Commento a Cass. Civ. , Sez. III°, (ord.) 15/11/2020 n. 521)

 

In tema di responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società ex art. 2495 co. 2° c.c., il conseguimento, nel bilancio finale di liquidazione, di un azzeramento della massa attiva non in grado di soddisfare un credito comunque provato quanto alla sua sussistenza già nella fase di liquidazione, è fonte di responsabilità illimitata del liquidatore verso il creditore pretermesso, qualora sia allegato e dimostrato che la gestione operata dal liquidatore evidenzi l’esecuzione di pagamenti in spregio del principio della par conditio creditorum e delle cause legittime di prelazione.

Il principio della par condicio creditorum è da considerarsi quale criterio generale per la valutazione della condotta del liquidatore, anche a prescindere dall’apertura della procedura concorsuale, con il conseguente diritto, in caso di sua violazione, al risarcimento del danno in favore del creditore pretermesso ex art. 2495 co. 2° c.c. Il principio della par condicio creditorum, cui deve uniformarsi il comportamento del liquidatore, integra un parametro generale di condotta essendo tale principio, pur se non espressamente menzionato nella normativa di settore, ricavabile dalle norme generali che, agli artt. 2740 e 2741 c.c., regolano il concorso dei creditori e le cause di prelazione, in particolare laddove si prescrive l’obbligo del debitore di effettuare i pagamenti rispettando il diritto dei creditori di essere egualmente soddisfatti, “salve le cause legittime di prelazione.

Pertanto, è da ritenersi responsabile per mala gestio il liquidatore che, in presenza di una situazione di sostanziale insolvenza, abbia violato la par condicio consentendo la pretermissione di un credito assistito da privilegio, ovvero abbia eseguito pagamenti a favore di taluni creditori a scapito di altri. A tale riguardo, mentre la responsabilità dei soci è limitata “alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”, quella del liquidatore è illimitata ed, ai fini della sua configurazione, “non rileva tanto la sussistenza o meno di un residuo attivo da ripartire tra i soci nel bilancio finale di liquidazione, né tantomeno l’appostazione o meno nel bilancio finale di liquidazione del corrispondente debito sociale non pagato, quanto piuttosto l’indicazione, da parte del creditore che agisce in responsabilità, del credito sociale non considerato e dello specifico danno subito in rapporto ad altri crediti andati soddisfatti, poiché, tramite il richiamo alla colpa del liquidatore, occorre dedurre e allegare le specifiche condotte del liquidatore che si pongono in violazione degli obblighi connaturati all’incarico ricevuto”.

L’insussistenza di attivo non è rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità del liquidatore nella misura in cui venga data prova del fatto che l’esaurimento dell’attivo stesso sia riconducibile ad un utilizzo della massa attiva della società per il pagamento di alcuni creditori invece che di altri, in violazione della par condicio creditorum.

Il creditore rimasto insoddisfatto dall’attività di liquidazione, anche qualora la società sia stata cancellata, potrà far valere la responsabilità del liquidatore lamentando il mancato soddisfacimento di un diritto di credito che dovrà provare come esistente, liquido ed esigibile al tempo dell’apertura della fase liquidatoria e il conseguente danno determinato dall’inadempimento del liquidatore alle sue obbligazioni, astrattamente idoneo a provocare la lesione del menzionato credito, con riferimento alla natura di quest’ultimo e al suo grado di priorità rispetto ad altri andati soddisfatti. Il Giudice di legittimità ha altresì precisato che la responsabilità “illimitata” del liquidatore nei confronti dei creditori pretermessi prescinde dall’accertamento di un formale stato di insolvenza della società da parte del liquidatore stesso.

In sostanza la mancata attivazione della procedura di dichiarazione di fallimento in proprio rileva ai fini di valutare la sussistenza del reato di bancarotta ex art. 217 co. 1° n. 4) L.F., reato che si perfeziona nel caso in cui l’imprenditore abbia “aggravato il proprio dissesto astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa”.

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Gennaio 2021