Le azioni in materia di appalto

 

L'art. 1668 c.c. prevede la possibilità per il committente di ottenere, in caso di difformità o di vizi dell'opera, non solo la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo, così come avviene in tema di compravendita ex art. 1492 c.c., ma altresì l'esatto adempimento, tramite l'eliminazione del vizio a spese dell'appaltatore.

Il tutto, con salvezza di richiedere altresì il risarcimento dei danni, nel caso l'appaltatore versi in colpa, anche senza chiedere la risoluzione (1); e potendo altresì contare sulla presunzione iuris tantum ex art. 1218 c. c. di tale colpa, posto che essa è presunta, vertendosi in tema di inadempimento contrattuale (2).

Ciò posto, si pone il problema di capire quale sia il rapporto tra le diverse azioni.

La cumulabilità tra le domande di risarcimento danni, adempimento e riduzione del prezzo, ex art. 1668 c. c.
Punto di partenza della riflessione non può che essere il dato testuale codicistico, che consente di acclarare due elementi differenziali rispetto alla compravendita.

Il primo è che, al contrario di quanto disposto dall'art. 1492 c. c., ove tramite il comune richiamo all'art. 1490 c. c. si rende palese come i presupposti alla base delle azioni di risoluzione e di riduzione del prezzo siano i medesimi, l'art. 1668 c. c. disciplina differentemente i presupposti per l'operatività delle azioni. Invero, in caso di difformità o vizi, il primo comma della norma prevede la possibilità di ottenere la eliminazione dei vizi o la riduzione del prezzo; solo nel caso di difformità o vizi tali da rendere l'opera "del tutto inadatta alla sua destinazione", il secondo comma legittima l'azione di risoluzione. Inevitabile conseguenza logica è che la risoluzione del contratto di appalto implica un inadempimento più grave rispetto a quello fissato dalla normativa generale di cui all'art. 1455 c.c., ove per risolvere il contratto è sufficiente che l'inadempimento sia di non scarsa importanza, o dalla normativa speciale dell'art. 1492 c.c. per la compravendita, ove per risolvere il contratto basta la presenza di vizi che diminuiscano in modo apprezzabile il valore (3).

Il secondo elemento differenziale è dato dall'assenza, in tema di appalto, di un espresso divieto, quale quello imposto dall'art. 1492, comma 2, c. c. relativamente alla vendita, di irrevocabilità della domanda fatta con domanda giudiziale.

Alla luce di tale doppia peculiarità, dottrina e giurisprudenza deducono la non reciproca incompatibilità tra le domande di risoluzione, riduzione del prezzo ed adempimento, in tema di appalto, e la conseguente possibilità di proporle subordinatamente in un unico giudizio.

In particolare, da una prima angolazione ben è possibile proporre la quanti minoris in subordine alla risoluzione (4), posto che, da un lato, non essendo la quanti minoris una domanda di esatto adempimento, non opera il divieto di cui all'art. 1453, comma 2, c. c.; da altra angolazione, non esiste un'apposita norma quale l'art. 1492 c. c.; da ultimo e soprattutto, concettualmente è ben possibile che il vizio venga ritenuto non tale da integrare i parametri di cui all'art. 1668, comma 2, c. c., che legittimano la risoluzione, ma tale da integrare almeno quelli di cui all'art. 1668, comma 1, c. c., che legittimano la quanti minoris , e pertanto risulterebbe eccessivamente limitativa della tutela del committente una soluzione che imporrebbe ab origine la scelta di una sola tra le due azioni. Relativamente invece al cumulo tra domanda di risoluzione e di eliminazione vizi, è ben vero che sembrerebbe dover operare il generale divieto posto dall'art. 1453, comma 2, c. c., considerando che l'azione di eliminazione vizi rientra certamente nel genus di quella di esatto adempimento. Tuttavia, l'ultima argomentazione sopra svolta, e cioè la possibile presenza di vizi che legittimino la sola richiesta di esatto adempimento ex art. 1668, comma 2, c. c. e non anche la risoluzione ex art. 1668, comma 2, c. c., impone di preferire la tesi che consente la proposizione di una subordinata di eliminazione vizi rispetto alla principale di risoluzione (5); e di ritenere quindi che la disciplina speciale dell'appalto codificata dall'art. 1668 c.c. deroga ai principi generali posti dall'art. 1453 c. c..

Quanto invece al possibile cumulo tra quanti minoris ed eliminazione dei vizi, la risposta dovrebbe essere negativa, posto che è ben vero che non opererebbe il divieto di cui all'art. 1453 c.c. capoverso, non essendo nessuna delle due azioni finalizzata alla risoluzione del contratto; ma è altrettanto vero che i presupposti per l'accoglimento delle due domande sono, giusto il disposto dell'art. 1668 c.c., assolutamente identici, e pertanto il rigetto della principale comporterebbe inevitabilmente il rigetto della subordinata (6). D'altro canto, sempre possibile è invece il concorso cumulativo tra le domande, proponendo l'azione di esatto adempimento relativamente a taluni vizi e l'azione di riduzione del prezzo relativamente ad altri (7).

La cumulabilità tra le azioni di risoluzione e quanti minoris , nonché di risoluzione ed esatto adempimento, non risolve peraltro il distinto e diverso problema circa la possibilità di passare da una all'altra domanda in corso di causa. In tutta evidenza, infatti, altro è ammettere la possibilità di proporre sin dall'inizio ed in modo gradato diverse domande; altro è consentire la possibilità di formulare una sola di queste domande, e successivamente sostituirla con un'altra o prevederne una subordinata inizialmente non spiegata. Sul punto, non devono trarre in inganno le molteplici massime della Suprema Corte presenti nelle riviste e nelle banche dati, che sembrano ammettere la modifica tra le domande di risoluzione, riduzione del prezzo ed esatto adempimento, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, trattandosi infatti di massime dettate nel vigore del cosiddetto vecchio rito, cioè per controversie iniziate prima dell'entrata in vigore delle leggi n. 353/1990 e n. 534/1995.

Pertanto, attualmente la possibilità di mutare domanda nel corso di causa deve essere scrutinata alla luce del disposto di cui all'art. 183, comma 5, c.p.c., che consente, nell'appendice scritta successiva alla prima udienza di trattazione, di precisare o modificare le domande, cioè di emendare le stesse, ma non anche di proporre domande nuove.

In base a tale presupposto, ed in attesa di un consolidamento giurisprudenziale sul punto, è quindi quantomeno opinabile la possibilità di muovere in corso di causa da una domanda all'altra. In prima approssimazione, e senza pretesa di completezza, si può forse argomentare che, ferma restando la medesimezza della causa petendi , pare ammissibile la proposizione di una domanda di riduzione del prezzo rispetto a quella iniziale di risoluzione, sul presupposto che essa integrerebbe una mera riduzione del petitum (8); ugualmente ammissibile il passaggio da una domanda di eliminazione vizi ad una di risoluzione, sul presupposto che il mutamento non potrebbe importare alcun pregiudizio alla difesa di controparte, dovendosi anzi dare prova di un vizio più grave; inammissibile il passaggio da una domanda di riduzione del prezzo ad una di eliminazione vizi, sul presupposto della sostanziale diversità del petitum e per gli stessi motivi oltre che in ragione del disposto dell'art. 1453 c.c., inammissibile il passaggio dalla domanda di risoluzione a quella di adempimento; sempre in ragione del sostanziale mutamento di petitum , problematico è infine immaginare il passaggio dalla domanda di adempimento a quella di riduzione del prezzo o di risoluzione.

Il contenuto dell'azione di eliminazione vizi.
Pur se in tema di appalto non viene richiamata la norma di cui all'art. 1497 c.c. dettata per la vendita, ha chiarito la giurisprudenza che la garanzia a cui è tenuto l'appaltatore non è relativa ai soli vizi ed alle difformità dell'opera, ma si estende anche alla mancanza di qualità promesse, essenziali o pattuite, non essendo ipotizzabile una diversità di disciplina tra le predette ipotesi (9). Quanto all'ambito di operatività della garanzia, la Suprema Corte ha poi statuito che, anche in presenza dei più gravi presupposti codificati dall'art. 1668, comma 2, c. c. che legittimerebbero la proposizione dell'azione di risoluzione, ben può il committente limitarsi a richiedere la riduzione del prezzo, l'esatto adempimento od il risarcimento del danno (10). In tal caso, l'ordinamento non prevede un limite all'obbligazione dell'appaltatore, relativamente alla consistenza ed al costo dei lavori di riparazione od alla misura massima della diminuzione del corrispettivo. L'appaltatore stesso, quindi, potrebbe essere chiamato a rispondere pur nel caso in cui la riduzione del prezzo fosse particolarmente gravosa rispetto all'opera svolta, ovvero l'eliminazione dei vizi particolarmente onerosa, al limite anche tramite l'integrale rifacimento dell'opera già eseguita (11).

L'unico, ovvio limite, è allora quello per il quale non è possibile richiedere la risoluzione del contratto, ma solo la riduzione del prezzo o l'esatto adempimento, laddove i vizi siano di entità tale da integrare i parametri di cui all'artr. 1668, comma 1, c.c., ma non anche quelli di cui all'art. 1668, comma 2, c.c. (12).

Per quanto concerne più specificamente i presupposti per l'esercizio dell'azione di esatto adempimento, la locuzione usata dal legislatore relativamente al fatto che "il committente può chiedere che le difformità o i vizi siano eliminati a spese dell'appaltatore", ha dato luogo ad un contrasto giurisprudenziale.

La tesi più favorevole al committente ritiene infatti che egli possa non solo richiedere all'appaltatore l'esecuzione delle opere necessarie all'eliminazione dei vizi, ma possa anche, in alternativa, richiedere la condanna dello stesso al pagamento della somma necessaria per provvedere a tale eliminazione, ferma restando, in tale caso, la possibilità per l'appaltatore di eliminare personalmente i vizi prima della sentenza di condanna (13). Tale ricostruzione, che ha oggettivamente il pregio di essere più aderente al dato letterale, di tener conto che ben è ammissibile in via generale il risarcimento per equivalente pecuniario, e di considerare che appare irragionevole mantenere in vita un rapporto contrattuale quale l'appalto laddove sia oramai venuto meno il rapporto fiduciario tra le parti, è tuttavia oggi minoritaria. Prevale così come nettamente maggioritaria la ricostruzione meno favorevole al committente, che ritiene invece come lo stesso possa solo chiedere la condanna dell'appaltatore ad eliminare il vizio, e solo in caso di inadempimento possa poi ottenere l'eliminazione del difetto a spese dell'appaltatore tramite il procedimento di esecuzione coattiva degli obblighi di fare ex artt. 2931 c.c. e 612 c.p.c. (14).

Il contenuto dell'azione di risarcimento danni.
Non vi è concordia, in giurisprudenza, circa il contenuto dell'azione risarcitoria nell'ambito del contratto di appalto.

Da un lato, infatti, non è in discussione la risarcibilità, tramite l'azione in parola, dei danni diversi ed ulteriori rispetto a quelli integrati dalla mera esistenza dei vizi dell'opera, danni però da tali vizi indirettamente cagionati.

Dall'altro lato, invece, è controversa l'ulteriore ascrivibilità, all'azione risarcitoria, dello stesso ristoro dei danni direttamente integrati dalla presenza dei vizi. Per la più condivisibile tesi, infatti, la domanda di risarcimento dei danni è integrativa e destinata a far fronte a vizi non altrimenti emendabili con le altre azioni (15), quali ad esempio quelli da ritardo o da mancato guadagno, ovvero quelli fisici od a cose, e non può quindi costituire un surrogato dell'azione di esatto adempimento o della quanti minoris (16).

Per un altro orientamento, invece, che sovrappone le due diverse azioni risarcitoria e di esecuzione in forma specifica, il committente può richiedere il risarcimento del danno costituito dalle spese necessarie per eliminare i vizi dell'opera (17).

I rapporti tra la normativa generale in tema di inadempimento e la normativa speciale in tema di appalto.
Come nel caso della vendita, anche nell'appalto l'intero architrave di tutela disegnato dal legislatore è subordinato al rispetto del termine decadenziale per la denuncia dei vizi e di quello prescrizionale per l'esercizio dell'azione, termini rispettivamente previsti dall'art. 1667 c. c. in sessanta giorni ed in due anni, decorrenti dalla conoscenza dei vizi e dalla consegna dell'opera; con la previsione, peraltro, che la garanzia nemmeno è dovuta, laddove l'opera sia stata accettata, per difformità e vizi conosciuti o conoscibili, ed in quest'ultimo caso non in malafede taciuti dall'appaltatore.

Il vantaggio per il committente di poter contare su termini di decadenza e di prescrizione sensibilmente più ampi rispetto a quelli di otto giorni e di un anno previsti dall'art. 1495 c.c. in tema di vendita, è peraltro bilanciato dalla mancata previsione, in tema di appalto, della figura giurisprudenziale dell' aliud pro alio (18). Pertanto, i vizi e le difformità di tale gravità da snaturare l'essenza dell'opera appaltata, non soggiacciono alla disciplina generale posta dall'art. 1453 c.c., non soggetta a decadenza e soggetta alla sola ordinaria prescrizione decennale, ma possono al più essere inquadrati nell'alveo dell'art. 1669 c.c., che prevede una garanzia decennale, esercitabile se il vizio è denunciato in un anno dalla scoperta e l'azione è promossa entro un anno dalla denuncia.

Ciò posto, la giurisprudenza ha interpretato in senso certamente favorevole al committente il disposto dell'art. 1667 c. c.

Così, da un primo punto di vista, è stato evidenziato che non è necessaria una denuncia specifica ed analitica delle difformità e dei vizi, tale da consentire l'individuazione di ogni anomalia della cosa, essendo invece sufficiente ad impedire la decadenza una sia pure sintetica indicazione delle difformità, suscettibile peraltro di conservare l'azione di garanzia anche con riferimento a quei difetti accertabili nella loro reale sussistenza in un secondo momento (19); e che il termine per operare la denuncia stessa decorre solo allorché si abbia un'adeguata conoscenza del difetto e delle sue cause, conoscenza che può conseguire anche all'esito del deposito di una C.T.U. (20).

In ogni caso, però, l'onere di dimostrare la tempestiva denuncia incombe sul committente, trattandosi di una condizione dell'azione (21).

Da altra angolazione, poi, si è chiarito che l'art. 1667 c. c. disciplina la garanzia per vizi solo ed esclusivamente nel caso di effettiva realizzazione, ultimazione e consegna di un'opera difettosa, ma non anche nelle diverse fattispecie relative all'omessa ultimazione dei lavori od al ritardo nella consegna.

In tali casi di omessa ultimazione o ritardata consegna, pertanto, si applicano i principi generali in materia di inadempimento, codificati dagli artt. 1453 ss. c. c., che integrano quindi la disciplina speciale dell'appalto dettata in tema di esecuzione viziata del lavoro. Alla stregua di tali principi generali, l'azione di risoluzione, di esatto adempimento, di riduzione del prezzo o di risarcimento dei danni patiti a seguito della mancata o ritardata consegna dell'opera appaltata, non presuppongono alcuna denuncia a pena di decadenza, né l'esercizio dell'azione nel rispetto di termini prescrizionali diversi da quelli generali di cui all'art. 2946 c.c. (22).

L'impegno dell'appaltatore di provvedere all'eliminazione dei vizi dell'opera implica poi il riconoscimento unilaterale dell'esistenza dei vizi stessi e dà vita ad un'obbligazione nuova rispetto a quella ordinaria, svincolata dai termini di decadenza e di prescrizione di cui all'art. 1667 c. c. e soggetta invece all'originaria prescrizione decennale (23). E tale impegno, in aderenza ai principi generali, può anche essere assunto tramite comportamenti concludenti (24).

Inoltre, il riconoscimento dei vizi o l'accettazione dell'opera, che ex art. 1667, comma 1, c. c. escludono in radice la necessità per il compratore di porre in essere la denunzia, possono avvenire non solo in modo esplicito, ma anche tacitamente per facta concludentia (25).

In tutta evidenza, poi, anche alla materia dell'appalto è applicabile la normativa generale in tema di interruzione della prescrizione ex art. 2943 c.c., di talché il decorso prescrizionale è interrotto non solo dalla proposizione della domanda giurisdizionale, ma anche da qualsiasi atto stragiudiziale che valga a costituire in mora l'appaltatore (26); ed è altresì interrotto dalla notifica del ricorso per accertamento tecnico preventivo fino al deposito della relazione scritta da parte del consulente (27).

L'ampia nozione giurisprudenziale circa il contenuto dell'art. 1669 c. c.
Già si è più sopra evidenziato come la giurisprudenza abbia ritenuto di non applicare all'appalto la figura dell' aliud pro alio , che esaurisce quindi i suoi effetti nell'ambito della compravendita. Non è improbabile, peraltro, che tale scelta sia in parte dovuta al fatto che la normativa speciale in tema di appalto già conosce all'art. 1669 c.c. una specifica disciplina per i vizi di particolare gravità, in qualche modo assimilabili ai vizi che, per la loro consistenza, snaturano il prodotto e sostanzialmente comportano la dazione di un aliud rispetto a quanto pattuito.

In particolare, la norma in commento prevede che, in tema di edifici od altri immobili destinati per loro natura a lunga durata, se nei dieci anni dal compimento, l'opera "per vizio del suolo o per difetto di costruzione rovina in tutto od in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti", l'appaltatore è responsabile verso il committente ed aventi causa, purché sia fatta denuncia entro un anno dalla scoperta e ferma la prescrizione del diritto in un anno dalla denuncia. Il rimedio consentito, in tale caso, è unicamente quello del risarcimento del danno.

È di tutta evidenza, pertanto, che le modalità per fare valere il diritto, pur se non paragonabili a quelle poste dalla disciplina generale sull'inadempimento, che si limita a sancire una prescrizione decennale dell'azione, sono sensibilmente più vantaggiose per il committente rispetto a quelle previste dall'art. 1668 c.c. per far valere le difformità di cui all'art. 1667 c. c., atteso che la denuncia è richiesta in un anno e non in sessanta giorni, e che l'azione può essere esperita in un anno dalla denuncia e non in un anno dalla consegna.

Ciò posto, la giurisprudenza, fors'anche al fine di estendere ulteriormente la tutela del committente in relazione alla mancata disponibilità dell'azione di aliud pro alio , ha dato una lettura particolarmente ampia della norma, valorizzando il dato letterale della presenza di "gravi difetti" in luogo di quello del "pericolo di crollo" (28).

Così, si è chiarito che nella nozione di gravi difetti rientrano non solo quelli che possono pregiudicare la sicurezza o la stabilità dell'edificio, ma anche quelli da cui deriva un apprezzabile danno alla funzione economica od una sensibile menomazione del normale godimento dell'edificio o del suo valore di scambio, rivestendo il carattere della gravità tutte quelle alterazioni che incidono sulla sostanza dell'opera e su tutti quegli elementi che devono essere presenti affinché l'opera stessa possa fornire la normale utilità in relazione alla sua funzione economica e pratica (29).

Consegue che può integrare la fattispecie prevista dall'art. 1669 c.c. anche un difetto dell'impianto centrale di riscaldamento (30), della canna fumaria (31), della rete fognaria (32), ovvero un difetto del tetto che importi infiltrazioni di acqua piovana negli appartamenti (33), un difetto di costruzione che comporti il distacco di elementi decorativi della facciata dell'edificio (34) od un distacco delle piastrelle (35).

La disciplina e la natura extracontrattuale della responsabilità ex art. 1669 c.c.
Detto dell'ampia interpretazione fornita dalla Suprema Corte in ordine all'applicazione della norma, è interessante segnalare i più rilevanti profili di disciplina della fattispecie, che confermano una posizione giurisprudenziale volta alla massima tutela possibile della posizione del committente.

Innanzitutto, al pari di quanto già evidenziato in tema di vizi dell'appalto rientranti nell'alveo dell'art. 1667 c. c., non è richiesta alcuna forma speciale per la denuncia (36).

Il termine per la denuncia stessa decorre poi solo dal giorno in cui il committente consegue un'apprezzabile grado di conoscenza dell'oggettiva gravità degli stessi e della loro derivazione causale dall'imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficiente far riferimento a manifestazioni ancora di scarsa rilevanza o addirittura a semplici sospetti (37), e tale conoscenza ben potrebbe conseguire anche solo all'esito di una consulenza tecnica (38). In tutta evidenza, spetta al Giudice valutare se la conoscenza dei difetti e la loro consistenza non fosse già di grado tale da consentire la denuncia senza la necessità di attendere la consulenza tecnica, nonché di stabilire se le precedenti comunicazioni all'appaltatore integrino o meno vere e proprie denunce atte a far decorrere il termine prescrizionale (39).

La prescrizione decennale dell'azione decorre dalla data di ultimazione dei lavori, non già dal collaudo dell'opera (40) o dalla sua vendita (41). Tuttavia, qualora l'opera sia stata ricostruita dal costruttore nell'assolvimento dell'obbligo di garanzia, il termine decennale inizia a decorrere ex novo dall'ultimazione degli interventi ricostruttivi, per effetto del nuovo rapporto di garanzia sorto con la ricostruzione, parziale o totale, dell'edificio (42).

Non è invece applicabile all'art. 1669 c.c. la norma eccezionale sancita dall'ultimo comma dell'art. 1667 c. c., secondo la quale il committente convenuto per il pagamento può sempre far valere la garanzia purché abbia denunciato i vizi nei termini, valendo invece il principio generale dell'art. 2934 c.c., per il quale la prescrizione estingue il diritto ed il diritto prescritto è paralizzato dalla semplice eccezione sollevata da controparte (43). Consegue che, se convenuto in giudizio per il pagamento, il committente non può far valere la garanzia ex art. 1669 c.c. una volta passato un anno dalla denuncia del vizio.

Da altra angolazione, la presunzione iuris tantum di responsabilità del costruttore posta dall'art. 1669 c.c., può essere vinta non già con la prova dell'essere stata da lui usata tutta la diligenza possibile nella scelta dei materiali e nell'esecuzione dell'opera, bensì solo mediante la specifica dimostrazione della mancanza di una sua responsabilità, conclamata da fatti positivi, specifici e concordanti (44).

Contrariamente a quanto visto a proposito dell'art. 1667 c. c., con l'azione ex art. 1669 c. c. il committente può chiedere la condanna dell'appaltatore alternativamente al pagamento della somma di denaro corrispondente al costo delle opere necessarie per l'eliminazione dei difetti, ovvero all'esecuzione diretta di tali opere. Infatti, il richiamo alla responsabilità risarcitoria senza la precisazione delle forme tramite le quali essa deve avvenire, impone di ritenere richiamato il principio generale di cui all'art. 2058 c.c., per il quale il risarcimento può essere disposto in forma specifica, o, per essere venuto meno il rapporto fiduciario, per equivalente pecuniario (45). Fermo restando il disposto dell'artr. 2058, comma 2, c.c., che esclude il solo risarcimento in forma specifica ove troppo gravoso, l'appaltatore è tenuto alla garanzia indipendentemente dall'entità della somma di denaro occorrente per l'eliminazione dei vizi (46). Quanto all'eventualità per la quale l'appaltatore riconosca l'esistenza dei vizi, è vero che l'art. 1669 c.c. non richiama il disposto dell'art. 1667 c. c., che prevede in tal caso la superfluità della denuncia da parte del committente; tuttavia, si è ritenuto tale prescrizione come espressione di un principio generale, come tale applicabile anche all'ipotesi di cui all'art. 1669 c.c. (47).

Infine, deve essere rimarcato come la Suprema Corte abbia chiarito che la responsabilità di cui all'art. 1669 c.c. sia di natura extracontrattuale, in ragione del fatto che la norma ha natura di ordine pubblico ed è posta a tutela dell'interesse di carattere generale ed inderogabile relativo alla conservazione e funzionalità degli edifici, nonché l'incolumità personale dei cittadini (48), con la conseguenza che la responsabilità stessa non può essere rinunciata o limitata con pattuizioni contrattuali (49), rivestendo l'articolo in parola natura di norma speciale e derogatoria rispetto a quella generale codificata dall'art. 2043 c.c. (50).

Tale inquadramento dogmatico comporta che l'obbligazione risarcitoria non opera solo a carico dell'appaltatore nei confronti del committente, e cioè tra le parti contrattuali, come nel caso dei vizi di cui all'art. 1667 c. c.; ma ben può essere invocata da qualsiasi danneggiato terzo rispetto al contratto di appalto (quale l'acquirente, il detentore, il passante od il proprietario di un immobile contiguo) nei confronti del costruttore-venditore (51).

L'inquadramento nella responsabilità extracontrattuale comporta altresì che l'artr. 1669 c.c. debba poi ritenersi applicabile anche ai rapporti tra costruttore-venditore ed acquirente, con la conseguenza che il costruttore-venditore non può ritenersi sollevato dalla responsabilità verso l'acquirente, invocando l'assenza di un rapporto di appalto tra le parti, qualora l'opera sia stata eseguita, in tutto od in parte ma su suo incarico, da un terzo, potendo il costruttore-venditore agire soltanto in via di regresso nei confronti di quest'ultimo, ove lo ritenga responsabile, nei propri confronti, della rovina di edificio o del difetto di costruzione (52).

E tale inquadramento comporta infine che il committente è tenuto a rispondere dei danni cagionati a terzi, ex art. 2049 c.c. ed in ragione della violazione delle regole di cautela, nel caso si sia avvalso di appaltatore palesemente inidoneo, il quale non abbia osservato le regole tecniche e della comune esperienza (53). Per la tesi maggioritaria, poi, l'esistenza di un rapporto di specialità tra l'art. 1669 c.c. e l'art. 2043 c.c., non esclude l'applicabilità della regola generale codificata dall'art. 2043 c.c., laddove non sia più applicabile l'art. 1669 c.c., per esempio nel caso di accertata decadenza, e ricorrano invece le condizioni per applicare l'art. 2043 c.c. (54).

 

Note:

(1) Cfr . Cass., Sez. II., sentenza 18 aprile 2002, n. 5632.

(2) Per la giurisprudenza, cfr . Cass., Sez. II, sentenza 26 ottobre 2000, n. 14124, Cass., Sez. II, sentenza 4 agosto 1988, n. 4839, Cass., Sez. II, sentenza 30 luglio 1982, n. 4367, Cass., Sez. II, sentenza 27 maggio 1982, n. 3223, Cass., Sez. II, sentenza 14 luglio 1981, n. 4606, Cass., Sez. II, sentenza 8 gennaio 1981, n. 163, Cass., Sez. II, sentenza 18 gennaio 1980, n. 432. In dottrina, cfr . COSENTINO, La responsabilità civile dell'appaltatore, del progettista e del direttore dei lavori , in Il contratto internazionale di appalto , 1992, pagg. 170 ss.; GIANNATASIO, L'appalto , in Trattato di diritto civile , diretto da CICU/MESSINEO, 1971, pag. 194; RUBINO, L'appalto , in Trattato di Diritto Civile , diretto da VASSALLI, 1993, pag. 521; id ., in RUBINO/IUDICA, voce Appalto , in Commentario del codice civile , a cura di SCIALOJA/BRANCA, artt. 1665-1667, 1992; STOLFI, Appalto-trasporto, in Trattato di diritto civile , diretto da GROSSO/SANTORO PASSARELLI, 1966, pag. 62; ULISSE, Profili peculiari della tutela del committente in presenza di vizi o difformità dell'opera appaltata , in Giust. Civ. , 1984, II, pagg. 333 ss.

(3) Per tutte, Cass., sentenza n. 9613/1990.

(4) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 22 febbraio 1999, n. 1475, Cass., Sez. II, sentenza 27 aprile 1993, n. 4921.

(5) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 9 febbraio 1995, n. 1457, che nel suo testo integrale chiaramente esprime il principio sopra richiamato, pur se in alcune banche dati risulta massimata in modo impreciso, ed addirittura contrario al senso espresso dal provvedimento; nonché Cass., Sez. II, sentenza 27 aprile 1993, n. 4921.

(6) Arg. ex Cass., Sez. II, sentenza 11 aprile 1996, n. 3398, Cass., Sez. II, sentenza 10 aprile 1996, n. 3299, Cass., Sez. II, sentenza 24 ottobre 1995, n. 11036, Cass., Sez. II, sentenza 1° febbraio 1995, n. 1153, rese peraltro in tema di compravendita, relativamente al rapporto tra l'actio quanti minoris e la domanda di risoluzione.

(7) Cfr . Cass., sentenza n. 9239/2000. In dottrina, LAPERTOSA, La garanzia per vizi nella vendita e nell'appalto , in Giust. Civ. , 1998, II, pagg. 45 ss.

(8) In senso contrario, però, sembra Cass., sentenza n. 9239/2000, che ammette tale possibilità, ma chiarisce che si tratta di controversia soggetta al vecchio rito, così implicitamente avvalorando la tesi che solo per tale fattispecie la soluzione sia possibile.

(9) Cfr . Cass., sentenza n. 15247/2000, Cass., sentenza n. 1334/1996, Cass., sentenza n. 9001/1992.

(10) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 18 aprile 2002, n. 5632, Cass., Sez. II, sentenza 12 aprile 1996, n. 3454.

(11) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 15 maggio 2002, n. 7061; Cass., Sez. II, sentenza 12 aprile 1996, n. 3454; Cass., Sez. I, sentenza 4 ottobre 1994, n. 8043; Cass., Sez. II, sentenza 27 agosto 1993, n. 9064.

(12) Cass., Sez. II, sentenza 4 novembre 1994, n. 9078.

(13) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 10 gennaio 1996, n. 169; Cass., Sez. II, sentenza 27 febbraio 1991, n. 2110; Cass., Sez. II, sentenza 22 giugno 1989, n. 2974.

(14) Per la giurisprudenza, cfr . Cass., Sez. II, 2 agosto 2001, n. 10571; Cass., Sez. II, sentenza 1° marzo 1995, n. 2346; Cass., Sez. II, sentenza 4 novembre 1994, n. 9078; Cass., Sez. II, 24 settembre 1994, n. 7851; Cass., Sez. II, sentenza 25 luglio 1992, n. 9001; Cass., Sez. II, sentenza 5 agosto 1989, n. 3600; Cass., Sez. II, sentenza 4 agosto 1988, n. 4839. In dottrina, GIANNATASIO, op. cit ., pag. 211; MIRABELLI, Dei singoli contratti , in Comm. del cod. civ ., libro IV, tomo 3, 1991, pag. 445; MUSOLINO, La responsabilità dell'appaltatore , in Riv. Trim. appalti , 1993, pag. 98; RUBINO, op. cit ., pag. 509; id ., in RUBINO/IUDICA, op. cit. , pag. 377; VOLTAGGIO/LUCCHESI, L'eliminazione dei vizi e delle difformità dell'opera appaltata , 1956, pag. 836.

(15) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 4 agosto 1988, n. 4839.

(16) Cfr . Cass., Sez. II, 2 agosto 2001, n. 10571; Cass., Sez. II, sentenza 24 settembre 1994, n. 7851; Cass., Sez. II, sentenza 25 luglio 1992, n. 9001.

(17) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 2 agosto 2002, n. 11602; Cass., Sez. II, sentenza 10 gennaio 1996, n. 169; Cass., Sez. I, sentenza 4 ottobre 1994, n. 8043; Cass., Sez. II, sentenza 22 giugno 1989, n. 2974.

(18) Pacifica sul punto è la giurisprudenza. In dottrina, favorevole a tale conclusione è RUBINO, op. cit ., 484; id ., in RUBINO/IUDICA, op. cit ., pag. 361. Contra , GABRIELLI, a consegna di cosa diversa, 1987, pag. 86; LIPARI, La garanzia per i vizi e le difformità dell'opera appaltata: risoluzione del contratto, mancanza di qualità promesse ed aliud pro alio , in Giust. Civ ., 1986, I, pag. 2942, MUSOLINO, op. cit .

(19) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 23 gennaio 1999, n. 644.

(20) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 29 maggio 1998, n. 5311.

(21) Cfr. Cass., Sez. II, sentenza 17 maggio 2001, n. 6774; Cass., Sez. II, sentenza 23 ottobre 1997, n. 10412; Cass., Sez. II, sentenza 10 giugno 1994, n. 5677.

(22) Ex pluribus, cfr . Cass., Sez. II, sentenza 4 maggio 1999, n. 4415; Cass., Sez. II, sentenza 16 ottobre 1998, n. 10255; Cass., Sez. II, sentenza 27 marzo 1998, n. 3239; Cass., Sez. II, sentenza 9 agosto 1996, n. 7364.

(23) Ex pluribus, cfr . Cass., Sez. II, sentenza 30 gennaio 2001, n. 1320; Cass., Sez. II, sentenza 10 maggio 2000, n. 5984; Cass., Sez. II, sentenza 22 ottobre 1997, n. 10364; Cass., Sez. II, sentenza 3 settembre 1997, n. 8439; Cass., Sez. II, sentenza 16 ottobre 1995, n. 10772; Cass., Sez. II, sentenza 7 luglio 1995, n. 7495.

(24) Cfr . Cass., sentenza n. 7216/1995.

(25) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 12 maggio 2003, n. 7260; Cass., Sez. II, sentenza 30 gennaio 2001, n. 1320; Cass., Sez. I, sentenza 20 giugno 2000, n. 8384; Cass., Sez. II, sentenza 22 maggio 1998, n. 5121; Cass., Sez. II, sentenza 22 ottobre 1996, n. 10364.

(26) Per tutte, cfr . Cass., sentenza n. 2955/2000.

(27) Cfr . Cass., Sez. I, sentenza 20 settembre 2000, n. 12437; Cass., Sez. I, sentenza 24 agosto 2000, n. 11087; Cass., Sez. I, sentenza 16 marzo 2000, n. 3045; Cass., Sez. II, sentenza 29 marzo 1994, n. 3082.

(28) CALVO, I singoli contratti , 2004, pag. 95; DE TILLA, Riflessioni sulla responsabilità dell'appaltatore per i gravi difetti dell'edificio , in Riv. Giur. Ed ., 1997, I, pagg. 43 ss.

(29) Ex pluribus, cfr. Cass., Sez. II, sentenza 7 settembre 2004, n. 17982; Cass., Sez. II, sentenza 16 luglio 2001, n. 9636; Cass., Sez. II, sentenza 22 febbraio 1999, n. 1468; Cass., Sez. II, sentenza 19 gennaio 1999, n. 456; Cass., Sez. II, sentenza 25 marzo 1998, n. 3146; Cass., Sez. II, sentenza 20 marzo 1993, n. 2977/1998; Cass., Sez. II, sentenza 11 febbraio 1998, n. 1393; Cass., Sez. II, sentenza 6 febbraio 1998, n. 1203.

(30) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 21 maggio 1994, n. 5002; Cass., Sez. II, sentenza 26 giugno 1992, n. 7924.

(31) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 27 agosto 1986, n. 5252; Cass., Sez. II, sentenza 7 maggio 1984, n. 2763; Cass., Sez.II, sentenza 18 giugno 1981, n. 3971.

(32) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 28 marzo 1997, n. 2775; Cass., Sez. I, sentenza 20 dicembre 1995, n. 13016; Cass., Sez. II, sentenza 21 aprile 1990, n. 3339.

(33) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 8 gennaio 2000, n. 117; Cass., Sez. III, sentenza 12 maggio 1999, n. 4692; Cass., Sez. II, sentenza 2 marzo 1998, n. 2260; Cass., Sez. II, sentenza 10 aprile 1996, n. 3301.

(34) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 28 novembre 1992, n. 12792.

(35) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 7 settembre 2004, n. 17982.

(36) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 6 dicembre 1984, n. 6404.

(37) Da ultimo, cfr . Cass., Sez. II, sentenza 29 marzo 2002, n. 4622; Cass., Sez. III, sentenza 6 luglio 2001, n. 9199; Cass., Sez. II, sentenza 10 aprile 2001, n. 5319; Cass., Sez. II, sentenza 12 maggio 2000, n. 6092; Cass., Sez. II, sentenza 7 gennaio 2000, n. 81; Cass., Sez. II, sentenza 17 luglio 1999, n. 7612; Cass., Sez. II, sentenza 15 aprile 1999, n. 3756; Cass., Sez. II, sentenza 9 marzo 1999, n. 1993; Cass., Sez. II, sentenza 17 dicembre 1999, n. 1052.

(38) Da ultimo, cfr . Cass., Sez. II, sentenza 1° agosto 2003, n. 11740; Cass., Sez. II, sentenza 29 marzo 2002, n. 4622; Cass., Sez. III, sentenza 6 luglio 2001, n. 9199; Cass., Sez. II, sentenza 9 marzo 1999, n. 1993; Cass., Sez. II, sentenza 17 dicembre 1999, n. 14218.

(39) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 14 novembre 2002, n. 16008 e Cass., Sez. II, sentenza 2 settembre 1992, n. 10106.

(40) Cfr . Cass., Sez. I, sentenza 22 luglio 1995, n. 8050.

(41) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 15 maggio 1996, n. 4510.

(42) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 4 gennaio 1993, n. 13.

(43) Cfr . Cass., Sez. I, sentenza 15 luglio 1996, n. 6393.

(44) Ex pluribus, cfr. Cass., Sez. I, sentenza 6 dicembre 2000, n. 15488; Cass., Sez. II, sentenza 15 aprile 1999, n. 3756; Cass., Sez. II, sentenza 9 marzo 1999, n. 1993; Cass., Sez. II, sentenza 28 novembre 1998, n. 12106.

(45) Cass., Sez. II, sentenza 22 dicembre 1999, n. 14449.

(46) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 6 febbraio 1998, n. 1203; Cass., Sez. II, sentenza 18 febbraio 1991, n. 1686; Cass., Sez. II, sentenza 27 aprile 1989, n. 1948; Cass., Sez. II, sentenza 22 gennaio 1985, n. 241.

(47) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 5 settembre 2000, n. 11672; Cass., Sez. II, sentenza 23 maggio 2000, n. 6682; Cass., Sez. II, sentenza 28 ottobre 1995, n. 11272; Cass., Sez. II, sentenza 6 dicembre 1984, n. 6404; Cass., Sez. II, sentenza 18 agosto 1981, n. 4936.

(48) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 7 gennaio 2000, n. 81; Cass., Sez. II, sentenza 28 novembre 1998, n. 12106; Cass., Sez. I, sentenza 15 luglio 1996, n. 6393; Cass., Sez. III, sentenza 9 gennaio 1990, n. 8.

(49) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 7 gennaio 2000, n. 81.

(50) Per la pacifica giurisprudenza, vedi da ultimo Cass., Sez. II, sentenza 30 maggio 2003, n. 8811; Cass., Sez. I, sentenza 10 settembre 2002, n. 13158; Cass., Sez. II, sentenza 29 marzo 2002, n. 4622; Cass., Sez. II, sentenza 28 novembre 2001, n. 15124; Cass., Sez. I, sentenza 6 dicembre 2000, n. 15488; Cass., Sez. II, sentenza 2 ottobre 2000, n. 13003; Cass., Sez. IV, sentenza 28 dicembre 2000, n. 6997; Cass., Sez. II, sentenza 5 febbraio 2000, n. 1290; Cass., Sez. II, sentenza 7 gennaio 2000, n. 81. Contra la maggioritaria dottrina, favorevole ad una ricostruzione nei termini di responsabilità contrattuale: ABELLO, Appalto , in Trattato di dir. civ ., diretto da Fiore e Brugi, 1992, pag. 670; CIANFLONE, Appalto di opere pubbliche , 1996, pag. 826; COSTANZA, voce Perimento e deterioramento dell'opera , in Enc. Dir ., XXXIII, 1983, pag. 64; GIANNATASIO, op. cit ., pag. 226; MARINELLI, La responsabilità dell'appaltatore ex art. 1669: un'ipotesi di responsabilità oggettiva , in Giust. Civ ., 1983, I, pag. 948; MUSOLINO, op. cit ., pag. 119; RUBINO, op. cit ., pag. 580; id ., in RUBINO/IUDICA, op. cit. , pag. 424.

(51) Da ultimo, cfr . Cass., Sez. II, sentenza 29 marzo 2002, n. 4622; Cass., Sez. II, sentenza 10 ottobre 2001, n. 12406; Cass., Sez. II, sentenza 2 ottobre 2000, n. 13003; Cass., Sez. III, sentenza 11 agosto 2000, n. 10719; Cass., Sez. II, sentenza 7 gennaio 2000, n. 81; Cass., Sez. III, sentenza 4 giugno 1999, n. 5455.

(52) Cfr . Cass., Sez. II, sentenza 5 ottobre 1998, n. 9853; Cass., Sez. II, sentenza 25 marzo 1998, n. 3146; Cass., Sez. n° II, sentenza 27 agosto 1997, n. 8109; Cass., Sez. II, sentenza 27 agosto 1994, n. 7550; Cass., Sez. II, sentenza 21 maggio 1994, n. 5002.

(53) Cfr . Cass., Sez. Lav., sentenza 23 marzo 1999, n. 2745; Cass., Sez. III, 29 ottobre 1997, n. 10652.

(54) Cass., sentenza n. 3338/1993.

Autore: Gianluigi Morlini - tratto da: "Il Merito" - n. 6 - 01/06/2005