Cass. civ., sez. III° 16 dicembre 2005 n. 27713
Azienda Speciale Farmacie Comunali Sesto c. Banca Novara
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nell'impugnata decisione lo svolgimento del processo è esposto come segue.
Con atto di citazione notificato il 27/03/1990 l'Azienda Speciale Farmacie Comunali di Sesto S. Giovanni (qui di seguito denominata ASFC), premesso di essere il soggetto legittimato a ricevere, nella qualità di preposta alla gestione, il pagamento dei medicinali somministrati dalle Farmacie Comunali della zona mediante assegni circolari non trasferibili tratti all'ordine di essa ASFC; titoli tutti che Filippo Zardoni, quale farmacista direttore (di essa azienda) avrebbe dovuto consegnare al Comune di Sesto S. Giovanni (che a sua volta avrebbe dovuto incassarli esclusivamente tramite il tesoriere della Cassa di Risparmio delle province Lombarde);
evidenziato che, per contro, nella realtà era avvenuto che il Dott. Zardoni aveva invece, in un certo arco temporale, versato tali assegni (come già detto circolari e non trasferibili) sul proprio conto personale aperto presso l'Agenzia della Banca Popolare di Novara di Sesto S. Giovanni; tutto ciò premesso (prospettando la responsabilità dell'Istituto di Credito per violazione, da parte dei dipendenti, delle norme in materia di conto corrente e di quelle relative all'incasso degli assegni circolari non trasferibili), conveniva in giudizio la Banca Popolare di Novara di Sesto S.G. per ottenere il pagamento della somma di lire 526.131.737 trasmessa dal Banco di Roma mediante assegni circolari non trasferibili tratti all'ordine dell'Azienda ed illegittimamente accreditati dagli impiegati del predetto istituto bancario contrariamente al contenuto dei titoli, sul c/c personale dello Zardoni presso l'agenzia della Banca Popolare di Novara. Costituendosi, la Banca Popolare di Novara eccepiva preliminarmente l'intervenuta prescrizione del preteso diritto della ASFC attrice; sosteneva l'assenza di responsabilità dei propri dipendenti, ed, in subordine, la responsabilità esclusiva o comunque concorrente della ASFC per non avere effettuato i doverosi controlli sulla gestione del Dott. Zardoni, che chiedeva comunque di chiamare in causa per essere manlevata dallo stesso (quest'ultimo peraltro rimaneva contumace). Con sentenza 02/07/1998, il Tribunale di Novara, ritenuto che l'ASFC aveva agito nei confronti della Banca chiedendo il risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'illecito commesso dai suoi dipendenti ai sensi degli artt. 2043 e 2049 c.c.; che pertanto ex art. 2947 c.c., il diritto al risarcimento si prescriveva in 5 anni dal giorno in cui il fatto illecito si era verificato; che il dies a quo del termine della prescrizione era da individuarsi nell'aprile del 1980 (allorquando erano cessati i versamenti di assegni circolari non trasferibili tratti all'ordine della ASFC sul conto personale dello Zardoni) e non in data 07/09/1985 (allorquando si era concluso il Rapporto svolto dalla Guardia di Finanza), per essersi il danno manifestato all'esterno in termini di immediatezza ed evidenza, a fronte di una serie ripetuta di episodi (interessanti anche un'altra banca) commessi dal 1978 al 1984 (e comportanti la complessiva distrazione di una somma superiore a 2.100.000.000), e per non essere lo stesso (danno) colposamente stato percepito dagli organi di controllo dell'ASFC che, (pur a fronte delle preoccupanti difficoltà economiche in cui versavano le farmacie), non si erano premurati di chiedere chiarimenti in ordine all'operato del direttore farmacista nonostante le continue richieste di anticipazioni di cassa, (e nonostante la reiterata apparente inadempienza degli enti mutualistici); che non vi era solidarietà passiva ex art. 2055 c.c. tra la banca Popolare e lo Zardoni, condannato in sede penale (con la conseguenza che la interruzione della prescrizione nei confronti dello Zardoni non poteva valere, ex art. 1310 c.c., anche nei confronti della Banca) non potendosi ritenere unico il fatto dannoso denunciato non essendo ipotizzato e neppure ipotizzabile che le condotte distrattive (tali da dare luogo alla fattispecie di peculato) dello Zardoni fossero in qualche modo imputabili anche ai dipendenti della banca Popolare, e quindi alla banca stessa ex art. 2049 c.c., e più in generale, non essendo considerato dalla legge come reato il fatto attribuibile ai dipendenti (dei quali il direttore coinvolto nel procedimento penale per il reato di favoreggiamento era stato prosciolto in istruttoria perchè il fatto non costituiva reato) della banca; (ritenuto altresì) che alla Banca non era applicabile il più lungo termine prescrizionale (ex art. 2947 c.c., comma 3, valevole quando il fatto è considerato dalla legge come reato); che infine, la domanda attrice non poteva estendersi automaticamente allo Zardoni (chiamato in causa in manleva, e non come responsabile del diverso fatto dallo stesso posto in essere); tutto ciò ritenuto e considerato, dichiarava la prescrizione del diritto azionato dall'azienda attrice, che condannava altresì a rimborsare alla banca convenuta le spese processuali. Appellando avverso tale decisione l'Azienda SFC di Sesto S. Giovanni proponeva quattro ordini di doglianze (...omissis...).
Resisteva la Banca Popolare di Novara.
Con sentenza 20/10 - 27/12/2000 la Corte d'Appello di Torino decideva come segue: "...definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza, eccezione e deduzione disattesa, nella causa civile tra Azienda Speciale Farmacie Comunali di Sesto S. Giovanni, con sede in Sesto S. Giovanni, in persona del legale rappresentante pro tempore e Direttore dell'Azienda stessa, Dott. Antonio Muccio, contro Banca Popolare di Novara, con sede in Novara, in persona del legale rappresentante pro tempore in parziale riforma dell'appellata sentenza, compensa tra le parti le spese processuali del primo grado, conferma nel resto, compensa le spese processuali del grado, ponendo l'intero importo dell'imposta di registrazione della presente sentenza e delle successive occorrende a carico della Azienda Speciale Farmacie".
Contro questa decisione ha proposto ricorso per Cassazione l'Azienda Speciale Farmacie Comunali di Sesto San Giovanni.
Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale la Banca Popolare di Novara.
L'Azienda Speciale Farmacie Comunali di Sesto San Giovanni, ha depositato due memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi.
Va poi respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso dell'Azienda Speciale Farmacie Comunali di Sesto San Giovanni, proposta dalla Banca popolare di Novara la quale osserva: - A) che l'impugnazione è stata proposta in data 28 gennaio 2002, e dunque oltre l'anno dal deposito della sentenza impugnata, avvenuto in data 27 dicembre 2000; - B) che l'art. 330 c.p.c., comma 3, stabilisce esattamente che "in ogni caso" dopo un anno dalla pubblicazione della sentenza l'impugnazione, ove ancora sia ammessa, deve essere notificata personalmente alla parte convenuta; - C) che nella specie la notifica è stata eseguita presso i procuratori costituiti al domicilio eletto in Torino, anzichè alla BANCA POPOLARE DI NOVARA presso la sede legale di Novara, con la conseguenza che la notifica deve ritenersi inesistente e comunque nulla.
L'eccezione è infondata. Infatti ai fini dell'applicazione della norma in questione l'espressione "dopo un anno" va interpretata computando l'anno con l'aggiunta del periodo di sospensione feriale dei termini se la causa - come nella specie - vi è soggetta (v. tra le altre: Cass. n. 18572 del 15/09/2004: "L'impugnazione proposta entro l'anno solare dalla pubblicazione della sentenza, cui deve aggiungersi il periodo di sospensione feriale dei termini se la causa vi è soggetta, costituisce impugnazione nel termine fissato dall'art. 327 cod. proc. civ. e, pertanto, deve essere notificata nei luoghi indicati dall'art. 330 cod. proc. civ., comma 1 e non personalmente alla parte, come invece previsto dal terzo comma di detta norma per il diverso caso di impugnazione oltre il suddetto termine"; cfr. anche Cass. n. 16945 del 11/11/2003). E' appena il caso di aggiungere che anche se non si seguisse tale principio di diritto si sarebbe comunque di fronte ad una mera nullità (e non ad una inesistenza; sussistendo comunque un rilevante collegamento fra il luogo e la persona che ha ricevuto l'atto ed il destinatario del medesimo) sanata per effetto della costituzione in giudizio della parte alla quale la notificazione era diretta (e quindi per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c.).
Con il primo motivo di ricorso l'Azienda Speciale Farmacie Comunali di Sesto San Giovanni denuncia "Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Omesso esame di fatti decisivi della controversia, in relazione all'att. 360 c.p.c., n. 5.
Violazione e falsa applicazione dell'art. 1292 c.c., dell'art. 2055 c.c., dell'art. 2049 c.c. e dell'art. 2947 c.c., comma 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. L'ingente perdita economica sopportata dall'Azienda è riconducibile sia al reato di peculato commesso dal Dott. Zardoni sia alla responsabilità della Banca Popolare di Novara tenuta a rispondere per l'illecito civile dei propri dipendenti ex art. 2049 c.c.: il danno subito dalla ricorrente non si sarebbe mai verificato senza l'oggettiva collaborazione degli impiegati della Banca Popolare di Novara i quali, se non hanno concorso nel suddetto reato, hanno - comunque - posto in essere un illecito di natura civilistica, (vi è stata una grave violazione - da parte degli impiegati della Banca Popolare di Novara - delle norme che presiedono all'apertura dei conti correnti, all'incasso e all'accredito degli assegni circolari non trasferibili). Il fatto dannoso, pertanto, è senza dubbio - ai sensi dell'art. 2055 c.c. - "imputabile a più persone", tutte "obbligate in solido al risarcimento del danno". La Corte d'Appello di Torino, pur ammettendo in capo alla Banca la responsabilità solidale ex art. 2055 c.c., dichiara ingiustamente prescritto il relativo diritto dell'Azienda al risarcimento del danno, nonostante alla fattispecie in esame possa - ai sensi dell'art. 2947 c.c., comma 3, - ritenersi applicabile il più lungo termine di prescrizione (15 anni) previsto per uno dei coobbligati in solido. Inspiegabilmente, secondo la Corte d'Appello, "una cosa è l'applicazione del termine prescrizionale lungo di cui all'art. 2947 c.c., comma 3 (...) e altra cosa è l'applicazione della responsabilità solidale (ex art. 2055 c.c.) nei confronti di un soggetto (la Banca) che ha tenuto una condotta solo civilmente illecita, avendo egli colposamente concorso (...) a causare il danno, con la condotta anche penalmente illecita di altra persona (lo Zardoni)". In questa affermazione sembra ravvisabile una grave contraddizione. In presenza di una responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. il termine di prescrizione deve necessariamente ritenersi unico ed individuarsi nel più lungo: nella fattispecie in esame, quindi, in quello - 15 anni - previsto per il reato di peculato (la parte ricorrente cita anche Cass. 672/1989, n. 729). In caso contrario, si introdurrebbe nel caso di specie di responsabilità solidale ex art. 2055 c.c. - un principio di tutela per chi pure ha concorso a cagionare lo stesso danno subito dalla ricorrente, con inaccettabile solidarietà part time. Nè l'art. 1292 c.c. prevede alcuna limitazione al riguardo.
Il motivo non può essere accolto.
E' opportuno chiarire anzitutto che la giurisprudenza richiamata dalla parte ricorrente ("L'art. 2947 cod. civ., quando fa coincidere il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno con il termine di prescrizione stabilito dalla legge penale, si riferisce, senza alcuna discriminazione, a tutti i possibili soggetti passivi della pretesa risarcitoria, e si applica, perciò, non solo all'azione civile esperibile contro la persona penalmente imputabile, ma anche alla azione civile contro coloro che sono tenuti al risarcimento a titolo di responsabilità indiretta"; Cass. n. 00729 del 06/02/1989) è estranea alla fattispecie, in quanto si riferisce all'ipotesi di coobbligati tenuti a titolo di responsabilità indiretta per il reato del soggetto responsabile anche penalmente;
nel caso in esame invece (come ha già giustamente rilevato la Corte di Appello di Torino) i dipendenti della banca si sono limitati a porre in essere un illecito civile e la banca risponde per detto illecito e non a titolo di responsabilità indiretta per il reato dello Zardoni.
Circa la natura della responsabilità solidale appare opportuno ricordare il seguente principio di diritto: "Per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggiami, l'art. 2055 c.c., comma 1, richiede solo che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorchè le condotte lesive siano fra loro autonome e pur se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone, anche nel caso in cui siano configurabili, rispettivamente, titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, atteso che l'unicità del fatto dannoso, considerata dalla norma suddetta, deve essere riferita unicamente al danneggiato e non va intesa come identità delle azioni giuridiche dei danneggiatiti e neppure come identità delle norme giuridiche da essi violate." (Cass. n. 02605 del 04/03/1993).
Con riferimento alla norma contenuta nell'art. 2947 c.c., comma 3, questa Corte ha già affermato i seguenti principi di diritto: - A) "La possibilità d'invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall'art. 2947 cod. civ., ultimo comma, per le azioni di risarcimento del danno, se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata alle sole ipotesi di azioni per responsabilità extracontrattuale (dovendo altrimenti trovare applicazione la disciplina generale della prescrizione o quella di volta in volta contemplata dalla legge per il singolo contratto) e presuppone che vi sia identità tra il fatto costituente reato e quello dal quale scaturisce la responsabilità dedotta in sede civile; con la conseguenza che l'indicato termine di prescrizione non è invocabile nel caso in cui l'imputazione penale si riferisca a fatti connessi, ma non identificabili con quello addotto a fondamento dell'azione risarcitoria in sede civile." (Cass. n. 02432 del 21/03/1996); - B) "In materia di prescrizione, l'art. 2947 c.c., comma 3, nella parte in cui stabilisce che se il reato è estinto per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile nel giudizio penale il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati nei primi due commi con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile, si riferisce a tutti i fatti illeciti penalmente qualificati ed ascritti all'imputato, ciascuno dei quali costituisce il fondamento di azione di risarcimento contro lo stesso, giacchè nella struttura del fatto doloso o colposo considerato dall'art. 2043 cod. civ. come generatore dell'obbligazione è da intendersi contemplata non già la sola azione od omissione del responsabile, ma anche l'evento lesivo. Ne consegue che se gli eventi o le lesioni di interessi giuridicamente protetti sono plurimi - come frequentemente accade in caso di scontro tra veicoli in cui siano coinvolte più persone - il "fatto considerato dalla legge come reato" contemplato dal capoverso della norma in questione deve essere inteso non già come comprensivo della molteplicità degli eventi derivanti anche da un'unica condotta dello stesso soggetto bensì come riferito a ciascun illecito nella sua realtà ontologica, sicchè per ciascun evento sorge un'autonoma azione di risarcimento, con un distinto termine di prescrizione, e le cause interruttive o sospensive di tale termine riferite ad un "fatto o reato" non sono estensibili a "fatto - reato" diverso." (Cass. n. 14528 del 11/10/2002).
Una volta assodato che i titoli di responsabilità degli obbligati in solido possono essere diversi (e addirittura possono concorrere titoli di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale) appare altresì palese che a tale diversità di titoli non può che corrispondere una diversità di disciplina dei medesimi; nel senso che, ferma restando la solidarietà, ciascun titolo è disciplinato dalle norme relative, anche in tema di prescrizione.
A riprova del fatto che (quantomeno in linea generale) ciascuna obbligazione solidale è disciplinata dalla normativa che la concerne e subisce le conseguenze giuridiche dei soli eventi che la riguardano, va considerato che il legislatore, allorquando nell'art. 1310 c.c. ha voluto stabilire che su una obbligazione solidale incidono certi eventi giuridici concernenti un'altra obbligazione solidale (v. in particolare il comma 1 di tale articolo secondo cui "Gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido, oppure uno dei creditori in solido interrompe la prescrizione contro il comune debitore, hanno effetto riguardo agli altri debitori o agli altri creditori (2943)....") ha dovuto stabilirlo espressamente.
Va dunque affermato il seguente principio di diritto (contrastante con la tesi in diritto della parte ricorrente): "in tema di obbligazioni solidali derivanti da atti illeciti, qualora solo il fatto di uno dei coobbligati costituisca anche reato mentre quelli degli altri costituiscono unicamente illecito civile, la possibilità d'invocare utilmente il più lungo termine di prescrizione stabilito dall'art. 2947 cod. civ., ultimo comma, per le azioni di risarcimento del danno se il fatto è previsto dalla legge come reato, è limitata alle sola obbligazione del primo dei predetti debitori (quella collegata ad un reato). Infatti l'applicabilità di tale ultimo comma presuppone che vi sia identità tra il fatto costituente reato e quello dal quale scaturisce la responsabilità dedotta in sede civile; ed il fatto che ha fatto sorgere l'obbligazione in questione del primo tra i debitori sopra considerati costituisce anche reato;
invece tale particolare termine di prescrizione non è invocabile con riferimento alle obbligazioni degli altri debitori derivanti da fatti costituenti solo illecito civile (proprio in quanto i fatti medesimi, non sono identificabili con quello rilevante anche penalmente, pur se connessi con quest'ultimo)".
Con il secondo motivo di ricorso la parte ricorrente denuncia "Violazione e falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Sulla base delle considerazioni svolte col primo mezzo di impugnazione risulta superato anche un ulteriore profilo di erroneità della sentenza impugnata che - in violazione dell'art. 345 c.p.c. - ha considerato "nuova domanda" il riferimento fatto dalla ricorrente, al fine di quantificare il danno subito, ai versamenti effettuati dal Dott. Zardoni sul conto corrente personale n. 8727 il 12/06/1980 e il 07/10/1981, per i quali soli, a giudizio della Corte, "la interruzione della prescrizione potrebbe avere rilevanza". Per la denegata e non creduta ipotesi di rigetto del primo mezzo di impugnazione è opportuno precisare che il riferimento ai due ultimi episodi distrattivi per complessive lire 20.150.000, non costituisce "domanda nuova" proposta per la prima volta in appello, bensì precisazione del petitum, ossia integrazione dell'esatto importo dovuto dalla Banca Popolare di Novara così come risultante dalla documentazione prodotta in primo grado. Sulla base di tale documentazione - ed in presenza della specificazione, nel foglio di conclusioni depositato dall'attrice, della "diversa misura..." - è pacifico che sia il Tribunale di Novara che - di conseguenza - la Corte d'Appello di Torino potevano pervenire ad accertamenti di importi in misura superiore a quelli indicati nell'atto di citazione nel giudizio di primo grado.
Il motivo non può essere accolto in quanto la motivazione esposta dalla Corte di merito è immune dai vizi denunciati. In particolare si consideri che la parte ricorrente non contesta (ritualmente e specificamente) l'affermazione del Giudice di secondo grado secondo cui, dopo che l'attrice aveva in precedenza "...unicamente fatto riferimento ad atti distrattivi compresi entro l'aprile del 1980...", era poi intervenuto un "...inserimento avvenuto solo in questa fase di appello, di ulteriori e diversi due episodi distrattivi del giugno 1980 e dell'ottobre 1981...". Non si è dunque di fronte ad una mera integrazione del petitum ma all'esposizione di nuovi fatti costitutivi (come già giustamente rilevato nell'impugnata sentenza).
Il ricorso principale va dunque respinto.
Con l'unico motivo di ricorso incidentale la banca suddetta denuncia "IN VIA INCIDENTALE OCCORRENDO: SULLA CASSAZIONE DEL CAPO DI SENTENZA RELATIVO ALLA COMPENSAZIONE DELLE SPESE DI ENTRAMBI I GRADI DEL GIUDIZIO DI MERITO (Violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte d'Appello ha ritenuto di accogliere il gravame proposto dall'AZIENDA con riferimento alla sola liquidazione delle spese di lite, e ciò perchè la complessità e la delicatezza delle questioni trattate avrebbe giustificato la compensazione delle stesse. Quanto alle spese di secondo grado, la Corte afferma che sussisterebbero giusti motivi per l'integrale compensazione delle stesse, salvo peraltro addebitare esclusivamente all'AZIENDA le spese di registrazione della sentenza e quelle successive occorrende. Tali motivazioni e statuizioni appaiono illegittime e incongrue, oltrechè contraddittorie. Non risulta infatti alcuna ragione giuridicamente rilevante per cui la decisione della Corte d'Appello di Torino dovesse in tal modo discostarsi dalla decisione del Tribunale di Novara in ordine alla liquidazione delle spese poste a carico dell'AZIENDA quale parte soccombente. Quanto alle spese del giudizio di secondo grado, la decisione sulla compensazione non solo non risulta neppure motivata, ma appare anche contraddittoria e incongrua se si considera che, in contrasto con quanto indicato in motivazione, la Corte ha posto a carico dell'AZIENDA le spese di registrazione della sentenza e tutte quelle successive. Inoltre la Corte ha deciso le stesse questioni prese in esame dal Tribunale di Novara (anzi escludendone una), confermando per di più le conclusioni alle quali era al riguardo pervenuto il giudice di primo grado.
Il motivo non può essere accolto. Inietti in materia di spese processuali, il giudice può disporre la compensazione anche senza fornire, al riguardo, alcuna motivazione, e senza che - per questo - la statuizione diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità, atteso che la valutazione dell'opportunità della compensazione, totale o parziale, delle stesse rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della ricorrenza di giusti motivi. In particolare, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa o che siano addotte ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale" (Cass. n. 08623 del 26/04/2005); e nella specie la Corte ha rispettato tale principio di diritto; ed in particolare non sono state addotte ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale.
Anche il ricorso incidentale va dunque respinto.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa le spese del giudizio di Cassazione.