La revocatoria del pagamento del terzo
in conto corrente

 
1. La sentenza


Con la sentenza 12 agosto 2005, n. 16874, resa a sezioni unite (recentemente pubblicata in Fall., 2005, 1233, con critica nota di commento di G. TARZIA), la Corte di Cassazione è intervenuta a comporre un contrasto interpretativo in ordine alla revocabilità del pagamento del terzo su conto corrente bancario del debitore poi fallito.
Illustrati i principi generali, regolanti la revocabilità del suddetto pagamento, quando direttamente eseguito in favore del creditore, la Corte ha dato motivato conto dei due diversi indirizzi giurisprudenziali, quando invece esso sia indirettamente compiuto, mediante versamento in conto corrente. A fronte di un primo orientamento, invero prevalente, ravvisante nel pagamento, effettuato dal terzo fideiussore con denaro proprio tramite rimessa sul conto corrente intrattenuto dal debitore insolvente con la banca creditrice, una semplice modalità di adempimento dell'obbligazione di garanzia, con esclusione pertanto, in assenza di azione di rivalsa, della sua revocabilità (così, tra le più recenti: Cass. 22 settembre 2004, n. 18998, in Fall., 2005, 341, s.m.; Cass. 19 novembre 2003, n. 17532, ivi, 2005, 574, s.m.; Cass. 16 settembre 2002, n. 13479, ivi, 2003, 398; Cass. 22 gennaio 1999, n. 570, ivi, 2000, 64; Cass. 11 settembre 1998, n. 9018, ivi, 1999, 991) e di un secondo, ad esso contrapposto, nel senso invece della revocabilità, per la disponibilità comunque, da parte del debitore, della somma affluita sul suo conto corrente (così, tra le più recenti: Cass. 22 luglio 2005, n. 15498, ined.; Cass. 10 settembre 2002, n. 13159, in Fall., 2003, 301; Cass. 16 novembre 1998, n. 11520, ivi, 1999, 650), le sezioni unite della Corte hanno condivisibilmente optato per il primo, fissando il seguente principio di diritto:
"In tema di azione revocatoria fallimentare, le rimesse effettuate dal terzo fideiussore sul conto corrente dell'imprenditore, poi fallito, non sono revocabili ai sensi dell'art. 67, secondo comma l. fall., quando risulti che attraverso la rimessa il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore, ma, senza utilizzare una provvista dello stesso debitore e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento, ha adempiuto in qualità di terzo fideiussore l'obbligazione di garanzia nei confronti della banca creditrice".


2. Revocabilità del pagamento del terzo diretto


2.1. Nell'ipotesi di pagamento compiuto dal terzo direttamente nei confronti del creditore, la sua revocabilità dipende dall'effettivo depauperamento che il patrimonio del debitore insolvente abbia subito. E ciò può darsi, secondo insegnamento giurisprudenziale consolidato (così, tra le più recenti: Cass. 10 gennaio 2003, n. 142, in Fall., 2003, 580; Cass. 23 novembre 2001, n. 14869, ivi, 2002, 849; Cass. 10 luglio 1999, n. 7525, ivi, 2000, 64; nel senso, invece, della revocabilità sempre del pagamento del terzo, pure in mancanza di alcuna diminuzione del patrimonio del debitore: Trib. Monza 20 novembre 2001, in Fall., 2002, 1251, con osservazioni critiche di A. CECCHERINI), sia qualora il pagamento sia compiuto con denaro del debitore poi fallito, sia qualora il terzo si rivalga nei confronti di quest'ultimo prima del suo fallimento (così soltanto avendosi un'effettivo decremento patrimoniale: diversamente, verificandosi una mera modificazione della titolarità soggettiva di uno stesso credito, senza riflessi sul patrimonio del debitore).
Nel primo caso, in realtà, neppure il pagamento può essere definito del terzo, posto che la provenienza della provvista dal debitore rende il pagamento effettivamente del debitore medesimo, assumendo il terzo un ruolo di mero mandatario, di incaricato o di nuncius del primo, che dir si voglia.
Nel secondo caso, invece, si ha un vero pagamento del terzo, generalmente in dipendenza di una propria ed autonoma obbligazione (per lo più, come nel caso di specie: fideiussoria) nei confronti del creditore, anche se non necessariamente, ben potendo quegli adempiere semplicemente come terzo, ai sensi e per gli effetti previsti dall'art. 1180 c.c.
In tale ipotesi, si è in presenza di un pagamento (per conto o comunque nell'interesse) del debitore, che, se soddisfa il creditore che lo riceve, non libera il debitore e pertanto non ne estingue l'obbligazione. Di qui, la facoltà di rivalsa del terzo, che ha pagato in surrogazione del debitore e che, in virtù del pagamento compiuto, si trova trasferito quello stesso credito, assistito dalle medesime garanzie, a norma dell'art. 1204 c.c. ed esposto pure alle medesime eccezioni che il debitore avrebbe potuto opporre al creditore originario. Si comprende bene come l'effetto depauperativo del patrimonio del debitore si realizzi soltanto in conseguenza dell'esercizio della suddetta rivalsa, perché soltanto allora si verifica l'estinzione dell'obbligazione, con riconduzione ad esso del pagamento (effettuato al creditore originario dal terzo).
2.2. Non si può pertanto condividere quell'orientamento dottrinale (in particolare sostenuto da: U. APICE, Pagamenti eseguiti dal terzo e revocatoria fallimentare, in Fall., 1985, 55; F. LAMANNA, Questioni di diritto sostanziale nella revocatoria fallimentare, ivi, 1991, 923; C. TRENTINI, Revocabilità del pagamento del terzo, ivi, 2002, 852), recentemente ripreso proprio nel già citato commento alla sentenza anche qui in rassegna (G. TARZIA, Pagamento del fideiussore con accredito sul conto corrente del fallito e revocatoria fallimentare: intervengono le Sezioni Unite, in Fall., 2005, 1239, coerentemente con quanto già dallo stesso sostenuto in: Considerazioni sulla revoca fallimentare del pagamento del terzo, in Fall., 1999, 651; nonchè in: Le azioni revocatorie nelle procedure concorsuali, Milano, 2003, 114), secondo cui la revocatoria dovrebbe essere indirizzata a quest'ultimo pagamento: trasparente essendo la ragione (sebbene non spiegata dalle numerose decisioni che, in senso costante, ritengono revocabile il pagamento del terzo e non quello dal terzo ottenuto in via di rivalsa dal debitore insolvente, come osservato, sia pure in obiter, da: Cass. 2 luglio 1998, n. 6474, in Fall., 1999, 849) della detta revocabilità nell'effetto depauperativo del patrimonio del debitore insolvente del primo pagamento. Non si tratta, infatti, di colpire la maggiore prossimità al fallimento del secondo pagamento, che, se rende attuale il depauperamento, trova la propria radice (non già in un negozio precedente, da cui ben si può prescindere, come noto, per l'autonomia dell'atto solutorio, rispetto ad esso, ma) nel pagamento effettuato al creditore: in tale trattamento preferenziale, lesivo della par condicio, realizzandosi il pregiudizio sanzionato dall'azione revocatoria fallimentare. Con l'esercizio dell'azione di rivalsa si ripristina, così, semplicemente l'equilibrio patrimoniale del terzo, che, a differenza del creditore pagato, non ha conseguito dal debitore (neppure proprio) insolvente alcun vantaggio, in frode degli altri creditori.
Né a significativa giustificazione della migliore correttezza della soluzione contrastata possono essere addotti gli argomenti (sempre deboli, come ogni argomentazione fondata sugli inconvenienti) delle supposte incongruenze comportate dalla tesi dominante della revocabilità del pagamento del terzo (che abbia poi agito in rivalsa), in particolare ravvisate nella reviviscenza, ove contrattualmente prevista, dell'obbligazione fideiussoria del terzo in favore del creditore garantito revocato o nella possibile duplice esposizione a revocatoria dell'accipiens, nell'ipotesi di dichiarazione di fallimento sia del debitore, sia del terzo (così ancora: G. TARZIA, Pagamento del fideiussore con accredito sul conto corrente del fallito e revocatoria fallimentare: intervengono le Sezioni Unite, cit., 1240). Essi possono essere, infatti, agevolmente superati: tenendo conto della convenuta ripartizione del "rischio di revocatoria fallimentare", proprio in virtù della pattuizione di reviviscenza della garanzia in tale ipotesi e quindi sulla base dell'autonomia negoziale, liberamente esercitata dalle parti (nel primo caso); addirittura neppure verificandosi duplicazione alcuna di esercizio corretto dell'azione (nel secondo caso), considerando che soltanto in uno dei due patrimoni, proprio alla luce del principio suenunciato, si può verificare un depauperamento effettivo (in caso di pagamento del terzo, senza rivalsa previa: nel suo patrimonio soltanto; in caso di pagamento del terzo, con rivalsa previa: nel patrimonio del debitore soltanto, essendo il pagamento del terzo, in favore del creditore garantito, bilanciato dal pagamento ricevuto dal primo).


3. Revocabilità del pagamento del terzo (indiretto) in conto corrente


Qualche complicazione maggiore comporta l'esecuzione del pagamento del terzo in via indiretta, ossia non già nei confronti diretti del creditore, ma in virtù di rimessa effettuata sul conto corrente del debitore insolvente, con la sua interposizione così, quale diaframma (secondo l'espressione giurisprudenziale ricorrente).
3.1. Per un corretto inquadramento della questione, occorre premettere una breve illustrazione del regime di funzionamento del conto corrente bancario. Come noto, esso rappresenta una sorta di contenitore della gestione dei rapporti tra il debitore correntista e la banca, articolata sulla fondamentale distinzione (in particolare, derivata da: G. TARZIA, Disponibilità per il correntista delle somme accreditate sul c/c bancario per sconto di titoli, in Fall., 2000, 1391) tra operazioni creditizie e servizio degli incassi. Seppure di natura e qualificazione ancora discusse (per riferimenti, si rinvia a: M. ARATO, Operazioni bancarie in conto corrente e revocatoria fallimentare delle rimesse, Milano, 1991, 66), il conto corrente bancario è comunemente definito come contratto atipico misto, caratterizzato da un rapporto di mandato, il quale si manifesta nel suddetto servizio di cassa (che ne costituisce l'elemento prevalente) e da un rapporto di provvista, cui solo afferisce la connotazione di atipicità contrattuale, siccome originato dai contratti più vari, fonte della disponibilità del correntista. A questo riguardo, un discrimine rilevante è rappresentato dall'adozione di strumenti negoziali produttivi di una disponibilità immediata in favore del correntista (come l'apertura di credito o l'anticipazione bancaria, sottospecie della prima qualificata dalla coessenzialità della prestazione di una garanzia reale, od altre forme di "smobilizzo" dei crediti dell'imprenditore, quali le anticipazioni su crediti od ulteriori strumenti, elaborati dalla prassi bancaria, di anticipazione della banca, verso il conferimento ad essa di un mandato in funzione autosatisfattiva, note come operazioni "autoliquidantisi". Per riferimenti maggiori: G. PELLEGRINO, Contratti bancari e procedure concorsuali, Padova, 2000, 295; G TARZIA, Cessione di credito, mandato in rem propriam e revocatoria fallimentare, in Fall., 2003, 59; M. VALIGNANI, Operazioni bancarie di anticipazione su crediti e fallimento, in DI. Fall., 1996, I, 390), ovvero di una disponibilità soltanto differita (come in particolare il castelletto di sconto, costitutivo di una obbligazione della banca alla concessione di credito al cliente, fino all'ammontare predeterminato ed utilizzabile tramite lo sconto, a discrezione della banca medesima, di effetti o di altri titoli scontabili: con la conseguenza di un ampliamento del credito, ma non dell'apertura di credito, per la non cumulabilità dei tetti; in tale senso consolidato, tra le altre: Cass. 7 marzo 2003, n. 3396, in Fall., 2003, 796, s.m.; Cass. 20 marzo 1999, n. 2589, ivi, 2000, 161).
All'interno del conto corrente si registra così una confluenza di rapporti giuridici, comportanti una pluralità di movimenti in addebito ed in accredito, da cui risulta, per effetto di sommatoria algebrica, un saldo, individuato secondo l'ordine cronologico delle operazioni (cd. contabile), ovvero determinato in funzione del calcolo degli interessi, in esito al riposizionamento di ogni partita (cd. per valuta): ricavato, quindi, ai fini revocatori delle rimesse, per interpolazione dei due predetti, in considerazione della natura delle singole operazioni, il saldo disponibile (in tale senso, ancora recentemente: Cass. 10 settembre 2002, n. 13143, in Fall., 2003, 623, con osservazioni di F. SIGNORELLI; per maggiori riferimenti: M. ARATO, L'individuazione del "saldo disponibile" nella giurisprudenza della Cassazione in materia di revocatoria delle rimesse in conto corrente, in Giur. comm., 1995, II, 338).
3.2. Ebbene, nell'ambito del complesso ed articolato contesto delineato, si pone il problema dell'individuazione del titolo e della causa di ogni rimessa, che, prima della sua necessaria qualificazione, rappresenta, come puntualmente osservato anche nella sentenza in rassegna, una posta neutra, siccome (quando non addirittura mera partita ad esclusiva evidenza contabile) semplice accreditamento annotato in conto (per un approfondimento: G. FERRI, v. Accreditamento, in Enc. del Dir., I, Milano, 1958, 305).
Una tale ovvietà è purtroppo sfuggita al legislatore, che, nel nuovo testo dell'art. 67, terzo comma, lett. b) l. fall. (come sostituito dall'art. 2, n. 1, lett. a, terzo comma., lett. b del d.-l. 35/2005, convertito nella l. 80/2005), ha utilizzato, in modo del tutto inappropriato per la ragione detta, il termine rimesse, in sé non identificativo di alcuna disposizione patrimoniale effettiva, sola attingibile dall'azione revocatoria fallimentare.
L'esigenza dell'individuazione della natura e della riferibilità causale di ogni rimessa appare, infatti, indispensabile per una retta ed informata lettura dei movimenti in conto corrente bancario. Così, per la necessaria correlazione allo specifico rapporto di riferimento, in vista dell'esatta imputazione della rimessa, alla luce della distinta ed autonoma valutazione di credito compiuta dalla banca, sottesa al principio, sopra accennato, di non cumulabilità dei tetti di affidamento di credito concesso dalla banca al proprio correntista (in tale senso, in particolare: Trib. Milano 7 marzo 1994, in Fall., 1994, 1283, part. 1286, con nota di commento di D. COLOMBINI). Così, ancora, per l'accertamento dell'eventuale preordinazione finalistica, su specifica indicazione del cliente alla banca, impiegata come mandataria per il servizio dei pagamenti, ai fini dell'individuazione delle cd. operazioni bilanciate, esenti da revocatoria fallimentare, siccome non realizzanti alcuna effettiva disponibilità giuridica, da parte del debitore, della somma con tale destinazione affluita sul suo conto corrente (in tale senso: Cass. 21 maggio 2004, n. 9698, in Fall., 2005, 767, con nota di commento di E. STAUNOVO POLACCO; Cass. 26 gennaio 1999, n. 686, ivi, 1999, 323, con nota di commento di D. FINARDI; Cass. 17 dicembre 1994, n. 10869, ivi, 1999, 817, con nota di commento di G. TARZIA).
3.3. E così, del tutto analogamente e coerentemente con gli illustrati principi di regolamento dei rapporti in conto corrente bancario, anche per la rimessa del terzo. Non si può dunque, se non in modo contraddittorio ed incoerente (ed alla fine: scorretto), ritenerne la disponibilità, in favore del debitore correntista, per la sua semplice annotazione sul conto.
Come bene chiarisce la Corte regolatrice con la sentenza a sezioni unite, qui in rassegna, non può essere la modalità di adempimento dell'obbligazione (con versamento sul conto corrente del debitore, piuttosto che direttamente al creditore) a determinare la matrice causale: posto che essa deve, per le ragioni dette, necessariamente essere qualificata.
Né alcun fondato senso giuridico, sempre coerentemente con i sopra illustrati principi regolanti la materia, ha l'affermazione dell'inserzione del diaframma del conto corrente, ai fini dell'attrazione in sé del versamento del terzo, quale posta attiva, produttiva di una variazione quantitativa del conto (così: Cass. 16 novembre 1998, n. 11520, cit.). Appare, infatti, evidente come un tale argomentare rinneghi la doverosa distinzione di natura e di autonomia dei plurimi e diversi rapporti giuridici confluenti nel conto corrente: il quale significativamente neppure è stato definito dal codice civile, che si è piuttosto espresso al riguardo, nella rivelativa rubrica della sezione (V del capo XVII del libro IV) regolante tali rapporti, con l'espressione Operazioni bancarie in conto corrente. E come, alla fine, lo stesso argomentare tutto confonda nella neutralità acausale di un'indistinta commistione di ogni movimento in un unico contenitore (verrebbe da dire: calderone).
Se allora, anche in relazione alla rimessa del terzo, deve essere individuato il titolo, l'esame non può essere limitato al mero riscontro della sua annotazione in conto corrente, per effetto di essa quantitativamente variato nella consistenza del suo saldo.
Qualora essa costituisca adempimento di una personale obbligazione del terzo nei confronti del creditore (in particolare fideiussoria, come nel caso di specie), ovvero suo spontaneo ed autonomo adempimento dell'obbligazione del debitore (a norma dell'art. 1180 c.c.), ben si comprende come si verta nell'ambito di un rapporto esclusivo tra il terzo ed il creditore, cui resta estraneo il debitore e, di conseguenza, la sua sfera patrimoniale, insensibile al movimento così qualificato, per l'inattingibilità mai della disponibilità giuridica (né, tanto meno, materiale) della rimessa.
Ad una tale conclusione neppure osta la previsione dell'art. 1852 c.c., secondo cui il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito, salva l'osservanza del termine di preavviso eventualmente pattuito. Come ancora una volta sottolinea la sentenza in commento, essa si riferisce, infatti, alla diversa ipotesi del conto corrente con saldo a credito; in ogni caso, quand'anche ritenuta applicabile al conto con saldo passivo, il suo effetto sarebbe quello di determinarne una riduzione, ferma restando la necessità di individuare la causa ed il destinatario del pagamento (pure in senso adesivo: C. TRENTINI, Revocabilità del pagamento del terzo, cit., 856).
Se a tali argomentazioni si aggiunge, con richiamo anche di quelle precedenti al punto 2.1., il mancato esercizio della rivalsa nei confronti, prima del suo fallimento, del debitore (definitivamente reso così estraneo al pagamento del debito, per l'intervento del terzo, non tenuto nei confronti del correntista debitore, ma, eventualmente, nei soli confronti del creditore), appare del tutto congruente, alla stregua di precipitato logico - giuridico, la conclusione in ambito concorsuale dell'irrevocabilità della rimessa del terzo.

4. Onere della prova e conclusioni


4.1. Per dare, infine, una collocazione ai ragionamenti svolti nell'ambito del processo, sede effettiva e cruciale di dibattito della questione, occorre ancora svolgere qualche rapida considerazione in ordine alla ripartizione dell'onere della prova.
E' indubbio che il curatore fallimentare debba dimostrare, sul piano oggettivo (sotto quello soggettivo, dovendo invece provare la scientia decoctionis da parte dell'accipiens), l'esistenza della rimessa infrasemestrale (per la riduzione della metà del periodo sospetto nel nuovo testo dell'art. 67, secondo comma l. fall., come sopra sostituito), ora pure riduttiva, in maniera consistente e durevole, dell'esposizione debitoria del fallito nei confronti della banca (secondo l'attuale testo dell'art. 67, terzo comma, lett. b l. fall., che non si può qui illustrare, ma per il cui critico esame, mi permetto rinviare al mio scritto: L'esenzione da revocatoria delle rimesse bancarie, di prossima pubblicazione in Fall., 2006).
Il creditore, convenuto in revocatoria, che assuma la provenienza del versamento dal terzo, deve invece di ciò (e del relativo titolo, a giustificazione dell'adempimento) offrire la relativa prova, per la natura di eccezione in senso proprio dell'allegazione (come ribadisce la sentenza in rassegna).
Ma una volta accertata la circostanza, la pretesa titolarità dei mezzi forniti, per il detto pagamento, da parte del fallito deve essere dimostrata dal curatore, posto che indubbiamente si tratta di una nuova e diversa eccezione, dipendente da quella opposta, in prima battuta, dal creditore: ed una tale prova può certamente essere offerta con il ricorso ad ogni mezzo, anche presuntivo, neppure inibito dall'eventuale precisazione, nella distinta di versamento o nell'ordine di bonifico, in via cautelativa per la banca, dell'adempimento del terzo "con denaro proprio e senza animo di rivalsa" (in tale senso, anche: M. TARENGHI, Revocabilità del pagamento del terzo, in Fall., 2000, 68, cui pure per ulteriori riferimenti).
4.2. In via finalmente conclusiva, mi pare di dover dissentire da quel rilievo di astrattezza mosso alla sentenza in esame, peraltro autorevolmente e sia pure con puntuale aderenza alla prassi effettiva di escussione delle fideiussioni nei rapporti bancari (così: G. TARZIA, Pagamento del fideiussore con accredito sul conto corrente del fallito e revocatoria fallimentare: intervengono le Sezioni Unite, cit., 1241).
A mio avviso, la riaffermazione da parte della Corte regolatrice a sezioni unite (come auspicato anche da: A. BADINI CONFALONIERI, in osservazioni a Cass. 10 settembre 2002, n. 13159, cit.), con pacata chiarezza ed ampio respiro argomentativo, di un esatto canone ermeneutico offre piuttosto un importante contributo alla corretta interpretazione giuridica di una delicata questione, da tempo controversa.
E le idee chiare e distinte giovano sempre (tanto più oggi) a diradare quelle nebbie, nelle quali così ricorrentemente tutto, confondendosi, può essere, così come il suo contrario .

Autore: Dott. Adriano Patti, Giudice Civile presso la Corte d'Appello di Torino - tratto da: Il Quotidiano Giuridico

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