E' davvero impossibile il risarcimento dopo la sentenza S.U. Cassazione n. 26972/08?

Ovverosia: come "far rientrare dalla finestra ciò che uscito dalla porta"

IL DANNO NON PATRIMONIALE QUALE RIMEDIO 'AD AMPIO SPETTRO'

Con sentenza 04/07/08 n. 890, il Giudice di Pace di Novara riconosceva un risarcimento di euro 500 ad un utente, il quale si lamentava del ritardo e della sporcizia dei treni con cui viaggiava quotidianamente per raggiungere il suo posto di lavoro.

Il Tribunale di Genova, sezione VI, con sentenza 24 aprile 2008 n. 1461 dichiarava che la pubblicazione non desiderata in elenco telefonico dei dati personali facesse sorgere, nell'utente, un'ansia la quale doveva essere indennizzata. Il Giudice di Pace di Nola, nella sentenza 21 febbraio - 10 aprile 2008 condannava un Comune a risarcire i danni per la violazione del diritto "garantito a ciascun individuo" "di vivere in modo libero e incondizionato, il che si esplica anche nel compimento delle attività più semplici della vita quotidiana, quali il semplice passeggiare lungo la strada o affacciarsi alla finestra", diritto che risultava pregiudicato dalla presenza di ingente quantità di rifiuti nella strada medesima.

Questi sono solo alcuni esempi di un filone interpretativo che si stava affermando nella giurisprudenza, specie di merito. E che tendeva a individuare nel risarcimento del danno non patrimoniale un rimedio il quale, prendendo a prestito un termine farmacologico, si poteva definire ad ampio spettro.

Contro ogni 'male', di qualsivoglia natura e genere fosse, a 'dare' il danno non patrimoniale non si faceva cosa sbagliata.

LA SENTENZA RESA DALLE SEZIONI UNITE N. 26972/2008

Tale era il contesto.

E le Sezioni Unite, con la sentenza n. 26972/2008, mirano espressamente a porre un argine al fenomeno.

Dichiarano espressamente infatti di voler mettere un freno alla "proliferazione delle liti bagatellari". Bollano le sentenze rese scrivendo: "Palesemente non meritevoli della tutela risarcitoria, invocata a titolo di danno esistenziale, sono i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie ed ogni altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale ai quali ha prestato invece tutela la giustizia di prossimità". Quindi, è lo stop, nessuna tutela per le ansie, i disagi, lo stress.

Così argomentano le SS.UU. L'art. 2059 c.c., sostengono, "è norma di rinvio. Il rinvio è alle leggi che determinano i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale. L'ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale si ricava dall'individuazione delle norme che prevedono siffatta tutela". Quindi, la Suprema Corte individua alcune ipotesi cui l'art. 2059 rinvia: l'art. 185 c.p., l'art. 2 l. 117/1998, l'art. 29 comma 9, l. 675/1996, l'art. 44, comma 7, d.lgs 286/1998, l'art. 2 l. 89/2001, e così via. Poi, aggiunge "al di fuori dei casi determinati dalla legge, in virtù del principio della tutela minima risarcitoria spettante ai diritti costituzionali inviolabili, la tutela è estesa ai casi di danno non patrimoniale prodotto dalla lesione di diritti inviolabili della persona riconosciuti dalla Costituzione.

Per effetto di tale estensione, va ricondotto nell'ambito dell'art. 2059 c.c. il danno da lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) denominato danno biologico, del quale è data, dagli artt. 138 e 139 d.lgs 209/2005, specifica definizione normativa", "trova adeguata collocazione nella norma anche la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29 e 30 Cost.)", "eguale sorte spetta al danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all'immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità, preservata dagli artt. 2 e 3 Cost.".

E proseguono: "il danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (.). La risarcibilità del danno non patrimoniale postula, sul pianto dell'ingiustizia del danno, la selezione degli interessi dalla cui lesione consegue il danno. Selezione che avviene a livello normativo, negli specifici casi determinati dalla legge o in via di interpretazione da parte del giudice, chiamato ad invidiare la sussistenza, alla stregua della Costituzione, di uno specifico diritto inviolabile della persona necessariamente presidiato dalla minima tutela risarcitoria". "Fuori dai casi determinati dalla legge è data tutela risarcitoria al danno non patrimoniale solo se sia accertata la lesione di un diritto inviolabile della persona: deve sussistere una ingiustizia costituzionalmente qualificata".

E spiegano ancora: "negli altri casi determinati dalla legge la selezione degli interessi è già compiuta dal legislatore. Va notato che, nei casi previsti da leggi vigenti richiamati in precedenza, il risarcimento è collegato alla lesione di diritti inviolabili della persona: alla libertà personale, alla riservatezza, a non subire discriminazioni. Non può tuttavia ritenersi precluso al legislatore di ampliare il catalogo dei casi determinati dalla legge ordinaria prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi inerenti la persona non aventi il rango costituzionale di diritti inviolabili, privilegiandone taluno rispetto ad altri. (.) Situazione che non ricorre in relazione ai diritti predicati dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata con la legge n. 88 del 1955, quale risulta dai vari Protocolli susseguitisi, ai quali non spetta il rango di diritti costituzionalmente protetti, poiché la Convenzione, pur essendo dotata di una natura che la distingue dagli obblighi nascenti da latri trattati internazionali, non assume, in forza dell'art. 11 Cost., il rango di fonte costituzionale, né può essere parificata, a tali fini, all'efficacia del diritto comunitario nell'ordinamento interno".

E ancora, si precisa: "Il catalogo dei casi in tal modo determinati non costituisce numero chiuso. La tutela non è ristretta ai casi di diritti inviolabili della persona espressamente riconosciuti dalla Costituzione nel presente momento storico, ma, in virtù dell'apertura dell'art. 2 Cost. ad un processo evolutivo, deve ritenersi consentito all'interprete rinvenire nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana".

In sostanza, il principio affermato dalle SS.UU. parrebbe sintetizzabile così: l'art. 2059 c.c. consente il risarcimento del danno non patrimoniale; e lo ammette, essendo norma di rinvio, solo nei casi di lesione di interessi di "rango costituzionale" attinenti a "posizioni inviolabili della persona umana" e nei casi "determinati dalla legge". L'ansia, il fastidio, il disappunto, il diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla serenità, "in definitiva il diritto ad essere felici" sono, per la Corte, diritti "del tutto immaginari" e non sono meritevoli di tutela. "Al di fuori dei casi determinati dalla legge ordinaria - continuano gli ermellini - solo la lesione di un diritto inviolabile della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità risarcitoria non patrimoniale".

UN DUBBIO

Niente risarcimento allora per ansia, disagio e stress.

Ma è davvero così? Ci sia consentito di porre un dubbio. Per quel che qui importa infatti, la legge 30 luglio 1998 n. 281 stabilisce, all'art. 1, che "ai consumatori ed agli utenti sono riconosciuti come fondamentali i diritti: a) alla tutela della salute; b) alla sicurezza e alla qualità dei prodotti e dei servizi; c) ad una adeguata informazione ed una corretta pubblicità; (.) e) alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi; (.) g) all'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità ed efficienza". La 281/1998 è una legge. Perciò ben potrebbe, a dirlo con le parole della SS.UU., "ampliare il catalogo dei casi" "prevedendo la tutela risarcitoria non patrimoniale anche in relazione ad interessi (.) non aventi il rango costituzionale".

Allora, se è la legge a riconoscere il diritto "alla qualità dei prodotti e dei servizi", "alla correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti contrattuali concernenti beni e servizi" e "all'erogazione di servizi pubblici secondo standard di qualità ed efficienza", qualificando tali diritti espressamente come "fondamentali", il meccanismo di rinvio, posto dall'art. 2059 c.c., dovrebbe funzionare. Nel senso che, a fronte di diritti riconosciuti dalla legge - e quindi "selezionati dal legislatore" - e qualificati financo fondamentali dalla legge medesima, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniali, di cui all'art. 2059 c.c., sussisterebbe.

Ma allora se un treno è in ritardo o la stazione è sporca, lo standard di qualità ed efficienza nell'erogazione del servizio pubblico non parrebbe all'evidenza rispettato, atteso che la qualità (anche a volerla intendere con riferimento a parametri medi e non di eccellenza) non può in ogni caso ritenersi raggiunta in presenza di gravi e reiterati ritardi e di cattiva manutenzione delle stazioni.

Nemmeno potrebbe dirsi, sempre a sommesso avviso di chi scrive, rispettato il canone della correttezza, a fronte di un utente che paga il compenso della prestazione del servizio di trasporto.

Allo stesso modo, se una città è piena di rifiuti nelle strade, la qualità e l'efficienza del servizio pubblico di pulizia e spazzamento strade non sembra potersi dire rispettata.

Ed allora?

Rientra dalla finestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta con tanto clamore, viene da chiedersi?

Un'ultima perplessità. All'interprete, sentenziano le SS.UU., è consentito rinvenire "nel complessivo sistema costituzionale indici che siano idonei a valutare se nuovi interessi emersi nella realtà sociale siano, non genericamente rilevanti per l'ordinamento, ma di rango costituzionale attenendo a posizioni inviolabili della persona umana".

L'interprete potrebbe pertanto dar tutela a nuovi interessi, emersi nella realtà sociale e anche se non ancora riconosciuti espressamente da una legge, ove sia possibile individuarne la tutela nei principi costituzionali, purchè attengano a posizioni inviolabili della persona umana. Ora, come è noto, i principi costituzionali sono redatti con tenore letterale di ampio respiro, i quali, proprio per tale loro caratteristica, si prestano ad interpretazioni estensive. Va anche detto che la giurisprudenza, la quale dava tutela ad ansie, disagi, fastidi e viene bollata come "giustizia di prossimità", era mossa però dall'intento di riconoscere e di dar voce ad una esigenza effettivamente e sensibilmente avvertita in ambito sociale.

E che era quella di non lasciare del tutto spoglie di protezione situazioni, avvertite nel contesto sociale come negative e pregiudizievoli e ciò in misura ben superiore al pur dovuto (sempre per usare le parole della SS.UU.) "livello di tolleranza" e non come qualcosa "di futile". Ma allora questa esigenza - vera e sensibilmente avvertita - potrebbe venire intesa come un nuovo "interesse emerso nella realtà sociale"?

E in tal veste potrebbe forse essere inteso quale lesione di diritti di rango costituzionale attinenti alla persona, quali ad esempio la dignità riconosciuta dall'art. 3 Cost.?

Il tenore letterale ampio dei principi costituzionali consentirebbe una lettura in tali termini?

O meglio: quando il livello di tolleranza si può dire superato?

Dov'è la misura?

Di nuovo viene da domandarsi: rientrarà dalla finestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta?
 
20 novembre 2008 
Autori: Avv.ti Monica Bombelli e Matteo Iato - in "Filodiritto" (http://www.filodiritto.com)