IL COMMENTO DI LUCIO MILITERNI

FONTE: "Il Corriere Giuridico", 8 / 2008, p. 1100

 

 

 

Un importante contributo alla tematica dei rapporti tra coeredi è stato offerto dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite in esame che risolve l'annosa questione del regime cui sono sottoposti i crediti ereditari. In particolare il problema che le Sezioni Unite si sono trovate ad affrontare è se il principio della divisione automatica tra coeredi si applichi anche per i crediti ovvero se questi ultimi entrino a far parte della comunione ereditaria.

 

 

Il fatto

 

Il caso da cui ha avuto origine la pronuncia in esame è quello di una donna, che, in qualità di erede del defunto marito, ha chiesto ed ottenuto in primo grado la condanna della società convenuta al pagamento di differenze retributive spettanti al dante causa in relazione al pregresso rapporto di lavoro intercorso tra il medesimo e la società. La Corte di appello ha riformato la decisione del primo giudice, dichiarando la nullità della statuizione di condanna in favore della figlia minore della coppia e l'inammissibilità dell'intervento della stessa in grado di appello. Inoltre il giudice dell'appello, nel presupposto dell'inconfigurabilità di un litisconsorzio necessario tra eredi per i crediti del de cuius, ha liquidato le somme dovute all'attrice nella misura della quota ad essa spettante. Avverso questa sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione.

 

 

La questione rimessa alle Sezioni Unite

 

La causa è stata rimessa all'esame delle Sezioni Unite per l'esame della questione concernente la configurabilità di un litisconsorzio necessario tra gli eredi del creditore nell'azione per il pagamento di somme dovute al loro dante causa. Orbene, pur senza addentrarsi nell'esame delle tesi elaborate dalla dottrina e dalle giurisprudenza in ordine all'istituto del litisconsorzio necessario, è appena il caso di sottolineare che l'individuazione di presupposti indicati dall'art. 102 c.p.c [1] , postula la necessità di rifarsi ai principi che in proposito possono desumersi dal diritto sostanziale. Ciò del resto è in linea con l'assunzione di un concetto dei rapporti fra diritto sostanziale e processo civile tale che sia costantemente assicurata la posizione per così dire strumentale del processo civile nei confronti della tutela dei diritti sostanziali. Si comprende, dunque, come la risoluzione del quesito posto alla Suprema Corte necessiti l'esame prodromico delle situazioni sostanziali sottese ed, in particolare, del regime applicabile ai crediti ereditari. In proposito si è registrato un contrasto giurisprudenziale che ha determinato l'intervento della pronuncia a Sezioni Unite.

 

 

Il contrasto giurisprudenziale

 

Un primo e più risalente indirizzo, richiamandosi al brocardo romano secondo cui nomina et debita ipso iure dividuntur, afferma che i crediti, analogamente ai debiti del de cuius, si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote. A tale orientamento, che ad avviso delle Sezioni Unite non risulta suffragato da un'analisi approfondita del dato normativo, si iscrivono le seguenti pronunce: Cass. 5 gennaio 1979 n. 31, che ha affermato che i prossimi congiunti di persona deceduta a causa di fatto illecito altrui, ove agiscano iure ereditario, possono chiedere il ristoro del danno ciascuno nei limiti della propria quota, per far valere il diritto al risarcimento già entrato nel patrimonio del defunto; Cass. 28 febbraio 1984 n. 1421, che ha escluso, con riguardo alla domanda di risarcimento del danno proposta da un coerede nei confronti di altri coeredi o di un terzo, la necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i coeredi; Cass. 5 maggio 1999, n. 4501, che ha affermato che la prestazione assistenziale o previdenziale può essere richiesta, dopo la morte dell'avente diritto, da ciascun coerede nei limiti della propria quota ereditaria [2] . In particolare i principiali articoli che vengono richiamati, dalla dottrina [3] , a sostegno di tale tesi sono: l'art. 1295 c.c., nel quale è stabilito che "Salvo patto contrario, l'obbligazione si divide tra gli eredi di uno dei condebitori o di uno dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote "; nonché l'art. 1314 c.c. in base al quale "se più sono (...) i creditori di una prestazione divisbile e l'obbligazione non è solidale, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che per la sua parte (...) ".

A conclusioni opposte è invece giunta Cass. 13 ottobre 1992 n. 11128, con cui si è affermato che i crediti del de cuius, a differenza dei debiti, non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria. Altre due pronunce (Cass. 21 gennaio 2000 n. 640, 5 settembre 2006 n. 19062), aderendo a tale orientamento, hanno affermato che i compartecipi assumono le vesti di litisconsorti necessari nei giudizi diretti all'accertamento dei crediti ereditari ed al loro soddisfacimento. Ciò perché il mantenimento della comunione ereditaria dei crediti sino alla divisione soddisferebbe l'esigenza di conservare l'integrità della massa e di evitare qualsiasi iniziativa individuale idonea a compromettere l'esito della divisione stessa.

 

 

La tesi accolta dalle Sezioni Unite

 

Le Sezioni Unite condividono l'indirizzo da ultimo richiamato per quanto attiene al regime di comunione dei crediti ereditari, ma ritengono che da ciò non debba automaticamente derivare la necessaria partecipazione di tutti i coeredi all'azione promossa contro il debitore.

 

L'impianto motivazionale della sentenza in esame muove dalla considerazione che il principio tradizionale della ripartizione automatica tra i coeredi è stabilito solo per i debiti dall'art. 752 c.c., mentre la disciplina dei crediti ereditari può ricavarsi dagli artt. 727 e 757 c.c. La prima disposizione detta i criteri per la formazione delle porzioni in sede di divisione ereditaria e stabilisce che le porzioni debbono comprendere, oltre ai beni immobili e mobili anche i crediti. Se ne desume che, nell'ottica del legislatore, i crediti fanno parte della comunione. I sostenitori della tesi opposta limitano l'ambito di operatività dell'art. 727 c.c. ai soli crediti indivisibili, affermando la regola della parziarietà in tutti gli altri casi. Tale rilievo non è però condiviso dalla Suprema Corte, che lo ritiene non conforme al dato normativo, negando che vi sia incompatibilità tra distinzione strutturale dei diritti di credito degli eredi e permanenza degli stessi in comunione.

 

L'art. 757 c.c. conferma tale assunto, poiché prevede che il coerede, al quale in sede di divisione siano assegnati tutti i crediti o l'unico credito del de cuius, è reputato il solo successore nei crediti dal momento dell'apertura della successione. In sostanza, la ripartizione dei crediti ereditari non opererebbe ipso iure, come nel caso dei debiti, ma conseguirebbe alla divisione, che realizza l'effetto distributivo con efficacia retroattiva. A risultati analoghi si giunge esaminando l'art. 760 c.c., che esclude la garanzia vicendevole tra coeredi per l'insolvenza del debitore di un credito assegnato a uno di essi, qualora l'insolvenza sia sopravvenuta rispetto alla divisione. Argomentando a contrario, infatti, dalla norma in esame si trae la regola per cui i coeredi si devono vicendevole garanzia per l'insolvenza del debitore del de cuius, manifestatasi anteriormente alla divisione e ciò presuppone necessariamente che i crediti ereditari siano inclusi nella comunione.

 

In senso contrario alla tesi della comunione non vale richiamare, ad avviso delle Sezioni Unite, il disposto dell'art. 1295 c.c. in tema di rifrazione dell'obbligazione solidale. Se è vero, infatti, che tale norma prevede la divisione dell'obbligazione solidale tra più coeredi di uno dei condebitori o dei creditori in solido, in proporzione delle rispettive quote, è altresì vero che essa presuppone un credito solidale tra il de cuius ed altri soggetti. L'art. 1295 c.c., cioè, esclude la solidarietà tra gli eredi di un concreditore in solido, senza definire l'appartenenza o meno dei crediti alla comunione ereditaria. Infine, a differenza dell'art. 1204 del codice civile abrogato, l'art. 1314 c.c., che riguarda la divisibilità del credito in generale, non risulta espressamente formulato anche per l'ipotesi del credito degli eredi.

 

Corollario della tesi che inquadra i crediti del defunto nell'ambito della comunione ereditaria, è che i singoli coeredi non possono pretendere il pagamento di quella che assumono essere la loro quota senza poi imputarla alla comunione, a meno che non vi sia stata divisione ereditaria. Ma potrà ciascun creditore, secondo i principi in materia di solidarietà, agire per l'intero credito o sarà richiesta una azione congiunta di tutti i coeredi in litisconsorzio necessario?

 

Al riguardo, il Supremo collegio invoca un orientamento consolidato della giurisprudenza in tema di comunione, secondo cui il diritto di ciascuno investe la cosa comune nella sua interezza, sicché anche un solo comproprietario è legittimato ad agire in giudizio, anche senza consenso degli altri, per la tutela della cosa comune [4] . Applicando tale prospettiva alla tematica dei crediti ereditari, è agevole dedurre che ogni coerede può agire per ottenere la riscossione dell'intero credito, non ponendosi la necessità della partecipazione al giudizio di tutti gli eredi del creditore. La pronuncia sul diritto comune fatto valere dallo stesso spiega infatti i propri effetti nei riguardi di tutte le parti interessate, mentre restano estranei all'ambito della tutela del diritto azionato i rapporti patrimoniali interni tra coeredi, destinati ad essere definiti con la divisione. Ora, procedendo nel ragionamento, è giocoforza affermare che se il singolo coerede può agire per la riscossione dell'intero credito, a maggior ragione tale legittimazione gli va riconosciuta in relazione alla riscossione della parte di credito proporzionale alla quota ereditaria, fermo restando che il pagamento effettuato dal debitore non ha effetti nei rapporti interni con gli altri coeredi e resta imputato alla comunione.

 

La circostanza che nel caso di crediti ereditari non si rinvenga un'ipotesi di litisconsorzio necessario non esclude, peraltro, che l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi possa costituire interesse del debitore in relazione ad una concreta esigenza di accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito. In tal caso il convenuto potrà chiedere la partecipazione al giudizio degli altri coeredi ed ottenere una pronuncia che faccia stato nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione. Ne deriva che la decisione impugnata ha esattamente escluso la necessità di integrazione del contraddittorio con gli altri coeredi, ma sull'erroneo presupposto che ogni erede possa agire soltanto nei limiti della propria quota. Di qui la necessità di correzione della motivazione ai sensi dell'art. 384 c.p.c.

 

In conclusione, la Sezioni Unite hanno segnato il definitivo superamento del brocardo nomina et debita ipso iure dividuntur, od almeno la sua riformulazione, eliminando il riferimento ai crediti: debita ipso iure dividuntur.

 

 

 

Note:

 

1) Art. 102 c.p.c. "I. se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste devono agire o essere convenute nello stesso processo "

 

2) In senso conforme altresì Cass. civ., sez. lav., 9 agosto 2002, n. 12128, in Giust. civ. Mass. 2002, 1526 secondo la quale "In materia di prestazioni previdenziali e assistenziali, poiché secondo i principi generali vigenti in materia successoria alla morte del titolare la prestazione può essere rivendicata da ciascun coerede non per l'intero ma solo nei limiti della propria quota ereditaria, non sussiste litisconsorzio necessario esteso a tutti gli eredi nel giudizio per il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale. "

 

3) Vedi Gazzara, voce Divisione ereditaria (dir. priv.), in Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 429 ss..; Forchielli, in Comm. Scialoja e Branca, Della divisione, 150.

 

4) Cfr. ex multis, Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2005, n. 19460, in Giust. civ. Mass. 2005, 10; Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2001, n. 8842, ivi, 2001, 1285.