Revocatoria delle rimesse bancarie in c/c: ricostruzione dello scalare secondo il principio del "saldo disponibile"

 

Nell'affrontare l'aspetto tecnico della revocatoria ex art. 67 L.F. secondo il criterio sancito più volte dalla S.C. del cosiddetto "Saldo disponibile" non può prescindersi dall'analisi, da effettuarsi su ogni singola operazione, circa la natura delle operazioni stesse.
Quando, infatti, la S.C. é approdata al criterio del c.d. "Saldo disponibile", lo ha fatto sulla base dell’assunto secondo il quale non sono affatto conducenti, ai fini dei calcoli delle somme da richiedere in revocatoria, né il saldo contabile né tantomeno il saldo per valuta. Il motivo di questa precisa scelta da parte del giudice di legittimità si fonda su argomenti tecnici ben precisi, che in questa sede vengono integralmente condivisi, ma, soprattutto sulla constatazione che ragionare in questi termini determina il comprimere (nel caso si argomentasse in termini di saldo contabile) o l’espandere (nel caso del saldo per valuta) le pretese di parte attrice oltre ogni possibile ragionevole argomentazione tecnico-giuridica. Ciò comporta un'attenta lettura dello scalare E/C volta ad assumere quante più informazioni sia possibile al fine proprio di risalire alla effettività del rapporto negoziale del correntista, inteso quale soggetto attivo del rapporto di conto corrente, con la banca.

Innanzitutto occorre fondare l'analisi estendendola a tutte le operazioni effettuate sul conto nel periodo considerato: tale affermazione, solo a prima vista banale, trae fondamento dal fatto che sovente, a sproposito, ci si sofferma nel considerare con maggiore attenzione solo le rimesse, ed in special modo a quelle rimesse che attraverso l'ordinario procedimento di cognizione siano poi giudicate quali somme revocabili ai sensi dell'art.67 L.F.
Diciamo a sproposito in quanto, se è vero che è la rimessa che costituisce il presupposto per la revocatoria, è pur vero che condizione necessaria e sufficiente, che sta a monte della condizione di revocabilità della rimessa, è un saldo disponibile negativo, tale cioè, che determini poi in capo alla rimessa revocanda un rientro dallo "scoperto" o dall'extrafido a cui possa attribuirsi natura solutoria.
Orbene risulta altresì evidente che tale condizione di passività di conto possa determinarsi unicamente in ordine a tutte le operazioni effettuate in seno al rapporto, con riguardo sia alle operazioni attive che passive, in quanto é questa la rappresentazione complessivache andrà poi analizzata ai fini della revocatoria.
Una volta che tutte le operazioni siano state analizzate e ricondotte alla loro intrinseca natura ai fini del cosìdetto saldo disponibile, solo allora si potrà procedere alla interpolazione indicata dalla S.C. quale criterio di riclassificazione.
E' bene notare che non sempre la data contabile o la valuta costituiscono i riferimenti idonei a rappresentare una valida base di natura obiettiva per la determinazione del saldo disponibile: è altresì vero, però, che questi sono gli unici elementi, talvolta difficilmente acquisibili dal Curatore Fallimentare, su cui può fondarsi l'azione della Curatela.
Sono comunque salvi, ribadisce la S.C. in più occasioni, i diritti del convenuto (banca) volti a provare, nel rispetto delle ordinarie regole che governano il giudizio di cognizione, un differente riferimento temporale in ordine alle singole operazioni.
Lasciando alla più autorevole dottrina nonchè alla giurisprudenza il compito di esaminare a fondo la questione, costruiamo la nostra analisi prendendo proprio spunto dalle indicazioni a carattere tecnico che fornisce la S.C. per la determinazione del c.d. saldo disponibile.
Sul corretto presupposto che nè il saldo contabile nè il saldo per valuta soddisfino da sè soli le finalità a carattere revocatorio, è possibile avanzare un corollario che può costituire un valido ausilio per il raffronto dei calcoli in ordine alla revocatoria: "l'ammontare delle rimesse revocabili determinate sulla scorta del saldo disponibile non può che essere compreso tra l'analogo ammontare calcolato sulla scorta del saldo contabile (minimo) e quello invece determinato sulla base del saldo per valuta (massimo)".

L'esigenza di specificare tale ordine di grandezza può costituire un notevole ausilio di raffronto in prima analisi per la verifica e della pretesa di parte attrice e delle determinazioni del CTU in corso di causa. Sovente infatti il G.I. non possiede utili strumenti di natura tecnica che gli consentano di verificare il corollario di cui sopra.
L’applicazione del corollario, invece, consente un semplice e valido controllo a monte, utile ad evitare erronee determinazioni di carattere tecnico che esulino dai limiti sopra riportati.

Tanto premesso é adesso utile affrontare l’aspetto strettamente tecnico di riconduzione delle operazioni effettuate sul conto corrente, secondo il principio del saldo disponibile, distinguendole secondo la loro intrinseca natura in relazione, rispettivamente, al conseguente incremento o decremento della disponibilità in capo al correntista.

E’ assolutamente fuori dubbio che le operazioni regolate per contanti e/o a queste assimilate, debbano essere considerate "disponibili" alla data contabile: infatti, pur se nella quasi totalità dei casi riscontrabili per queste operazioni la data contabile coincide, di fatto, con quella della valuta, é alla data contabile che va considerato l’incremento e/o il decremento della disponibilità perché é in quella data che, concretamente, si realizza l’operazione stessa. Viceversa, potrebbe accadere che l’operazione assimilata al movimento per contanti sia contabilizzata dalla banca con diverso riferimento quanto a data e valuta: é il caso del versamento di assegni circolari, per il quale la banca, ad esclusivo titolo di conteggio interessi, attribuisce all’operazione valuta postuma.
Analogo riscontro va fatto per i bonifici.
Con espresso riguardo, invece, agli assegni bancari, occorre precisare maggiormente il campo di analisi in quanto dette operazioni possono dar luogo, in modo ingiustificato, a diversi trattamenti nel senso qui considerato. Preliminarmente, infatti, è opportuno stabilire il criterio giuridico a cui deve sottostare la tecnica di riclassificazione qui richiamata in modo da soddisfare sia gli obiettivi propri dell’analisi stessa sia la prova "a contraris": solo in tal modo il criterio individuato potrà assumere il carattere di valido metodo di indagine tecnica. Con riguardo agli assegni bancari versati dal correntista, operazioni attive, la dottrina e la giurisprudenza si sono più volte univocamente pronunciate nel senso che la data di disponibilità di dette operazioni va individuata nella "data valuta". Le motivazioni possono essere molteplici; tuttavia le ragioni del differimento di disponibilità rispetto alla data di versamento, a parere di chi scrive, possono legittimamente essere individuate nel fatto che tale periodo rappresenta il lasso di tempo (tra la data di versamento e la data valuta) che si riserva la banca per verificare il buon fine dell’operazione e, quindi, la sussistenza della provvista in relazione al titolo. Se questo può idoneamente rappresentare un metodo deve essere vera, anche, la prova "a contraris" e cioè che anche per gli assegni tratti dal correntista deve aversi riguardo alla data valuta per la ricostruzione del saldo disponibile.
Su questo tema numerosi commentatori si sono schierati contro affermando che, in merito agli assegni emessi dal correntista, la data disponibile deve essere quella "contabile" perché è solo a quella data che la banca conosce dell’emissione dell’assegno. Tale criterio, al di là delle opinioni contrastanti a cui si presta, non fornisce affatto la prova "a contraris" ma pretende di costituire un dogma assoluto a cui si debba prestar fede.
Nell’ambito tecnico-scientifico, ambito nel quale devono muoversi gli operatori professionali del settore in oggetto, non v’è purtroppo spazio per le professioni di fede: le regole tecniche devono essere chiare, precise e concordanti con la disciplina giuridica che le governa; in assenza di questi requisiti la discrezionalità e le considerazioni personali farebbero da unico arbitro creando ingiustizia e confusione.
Infatti non è proprio vero che la banca conosce dell’emissione dell’assegno solo alla data contabile: se è vero che la data valuta rappresenta inequivocabilmente l’epoca in cui l’assegno risulti emesso (e non ancora verosimilmente conoscibile dalla banca a priori) è altresì vero, però, che la banca ne conoscerà l’esistenza al momento della prima negoziazione: in virtù dell’accordo interbancario, infatti, la banca (leggasi il sistema bancario) viene ufficialmente a conoscenza dell’emissione dello cheque quando il beneficiario dell’assegno lo porterà alla negoziazione. Sarà quella, di negoziazione, dunque, la data di effettiva disponibilità (negativa) da parte del traente e non, come sostenuto fino ad oggi, la data contabile la quale rappresenta unicamente l’epoca in cui la banca del correntista traente annota l’operazione sul conto corrente. Naturalmente è la banca che dovrà, in sede di memoria istruttoria ai sensi dell’art. 184 cod. proc. civ., produrre il dato epocale poiché, nella generalità dei casi, il Curatore non può conoscere questo elemento temporale perché, di fatto, non è desumibile dagli estratto conto forniti dalla banca.

Tale criterio assume maggiore vigore allorquando il modus operandi del correntista traente abbia assiduo riscontro periodico e non rimanga esclusivamente episodico. La validità dell’assunto qui sostenuto è altresì pienamente fornita dalla natura stessa dell’assegno bancario e, naturalmente, dalla disciplina giuridica che lo regolamenta. Infatti non è un caso che la data di emissione dell’assegno rappresenti, in generale ed anche al di fuori dell’ambito delle revocatorie fallimentari, l’epoca a cui far riferimento per l’elevazione del protesto: risulta lampante che se il protesto rappresenta il rimedio per sancire la scopertura del titolo, allora è a quella data (di emissione coincidente con la valuta) che bisogna far riferimento per attribuire all’operazione il decremento di disponibilità in capo al correntista!
Ne discende automaticamente che, nel caso di rimessa che comunque determini un rientro dallo scoperto in termini di disponibilità, il pagamento effettuato in epoca posteriore alla disposizione di assegno (data valuta) costituisce di per sé atto avente natura solutoria. Ciò discende sia dalla intrinseca natura della legge sull’assegno, volta a regolare la sua gestione e, nel contempo, a tutelare i terzi prenditori, sia dalla stessa logica giuridica che, in astratto, sancisce quale momento dell’assolvimento dell’obbligazione la consegna dello cheque.

Ulteriore conferma ci perviene dal comportamento che la banca tiene allorquando all’assegno versato sul conto faccia seguito un insoluto: la banca, in questi casi, riaddebita l’importo dell’assegno alla valuta dell’operazione di versamento. (Analoga operazione è altresì riscontrabile nell’insoluto di effetti commerciali portati allo sconto).
Questa corretta prassi sottostà alla logica conseguenza dell’insoluto, in quanto il riaddebito deve, in termini di disponibilità, retroagire alla data in cui è stato reso disponibile il corrispondente accredito. Da ciò discende il fondamento del nostro assunto, in quanto "a contraris" non è assolutamente rispondente a nessuna logica di analisi il fatto di trattare diversamente, quanto a disponibilità, l’operazione di accredito ed il corrispondente addebito per insoluto!
Pertanto è possibile definitivamente affermare che, in termini di disponibilità, le operazioni sia in accredito che in addebito effettuate a mezzo del versamento e/o dell’emissione di assegni bancari sul conto deve avere a riferimento la data valuta, con la successiva ed eventuale sostituzione, con riguardo agli assegni emessi, come sopra evidenziato, della data valuta con la data di effettiva negoziazione sulla base del presupposto che la banca abbia per tempo prodotto tutto il corredo documentale per tale determinazione.
Il principio anzi esposto, conseguentemente e per assimilazione naturale della disciplina dell’assegno bancario, deve analogicamente essere esteso agli altri titoli di credito sempreché le vicende legate alla loro emissione e/o estinzione siano oggetto di negoziazione attraverso lo strumento bancario.

In chiusura è opportuno ricordare che la S.C., sul presupposto che non risulta agevole dimostrare a posteriori né l’esatto avvicendarsi temporale delle operazioni nella stessa giornata disponibile (poiché spesso tali operazioni si sono determinate in diverse date contabili) né l’intrinseca destinazione degli addebiti e/o degli accrediti voluti dal correntista, ha sancito il criterio in base al quale, all’interno della stessa data disponibile, si debba riclassificare le operazioni tenendo conto, in prima istanza, delle operazioni in accredito a cui faranno seguito le operazioni in addebito.

Tale giustissima logica di natura equitativa, comunque, non sottrae la banca dal giudizio di soccombenza nel caso in cui, al termine della giornata precedente all’accredito, il conto evidenzi un saldo disponibile che connoti una scopertura; quel successivo versamento denuncerebbe, in ogni caso e a pieno titolo, la sua natura solutoria.
Nel caso invece di un rapporto bilanciato in senso finanziario, benché ai limiti della facoltà di disponibilità effettiva o concessa attraverso il fido, l’applicazione del criterio garantisce da infondate pretese di revocabilità evitando ingiusti addebiti.
Un’ultima considerazione va fatta con riguardo alle c.d. "Partite Bilanciate" spesso invocate dalle banche nel tentativo di ridurre l’ammontare del petitum: la S.C. ha correttamente attribuito il presupposto della loro fondatezza nella fase dell’istruzione probatoria del processo di cognizione ponendo a carico della banca l’onere di documentarne l’effettiva sussistenza. Non a caso la Corte di legittimità ha previsto un simile vincolo in quanto tale assunto, quale connotazione a chiusura dei principi parallelamente sanciti in materia di revocatoria fallimentare, costituisce l’effettiva rappresentazione del rapporto del cliente (fallito) con la banca.

Si pensi, ad esempio, alla richiesta, da parte del correntista, di far fronte ad una disposizione di pagamento che determini una temporanea scopertura dietro la prestazione di opportune garanzie per la banca e sul presupposto che quella disposizione costituisca, a titolo perentorio, la condizione necessaria e sufficiente per la continuazione dell’attività di impresa (pagamento di imposte, di contributi obbligatori, di utenze indispensabili per l’attività etc); in questi frangenti il presupposto della revocabilità può venir meno in funzione di una valida documentazione, da prodursi a cura della banca, comprovante una concessione a carattere finanziario e temporaneo in funzione conservativa del patrimonio aziendale nonché della tutela della massa dei creditori. Ma tutto ciò deve essere provato dalla banca: in difetto tutto l’assunto connotativo delle sentenze della S.C. perderebbe di significato poiché risulterebbe quanto mai semplice per la convenuta assumere, senza alcun obbligo di produrre la prova documentale, che tutte le operazioni, ordinate per data disponibile potrebbero verosimilmente rappresentare operazioni tra loro bilanciate.
Ciò non è affatto vero né può essere ragionevolmente sostenuto poiché risulterebbe offensivo del principio giuridico della tutela della massa nonché degli sforzi connotativi che, nel tempo, la Corte di Cassazione ha prodotto in tema di revocatoria fallimentare!
Diversamente, se la S.C. avesse voluto propendere per una simile soluzione, del tutto semplicistica, avrebbe più banalmente indicato quale presupposto per l’azione revocatoria de quo l’alternanza da un saldo giornaliero, denunciante la scopertura, al successivo saldo a credito per il correntista: i motivi per i quali non ha mai correttamente sostenuto un simile assunto vanno ricercati nella complessità dell’intrinseca natura, in epoca attuale, dei rapporti finanziari la cui logica evoluzione non poteva che essere oggetto di approfondita e attenta analisi da parte della Corte di legittimità a supporto e a sostegno dell’impronta di tutela che il legislatore del 1942 volle assicurare fin dagli esordi della Legge Fallimentare.

Autore: Dott. Pietro Bruno - Dottore Commercialista in Trapani - tratto dal sito: www.ilfallimento.it

Riferimenti giurisprudenziali (Cassazione Civile):

CRITERI D'INDIVIDUAZIONE DEL «SALDO DISPONIBILE» DEL CONTO CORRENTE (Sez. I° - Sentenza 22 marzo 1994, n. 2744);
AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE E VERSAMENTI IN C/C BANCARIO (Sez. I° - Sentenza 15 novembre 1994, n. 9591);
REVOCABILITA' DELLE RIMESSE IN CONTO CORRENTE (Sez. I - Sentenza 17 dicembre 1994, n. 10869);
REVOCATORIA FALLIMENTARE DELLE RIMESSE IN CONTO CORRENTE (Sez. I° - Sentenza 19 gennaio 1998, n. 462);
REVOCATORIA FALLIMENTARE DEL MANDATO ALL'INCASSO (Sez. I° - Sentenza 8 maggio 1998, n. 4688);
REVOCATORIA FALLIMENTARE DELLE OPERAZIONI BILANCIATE (Sez. I° - Sentenza 26 gennaio 1999, n. 686).