Cassazione Civile, Sez. I°, 04/11/1992 n. 11968

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE I CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:
Dott. Alessandro FALCONE Presidente
" Antonino RUGGIERO Consigliere
" Giuseppe BORRE' "
" Giovanni OLLA Rel. "
" Giancarlo BIBOLINI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto
da
ASSESSORATO INDUSTRIA DELLA REGIONE SICILIANA, in persona dell'Assessore pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, 12, c/o l'Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis.
Ricorrente
contro
SOCIETÀ ZOLPI FLORISTELLA S.p.A., in liquidazione, in persona dei liquidatori Ing. Giuseppe Lo Meo e Dott. Orazio Pennisi di Floristella, elettivamente domiciliati in Roma, V.le Angelico, 92, c/o l'avv.to Emanuele Fornario che la rappresenta e difende con gli avv.ti Giovanni Maniscalco Basile, Luigi Maniscalco Basile e Maria Giovanna Vittorelli, giusta procura speciale per notaio dott. Antonio D'Amico di Zafferana Etnea, dell'11.2.1991, Rep. n. 37285.
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 624/90 della Corte di Appello di Palermo del 10.10.90;
udito per il ricorrente l'avv.to Polizzi che ha concluso per l'accoglimento del ricorso;
udito per il resistente l'avv.to Luigi Maniscalco Basile che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17.3.92 dal Consigliere Relatore Dott. Olla;
udito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. A. Buonaiuto che conclude per il rigetto del primo motivo - accoglimento del secondo.

Svolgimento del processo

Un lodo arbitrale depositato il 14 dicembre 1976 e reso esecutivo dal pretore di Palermo il 15 dicembre 1976, condannò l'Assessorato all'industria ed al commercio della Regione Sicilia a pagare, in favore della S.p.a. Floristella Zolfi:
- le somme di L. 4.353.655.588 quale debito capitale, e di L. 1.376.238.846 a titolo di interessi sul detto debito capitale dal 29 gennaio 1970 sino al 14 dicembre 1976, data di pronuncia del lodo;
- gli interessi, al tasso legale, sul debito capitale di L. 4.353.655.588 dal 15 dicembre 1976, sino all'effettivo pagamento.
Con citazione notificata il 17 febbraio 1977 la società Floristella Zolfi convenne davanti al Tribunale di Palermo l'Assessorato regionale siciliano all'industria e commercio perché fosse condannato a pagare:
a) gli interessi legali sulla somma di L. 1.376.238.846 (che il lodo aveva riconosciuto dovuta per interessi sul capitale sino al 14 dicembre 1976) a far data dal 15 dicembre 1976;
b) il maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ. sul debito capitale di L. 4.353.655.558, sempre a far data dal 15 dicembre 1976 e sino all'effettivo pagamento.
Il convenuto contestò la domanda.
La causa fu assegnata a decisione il 22 gennaio 1982.
Il 17 febbraio 1982, nelle more del deposito della sentenza, l'Assessorato debitore versò alla creditrice la somma complessiva di L. 6.546.204.823 ai seguenti titoli: L. 4.353.655.558 per debito capitale; L. 1.376.238.846 per interessi maturati sino al 14 dicembre 1976; e L. 816.310.419 per gli interessi maturati successivamente.
Con la sentenza in parte definitiva e in parte non definitiva depositata il 17 marzo 1982, il Tribunale di Palermo condannò l'Assessorato regionale a pagare alla società Floristella Zolfi:
I) gli interessi legali, a decorrere dal 17 febbraio 1977 (data della domanda giudiziale) sugli interessi dovuti, per oltre sei mesi, sulla sorte capitale di L. 4.353.655.558;
II) inoltre, in forma generica, il maggior danno non coperto dagli interessi legali, conseguente alla mora nell'adempimento del debito capitale e da liquidarsi nel prosieguo del giudizio.
Peraltro, lo stesso Tribunale di Palermo, con la sentenza definitiva depositata il 12 settembre 1984, escluse che, in concreto, per effetto della mora nel pagamento del debito capitale la società Floristella Zolfi avesse subito un danno non ristorato dagli interessi al tasso legale, ragion per cui respinse la relativa domanda. Il giudice di primo grado giustificò la conclusione con i rilievi che la società creditrice era stata posta in liquidazione prima ancora della pronuncia del lodo, di modo che non avrebbe potuto destinare la somma, ove ricevuta, ad alcuna attività imprenditoriale; e che l'eventuale deposito fruttifero della stessa somma presso un istituto di credito sarebbe durato soltanto il poco tempo necessario per la sua distribuzione ai soci sicché non avrebbe determinato un pregiudizio rilevante.
La società Floristella Zolfi propose appello alla Corte d'Appello di Palermo avverso la sola sentenza definitiva.
La Corte territoriale, decidendo con sentenza depositata il 10 ottobre 1990 ha riformato la sentenza di primo grado ed ha "condannato l'Assessorato per l'industria ed il Commercio della Regione siciliana, al pagamento in favore della ... società Floristella Zolfi, in liquidazione, della somma di L. 5.752.429.539 con la rivalutazione, secondo gli indici Istat, dal 1° luglio 1988 e con gli interessi legali composti (con capitalizzazione semestrale) sulla somma rivalutata dal 1° marzo 1982 all'effettivo soddisfacimento".
L'Assessorato all'Industria ed al Commercio della Regione Sicilia ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi di annullamento.
La S.p.a. Floristella Zolfi in liquidazione ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Inoltre, nell'udienza di discussione ha depositato osservazioni scritte sulle conclusioni del Pubblico ministero.

Motivi della decisione

1.- Il tema del giudizio proposto davanti alla Corte d'Appello di Palermo aveva ad oggetto la questione se, in concreto, la mora dell'Assessorato regionale siciliano all'industria ed al commercio nell'estinguere il debito di L. 4.353.655.558, protrattasi dal 15 dicembre 1976 al 17 febbraio 1982, abbia cagionato alla creditrice un maggior danno da risarcirsi a norma dell'art. 1224 cod. civ.; inoltre, la liquidazione di quel danno.
Il giudice d'Appello ha dato risposta positiva alla prima questione.
A suo avviso, la preclusione allo svolgimento di qualsiasi attività produttiva da parte della società creditrice perché in liquidazione, non era determinante ai fini dell'inconfigurabilità del pregiudizio.
Infatti, stante il rilevante importo della somma dovuta, era doveroso ammettere che se la società creditrice ne avesse avuto la disponibilità sin dalla scadenza del debito, l'avrebbe depositata presso un istituto bancario fino al momento nel quale l'avrebbe potuta distribuire ai soci, ricavandone un utile certamente superiore al tasso degli interessi; tanto era dimostrato, tra l'altro, anche dalla circostanza che la somma versata dalla debitrice il 17 febbraio 1982 era stata oggetto di deposito bancario all'interesse del 18,25%.
Perciò, di certo, la differenza del tasso bancario rispetto a quello legale, ha costituito per la Floristella un maggior danno risarcibile.
In ordine poi, alla determinazione della misura di tal danno, la motivazione della sentenza impugnata è particolarmente carente in quanto non consente di individuare, quanto meno con certezza, i singoli momenti del procedimento logico e giuridico che ha portato alla statuizione sul punto.
Nelle linee generali sembra emergere che l'indagine della Corte territoriale s'è articolata in modo diverso in funzione del periodo precedente o successivo al 17 febbraio 1982, data questa in cui il pagamento del debito capitale (e degli interessi al tasso legale) ha determinato la cessazione della mora e del danno, ed è residuato il solo (eventuale) debito dell'Assessorato per il maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ. maturato sino a quella data.
In relazione al primo periodo, richiamato che, come s'è detto, era risultato che sulla somma depositata dopo il versamento della Regione Sicilia gli istituti bancari avevano riconosciuto alla Floristella un tasso attivo del 18,25%, ha individuato il maggior danno nella differenza di tasso rispetto a quello legale per tutto il periodo che va dalla data di scadenza del debito (15 dicembre 1976) a quella del versamento della sorte capitale (17 marzo 1982).
In relazione al secondo periodo, ha posto come debito capitale scaduto il 17 febbraio 1982, il debito ex art. 1224, comma 2, cod. civ. accertato a seguito dell'indagine sul periodo precedente.
Quindi, ha affermato che la somma così identificata essendo "dovuta a titolo di risarcimento danni costituisce, in quanto tale, debito di valore" e, perciò, l'ha rivalutata sulla base degli indici Istat sino alla data della decisione. In concreto, a tal fine, dopo aver precisato che una consulenza tecnica d'ufficio aveva accertato che alla data del 30 giugno 1988 il credito rivalutato ammontava a L. 5.752.429.539, ha affermato che questa somma doveva essere ulteriormente rivalutata sino alla data della pronuncia.
Infine, ha riconosciuto il diritto agli interessi legali composti (con capitalizzazione semestrale) sulla somma rivalutata a decorrere dal 1° marzo 1982.
2.1.- Il primo motivo d'annullamento investe il punto della sentenza d'Appello che ha riconosciuto la sussistenza d'un danno ulteriore rispetto alla misura degli interessi legali.
Il ricorrente sostiene che la statuizione è, innanzitutto, contraria al regime sulla materia in quanto è fondata sul principio che ai fini del riconoscimento della sussistenza di quel pregiudizio è sufficiente la mera possibilità astratta del suo verificarsi, laddove occorre la certezza, quanto meno sulla base dell'"id quod plerumque accidit" da valutarsi con riferimento alle specificità del caso, che, stante la sua particolare qualificazione, il creditore avrebbe potuto ricavare dalla somma dovutagli, ove consegnatagli, un lucro maggiore degli interessi al tasso legale.
Ora, soggiunge, sulla base di quel regime, lo stato di liquidazione della Floristella comportava, per un verso, che quella società non poteva svolgere alcuna attività produttiva; e per altro verso, che le somme riscosse dovevano essere destinate, con assoluta immediatezza, al pagamento dei creditori sociali ed alla distribuzione del residuo ai soci. Tanto, del resto, era stato riconosciuto dalla stessa sentenza d'Appello allorché aveva affermato che "il deposito avrebbe potuto certamente essere fatto nel gennaio 1977 e mantenuto fino al passaggio in giudicato del lodo arbitrale e fino alla concreta distribuzione del ricavato ai soci del patrimonio sociale".
Perciò, secondo il ricorrente, la Corte palermitana, illogicamente e contraddittoriamente ha riconosciuto la sussistenza del danno pur in costanza dello stato di liquidazione della Floristella Zolfi.
Da qui la denuncia di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia con violazione dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., nonché di violazione ed errata applicazione della disposizione di cui all'art. 1224, comma 2, cod. civ., in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
2.2.- Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, ai fini dell'accertamento della sussistenza del maggior danno la Corte territoriale ha proceduto ad un'indagine condotta con esclusivo riferimento alla concreta situazione della creditrice, tenendo conto della sua qualificazione, del suo stato di liquidazione (il che l'ha portata ad escludere che avesse subito un danno da mancato investimento della somma in attività produttive), e delle altre specificità del caso concreto.
Nel contempo, lo stato di liquidazione d'una società, di per se solo, non può valere ad escludere la configurabilità d'un danno non coperto dagli interessi legali, corrispondente al maggior aggio che la società avrebbe conseguito ove avesse depositato la somma di denaro dovutale presso un istituto di credito.
Né in contrario può valere l'obiezione del ricorrente secondo la quale tal danno è inconfigurabile in quanto il deposito fruttifero sarebbe durato soltanto il poco tempo necessario per la liquidazione dell'attivo, stante il compito istituzionale dei liquidatori di ripartire immediatamente le somme tra i soci.
Come è manifesto, così ragionando l'inconfigurabilità viene desunta non già dall'impossibilità in astratto del deposito, o dal rilievo che la mancanza del deposito non cagiona un danno alla società, ma soltanto dalla brevità della durata del deposito stesso.
È altrettanto manifesto, però, che tal dato può influire soltanto sull'entità del maggior danno e non sulla sua inconfigurabilità in astratto: anche se di breve durata, il deposito avrebbe determinato, comunque, un lucro, sia pur minimo, superiore al tasso legale degli interessi.
In realtà, anche nelle società in liquidazione il deposito bancario potrebbe non essere necessariamente breve, sol che si considerino i tempi tecnici necessari per la distribuzione dell'attivo i soci; inoltre, la disposizione del primo comma dell'art. 2280 cod. civ. (richiamato dal primo comma dell'art. 2452 cod. civ. per le società per azioni, quale è la Floristella Zolfi) in base al quale i liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarle.
Nella specie, poi, il deposito non poteva non avere una consistente durata.
L'Assessorato all'industria della Regione Sicilia aveva impugnato per nullità il lodo 14 dicembre 1976 che lo aveva condannato a pagare il debito capitale, prima davanti alla Corte d'Appello di Palermo e poi in sede di legittimità. Quindi, stante l'enunciata disciplina legislativa ai liquidatori della Floristella non solo sarebbe stata inibita la distribuzione ai soci della somma eventualmente versata dalla Regione ma, addirittura, ne sarebbe stato imposto il deposito, dovendola tenere accantonata per l'eventuale restituzione, con gli interessi, in caso di accoglimento dell'impugnazione.
Ed è questo, appunto, che la Corte territoriale ha inteso affermare - con un rilievo che risulta del tutto corretto stante le ragioni già esposte - allorquando ha osservato che "il deposito avrebbe potuto certamente essere fatto nel gennaio 1977 e mantenuto fino al passaggio in giudicato del lodo arbitrale e fino alla concreta destinazione ai soci del patrimonio sociale".
Si deve escludere, allora, che la Corte d'Appello sia incorsa in vizio giuridico o logico allorché ha ricondotto la sussistenza del maggior danno ex art. 1224, comma 2, cod. civ. alla mancata percezione del maggior lucro rispetto agli interessi al tasso legale che la Floristella avrebbe potuto conseguire ove avesse depositato la somma dovutagli dalla Regione Sicilia, e tempestivamente corrispostale, presso un istituto di credito.
2.3.- Piuttosto, proprio il principio enunciato dal giudice d'Appello imponeva un'ulteriore indagine diretta ad accertare in concreto il momento in cui si sarebbero potuti verificare gli eventi che avrebbero dovuto far cessare il deposito e determinare l'immediata distribuzione delle somme ai soci della Floristella.
Per vero, posto che a decorrere da questo momento i liquidatori non avrebbero potuto e dovuto tenere le somme in deposito, è evidente che a decorrere dallo stesso momento non sarebbe più possibile configurare un pregiudizio della società per il mancato deposito e la mancata percezione del maggior interesse bancario.
In altri termini, se, come ha osservato la stessa resistente, "è certo ... che se l'assessore avesse pagato quanto doveva, senza cadere in mora, le somme da lui pagate sarebbero rimaste depositate in banca con il ricavo del maggior interesse ... sino a quando non fosse definito il giudizio di impugnazione del lodo", era compito del giudice del merito accertare quando questo evento si fosse verificato, e quando, tenuto conto della normale durata della procedura di liquidazione, la somma sarebbe potuta essere prelevata dal deposito e distribuita ai soci.
Peraltro, mentre non risulta che tale indagine sia stata fatta, dalla sentenza d'Appello si evince che la Corte territoriale, ha fatto coincidere quel momento con il 17 febbraio 1982 (data nella quale la Regione Sicilia ha versato la somma dovuta ad estinzione del debito capitale) senza giustificare in alcun modo questa conclusione.
Tanto, nonostante che, come s'è detto, avesse affermato che il deposito avrebbe dovuto essere "mantenuto fino al passaggio in giudicato del lodo arbitrale e fino alla concreta distribuzione ai soci del patrimonio sociale"; e nonostante che in altra parte della decisione avesse sottolineato che l'impugnazione del lodo era stata definitivamente respinta con la sentenza di questa Corte di cassazione n. 2656 del 29 gennaio 1980, ossia ben due anni prima del 17 febbraio 1982.
In definitiva, la sentenza d'Appello è effettivamente carente di motivazione nel punto relativo all'individuazione del momento di cessazione del maggior danno risarcibile a norma dell'art. 1224, comma 2, cod. civ. e, di conseguenza, nella determinazione del quantum del danno medesimo.
In questi limiti, allora, la censura è fondata e deve essere accolta.
3.- Il secondo motivo d'annullamento denuncia che la sentenza impugnata nel procedere alla rivalutazione alla data della decisione il credito da danno da mora ha violato ed applicato erroneamente l'art. 1224, comma 2, cod. civ.; ha omesso di motivare su un punto decisivo della controversia; ha motivato in modo contraddittorio ed ha formulato un dispositivo in contraddizione con la motivazione.
Innanzitutto, perché ha qualificato quel credito di valore, laddove un'obbligazione pecuniaria resta debito di valuta pur dopo l'inadempimento, si che l'applicazione ad essa di un generalizzato automatismo rivalutativo viene a moltiplicare l'oggetto dell'obbligazione in violazione del principio nominalistico.
Indi, perché il riconoscimento degli interessi al tasso bancario preclude la rivalutazione posto che altrimenti verrebbe a concretizzarsi una duplicazione del riconoscimento della medesima voce di danno.
Infine, perché vi sono state duplicazioni di rivalutazioni nel senso che sono stati rivalutati crediti già rivalutati.
La critica di fondo espressa dal motivo è fondata.
Come è stato altra volta affermato da questa Corte, ed è qui da ribadire, per distinguere i debiti di valuta dai debiti di valore, occorre avere riguardo non alla natura dell'oggetto nel quale la prestazione avrebbe dovuto concretarsi al momento dell'inadempimento o del fatto dannoso, bensì all'oggetto diretto ed originario della prestazione che, nelle obbligazioni di valore, consiste in una cosa diversa dal denaro, mentre, nelle obbligazioni di valuta è proprio una somma di danaro, a nulla rilevando l'originaria indeterminatezza della somma stessa (Cass., 18 aprile 1977, n. 1423).
Alla stregua di questo criterio si deve dire che il debito - ex art. 1224 cod. civ. - per il risarcimento del danno conseguente alla mora nell'adempimento di un'obbligazione sin dall'origine pecuniaria, ha natura di debito di valuta tanto se il risarcimento sia pari alla sola misura degli interessi al tasso legale o convenzionale, quanto che debba essere determinato anche in relazione alla maggior misura dimostrata.
Infatti, in detto debito la moneta non rappresenta il sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto, come è proprio delle obbligazioni di valore, ma costituisce l'oggetto diretto di una prestazione (da determinarsi in misura fissa, nell'ipotesi degli interessi legali o convenzionali, o attraverso specifiche indagini) che è sempre consistita, sin dall'origine, nella prestazione di una somma di danaro quale conseguenza dell'inadempimento di un'altra prestazione avente anch'essa pecuniaria.
Pertanto, detta obbligazione rimane assoggettata al principio nominalistico e non può essere rivalutata.
Resta ferma, ovviamente, l'applicabilità dell'art. 1224 cod. civ., commi 1 e 2, nei confronti di quel debito, ove reso liquido.
Ne consegue che la Corte territoriale è realmente incorsa nel vizio denunciato allorché ha affermato che un siffatto debito è di valore, ed ha rivalutato automaticamente il credito della Floristella per i danni da mora liquidato alla data del 17 febbraio 1982.
Quindi il relativo profilo della censura deve essere accolto rimanendo assorbito l'esame degli altri profili, logicamente subordinati.
4.- In sintesi, dunque, occorre:
- accogliere il ricorso per quanto di ragione;
- cassare la sentenza d'Appello nei punti in cui:
I) ha affermato che la società Floristella Zolfi ha subito il maggior danno risarcibile a norma dell'art. 1224, comma 2, cod. civ. (e consistente nella mancata percezione del maggior aggio bancario rispetto a quello legale) sino alla data del 17 febbraio 1982, senza accertare in concreto quando, tenuto conto sia della data nella quale il lodo 14 dicembre 1976 era divenuto definitivo e sia della normale durata di una procedura di liquidazione, la somma dovutale avrebbe potuto essere distribuita ai soci;
II) ha affermato che la somma di denaro dovuta a norma dell'art. 1224 cod. civ. ha natura di debito di valore; e che, pertanto, il suo importo liquidato e capitalizzato al momento dell'estinzione del debito capitale cui accede, deve essere automaticamente rivalutato sino alla data della decisione;
- rinviare per il nuovo esame ad altri giudice pariordinato che si determina in altra Sezione della stessa Corte d'Appello di Palermo.
Il giudice del rinvio provvederà anche alla disciplina delle spese del giudizio di cassazione.

P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione:
- accoglie, per quanto di ragione, il ricorso proposto dall'Assessorato all'industria ed al commercio della Regione Sicilia avverso la sentenza della Corte d'Appello di Palermo depositata il 10 ottobre 1990;
- cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte d'Appello di Palermo.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1° Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 marzo 1992.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 4 NOVEMBRE 1992.