IL TRATTAMENTO SANZIONATORIO

DELLA SIMULAZIONE

  

Sommario:

1. Premessa
2. La circolare I.N.P.S. 10 aprile 2003, n. 74
3. La posizione dell’Istituto
4. La critica degli Organi
5. Il Favor prestatoris
6. Fiat iustitia et pereat mundus
7. L’intenzionalità

  

1.   Premessa

 L’art. 116, comma 8 e successivi, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001)" ha ridisciplinato le sanzioni previdenziali applicabili ai casi di omissione ed evasione contributiva.

Il legislatore ha lasciato inalterato il sistema previgente che distingueva tra omissione ed evasione, limitandosi a circoscrivere l’ipotesi più grave mediante la previsione di una necessaria “intenzionalità” del comportamento.

La norma, tuttavia, non chiarisce quale debba essere la linea discretiva tracciabile tra le due ipotesi, tanto che anche la giurisprudenza di merito più volte ha manifestato perplessità innanzi al testo[1].

L’art. 116, co. 8, in particolare opera distinzione tra omissione ed evasione contributiva, riconducendo la prima all’omesso o ritardato pagamento dei contributi desumibili dalle denuncie e/o scritture obbligatorie e la seconda al caso di occultamento di rapporti di lavoro o retribuzioni mediante la omissione di denuncie o scritture, o con la loro redazione non veritiera, con l’intenzione specifica di non versare i contributi.

Intervenendo in materia, la Suprema Corte di Cassazione, pur non lasciandosi sfuggire l’opportunità di criticare la tecnica redazionale della norma[2], ha avuto modo di distinguere tra le due fattispecie stabilendo le caratteristiche intrinseche dell’evasione.

La Corte di legittimità ha ritenuto che, nel quadro di un generale ridimensionamento della sanzione previdenziale, l’ipotesi evasiva dovesse essere limitata alle sole ipotesi nelle quali non fosse possibile in alcun modo risalire alla esistenza del rapporto lavorativo in essere.

La questione controversa verteva sulla configurabilità dell’evasione in un caso di mancata presentazione dei DM 10 pur se, da altri elementi documentali, risultasse il rapporto di lavoro.

In un ottica di contrazione dell’area della sanzione si ritenne che l’ipotesi evasiva dovesse essere limitata al caso nel quale non sussistesse alcun elemento documentale dal quale emergesse il rapporto lavorativo, distinguendo tra “denuncie” (alle quali ascrivere il DM 10) dalle altre “scritture” obbligatoriamente tenute dal datore di lavoro.

L’elemento caratterizzante ed essenziale della omissione contributiva è stata ritenuta la possibilità di rilevazione da parte dell’Ente della esistenza e della misura dei contributi non pagati, con le conseguenza logica che la diversa e più grave ipotesi (di evasione) ricorre quando la rilevazione non sia possibile perché il credito non risulta da nessuna documentazione di provenienza del soggetto obbligato.

Da tale assunto alcuni commentatori frettolosi hanno tratto la convinzione che lo spartiacque tra omissione ed evasione andasse individuato nella esistenza o meno di un compendio contabile d’impresa, costituito da almeno taluni, se non proprio tutti, dei documenti la cui tenuta è imposta da legge.

Invero la questione è più complessa e la stessa Corte, lungi dallo sviscerare i vari aspetti, ha preferito nei fatti glissare dall’affrontare i punti più controversi, preferendo esprimere le succitate perplessità sul dettato legislativo.

  

2.  La circolare I.N.P.S. 10 aprile 2003, n. 74.

         L’Istituto, dal canto suo, non ha potuto evitare di penetrare la vicenda al fine di estrapolare le corrette indicazioni operative che le sedi, a gran voce, richiedevano in merito.

     È stato dunque affrontato il problema della simulazione del rapporto di lavoro, e più in particolare di quale sia il regime sanzionatorio da applicare nel caso in cui una collaborazione coordinata e continuativa in realtà dissimuli un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

     Appena il caso di ricordare che i due rapporti di lavoro sono caratterizzati da una rilevante differenza in ordine al quantum contributivo imposto, cosicché non è infrequente che i datori spingano per una siffatta qualificazione celando il reale rapporto a tempo indeterminato.

     Qiud iuris in tale caso?

     In effetti, il caso può essere ricondotto alla lettera di entrambe le sanzioni, proprio a cagione di quella non chiara distinzione letterale della norma, già lamentata dalla giurisprudenza: il caso in parola è relativo ad un rapporto di lavoro effettivamente fatto oggetto di denuncie e scritture obbligatorie (e dunque astrattamente ascrivibile al concetto di omissione) pur se contemporaneamente il fatto integra un l’occultamento del reale rapporto di lavoro, compiuto peraltro mediante dichiarazioni non veritiere.

     Innanzi alla peculiarità del caso costituito da un rapporto di parasubordinazione che ne dissimula uno di subordinazione a tempo indeterminato, l’Istituto ha ritenuto di potere configurare l’ipotesi come ricadente nell’alveo della omissione ed ha emanato la circolare di cui in rubrica, rivedendo il suo precedente orientamento[3].

     Si è ritenuto che la configurazione a titolo di evasione fosse foriera di alti livelli del contenzioso, con negativi riflessi sui tempi di recupero dei contributi accertati,  e che dunque fosse necessario adottare una esegesi più aderente allo spirito ed alla lettera della normativa introdotta dal citato art.116.

È parso ad alcuni commentatori, infatti, che la ratio della novella sia riconducibile ad un intento premiale, nel senso che la nuova norma sarebbe giustificata "dall'esigenza sociale di ridurre il lavoro nero ed irregolare, mediante il ricorso ad una latente sostanziale sanatoria, incentrata sullo strumento sanzionatorio".[4]

Del resto ciò appare confermato anche dall’introduzione del concetto di intenzionalità volto, evidentemente, a circoscrivere la portata applicativa della sanzione a titolo di evasione: l’Istituto ha ritenuto che nella simulazione, a fronte di un rapporto di lavoro per il quale vengono effettuate una serie di denunce e registrazioni obbligatorie conosciute ed autorizzate dall’Istituto stesso (relative alla parasubordinazione), è fuor di dubbio che può mancare del tutto l’intenzionalità che non può essere provata in modo certo e inequivocabile.

 

3.  La posizione dell’Istituto.

    Il lavoratore simulato parasubordinato è dunque considerabile quale “parte integrante del contesto aziendale” ed è oggetto delle relative iscrizioni obbligatorie, ragion per la quale non è possibile evidenziarsi l’intenzione di occultare un rapporto di lavoro che in realtà è espressamente denunciato sussistente.

Tuttavia è pur vero che il simulato parasubordinato è oggetto di iscrizioni “non veritiere” che occultano il reale rapporto di lavoro (a tempo indeterminato) concretamente in essere.

L’ambiguità del testo normativo permette entrambe le opzioni e, di fronte ad un testo ambiguo, l’interprete è tenuto ad applicare gli ordinari criteri di interpretazione correttiva che l’INPS ha così individuato.

a.      In una ambiguità si deve preferire l’interpretazione in bona partem nei confronti del contribuente (cd    favor prestatoris). Tale generale principio interpretativo opera in tutti i casi nei quali il testo di una fattispecie sanzionatrice sia caratterizzata da mancanza di univocità ermeneutica.

L’interprete, in tal caso, è tenuto a preferire l’esegesi contraddistinta da una minore afflittività, costituendo la sanzione un rimedio che reagisce ad una eccezionale patologia instauratasi nel rapporto;

L’intenzione del legislatore[5] nell’intero 116 è quella di comprimere l’area delle sanzioni. È stato osservato in dottrina che la nuova formulazione presenti caratteri di premialità, cosicché innanzi ad una ambiguità che comporti la necessità di riferirsi ad una interpretazione correttiva alla luce della ratio legis da riconoscere alla norma si deve preferire una visione restrittiva della portata della norma disciplinante l’ipotesi di evasione;

b.     L’irrogazione della sanzione più blanda comporta una minore litigiosità giudiziale, con conseguenti rilevanti risparmi in tema di spese legali. Tale preoccupazione risulta chiaramente nella circolare in oggetto di trattazione, ove si fa riferimento alle problematiche connesse ad un alto livello di contenzioso.

Sembra che la preoccupazione della Direzione Generale dell’INPS sia quella di ovviare alle croniche deficienze della propria Avvocatura, evitando che una interpretazione rigorosa possa comportare un innalzamento del già preoccupante carico di controversie legali nelle quali l’Istituto è interessato.

Peraltro per effetto della legislazione in materia, spesso l’Istituto è interessato al pagamento delle spese di soccombenza, riducendo quindi la reale convenienza economica alla attivazione delle procedure di recupero coatto in caso di opposizione giudiziale del presunto debitore.

c.      La denuncia del rapporto in essere, seppure diversamente qualificato, implica l’assenza di una volontaria intenzione alla evasione contributiva. Nel caso di parasubordinazione esiste una serie di denuncie e registrazioni obbligatorie delle quali l’Istituto non solo ne è a conoscenza, o può venirvi a conoscenza in sede di accertamento ispettivo, ma è l’Organo che autorizza l’iscrizione e conseguentemente chiede il pagamento dei contributi.

Come cennato, innanzi ad una valutazione soggettiva, si ritiene non potersi configurare evasione nel caso nel quale il datore di lavoro si attiva concretamente per fare risultare in atto il rapporto lavorativo con il prestatore: nel concetto di intenzionalità dovrebbero essere ascritte le condotte volte all’occultamento del rapporto in essere con il prestatore, che non si verifica nel caso de quo.

d.      Assoggettare l’ipotesi simulatoria alla sanzione per evasione equiparerebbe, inoltre,  un comportamento di minore gravità alla sanzione prevista per il caso più grave. Il datore tenuto alla sanzione sarebbe ugualmente soggetto alla medesima sanzione sia per il caso in cui ometta totalmente le denuncie e le scritture prescritte e sia per il caso in cui provveda ad una concreta, seppur non conforme alla qualificazione reale accertata dagli organi di vigilanza, individuazione del rapporto lavorativo in essere.

    Per queste ragioni, con circolare[6], si è provveduto a modificare il precedente orientamento[7] disponendo l’applicazione dell’ipotesi omissiva, caratterizzata da minore gravità, anche ai casi di simulata parasubordinazione dissimulante subordinazione a tempo indeterminato.

 

 4.  La critica degli Organi

   Innanzi a questa presa di posizione, gli Organi dell’Istituto hanno manifestato non poche perplessità: prima il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza (espressione delle parti sociali) e poi il Collegio dei Sindaci (espressione dei Ministeri vigilanti) hanno ritenuto che le esigenze di contenimento delle eventuali spese giudiziali non giustificassero un simile revirement, anche atteso che la nuova riforma delegata (la legge 30/2003) tenderà a chiarire in maniera più puntuale i confini tra lavoro autonomo e dipendente, ragion per la quale gli incerti attuali confini (fonte spesso delle ricordate soccombenze giudiziali) scompariranno.

         Si è temuto che con tale ermeneusi l’Istituto abbia voluto arrogarsi una impropria potestà legislativa ingegnandosi  per introdurre una specie di “definizione agevolata” (istituto operante nel diritto tributario, da distinguere dal “ravvedimento operoso” pre-accertamento) al fine di contenere il contenzioso giudiziario.

         Tuttavia, è stato osservato, che tale scopo, seppur conforme alle esigenze di contenimento della spesa e al principio di economicità della gestione, non appare esperibile da un ente pubblico che deve applicare la legge, senza potere discrezionalmente disporre di un proprio diritto.

Il problema del forte contenzioso che l’irrogazione delle sanzioni per evasione contributiva dovrebbe essere risolto in via legislativa, con l’introduzione di meccanismi premiali disincentivanti il ricorso giudiziale, non residuando un potere transattivo ante giudizio nei confronti degli enti che non hanno facoltà di disapplicare il preciso dato normativo, mediante pur ingegnosi cavilli interpretativi.

         Rilevanti, inoltre, i dubbi che sorgono in ordine alle concrete ripercussioni di tali impostazioni sulle già precarie casse dell’Istituto.

Innanzi ad una sollevazione di scudi, si ritiene di dovere meglio specificare come segue la posizione critica suddetta.

 

5.  Il Favor prestatoris

       Una interpretazione in favor non è assolutamente giustificabile ove si consideri la natura “civile” e non “amministrativa” delle sanzioni in oggetto. Nella responsabilità aquiliana il rapporto tra le parti è paritario, non potendosi configurare una posizione di favore nei confronti del danneggiante: il danneggiato è posto sullo stesso piano o, anzi, è il soggetto il cui bene della vita è oggetto di tutela da parte della norma.

In tal caso non vi è alcuna necessità di limitare l’afflittività derivante dalla applicazione della legge poiché la norma tende ad assicurare solo il dovuto ristoro economico al danneggiato.

Inoltre il favor prestatoris, mutuato dal diritto tributario, può configurarsi come operante solo nel rapporto diretto tra amministrazione e contribuente. Nel caso specifico sorgono effetti anche per un terzo soggetto, l’assicurato, che è direttamente interessato dal tipo di configurazione riconosciuta alla sua attività lavorativa.

A confutazione della seconda argomentazione fatta propria dall’Istituto ben si può osservare che sebbene nella norma si ravvisa un intento premiale[8], è pur vero che tale effetto si realizza mediante la ridefinizione dell’entità delle sanzioni, non incidendosi minimamente sulle fattispecie integrative delle varie ipotesi.

L’Istituto ritiene invece, avallando la prima ricordata ermeneusi propria della circolare in trattazione, che l’intento legislativo di contrazione operi non già solo sulla edittalità economica della sanzione, ma anche al fine di circoscrive l’ambito di applicazione della fattispecie.

Tale conclusione è apodittica considerando che se è anche vero che si introduce il concetto di intenzionalità, è pur vero che la norma nel suo complesso reca anche disposti di segno contrario, come ad esempio l’estensione dell’area della punibilità anche ai datori di lavoro pubblico.

 

6.  Fiat iustitia et pereat mundus.

       In ordine alle conseguenze economiche derivanti da una interpretazione rigorosa del testo normativo si può osservare che in tal modo l’ente disapplica una normativa vigente ritenendo che la stessa sia “economicamente sfavorevole”, comportando alti costi di soccombenza legale.

       Sebbene sia vero che la natura civile della sanzione può comportare valutazioni di tipo transattivo, si deve altresì rammentare che proprio il carattere di sanzione, fa assumere all’art. 116 una valenza particolare[9] rispetto alle ordinarie pretese civilistiche in tema di risarcimento del danno illecito.

         Configurare la sanzione equivale a determinare forfettariamente un danno predeterminato nel suo ammontare: se l’intenzione del legislatore fosse stata quella di consentire all’Istituto il ristoro dei danni patiti, lo stesso avrebbe lasciato alla determinazione giudiziale, in base agli ordinari criteri civilistici, delle conseguenze economiche patite dall’Istituto per effetto della violazione dell’obbligo previdenziale.

         La previsione di una sanzione proporzionale, invece, risponde evidentemente anche ad un effetto afflittivo, seppur non determinante nell’ottica complessiva della norma che deve comunque rifuggire da una eventuale classificazione a titolo di sanzione amministrativa tout court.

          Attesa tale innegabile effetto sanzionatorio afflittivo, che si combina con il carattere civilistico di ristoro del danno, ben si può affermare che nell’istituto della sanzione civile ex art. 116 convivono due diversi caratteri.

L’Istituto, pur nell’encomiabile intento di evitare costi superiori alle entrate effettive, e dunque nello spirito di una azione contraddistinta da criteri informatori di economicità, non ha tuttavia alcun potere di derogare alla legge vigente, poiché il legislatore potrebbe aver disposto la norma tenendo conto degli effetti complessivi (ad esempio dell’effetto disincentivizzante nei confronti dei datori). E’ chiaro che “disapplicando” la norma, l’INPS incide sul portato normativo e, di fatto, si sostituisce al legislatore.

  

7.  L’intenzionalità

    E’ stato affermato che di omissione si dovesse parlare ove il rapporto di lavoro comunque risultasse alla documentazione legale, cosicché comunque il lavoratore fosse considerabile parte integrante del contesto aziendale. Viceversa si sarebbe oltrepassata la linea discretiva che configura l’evasione.

Nel caso di specie, però, il rapporto apparente tra datore e lavoratore è un rapporto di natura diversa, tanto che nel caso delle collaborazioni continuative il lavoratore è addirittura formalmente escluso dall’organigramma aziendale.

Invero non risulta dalla documentazione legale “il” rapporto di lavoro (ordinario a tempo indeterminato), ma risulta “un” rapporto di lavoro inteso in senso largo, di talché potrebbe rientrare in questa definizione perfino un lavoro svolto in costanza di mandato.

A maggior ragione, come fatto notare argutamente dal Collegio dei Sindaci dell’Istituto previdenziale, proprio la attesa riforma del mercato del lavoro, citata nella circolare in parola, tenderà ad una distinzione di maggiore precisione tra i diversi tipi contrattuali, accentuandone la diversità.

Asserire che una illecita declassificazione del lavoratore subordinato a mero collaboratore continuato e continuativo non configuri una intenzione di evadere il differenziale contributivo equivarrebbe a sostenere che l’evasione si può configurare solo come evasione totale del contributo dovuto.

In realtà né in punto di lettera e né in via interpretativa è possibile ritenere che l’ipotesi evasiva ex art. 116 importi incisione sulla “totalità” del contributo dovuto, ben potendosi immaginare un volontario comportamento volto alla evasione “parziale” del debito contributivo. La sanzione, in ragione della sua proporzionalità, diversamente inciderà sull’evasore “parziale”, rispetto alla ipotesi di maggiore ampiezza escludendo l’integrazione di quei profili di illegittima equiparazione tra diverse posizioni che potrebbero configurare la paventata violazione del disposto di cui all’articolo 3 della Costituzione.

         Del resto tali considerazioni traspaiono anche dalla circolare in trattazione ove si legge che “...può mancare del tutto l’intenzionalità, né questa può essere provata in modo certo ed inequivocabile”.

Sembra che l’Istituto riconosca la possibilità che vi sia una intenzionalità di evasione (“...può mancare...”) che ritenga, tuttavia, di non potere provare in modo esaustivo, dimenticando che in sede giudiziale, il giudice  ben  può procedere per mezzo di presunzioni legali realizzando il proprio libero convincimento.

          In tale alveo si sono mosse le critiche del Consiglio di Indirizzo e Vigilanza e la successiva presa di posizione del Collegio dei Sindaci.

         A siffatte critiche sarebbe opportuno che nell’Istituto si aprisse un dibattito interno al fine di vagliarne la concreta rilevanza, onde evitare inopportune e frettolose decisioni che potrebbero ripercuotersi in maniera eccessiva sul già precario bilancio.

Note:


[1] Tribunale di Trapani del  5 giugno 2001,  n. 355, con nota di L.M. Dentici, Informazione Previdenziale n. 1/2002,  pag 88 e ss.

[2] Corte di Cassazione 15 gennaio 2003, n. 533 che, in relazione all’articolo in oggetto, così statuisce “...ancorché letteralmente la formula usata non sia tra le più chiare, perché non spiega ma dà per postulato il concetto di evasione...”

[3] Circolare INPS 23 maggio 2001, n . 110.

[4] G. CELA, Il regime sanzionatorio in materia previdnziale dopo la legge finanziaria per il 2001, in Mass. giur. lav.,  712 e ss;

[5] Art. 12 delle “disposizioni sulla legge in generale”.

[6] Circolare INPS 10 aprile 2003, n. 74

[7] Circolare INPS 23 maggio 2001, n. 110

[8] G. CELA, op. cit., 713;

[9] M. CINELLI, Diritto della previdenza sociale, Torino, 2001, 240.

Autore: Dr. Donatello Garcea - Segreteria Tecnica del Collegio dei Sindaci I.N.P.S. - tratto dal sito: www.unicz.it/lavoro/lavoro.htm