Contratto di somministrazione, appalto di servizi, distacco e tutela dei lavoratori.

Modifiche ed innovazioni introdotte dal D.Lgs. 10/09/003 n. 276

SOMMARIO:
1. La nozione di appalto contenuta nel Codice civile.
2. Le tutele applicabili sino al 24.10.2003.
3. Le innovazioni introdotte dal DLgs 276/2003.
3.1. La somministrazione di lavoro.
3.2. L’appalto di servizi.
3.3. Il distacco.

Il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 - che in attuazione della delega contenuta nella L. 30/2003 ha riformato profondamente il diritto del lavoro interno - ha apportato importanti cambiamenti alla tematica in esame così come la conoscevamo sino allo scorso 24 ottobre 2003, data d'entrata in vigore nella disciplina appena citata.

Come sempre, per capire il nuovo è necessario conoscere il vecchio e quindi, prima di esaminare le modifiche introdotte dal Legislatore del 2003, è indispensabile richiamare il sistema di norme che eravamo abituati a studiare e ad applicare sino a poco tempo orsono.

1. La nozione di appalto contenuta nel Codice civile.

Ai sensi dell’art. 1655 cc “L'appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di una opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro”. Si tratta quindi di un contratto tipico, a prestazioni corrispettive, affine al mandato di cui all’art. 1703 cc o al contratto d’opera di cui all’art. 2222 cc.

Ciò che distingue l’appalto da quest’ultima figura negoziale si rinviene, peraltro, nella necessità che l’appaltatore gestisca l’opera o il servizio commissionati utilizzando mezzi propri e assumendosi il rischio di un’errata e/o incompleta gestione della prestazione affidatagli. In questi elementi possiamo, quindi, ritrovare il tratto distintivo della presenza del negozio in questione.

Ne discendono due riflessioni utili per il proseguo: da un lato, è chiaro che la Legge richiede che l’appaltatore debba disporre di una, seppur minima, organizzazione imprenditoriale; dall’altro, che la prestazione dedotta in contratto è una classica prestazione di risultato.

Per quanto qui d’interesse, è opportuno ricordare anche un’altra previsione di diritto comune, quella contenuta nell’art. 1676 cc che dispone: “Coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attività per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto è loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda”.

Tale disposizione è stata individuata dalla giurisprudenza [1] come norma di riferimento nel caso in cui non ci siano i presupposti per l’applicazione della L. 1369/1960 e, conseguentemente, non ci si possa appellare al regime di solidarietà debitoria (ivi previsto agli artt. 3 e 4) fra committente ed appaltatore in relazione ai crediti maturati dai dipendenti. Alcuni, inoltre, ritengono che la responsabilità debitoria diretta in capo al committente permanga, nell’ordinario limite prescrizionale, anche quando sia spirato il termine annuale previsto dall’art. 4 della L. 1369/60.

I confini dell’azione ex art. 1676 cc sono, peraltro, evidenti: il committente non deve aver ancora corrisposto all’appaltatore il compenso che, sotto altro profilo, potrà non essere sufficiente a coprire il credito vantato dai dipendenti.

2. Le tutele applicabili sino al 24.10.2003.

In questo scenario di diritto comune si colloca la L. 23 ottobre 1960, n. 1369 che, nelle intenzioni del Legislatore, era evidentemente finalizzata a disciplinare un deprecabile fenomeno sociale, quello del c.d. “caporalato”.

Questa Legge ha rappresentato, in effetti, “l’estrinsecazione degli artt. 35 e 41 Cost., andando ad attuare una tutela speciale del lavoro e stabilendo una misura specifica affinchéil mondo imprenditoriale potesse svilupparsi nel rispetto del precetto costituzionale che tutela l’utilita'sociale e preserva la sicurezza, la dignita' e la liberta' dei lavoratori” [2].

In sostanza, un soggetto si interpone tra lavoratore e datore di lavoro appaltando al primo dietro compenso la mera forza lavoro di uno o più soggetti, senza disporre di alcuna organizzazione di mezzi e di strutture e, soprattutto, senza assumere alcuna responsabilità in ordine al completamento dell’opera o del servizio. La necessità di vietare e sanzionare un simile comportamento è tanto più comprensibile in un ordinamento che conosceva solo il collocamento pubblico della manodopera e addirittura la chiamata numerica dei lavoratori.

La Legge in esame disciplina due ipotesi: con l’art. 1 vengono delineate le caratteristiche del c.d. “appalto illecito”; con gli artt. 3 e 4 si disciplina il c.d. “appalto lecito intraaziendale”.

Analizziamo le due fattispecie con ordine, sottolineando sin da ora che il soggetto destinatario delle norme in esame è solo l’imprenditore; ne consegue che se un privato appalta i lavori di ristrutturazione del proprio immobile di proprietà ad un artigiano insolvente nei confronti dei propri dipendenti, questi ultimi non potranno utilizzare le tutele ivi previste.

Allo stesso modo, è pacifico in giurisprudenza che ove la PA appalti un’opera od un servizio ad un terzo perseguendo i propri scopi istituzionali, e non finalità di lucro, non potrà applicarsi la Legge 1369/1960 [3].

L’art. 1 della disciplina in questione dispone: “È vietato all'imprenditore di affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono.

È altresì vietato all'imprenditore di affidare ad intermediari, siano questi dipendenti, terzi o società anche se cooperative, lavori da eseguirsi a cottimo da prestatori di opere assunti e retribuiti da tali intermediari.

È considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante.

Le disposizioni dei precedenti commi si applicano altresì alle aziende dello Stato ed agli enti pubblici, anche se gestiti in forma autonoma, salvo quanto disposto dal successivo art. 8.

I prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell'imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”.

Particolare importanza, ai ns. fini, rivestono i commi 3 e 5.

Sotto il primo profilo, la norma consente al lavoratore di utilizzare la presunzione di illiceità di cui al comma 3 e, quindi, di dimostrare che il contratto di appalto ha ad oggetto le mere prestazioni di lavoro ove l’appaltatore “…impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante…”.

E’ del tutto evidente che se questa presunzione aveva valore assoluto in un sistema economico come quello del secondo dopoguerra e quindi era sufficiente indagare - per stabilire se si trattasse di appalto illecito - se l’appaltatore utilizzasse o meno per l’esecuzione del contratto mezzi e capitali propri (vedi art. 1655 cc); in tempi più recenti, con la frammentazione e la smaterializzazione delle modalità del lavoro, si è rivelato molto più difficile determinare se un appalto rientra o meno nel divieto legislativo. Si pensi, infatti, agli appalti di servizi a basso impatto organizzativo, come nel caso dei facchini, delle pulizie, ovvero nel caso di mansioni ad alto contenuto tecnico e professionale.

In questo senso, la giurisprudenza più accorta ha rilevato che per determinare la genuinità di un appalto è necessario verificare se l’appaltatore possieda o meno una compiuta organizzazione imprenditoriale che gli consenta di adempiere le proprie obbligazioni [4].

Inoltre, poiché spesso non è facile ottenere un risultato univoco in questa direzione, l’analisi dovrà vertere su chi, di fatto, esercitava il potere direttivo, organizzativo e disciplinare sui lavoratori interessati all’appalto. In altre parole, dovranno essere utilizzati dall’interprete gli indici della subordinazione di cui all’art. 2094 cc [5].

Peraltro, sotto questo aspetto, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che la norma possa essere applicata anche alle cooperative di produzione e lavoro e quindi i lavoratori interposti possono essere anche soci lavoratori delle cooperative stesse [6].

La sanzione dell’illiceità dell’appalto è contenuta nel 5° comma dell’art. 1 della L. 1369/1960: il committente diviene coattivamente ed automaticamente datore di lavoro dei dipendenti dell’appaltatore. Ciò ha importanti riflessi, ad esempio, in caso di licenziamento intimato dal datore di lavoro “fittizio” che è ritenuto inefficace dalla giurisprudenza in quanto intimato da soggetto che non ne aveva i poteri [7].

L’appalto “lecito intraaziendale” è invece disciplinato dal combinato disposto degli artt. 3, 4 e 5 della L. 1369/1960.

L’art. 3 prevede: “Gli imprenditori che appaltano opere o servizi, compresi i lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti, da eseguirsi nell'interno delle aziende con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore, sono tenuti in solido con quest'ultimo a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti.

La stessa disciplina si applica agli appalti concessi dalle imprese che esercitano un pubblico servizio per le attività di esazione, installazione e lettura di contatori, manutenzione di reti di distribuzione e di trasporto, allacciamenti, costruzione di colonne montanti, impianti di apparecchi, reti a bassa tensione e attività similari.

Gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con l'appaltatore, relativamente ai lavoratori da questi dipendenti, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle leggi di previdenza ed assistenza”.

In sostanza, la norma prevede un meccanismo - laddove si sia di fronte ad un appalto genuino la cui esecuzione ha luogo all’interno dell’azienda committente - di totale equiparazione retributiva e contributiva tra i chi lavora alle dipendenze dell’appaltante e chi lavora alle dipendenze dell’appaltatore. Del buon fine di queste obbligazioni il committente è tenuto in solido con l’appaltatore nei confronti dei dipendenti di quest’ultimo.

La giurisprudenza [8] ha precisato che il riferimento “all’interno dell’azienda” non deve essere inteso come un mero riferimento topografico, ma nel senso che l’attività dell’appaltante debba riguardare un settore dell’organizzazione tecnica propria dell’impresa concedente l’appalto, ossia uno dei servizi principali o ausiliari predisposti ai fini della realizzazione del suo ciclo produttivo.

L’art.3 non si applica nei casi specificatamente indicati dall’art. 5, ossia: ”…a) agli appalti per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti; b) agli appalti per installazione o montaggio di impianti e macchinari; c) ai lavori di manutenzione straordinaria; d) ai trasporti esterni da e per lo stabilimento; e) agli appalti che si riferiscono a particolari attività produttive, le quali richiedano in più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa, sempre che tale impiego non abbia carattere continuativo; f) agli appalti per prestazioni saltuarie ed occasionali, di breve durata, non ricorrenti abitualmente nel ciclo produttivo e nell'organizzazione dell'impresa. Per tali appalti l'esclusione dalla disciplina di cui all'art. 3 dovrà essere preventivamente autorizzata, di volta in volta, dall'Ispettorato del lavoro competente; g) agli appalti per l'esecuzione dei lavori di facchinaggio, di pulizia e di manutenzione ordinaria degli impianti - esclusi per questi ultimi gli appalti di cui al secondo comma dell'art. 3 - conclusi con imprese che impiegano il personale dipendente presso più aziende contemporaneamente. Per tali appalti l'esclusione dalla disciplina di cui all'art. 3, salva la disposizione dell'art. 1676 del codice civile, dovrà essere autorizzata preventivamente dall'Ispettorato del lavoro competente del luogo dove i lavori devono eseguirsi. Restano ferme le disposizioni di cui alla legge 3 maggio 1955, n. 407 ; h) agli appalti per la gestione dei posti telefonici pubblici, di cui all'art. 55 del regolamento di esecuzione dei titoli I, II e III del libro II della legge postale e delle telecomunicazioni, approvato con regio decreto 19 luglio 1941, n. 1198, soltanto nei casi in cui la prestazione del lavoratore per l'espletamento del servizio telefonico non sia prevalente rispetto a quella da lui normalmente svolta”.

Questi sono quindi, visti sotto altra prospettiva, gli appalti leciti.

Infine, a tutelare essenzialmente del committente, il Legislatore ha previsto che: “I diritti spettanti ai prestatori di lavoro ai sensi dell'articolo precedente potranno essere esercitati nei confronti dell'imprenditore appaltante durante l'esecuzione dell'appalto e fino ad un anno dopo la data di cessazione dell'appalto” (art. 4 L. 1369/1960).

Si tratta di termine di decadenza, che quindi non può essere interrotto se non dalla proposizione del ricorso giudiziale [9].

La disciplina appena descritta è completata da altri due istituti affini e che debbono essere, per completezza sistematica, brevemente trattati: il primo, di creazione squisitamente giurisprudenziale - tranne interventi settoriali quali quello dell’art. 8 della 236/1993 in caso di crisi aziendale, ovvero con la disciplina speciale riservata ai pubblici impiegati -, è il comando o distacco; il secondo, introdotto con la L. 196/1997, è il lavoro temporaneo.

Nel quadro che qui interessa il lavoro temporaneo rileva soprattutto perché dall’entrata in vigore della disciplina che lo regola, dottrina e giurisprudenza hanno sostenuto la doverosa coordinazione con la L. 1369/1960 e la conseguente inapplicabilità delle disposizioni in essa contenute laddove la fattispecie vietata fosse messa in atto dalle Società fornitrici di lavoro temporaneo [10].

Senza voler riprendere il noto schema negoziale, è del tutto evidente, infatti, che i fatti regolati sono assolutamente gli stessi; nel caso del lavoro temporaneo, l’intermediazione è, tuttavia, “legittimata” dal possesso dei requisiti di Legge necessari per poter esercitare l’attività di intermediazione (entità del capitale, forma societaria, diffusione sul territorio etc…).

Non dimentichiamo, inoltre, che la L. 196/1997 accoglie una tendenza oggi forse arrivata a compimento, che è quella di una totale privatizzazione del collocamento pubblico.

Con il comando o distacco il datore di lavoro può incaricare un proprio dipendente di svolgere la sua prestazione, per un periodo più o meno lungo di tempo, presso un’altra azienda.

La dottrina distingue tra distacco “proprio” che è quello che si realizza quando il distaccante invia presso un’impresa distaccataria uno o più dipendenti per svolgere prestazioni lavorative a favore di quest’ultima inserendosi nel suo ciclo produttivo ed organizzativo e distacco “improprio” che si realizza quando il distaccante invia presso il distaccatario un dipendente per svolgere l’opera o il servizio che è oggetto del contratto tra le due società.

Mentre quest’ultimo non crea alcun problema interpretativo ai ns. fini, poiché si limita ad un mero mutamento di luogo di lavoro, è evidente che con il distacco “proprio” - anche se qui si esula, a mio avviso dallo schema negoziale tipico dell’appalto - potrebbe configurarsi una fornitura di mere prestazioni di lavoro, vietata ai sensi della L. 1369/1960.

Tuttavia, la giurisprudenza [11] l’ha sempre ritenuto lecito in presenza, essenzialmente, dei seguenti requisiti:

a. l’interesse del distaccante;

b. la temporaneità dell’incarico.

3. Le innovazioni introdotte dal DLgs 276/2003

Il legislatore del 2003 con una lungimiranza sistematica, che non pare interessare altre parti del DLgs n. 276, ha raccolto tutte queste tematiche nel Titolo III, dove si introduce l’istituto della somministrazione di lavoro, si definisce legalmente l’istituto del comando o distacco, ma, soprattutto, si ridisegnano i confini dell’appalto con l’abrogazione totale - ad opera dell’art. 85, lett. c - della L. 1369/1960.

Nello stesso senso, l’art. 85 abroga, alla lett. f, gli artt. da 1 a 11 della L. 196 del 1997, con una sostanziale eliminazione dal ns. ordinamento dell’istituto del lavoro temporaneo.

Nella materia in esame, quindi, si assiste, più che in altre, ad una complessiva sostituzione del nuovo al vecchio, consentendoci di cercare di disaminare come e, soprattutto, se i nuovi istituti hanno riempito i vuoti lasciati dalla scomparsa della vecchia disciplina.

In primo luogo, è necessario indagare la ratio della novella, che si pone, sotto il profilo della tecnica legislativa, in linea con la tendenza oramai predominante che porta ad abrogare un intero complesso di norme, per poi riscriverlo completamente. Le opinioni in proposito sono tuttavia, contrastanti.

Da un lato, v’è chi sostiene che con la disciplina in questione ci si è limitati a prendere atto che l’impresa oggigiorno è sempre più decentrata ed esternalizzata ed in quest’ottica l’imprenditore deve poter disporre della massima libertà d’azione in ordine alla disposizione ed all’utilizzo della manodopera [12]. In tal senso, anche la Relazione di accompagnamento al decreto in esame che indica come le norme in esso contenute debbano segnare “…un percorso di riforma complessiva della materia finalizzato a fare in modo che le istanze di tutela del lavoro, che devono essere mantenute rispetto a forme di speculazione parassitaria sul lavoro altrui, non pregiudichino la modernizzazione dei cicli produttivi e distributivi indotta dalle nuove tecnologie. Le misure predisposte dal Governo consentiranno uno sviluppo adeguato, e in una cornice giuridica rispondente alle logiche della nuova economia, delle attività di facility management e della logistica in modo da consentire al sistema delle imprese di beneficiare delle logiche di rete e degli investimenti in capitale digitale e tecnologia. Questo comporterà una estensione delle tutele e non una regressione, in quanto consentirà di arginare il fenomeno degli appalti abusivi e delle esternalizzazioni finalizzate alla sola riduzione del costo del lavoro...” [13].

D’altro lato, altri oppongono che in molti settori del mercato del lavoro (ad esempio l’edilizia) non è affatto scomparso lo sfruttamento della manodopera, che è proprio il deplorevole fenomeno che il Legislatore del 1960 si proponeva di reprimere [14] e che oggi pare più difficilmente individuabile per le novità introdotte dalla Riforma Biagi.

3.1. La somministrazione di lavoro.

Il primo istituto da considerare è la somministrazione di lavoro disciplinata dagli artt. 20 e ss del DLgs 276/2003.

L’art. 20 recita: ”Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a ciò autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5.

Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attività nell'interesse nonché sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro.

Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato è ammessa:

a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati;

b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;

c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;

d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato;

e) per attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale;

f) per attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale;

g) per la gestione di call-center, nonché per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del 21 giugno 1999 del Consiglio, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;

h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attività produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa;

i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative.

La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attività dell'utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.

Il contratto di somministrazione di lavoro è vietato:

a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;

b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unità produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione ovvero presso unità produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione;

c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche”.

Il successivo art. 21 prevede: “Il contratto di somministrazione di manodopera è stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi:

a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;

b) il numero dei lavoratori da somministrare;

c) i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 20;

d) l'indicazione della presenza di eventuali rischi per l'integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate;

e) la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione;

f)le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento;

g) il luogo, l'orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative;

h) assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali;

i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;

j)assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili;

k) assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore.

Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi.

Le informazioni di cui al comma 1, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell'attività lavorativa presso l'utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all'atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all'atto dell'invio presso l'utilizzatore.

In mancanza di forma scritta, con indicazione degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore”.

E’ evidente già dall’analisi di queste due prime disposizioni che il contratto in esame riprende lo schema causale tripartito previsto per il lavoro temporaneo dalla L. 196/1997, con la presenza di un primo contratto di lavoro tra prestatore d’opera e società di somministrazione ed un secondo contratto di somministrazione vera e propria tra somministratore ed utilizzatore.

Tuttavia, mentre la L. 196/1997 prevedeva che la “missione” potesse essere solo a tempo determinato, salvo assunzione successiva del prestatore di lavoro da parte dell’utilizzatore - con evidenti finalità, quindi d’inserimento lavorativo - oggi, la “missione” può essere, come preciseremo infra, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato.

Da notare che il generico riferimento all’”utilizzatore” consente - se guardiamo alla somministrazione, come hanno fatto alcuni commentatori [15], come un divieto di intermediazione in positivo - di estendere il novero di coloro che possono accedere a questo tipo di contratto, ora svincolato dal riferimento all’”imprenditore” contenuto nell’abrogata L. 1369/1960.

Inoltre, quanto alla possibilità per la PA di concludere questo tipo di contratto, da un lato questa facoltà parrebbe essere esclusa a priori dalla disposizione dell’art. 1, comma 2 del decreto che ne prevede l’inapplicabilità alla Pubblica Amministrazione; dall’altro, l’art. 86, comma 9 stessa disciplina, nel disporre l’inapplicabilità dell’art. 27, comma 1 nei confronti della PA afferma che nei confronti delle Pubbliche amministrazioni “…la disciplina della somministrazione trova applicazione solo per quanto attiene alla somministrazione a tempo determinato”.

Il Legislatore prevede poi la necessità della forma scritta ad substantiam: il contratto deve essere concluso per iscritto e contenere tutte le indicazioni previste dal comma primo, lett. a e ss. dell’art. 21; tali informazioni debbono poi essere fornite, sempre per iscritto, al lavoratore “somministrato” contestualmente alla comunicazione della data di inizio e della prevedibile durata della “missione”; ciò può avvenire al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro ovvero nel momento dell’invio presso l’utilizzatore.

Nel caso difetti la forma scritta automaticamente i lavoratori passano alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 21, comma 4 DLgs 276/2003).

La somministrazione di lavoro può avvenire sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato (c.d. staff leasing). Nel secondo caso, è ammessa solo in presenza delle fattispecie delineate dalla lett. a e ss dell’art. 20 del DLgs 276/2003, che in qualche misura riprende l’art. 5 della L. 1369/1960.

E’ interessante notare come si tratti proprio di settori lavorativi dove, per il basso impatto organizzativo, nel passato si era massimamente riscontrata l’interposizione illecita di manodopera. In tal senso, l’intento del Legislatore pare essere proprio quello di dissipare ogni dubbio che in questi casi possa verificarsi intermediazione illecita di manodopera.

Inoltre, con la previsione della lett. i dell’art. 20 viene lasciato, in buona sostanza, alle organizzazioni sindacali l’onere sociale e politico di individuare altre attività ove procedere allo staff leasing [16].

Per concludere un contratto di somministrazione a tempo determinato, invece, l’utilizzatore deve essere in presenza di ragioni tecniche, organizzative, produttive organizzative, anche se afferenti alla sua ordinaria attività..

Se da un lato vengono riprese le ragioni di ammissibilità in generale del contratto a tempo determinato (DLgs 368/2001), dall’altro è interessante notare come, con l’inciso sulla possibilità di ricorrere al contratto in esame anche in situazioni di ordinaria attività aziendale, si tenti di svincolare la nuova forma contrattuale da una logica di accesso alla fornitura di manodopera solo come ultima ratio ove si versi in una situazione di crisi organizzativa.

Infine, si dispone che non si possa ricorrere alla somministrazione di lavoro in quattro ipotesi: due divieti assoluti, ossia per evitare le conseguenze del legittimo esercizio del diritto di sciopero e ove l’utilizzatore non abbia proceduto alla valutazione dei rischi di cui al DLgs 626/1994; due divieti relativi (“..salva diversa disposizione degli accordi sindacali..”), ossia nei casi di crisi aziendale di cui alla L. 223/1991 e in quelli in aziende in cui siano in atto procedure di sospensione della prestazione lavorativa con diritto all’integrazione salariale.

Una seconda serie di norme (artt. da 22 a 26) disciplinano l’esecuzione del contratto di somministrazione.

Per quanto qui di interesse è opportuno, innanzitutto, riportare gli artt. 22 e 23.

L’art. 22 dispone: ”In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali.

In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro è soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all'articolo 5, commi 3 e 4. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro può in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore.

Nel caso in cui il prestatore di lavoro sia assunto con contratto stipulato a tempo indeterminato, nel medesimo è stabilita la misura della indennità mensile di disponibilità, divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso rimane in attesa di assegnazione. La misura di tale indennità è stabilita dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non è inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. La predetta misura è proporzionalmente ridotta in caso di assegnazione ad attività lavorativa a tempo parziale anche presso il somministratore. L'indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo.

Le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, non trovano applicazione anche nel caso di fine dei lavori connessi alla somministrazione a tempo indeterminato. In questo caso trovano applicazione l'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e le tutele del lavoratore di cui all'articolo 12.

In caso di contratto di somministrazione, il prestatore di lavoro non è computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini della applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro.

La disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui all'articolo 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non si applicano in caso di somministrazione”.

Di seguito, l’art. 23 prevede: “I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parità di mansioni svolte. Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196.

La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati nell'ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati, in concorso con Regioni, Province ed enti locali ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 13.

L'utilizzatore è obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali.

I contratti collettivi applicati dall'utilizzatore stabiliscono modalità e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all'andamento economico dell'impresa. I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno altresì diritto a fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore addetti alla stessa unità produttiva, esclusi quelli il cui godimento sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o società cooperative o al conseguimento di una determinata anzianità di servizio.

Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attività produttive in generale e li forma e addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento della attività lavorativa per la quale essi vengono assunti in conformità alle disposizioni recate dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni. Il contratto di somministrazione può prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore; in tale caso ne va fatta indicazione nel contratto con il lavoratore. Nel caso in cui le mansioni cui è adibito il prestatore di lavoro richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l'utilizzatore ne informa il lavoratore conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni. L'utilizzatore osserva altresì, nei confronti del medesimo prestatore, tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi.

Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni superiori o comunque a mansioni non equivalenti a quelle dedotte in contratto, l'utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo. Ove non abbia adempiuto all'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l'eventuale risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni inferiori.

Ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, che è riservato al somministratore, l'utilizzatore comunica al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della contestazione ai sensi dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.

In caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato è nulla ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine del contratto di somministrazione.

La disposizione di cui al comma 8 non trova applicazione nel caso in cui al lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore.

In primo luogo, il Legislatore ha previsto che il contratto di somministrazione a tempo indeterminato, nei rapporti tra somministratore e lavoratore, sia disciplinato dal codice civile e dalla normativa speciale, come se si trattasse di un ordinario contratto di lavoro subordinato ex art. 2094 cc.

Conformemente a quanto disposto dall’art. 4, comma 3 della L. 196/1997 al prestatore di lavoro assunto a tempo indeterminato è corrisposta, da parte della società fornitrice, un’indennità di disponibilità per i periodi nei quali quest’ultimo rimane in attesa di assegnazione, esclusa dal computo di qualsiasi istituto contrattuale e/o legale.

La misura di tale indennità è stabilita dalla contrattazione collettiva, è aggiornata periodicamente dal Ministero del lavoro ed è proporzionalmente ridotta in caso di lavoro part-time, anche presso il somministratore [17].

Ora, se con riferimento al lavoro temporaneo quest’indennità aveva una sua ragion d’essere - anche se nella pratica, si è trattato di un istituto inutilizzato e applicato solo alle professionalità di altissimo profilo -, soprattutto perché le missioni erano solamente a tempo determinato, oggi pare molto meno giustificata la previsione di una corresponsione economica con riferimento ad una prestazione che già può nascere, presso l’utilizzatore, senza preventiva fissazione di un termine finale.

Ad avviso di chi scrive, infatti, a questo proposito non si sono sufficientemente distinti i due profili contrattuali che coesistono all’interno del negozio in esame, sovrapponendo il contratto fra utilizzatore e somministratore e contratto fra lavoratore e somministratore.

Inoltre, quid iuris ove il lavoratore sia assegnato a tempo determinato presso l’utilizzatore con orario ridotto? L’indennità sopra descritta verrà comunque corrisposta - proporzionalmente ridotta come prevede il cpv. del comma 3 dell’art. 22 - laddove questi non rimanga a disposizione per la restante parte della giornata lavorativa, ma svolga, ad esempio, una separata attività lavorativa part-time?

E comunque, perché l’indennità in questione non può essere computata, ad esempio, ai fini del TFR, se i rapporti tra prestatore e somministrare sono regolati dalla disciplina ordinaria?

Viceversa, il rapporto contrattuale tra prestatore e somministratore a tempo determinato è ordinariamente regolato dal Dlgs 368/2001, con esclusione delle norme in tema di conversione automatica del contratto in essere a tempo indeterminato. Inoltre, sono ammesse proroghe scritte con il consenso del lavoratore per la durata stabilita dalla contrattazione quello collettiva.

Questa disciplina pare attuare un ingiustificato privilegio in favore delle società di somministrazione: mentre un datore di lavoro ordinario è sottoposto ai limiti di cui al Dlgs 368/2001 per assumere a tempo determinato (necessaria presenza di ragioni tecniche, organizzative, sostitutive o produttive; rischio di conversione a tempo indeterminato; limiti alle proroghe; limiti di durata etc..), qui si rimanda tutto alla volontà delle parti collettive private, che, peraltro, non può derogare - se non in maggior favore del lavoratore - alle norme imperative di Legge, poste proprio a tutela del prestatore.

Infine, vengono fissati, negli ultimi tre commi, principi in ordine alla computabilità del lavoratore somministrato, all’inapplicabilità delle riserve relative al collocamento mirato e, in caso di cessazione di contratto di somministrazione a tempo indeterminato, all’inapplicabilità della L. 223/1991 e all’applicabilità esclusivamente della L. 604/1966. In quest’ultimo caso, se nell’azienda utilizzatrice si attivano le procedure di licenziamento collettivo ciò non inciderà sul destino del rapporto di lavoro dei prestatori “somministrati”, cui si applicherà comunque la disciplina ordinaria per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo [18].

Il successivo art. 23 disciplina singoli aspetti della prestazione del lavoratore “somministrato”.

Quanto ai profili retributivi, si fissa il principio per cui il trattamento economico riservato al prestatore d’opera non debba essere inferiore a quanto erogato agli altri dipendenti dell’utilizzatore (c.d. principio della parità di trattamento).

Si fa salvo, esclusivamente, quanto statuito nel sistema previgente dai CCNL di settore e, con un’espressa deroga, si concede la diminuzione delle tutele laddove la conclusione di un contratto di somministrazione persegua finalità formative e/o di reinserimento lavorativo.

L’utilizzatore è tenuto in solido con il somministratore a corrispondere tale trattamento retributivo e alla corresponsione dei contributi. Tale regime di solidarietà non subisce limitazioni, se non con riferimento all’ordinaria prescrizione dei diritti quinquennale.

In materia di sicurezza ed igiene del lavoro, i compiti di informazione e formazione sono demandati al somministratore, che può delegarli all’utilizzatore dandone comunicazione scritta al lavoratore. L’utilizzatore è altresì tenuto a segnalare al prestatore i rischi specifici delle mansioni che questi si appresta a compiere e permane titolare dell’obbligo generale di sicurezza di cui all’art. 2087 cc e alle norme speciali successive.

Quanto alle mansioni del lavoratore, l’utilizzatore, ove lo adibisca a mansioni superiori o non equivalenti a quelle dedotte in contratto è tenuto a darne comunicazione al somministratore; se non adempie a quest’obbligo rimane responsabile esclusivo delle differenze retributive dovute per l’eventuale demansionamento ovvero per le eventuali mansioni superiori che il prestatore d’opera abbia effettuato.

Questo comma pone, ad avviso di chi scrive, delle questioni interpretative. Ad esempio, le mansioni “…dedotte in contratto…” possono essere difformi da quelle previste nelle declaratorie del CCNL applicato all’utilizzatore? E ancora, posto che manca qualsiasi riferimento all’art. 2103 cc e posto che il contratto di somministrazione può essere concluso anche in ipotesi diverse da quelle sostitutive previste da tale disposizione per escludere la maturazione del diritto alle mansioni superiori, il diritto alle differenze retributive può compiersi, e se sì, anche prima dei 90 gg. ordinari?

Si prevede, inoltre e come è naturale, che il potere disciplinare sia esercitato dal somministratore su segnalazione d’infrazione da parte dell’utilizzatore.

Infine, le finalità d’inserimento lavorativo perseguite dalla L. 196/1997 vengono del tutto disattese dai conclusivi commi 8 e 9 della disposizione in esame: se da un lato, infatti, con la dichiarazione di nullità delle clausole contrarie si determina la possibilità dell’utilizzatore di assumere come suo dipendente il lavoratore che presta la propria opera a tempo determinato, dall’altro, si precisa che ciò non può avvenire laddove il prestatore percepisca un’adeguata indennità.

Seguono tre disposizioni volte a garantire l’esercizio dei diritti sindacali da parte del lavoratore “somministrato”, a disciplinare il trattamento previdenziale riservatogli e ad affermare la titolarità della responsabilità nel caso che il lavoratore arrechi danni a terzi. Poiché non hanno stretta attinenza con il tema trattato verranno richiamate senza commento.

L’art. 24 prevede: “Ferme restando le disposizioni specifiche per il lavoro in cooperativa, ai lavoratori delle società o imprese di somministrazione e degli appaltatori si applicano i diritti sindacali previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni.

Il prestatore di lavoro ha diritto a esercitare presso l'utilizzatore, per tutta la durata della somministrazione, i diritti di libertà e di attività sindacale nonché a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.

Ai prestatori di lavoro che dipendono da uno stesso somministratore e che operano presso diversi utilizzatori compete uno specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le modalità specifiche determinate dalla contrattazione collettiva.

L'utilizzatore comunica alla rappresentanza sindacale unitaria, ovvero alle rappresentanze aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale:

a) il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro prima della stipula del contratto di somministrazione; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, l'utilizzatore fornisce le predette comunicazioni entro i cinque giorni successivi;

b) ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati”.

Il successivo art. 25 dispone: “Gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalle vigenti disposizioni legislative, sono a carico del somministratore che, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n. 88, è inquadrato nel settore terziario. Sulla indennità di disponibilità di cui all'articolo 22, comma 3, i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo.

Il somministratore non è tenuto al versamento della aliquota contributiva di cui all'articolo 25, comma 4, della legge 21 dicembre 1978, n. 845.

Gli obblighi per l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, sono determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte. I premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio, o medio ponderato, stabilito per la attività svolta dall'impresa utilizzatrice, nella quale sono inquadrabili le lavorazioni svolte dai lavoratori temporanei, ovvero sono determinati in base al tasso medio, o medio ponderato, della voce di tariffa corrispondente alla lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore temporaneo, ove presso l'impresa utilizzatrice la stessa non sia già assicurata.

Nel settore agricolo e in caso di somministrazione di lavoratori domestici trovano applicazione i criteri erogativi, gli oneri previdenziali e assistenziali previsti dai relativi settori”.

Infine l’unico comma dell’art. 26 recita: “Nel caso di somministrazione di lavoro l'utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal prestatore di lavoro nell'esercizio delle sue mansioni”.

Tale ultima disposizione pare porre una deroga agli artt. 1228 cc e 2049 cc laddove impone la responsabilità risarcitoria in capo ad un soggetto che seppure di fatto ha la possibilità di esercitare il controllo sull’attività dell’ausiliare, non ha con questo – formalmente - alcun rapporto negoziale.

Maggiore rilievo ai fini del presente scritto assumono, invece, gli artt. 27 e 28 del DLgs 276/2003 con i quali il Legislatore ha in parte ripreso il concetto di appalto illecito che era il cardine dell’abrogata L. 1369/1960.

L’art. 27 disciplina la somministrazione irregolare che si realizza: “Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.

Nelle ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione.

Ai fini della valutazione delle ragioni di cui all'articolo 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore”.

Con il successivo art. 28 si regola la somministrazione fraudolenta, ossia: “Ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18, quando la somministrazione di lavoro è posta in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione”.

Per completezza di esposizione è bene rammentare che l’art. 18 disciplina le sanzioni penali applicabili nel caso di violazioni della normativa in esame e più in generale dell’esercizio di attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro; in particolare la norma prevede: “L'esercizio non autorizzato delle attività di cui all'articolo 4, comma 1, è punito con la sanzione dell'ammenda di € 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. L'esercizio abusivo della attività di intermediazione è punito con la pena dell'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da € 1.500 a € 7.500. Se non vi è scopo di lucro la pena è della ammenda da € 500 a € 2.500. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo. Nel caso di condanna, è disposta in ogni caso la confisca del mezzo di trasporto eventualmente adoperato per l'esercizio delle attività di cui al presente comma.

Nei confronti dell'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), ovvero da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la pena dell'ammenda di € 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi è sfruttamento dei minori, la pena è dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda è aumentata fino al sestuplo.

La violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli articoli 20, commi 1, 3, 4 e 5, e 21, commi 1, 2, nonché per il solo somministratore, la violazione del disposto di cui al comma 3 del medesimo articolo 21 è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da € 250 a € 1.250.

Fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 11, comma 2, chi esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione è punito con la pena alternativa dell'arresto non superiore ad un anno o dell'ammenda da € 2.500 a € 6.000. In aggiunta alla sanzione penale è disposta la cancellazione dall'albo.

In caso di violazione dell'articolo 10 trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché nei casi più gravi, l'autorità competente procede alla sospensione della autorizzazione di cui all'articolo 4. In ipotesi di recidiva viene revocata l'autorizzazione.

Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali dispone, con proprio decreto, criteri interpretativi certi per la definizione delle varie forme di contenzioso in atto riferite al pregresso regime in materia di intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro”.

A ben vedere questo sistema di norme regola la fase patologica del contratto di somministrazione, con meccanismi punitivi affini a quelli che erano contemplati dalla L. 1369/1960 per reprimere il fenomeno dell’appalto illecito di mere prestazioni di lavoro.

Sotto un primo profilo, il Legislatore sanziona la somministrazione irregolare, ossia il contratto concluso in violazione delle riserve e dei divieti contemplati all’art. 20 e in difetto di forma scritta e degli altri elementi essenziali del contratto di cui all’art. 21, comminando, ad istanza di parte, la nullità di diritto comune del negozio e disponendo come conseguenza che il lavoratore “somministrato” passi alle dipendenze dell’utilizzatore.

In altre parole, tale sanzione opera su tre piani: violazioni di ordine soggettivo (quanto all’identità delle parti contraenti), oggettivo (contenuto del contratto) e formale (mancanza della forma scritta).

Si tratta di un meccanismo analogo a quello dell’art. 1 della L. 1369/1960, temperato però, nel caso di specie, dalla precisazione che quanto pagato sino ad allora al lavoratore vale a liberare chi ha effettivamente utilizzato la prestazione, sino a concorrenza, dal debito corrispondente. Inoltre, tutti gli adempimenti obbligatori svolti dal somministrare si considerano come svolti dall’effettivo utilizzatore della prestazione.

La previsione risulta, peraltro, ultronea rispetto a quanto disposto dall’art. 21, che con il quarto comma sanziona, con il medesimo meccanismo, la stessa fattispecie.

Non deve, tuttavia, essere dimenticato che l’art. 27 in esame specifica quanto precedentemente statuito prevedendo che il passaggio alle dipendenze dell’utilizzatore avvenga con decorrenza dall’inizio della somministrazione irregolare.

Infine, si dispone che laddove la somministrazione irregolare derivi da violazione dell’art. 20, commi 3 e 4, il Giudice dovrà limitarsi ad accertare se sussistessero i presupposti fattuali per la conclusione del contratto, mentre non potrà ingerirsi nelle valutazioni organizzative che hanno indotto le imprese ad utilizzare lo strumento negoziale della somministrazione.

Ciò vale a limitare fortemente i poteri istruttori del magistrato del lavoro che non potrà effettuare alcuna verifica sulla reale volontà delle parti che abbiano concluso un contratto di somministrazione formalmente ineccepibile.

Questa previsione è ancora meno comprensibile dove, con il successivo art. 28 e fatte salve le sanzioni penali di cui all’art. 18, si disciplina la somministrazione fraudolenta, che - come sopra riportato - si realizza ove lo scopo delle parti sia quello di concludere il negozio per aggirare le norme di Legge o le clausole contrattuali.

Nel caso in cui ciò si verifichi è prevista un’ammenda di 20 € per ogni lavoratore coinvolto e per ogni giorno di somministrazione.

Tale disposizione non può non essere coordinata sul piano sanzionatorio con quanto previsto dall’art. 18, commi 1 e 2 della disciplina in esame, anche se la contravvenzione prevista in caso di appalto fraudolento richiede, evidentemente, il dolo specifico.

Sui profili di successione di Legge penale conseguenti alle modifiche intervenute con il DLgs 276/2003 si è recentemente soffermata la Cassazione con sentenza n. 2583 del 26.01.2004 che afferma in massima “La fattispecie di appalto di mere prestazioni di lavoro punita dall’art. 1, comma 3, legge 23 ottobre 1960, n. 1369 è solo parzialmente abrogata dalla fattispecie di somministrazione di lavoro esercitata da soggetti non abilitati o fuori dai casi previsti punita dall’art. 18, comma 1, primo periodo, e comma 2, primo periodo, D.Lgs 10 settembre 2003, n. 276, in quanto solo alcuni fatti puniti dalla legge abrogata non costituiscono più reato secondo la legge sopravvenuta (le somministrazioni di lavoro da parte di agenzie private abilitate e nei casi consentiti), mentre altri fatti continuano ad essere puniti come reato (le somministrazioni di lavoro da parte di soggetti non abilitati e fuori dai casi consentiti, che la legge abrogata puniva come appalti di mere prestazioni di lavoro)” [19].

3.2. L’appalto di servizi.

L’art. 29 del DLgs 276/2003 disciplina l’appalto di servizi, prevedendo che: “Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.

In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti.

L'acquisizione del personale già impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda”.

Un primo rilievo si può muovere in ordine al fatto che il disposto del comma 1 sia del tutto tautologico rispetto al complesso delle norme di diritto comune che regolamentano il negozio in esame (artt. 1655 e ss cc) e che non sono state abrogate.

Infatti, è facile riscontrare che il Legislatore, al fine di differenziare il contratto d’appalto di servizi da quello di somministrazione di lavoro che abbiamo esaminato prima, riprende (anche con un richiamo letterale) i requisiti distintivi del contratto d’appalto ai sensi dell’art. 1655 cc, ossia l’assunzione del rischio d’impresa e la necessità che l’incarico sia eseguito attraverso la predisposizione e l’utilizzazione della propria organizzazione di mezzi.

Sotto un secondo profilo, vengono richiamati gli indici fattuali che la giurisprudenza aveva assunto (nell’elaborazione relativa all’art. 1 della L. 1369/1960) come metro della “genuinità” dell’appalto, ossia quelli contenuti nell’art. 2094 cc, e segnatamente l’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare sui propri collaboratori.

Gli elementi appena descritti si pongono in successione alternativa laddove all’organizzazione di mezzi possa sostituirsi il mero esercizio del potere direttivo collegato all’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore. Risulta, viceversa, del tutto svalutato quell’elemento che nel sistema previgente fondava la presunzione d’illiceità dell’appalto, ossia la proprietà dei mezzi [20].

Parte della dottrina ha ravvisato, nella disposizione esaminata, il rischio di una frattura interpretativa e del riaprirsi di tutte le annose questioni sorte nel passato in relazione alla differenza che corre tra l’appalto e l’interposizione illecita di manodopera [21].

Per scongiurare tale eventualità il Legislatore ha concesso alle parti la facoltà di accedere ad una procedura certificativa analoga a quella pensata per il lavoro a progetto.

L’art. 84 del DLgs 276/2003, infatti, recita: “Le procedure di certificazione di cui al capo primo possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto di cui all'articolo 1655 del codice civile sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo III del presente decreto legislativo.

Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell'appaltatore. Tali codici e indici presuntivi recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.

Nella pratica, quindi, è probabile che si certificheranno ex ante rapporti che in fase esecutiva assumeranno connotati affatto diversi[22].

E’ del tutto intuibile, inoltre, che la giurisprudenza che si formerà sul punto e cui i Giudici di merito faranno riferimento per risolvere le controversie in questione non potrà, per espressa volontà legislativa, che prendere spunto dai principi elaborati in passato in sede di interpretazione della L. 1369/1960 [23]. Da ciò consegue che se difettano in capo all’appaltatore di servizi i requisiti previsti dall’art. 29 in esame dovranno applicarsi le sanzioni - assai simili a quelle contemplate dall’art. 1 della L. 1369/1960 - previste dagli artt. art. 27 e 28 sopra richiamati [24] per il contratto di somministrazione irregolare e per quello di somministrazione fraudolenta.

Nel secondo comma viene, viceversa, trasfusa letteralmente la previsione dell’art. 4 della L. 1369/1960. Su questo, nulla da eccepire. Tuttavia, disciplinando oggi la norma in esame solo una fattispecie determinata si deduce a contrario che la responsabilità solidale del committente sia oggi limitata solo ai casi di appalto di servizi e, come precisato precedentemente, ai casi di somministrazione lecita stante la disposizione dell’art. 23, comma 3 del DLgs 276/2003.

Per l’appalto d’opera permane, viceversa, il regime di solidarietà di diritto comune di cui all’art. 1676 cc. Il che si giustificherebbe - ad avviso di chi scrive con argomenti poco condivisibili – per il fatto che l’appalto d’opera si risolve nel raggiungimento di un risultato [25].

Il medesimo regime di solidarietà opera, per il successivo art. 32, comma 2 - che introduce il quinto comma dell’art. 2112 cc, e sul quale non ci soffermeremo ulteriormente perché non inerente al tema trattato -, “…nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore…”.

Inoltre, mentre l’art. 4 della L. 1369/1960 prevedeva il principio di parità di trattamento, retributivo e contributivo, tra dipendenti del committente e dipendenti dell’appaltatore, oggi il committente è tenuto in solido esclusivamente a corrispondere “…i trattamenti (minimi) dovuti”.

Infine, recependo l’orientamento giurisprudenziale formatosi sull’applicabilità dell’art. 2112 cc in caso di subentro di altro imprenditore nell’appalto in essere [26], il Legislatore ha statuito al terzo comma che in queste ipotesi non si realizza un trasferimento d’azienda o di ramo di azienda.

Come affermato da parte della dottrina [27], ciò non vuol dire che in questi casi non si abbia mai un trasferimento d’azienda, ma che c’è solo se si verifica anche l’acquisizione di una qualche, apprezzabile, entità economica, essendo per converso irrilevante, secondo un oramai pacifico orientamento della Corte di Giustizia europea, che questa acquisizione avvenga per il tramite di un diretto rapporto negoziale.

3.3. Il distacco.

Conclusivamente, alcune brevi riflessioni sull’istituto del distacco che è stato introdotto in via generale nel ns. ordinamento con l’art. 30 del DLgs 276/2003. La norma dispone: “L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa.

In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.

Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

Resta ferma la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236”.

In primo luogo, si può notare come il Legislatore abbia raccolto l’approdo della giurisprudenza ancorando l’istituto ai due pilastri dell’interesse del distaccante e della temporaneità del distacco.

Quanto al primo requisito, il Ministero del lavoro ha chiarito con circolare n. 3 del 15.01.2004 [28] che il DLgs 276/2003 ne fornisce una nozione piuttosto ampia che in sostanza deve coincidere con un interesse produttivo del distaccante, purché non sia identificabile con l’interesse alla mera somministrazione di lavoro e permanga per tutta la durata del distacco.

Inoltre, si precisa che mentre l’interesse del somministratore è quello di realizzare un fine di lucro nella somministrazione, l’interesse del distaccante è quello, ad esempio, al buon andamento di una società partecipata e/o controllata.

Quanto al secondo elemento, la nota ministeriale lo identifica con la non definitività, indipendentemente dalla durata del distacco.

Sotto un secondo profilo è, poi, interessante notare che se il distacco comporta un mutamento di mansioni, è necessario acquisire il consenso del lavoratore. E laddove tale mutamento dovesse consistere in un peggioramento delle condizioni di lavoro del dipendente non v’è chi non veda che ciò comporterebbe una palese violazione del disposto dell’art. 2103 cc, con buona pace dell’inderogabilità dei diritti in esso contenuti [29]. D’altra parte, potrebbe anche sostenersi che il lavoratore può maturare un interesse concreto al trasferimento e quindi potrebbe accettare di rendere il proprio consenso ad un mutamento in peius delle mansioni.

In tal senso il Ministero chiarisce che il consenso del lavoratore vale a ”…ratificare l’equivalenza delle mansioni laddove il mutamento di esse, pur non comportando un demansionamento, implichi una riduzione e/o specializzazione delle attività effettivamente svolte, inerente al patrimonio professionale del lavoratore stesso”.

Sempre all’art. 2103 cc si richiama, infine, la norma in esame quando richiede la presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive per i distacchi comportanti trasferimenti a più di 50 km di distanza dal luogo di lavoro.

 
Note:

[1] Cass. n. 5494 del 1987 in GC, 1987, I, 2492.

[2] Ranusei P. in DPL, 2003, 33, 2120.

[3] Cass. n. 5800 del 1985 in MGC, 1986, 207.

[4] Cass. n. 8706 del 1991 in MGC, 1992, 33; Cass. n.7213 del 1992 in MGC, 1992, 494.

[5] In dottrina Carinci MT. in RIDL, 1997, II, 717; Cass. n. 1911 del 1993 in Riv. Crit. Dir. Lav., 1993, 611.

[6] Cass. n. 4862 del 1996 in LG, 1996, 952.

[7] Cass. SS. UU. n. 2517 del 1997 in RIDL, 1997, II, 705.

[8] Cass. n. 12641 del 1998 in GC, 1999, I, 3083.

[9] Cass. n. 2708 del 1985 in RFI, 1985.

[10] MARESCA A. Il lavoro temporaneo in SANTORO PASSARELLI G. a cura di, 2000, IPSOA, 182.

[11] Cass. n. 614 del 1987 in DPL, 1987, 1725; Cass. n. 9517 del 1992 in NGL, 1993, 42.

[12] TIRABOSCHI M. in Guida normativa il Sole24ore, 2004, 30, 7 ss.

[13] In Guida Normativa-il Sole24ore, 2004, 28, 9 ss.

[14] Cass. SS.UU. n. 10183 del 1990 in FI, 1992, I, 523; in dottrina AA.VV. Lavoro: ritorno al passato, Roma, 2002.

[15] Ranusei P. cit., 2003, 33, 2201.

[16] Ranusei P., cit., 2003, 33, 2203.

[17] La misura minima dell’indennità di disponibilità è stata fissata con DM 10. 03. 2004 in G.U. 22.03.2004, n. 68.

[18] Massi E., Riforma del Lavoro, 2003, IPSOA, 66.

[19] In www.ipsoa.it/riformalavoro/Documenti.

[20] Vedi ante p.to 2.

[21] Ranusei P., cit., 2003, 33, 2212.

[22] DI POTITO N., in DPL, 2003, 37, 2487.

[23] TOSI P. cit. 2004, 3, 236.

[24] Vedi ante p.to n. 3.1.

[25] TOSI P. Appalto, distacco, lavoro a progetto in LG, 2004, 3, 235.

[26] Cass. n. 3974 del 1995 in RGL, II, 1995, 700.

[27] TOSI P. cit. 2004, 3, 235.

[28] In www.ipsoa.it/riformalavoro/Documenti.

[29] TOSI P. cit. 2004, 3, 237.

Autore: Dott. Gianluca Sibani - tratto dal sito: www.filodiritto.com