Cassazione civile Sez. I° 10 settembre 2002 n. 13158

Pres. Saggio – Rel. Marziale - P.M. Uccella (diff.)
Fornaci Magnetti Spa c/ Comune di Bergamo

Svolgimento del processo

1. Con atto notificato il 10 maggio 1985, il comune di Bergamo conveniva in giudizio davanti al tribunale di quella città la spa "Impresa Ama", esponendo:

- che il 30 luglio 1974 aveva affidato in appalto, alla società convenuta, i lavori di costruzione della nuova sede del Liceo artistico statale, i quali erano stati ultimati il 30 agosto 1977;

- che nel secondo semestre del 1984 si erano manifestati fenomeni di "sfondamento", prontamente denunziati alla società appaltatrice, la quale aveva però declinato ogni responsabilità;

- che, per tale ragione, aveva provveduto ad eliminare direttamente i difetti rilevati, affrontando la spesa di lire 45.455.780;

tanto premesso, il comune chiedeva la condanna della convenuta al pagamento di tale somma, con rivalutazione e interessi, a titolo di responsabilità ex art. 1669 c.c.

1.1. La società appaltatrice, eccepiva, in via preliminare, l’inammissibilità della domanda (sul rilievo che non ricorrevano, nella specie, i presupposti per l’applicazione del citato art. 1669 c.c.) e, comunque, la prescrizione e la decadenza del diritto fatto valere nei suoi confronti. Assumeva, inoltre, che la pretesa azionata dell’attore era totalmente infondata, in quanto il vizio rilevato era riconducibile unicamente al materiale laterizio fornito dalla spa Fornaci Magnetti (che in corso di causa assumerà la denominazione "Magnetti spa"); materiale che, al momento dell’acquisto e della posa in opera, era apparso immune da vizi o difetti e la cui idoneità era stata comunque verificata dall’ingegner Mario Peretti e dall’architetto Pietro Milanesi, preposti dal committente alla direzione dei lavori.

1.2. Chiamati in giudizio su richiesta della convenuta, il Milanesi, il Peretti e la società Magnetti declinavano ogni responsabilità.

La società eccepiva, in particolare, la decadenza e la prescrizione del diritto fatto valere nei suoi confronti della convenuta, facendo presente che il suo ruolo era stato solo quello di fornitore di (una parte) dei materiali utilizzati nella costruzione dell’edificio e che, pertanto, una sua eventuale responsabilità poteva essere fatta valere solo alle condizioni e con le modalità stabilite dagli articoli 1495-1497 Cc in tema di compravendita. Chiedeva comunque di essere autorizzata, a sua volta, a chiamare in giudizio la s.p.a. Milano Assicurazioni, con la qual aveva stipulato una polizza di assicurazione della responsabilità civile.

Costituitasi in giudizio, quest’ultima società chiedeva che la domanda avanzata nei confronti della Magnetti fosse respinta e faceva comunque presente che, in base alle condizioni di polizza, l’indennizzo era decurtato di una franchigia del 10%.

1.3. Nel corso del giudizio veniva disposta consulenza tecnica, all’esito della quale era accertato in lire 162.000.000 l’ammontare degli ulteriori danni subiti dal comune che, all’udienza di precisazione delle conclusioni del 20 dicembre 1990, integrava le proprie richieste con la richiesta di condanna della società convenuta al risarcimento dei danni, in solido con gli altri chiamati in causa.

2. Il tribunale di Bergamo, con sentenza del 9 febbraio 1993:

- condannava la s.p.a. Ama e spa Magnetti, in solido tra loro, al pagamento delle somme di lire 46.455.780 e lire 162.000.000, con rivalutazione e interessi, dichiarando peraltro la società Magnetti tenuta a rivalere l’altra società, ove previamente escussa dal comune;

- dichiarava la compagnia Milano Assicurazioni tenuta a rivalere la spa Magnetti delle somme eventualmente sborsate fino all’importo massimo in polizza, al netto della franchigia del 10%;

- rigettava le domande proposte contro l’ingegner Peretti e l’architetto Milanesi, condannando la spa Ama alla rifusione delle spese da essi sostenute;

- poneva le spese di ctu a carico della spa Ama e la condannava altresì alla rifusione delle spese in favore del comune.

3. La spa Magnetti proponeva appello, censurando la sentenza impugnata, in particolare, per non aver considerato:

- che l’estensione della domanda nei suoi confronti, operata dal comune, nell’udienza di precisazione delle conclusioni della precedente fase di giudizio, era stata tardiva e, per tale motivo, da ritenersi inammissibile;

- che l’articolo 1669 Cc era inapplicabile nei suoi confronti;

- che, comunque, il diritto fatto valere era da ritenersi, quanto meno nei suoi riguardi, estinto per decadenza o prescrizione anche entro i più ampi termini stabiliti dal citato articolo 1669;

- che le conclusioni cui era giunto il c.t.u., specie in ordine alla determinazione delle percentuali di responsabilità, non erano condivisibili.

La Milano Assicurazioni proponeva a sua volta appello, chiedendo la riforma del capo della sentenza che aveva riconosciuto il diritto della s.p.a. Ama a ripetere dalla Fornaci Magnetti, e da essa medesima, le spese di causa poste a suo carico. Gli altri appellati chiedevano la reiezione dell’appello principale.

4. La corte territoriale, con la sentenza impugnata:

- rigettava l’appello principale;

- accoglieva parzialmente quello proposto in via incidentale dalla Milano Assicurazioni spa, dichiarando detta società non tenuta a rimborsare le spese di causa sostenute dalla spa Magnetti nella precedente fase di giudizio;

- condannava la spa Magnetti e la spa Milano Assicurazioni a rifondere alle altre parti costituite, in solido tra loro, le spese di quel grado di giudizio.

5. La spa Magnetti chiede la cassazione di tale sentenza con otto motivi di ricorso. Il comune di Bergamo, il Peretti e il Milanesi si oppongono all’accoglimento del gravame. L’impresa Ama spa, nel frattempo dichiarata fallita, e la Milano Assicurazioni spa, alle quali il ricorso è stato notificato, rispettivamente il 30 e il 27 ottobre 1999, non resistono.

Motivi della decisione

6. Nella sentenza impugnata si afferma, in particolare:

a) che, non avendo la società Magnetti sollevato alcuna eccezione a fronte della domanda di condanna avanzata per la prima volta nei suoi confronti dal comune nell’udienza di precisazione delle conclusioni, doveva ritenersi che il contraddittorio fosse stato da lei (implicitamente) accettato e che, quindi, la domanda era stata legittimamente presa in esame dal tribunale;

b) che l’art. 1669 c.c. prevede una responsabilità di natura extracontrattuale, come tale applicabile non solo all’appaltatore, ma anche ad ogni altro soggetto, come il fornitore dei materiali utilizzati nella costruzione dell’opera, cui siano imputabili la rovina o il grave difetto dell’edificio o dell’immobile;

c) che il d.p.r. 224/88, sulla responsabilità del produttore per i danni cagionati da prodotti difettosi, non contiene alcuna disposizione che sia di ostacolo all’accoglimento di tali conclusioni;

d) che la domanda avanzata dal comune era da ritenersi tempestiva, dovendo la sussistenza di tale requisito, in relazione a quanto stabilito dall’art. 1669, comma 2, c.c., essere valutata in relazione alla possibilità, per il danneggiato, di percepire il fatto nella sua reale consistenza e gravità e dovendosi tener conto, altresì, dei principi che governano l’efficacia degli atti interrottivi della prescrizione nelle obbligazioni solidali;

e) che le critiche dell’elaborato peritale non si sostanziavano in argomentazioni "idonee ad evidenziare la presenza di errori tecnico-scientifici, e/o carenze, e/o vizi logici del processo dimostrativo".

7. Degli otto motivi nei quali si articolata il ricorso della società Magnetti assume priorità, sul piano logico il quinto, con il quale la ricorrente assume che la corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione degli artt. 183-184 c.p.c. per aver affermato che, non avendo essa ricorrente "svolto alcuna eccezione a fronte della domanda di condanna proposta [per la prima volta] dal comune in sede di precisazione delle conclusioni, doveva ritenersi che il contraddittorio, in ordine a tale richiesta fosse stato accettato, e che conseguentemente il tribunale non potesse rilevarne l’eventuale tardività e la conseguente inammissibilità.

7.1. La censura è fondata.

Chiamate a comporre le divergenze interpretative manifestatesi in ordine alla rilevabilità della novità della domanda nel corso del primo grado del giudizio ordinario di cognizione di primo grado con riferimento alla disciplina in vigore prima della "novella" del 1990, le sezioni unite civili di questa corte, pur ribadendo che il divieto di introdurre una domanda nuova in tale fase di giudizio "è posto a tutela della parte che della domanda è destinataria", hanno puntualizzato:

- che la violazione del divieto di introdurre domande nuove, desumibile agli artt. 183 e 184 c.p.c., può essere rilevata d’ufficio dal giudice, sempre che la parte, che potrebbe avere interesse a impedire l’ingresso di tale domanda, non abbia dichiarato di accettare il contraddittorio, ovvero non abbai tenuto un comportamento "implicante accettazione";

- che, peraltro, il mero prolungarsi nel tempo del difetto di reazione alla domanda nuova non implica, di per sé, accettazione del contraddittorio neppure quando la parte sia costituita in giudizio, non essendo "il mero silenzio, anche se prolungato decisivo";

- che, pertanto, quando la domanda nuova sia formulata nell’udienza di precisazione delle conclusioni, la mancata reazione della controparte non può condurre a ritenere che il contraddittorio sia stato accettato, neppure quando essa abbia continuato a tacere anche in comparsa conclusionale, "valendo ancora una volta il principio del significato neutro del silenzio" (sentenza 4712/96).

Si è così inteso assegnare al comportamento "non oppositorio" della parte che potrebbe avere interesse ad impedire l’ingresso della domanda un contenuto "attivo", affermando che la rilevabilità ex officio della novità della domanda deve essere esclusa solo in caso di accettazione del contraddittorio espressa, ovvero risultante dalla proposizione di specifici mezzi di difesa volti a contestare nel merito la fondatezza della domanda introdotta tardivamente in giudizio, negando ogni valenza al silenzio e, in genere, al comportamento inattivo di tale soggetto (Cassazione 3159/01).

A tali principi, pienamente condivisibili e successivamente ribaditi da questa stessa corte in numerose occasioni (tra le tante, oltre alla sentenza da ultimo citata: Cass. 3813/97; 11508/98; 2805/00; 6238/00), la sentenza impugnata non si è attenuta, avendo ritenuto che la domanda formulata per la prima volta dal comune in sede di precisazione delle conclusioni potesse essere presa in considerazione per il solo fatto che, in ordine alla sua proponibilità, non era stata formulata alcuna eccezione dalla parte (la società Magnetti) contro la quale era diretta.

Il motivo deve essere quindi accolto. La concreta valutazione del comportamento tenuto nel caso di specie dalla società Magnetti in ordine alle nuove richieste formulate dal comune in sede di precisazione delle conclusioni non può essere effettuata in questa sede di legittimità, implicando un’operazione di apprezzamento della volontà delle parti riservata, in quanto tale, all’esclusivo apprezzamento del giudice del merito (Cass. 2113/95; 11803/98).

8. Con il primo, secondo, sesto e ottavo motivo, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione, la società ricorrente – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1490, 1497 e 1669 c.c., oltre che delle norme generali in tema di responsabilità per fatto illecito; nonché vizio di motivazione – censura la sentenza impugnata perché motivata in modo insufficiente e contraddittorio e per non aver considerato:

- che la speciale responsabilità disciplinata all’art. 1669 c.c. riguarda solo l’appaltatore e i soggetti che (come il costruttore-venditore e il direttore dei lavori) abbia partecipato direttamente alla realizzazione dell’opera e che tale responsabilità non si estende anche a colui che si sia limitato a fornire i materiali utilizzati per la costruzione senza tuttavia partecipare ai relativi lavori, essendo nella specie applicabile quella regolata dagli artt. 1495, 1497 c.c.;

- che, conseguentemente, le domande proposte sia dalla società Ama che dal comune erano improponibili, perché avanzate dopo l’inutile decorso dei termini stabiliti dai citati artt. 1495 e 1497 c.c.

Il vizio di motivazione è prospettato sotto un duplice profilo, sul rilievo:

- che le ragioni della pretesa applicabilità dell’art. 1669 c.c., in luogo delle norme in tema di compravendita, sarebbero state indicate in modo inadeguato;

- che la sua condanna, in solido con la società appaltatrice, nei confronti del comune si pone insanabile contrasto con il riconoscimento della società appaltatrice quale "unica responsabile" dell’evento dannoso.

8.1. La censura, sotto il primo profilo, è inammissibile, dal momento che il preteso vizio della motivazione è stato prospettato in relazione alla motivazione "in diritto", anziché a quella "in fatto" (Cass. 4593/00; 1430/99; 228/95). Sotto l’altro profilo la doglianza è invece ammissibile, ma palesemente infondata, essendo evidente che le due statuizioni della sentenza impugnata poste a raffronto sono, contrariamente a quel che si assume, pienamente conciliabili, dal momento che la condanna in solido della società appaltatrice della società Magnetti concerne i rapporti "esterni" verso del committente e che il riconoscimento della prima quale "unica" responsabile riguarda invece i rapporti "interni" relativi al regresso tra i coobbligati (ex art. 2055, comma 2, c.c.).

8.2. A diverse conclusioni deve invece giungersi per la dedotta violazione dell’art. 1669 c.c., ritenuto dalla sentenza impugnata applicabile anche alla società Magnetti, il cui ruolo secondo quanto accertato dal giudice del merito è stato quello di (mero) fornitore dei materiali (laterizi) utilizzati nella costruzione dell’immobile parzialmente rovinato.

Secondo l’ormai consolidato orientamento di questa corte, la responsabilità sancita dalla disposizione appena richiamata ha natura extracontrattuale (Cass. 15488/00; 3338/99; 8109/97, e già 4936/81). Il suo ambito di applicazione, conseguentemente, è più ampio di quello risultante dal tenore letterale di detta disposizione, che fa riferimento soltanto all’appaltatore, al committente e ai suoi aventi causa ed opera anche nei riguardi del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente, che abbia provveduto alla costruzione dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l’esecuzione dell’opera, sì da rendere l’appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini (Cass. 13003/00; 10719/00; 7550/94; 4900/93).

Il suo presupposto, peraltro, risiede pur sempre nella partecipazione alla costruzione dell’immobile in posizione di "autonomia decisionale", mancando la quale lo stesso appaltatore sfugge alla responsabilità sancita dal citato art. 1669 c.c. (Cass. 5455/99; 5624/84).

È pertanto evidente che, contrariamente a quel che si afferma nella sentenza impugnata, il fornitore dei materiali utilizzati nella costruzione dell’immobile non può assumere la responsabilità sancita dalla disposizione in esame, non implicando tale prestazione, che si esaurisce nella consegna dei prodotti richiesti, alcuna partecipazione, nemmeno indiretta, alla costruzione dell’immobile.

8.3. Da quanto precede, appare evidente:

- che i presupposti sulla base dei quali la sentenza impugnata ha creduto di poter affermare che la società Magnetti, fornitrice dei laterizi utilizzati per la costruzione dell’edificio, fosse tenuta, in solido con l’impresa appaltatrice (la spa Ama) a risarcire il comune dei danni subiti a causa della parziale rovina dell’edificio, sono errati;

- che non ricorrono, conseguentemente, i presupposti per inquadrare l’azione esperita dalla società Ama nei confronti della società Magnetti negli schemi previsti dagli artt. 1299 c.c. e 1203 n. 3, stesso codice, e per ritenere che tale azione sia assoggettabile agli stessi termini decadenziali e di prescrizione applicabili all’azione principale;

- che, conseguentemente, la proponibilità e la fondatezza di tale azione debbono essere verificate alla stregua delle norme in tema di compravendita, a torto ritenute inapplicabili dalla sentenza impugnata.

È poi appena il caso di osservare che ogni riferimento alla disciplina dettata dal d.p.r. 224/88, in tema di responsabilità del produttore per i prodotti difettosi, è palesemente incongruo, trattandosi di normativa priva di efficacia retroattiva (Cass. 10274/95) e, come tale, non applicabile a fatti verificatesi, come nel caso di specie, ben prima della sua entrata in vigore.

Entro tali limiti le censure formulate con il primo, secondo, sesto e ottavo motivo vanno riconosciute fondate.

9. Il terzo e il quarto motivo – con i quali la ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell’art. 1669 c.c. e vizio di motivazione, censura la sentenza nei suoi confronti dal comune di Bergamo erano da ritenersi tardive anche in relazione ai termini stabiliti dall’art. 1669 c.c. – sono evidentemente assorbite, dal momento che, per quanto si è detto, l’applicabilità di tale disposizione nel caso di specie deve essere esclusa.

10. Resta il settimo motivo, con il quale la ricorrente assume che la corte territoriale avrebbe, con motivazione del tutto inadeguata, rigettato la propria istanza di rinnovazione della propria istanza della ctu esperita in primo grado. Anche tale doglianza resta assorbita dall’accoglimento, nei sensi sopra precisati, delle censure formulate con il primo, secondo, sesto e ottavo motivo.

11. L’accoglimento del ricorso, e la conseguente cassazione della sentenza impugnata, entro i limiti sopra precisati, comporta il rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia che si atterrà ai principi di diritto enunciati nei paragrafi 7.1, 8.2, 8.3 e provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione delle Corte d’appello di Brescia.