Cassazione Civile, sez. IV, 22-12-2009, n. 26986
Pres. SCIARELLI Guglielmo - Est. ZAPPIA Pietro - P.M. PIVETTI Marco - C.R. c. SPATI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE
FATTO
Con ricorso al Pretore, giudice del lavoro, di Bologna, depositato in data 2.10.1997, C.R., premesso di aver prestato la propria attività lavorativa dal 9.1.1990 al 31.1.1996 in favore della società Spati (Società pubblicità affari totalizzatori) s.r.l., agenzia ippica che riceveva scommesse sulle corse dei cavalli), formalmente con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, espletando le mansioni di operatore addetto a ricevere le giocate degli scommettitori, esponeva che in realtà il rapporto di lavoro tra le parti si era svolto con i caratteri propri del rapporto di lavoro subordinato. Chiedeva pertanto che venisse accertato e dichiarato che il rapporto di lavoro in questione doveva essere qualificato come rapporto di lavoro subordinato, con inquadramento di esso ricorrente al (OMISSIS) livello del CCNL Dipendenti Agenzie Ippiche, e con condanna della società datoriale alla corresponsione delle differenze stipendiali ed alla regolarizzazione contributiva della sua posizione.
Con sentenza in data 5.11.1998 il Pretore adito rigettava la domanda ritenendo non sufficientemente provati i caratteri tipici della subordinazione in relazione al dedotto rapporto di lavoro.
Avverso tale sentenza proponeva appello il C. lamentandone la erroneità sotto diversi profili e chiedendo l'accoglimento delle domande proposte con il ricorso introduttivo.
Il Tribunale di Bologna, con sentenza in data 1.2.2006, rigettava il gravame.
Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione C. R. con un unico motivo di impugnazione.
Resiste con controricorso la società intimata.
Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
DIRITTO
Col predetto motivo di gravame il ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell'art. 2094 c.c. in relazione all'art. 2222 c.c. ed all'art. 360 c.p.c., n. 5; omessa o comunque insufficiente ovvero contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dal ricorrente; violazione dell'art. 115 c.p.c., comma 2.
In particolare rileva il ricorrente che i giudici di merito non avevano tratto le dovute conseguenze dagli elementi che risultavano dagli atti, dai documenti di causa e dalle prove acquisite.
E rileva altresì che dal complesso delle prove orali effettuate era emerso che il ricorrente aveva posto al servizio della Spati s.r.l. mere energie di lavoro in modo continuativo e sistematico, obbedendo agli ordini dell'imprenditore, ed aveva operato sotto la direzione ed il rigido controllo di questi, osservando un orario di lavoro controllato e disciplinato, essendo soggetto al potere gerarchico e disciplinare dello stesso.
Aggiunge che non era condivisibile l'affermazione che si leggeva in sentenza secondo cui esso ricorrente avrebbe avuto la facoltà di rimanere assente anche per lunghi periodi, senza che ciò comportasse conseguenze disciplinari o l'allontanamento dal lavoro, non avendo il decidente tenuto conto della documentazione versata in atti dalla quale risultava che, contrariamente a quanto affermato dalla società convenuta secondo cui nel 1993 si sarebbe verificato uno iato di almeno quattro mesi, non esisteva alcuna interruzione nell'attività del ricorrente.
Il ricorso non è fondato.
Osserva innanzi tutto il Collegio che questa Corte ha avuto modo a più riprese di rilevare che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, occorre accertare se ricorra o meno il requisito tipico della subordinazione, intesa come prestazione dell'attività lavorativa alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore, mentre gli ulteriori caratteri dell'attività lavorativa, come la continuità, la rispondenza dei suoi contenuti ai fini propri dell'impresa, le modalità di erogazione della retribuzione, non assumono rilievo determinante, essendo compatibili sia con il rapporto di lavoro subordinato che con il lavoro autonomo parasubordinato (Cass. sez. lav., 12.5.2004 n. 9060; Cass. sez. lav., 9.1.2001 n. 224).
In proposito rileva il Collegio che una certa organizzazione del lavoro attraverso disposizioni o direttive, ove non siano assolutamente pregnanti ed assidue traducendosi in una autentica attività di direzione costante e cogente atta a privare il lavoratore di qualsiasi autonomia, si inserisce in quella attività di coordinamento e di eterodirezione che caratterizza qualsiasi organizzazione aziendale, e si configura quale semplice potere di sovraordinazione e di coordinamento, non già quale potere direttivo e disciplinare. Ciò in quanto il potere gerarchico e direttivo non può esplicarsi in semplici direttive di carattere generale (compatibili con altri tipi di rapporto) ma deve manifestarsi con ordini specifici, reiterati ed intrinsecamente inerenti alla prestazione lavorativa, mentre il potere organizzativo non può esplicarsi in un semplice coordinamento (anch'esso compatibile con altri tipi di rapporto) ma deve manifestarsi in un effettivo inserimento del lavoratore nell'organizzazione aziendale (Cass. sez. lav., 7.10.2004 n. 20002).
Nel caso di specie i giudici di merito, muovendo dall'esatto presupposto che qualsiasi attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato sia di rapporto di lavoro autonomo, essendo a tal fine necessario accertare l'effettivo atteggiarsi - alla stregua delle prospettazioni fornite dalle parti - del rapporto durante l'esecuzione dello stesso, sono pervenuti alla conclusione che gli elementi evidenziati dal ricorrente non consentivano di ritenere la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Orbene, sul punto ritiene il Collegio di dover rilevare che, in relazione alla qualificazione del rapporto compiuta dal giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri astratti e generali applicati alla fattispecie concreta, mentre costituisce apprezzamento di fatto, come tale insindacabile in cassazione se sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici, la valutazione delle circostanze prospettate dalle parti al fine di far rientrare in concreto la fattispecie in esame nell'uno ovvero nell'altro degli schemi negoziali indicati (rapporto di lavoro autonomo o subordinato).
Posto ciò, rileva il Collegio che il proposto gravame involge in realtà la valutazione di specifiche questioni di fatto, valutazione non consentita in sede di giudizio di legittimità. Devesi in proposito evidenziare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento e di dare adeguata contezza dell'iter logico - argomentativo seguito per giungere ad una determinata conclusione. Ne consegue che il preteso vizio della motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della stessa, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto fra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (Cass. sez. 1, 26.1.2007 n. 1754; Cass. sez. 1, 21.8.2006 n. 18214; Cass. sez. lav., 20.4.2006 n. 9234; Cass. sez. trib., 1.7.2003 n. 10330; Cass. sez. lav., 9.3.2002 n. 3161; Cass. sez. 3, 15.4.2000 n. 4916).
In altri termini, il controllo di logicità del giudizio di fatto - consentito al giudice di legittimità - non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell'opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata: invero una revisione siffatta si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova formulazione del giudizio di fatto, riservato al giudice del merito, e risulterebbe affatto estranea alla funzione assegnata dall'ordinamento al giudice di legittimità il quale deve limitarsi a verificare se siano stati dal ricorrente denunciati specificamente - ed esistano effettivamente - vizi (quali, nel caso di specie, la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione) che, per quanto si è detto, siano deducibili in sede di legittimità; "ne consegue che risulta del tutto estranea all'ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per
Con la ulteriore previsione che la motivazione in fatto della sentenza d'appello - che confermi, come nella fattispecie, la sentenza di primo grado - può risultare - secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. lav., 13.9.2006 n. 1958; Cass. sez. lav., 12.5.2006 n. 11039) - dalla integrazione della parte motiva delle due sentenze.
Orbene nella fattispecie in esame
In particolare
Orbene, sul punto ritiene il Collegio di dover ribadire il consolidato indirizzo giurisprudenziale in base al quale "la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull'attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive" (Cass. sez. lav., 20.3.2008 n. 7600; Cass. sez. lav., 8.3.2007 n. 5286; Cass. sez. lav., 15.4.2004 n. 7201; Cass. sez. lav., 7.8.2003 n. 11933; Cass. sez. lav., 9.4.2001 n. 5231).
E pertanto, dal momento che il giudice di merito, al quale esclusivamente spetta il compito di riscontrare la sussistenza dell'elemento "subordinazione" del lavoratore, ha illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza delle ragioni del proprio convincimento esplicitando l'iter motivazionale attraverso cui lo stesso era pervenuto alla scelta ed alla valutazione delle risultanze probatorie poste a fondamento della propria decisione, resta escluso il controllo sollecitato in questa sede di legittimità. Il vizio non può invero, per come detto, consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quello dato dal giudice di merito, cui spetta in via esclusiva individuare le fonti del suo convincimento e a tal fine valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza.
In conclusione, il motivo si risolve in parte qua in un'inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d'appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non può trovare ingresso (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).
Alla stregua di quanto sopra il ricorso non può trovare accoglimento.
Ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie (caratterizzata, per come detto, da una posizione di sovraordinazione e coordinamento in capo all'imprenditore) ed alla cospicua durata del rapporto di lavoro intercorso tra le parti, per dichiarare interamente compensate tra le stesse le spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.