I poteri del Tribunale e dell'Amministratore giudiziario nel procedimento ex art 2409 cod. civ. 

 

Il decreto del Tribunale di Trieste del 3 marzo 2006  offre lo spunto per una breve disamina dei poteri del tribunale quando e chiamato a decidere in tema di gravi irregolarita di gestione degli amministratori, e per determinare la concreta portata dell'art. 92 disp. att. cod. civ., laddove dispone (quarto comma) che "per determinati atti", possono essere attribuiti all'amministratore giudiziario, che non necessariamente deve essere un organo unipersonale, i poteri dell'assemblea.

Fatto

L'amministratore unico di una societa per azioni ha impegnato la societa ad acquistare al doppio del prezzo di mercato, gia corrisposto alla sottoscrizione del preliminare, un bene immobile di proprieta di altra societa, dal medesimo amministrata, senza che tale acquisto fosse in alcun modo riconducibile all'oggetto sociale della societa promissaria acquirente, dalla quale aveva altresi prelevato somme di danaro, asseritamente per pagare prestiti remunerati che erano stati pero effettuati da altre societa gestite dal medesimo amministratore. Il Tribunale ha revocato l'amministratore ed ha nominato tre amministratori giudiziari, attribuendo loro "i poteri dell'assemblea per operare sul capitale, per consentire l'apporto di conferimenti in denaro in almeno ? 1.000.000".

I poteri decisori del Tribunale nel procedimento ex art. 2409 c.c.

Quanto al primo aspetto che qui interessa, il principio generale regolatore della materia e rappresentato dall'art. 112 c.p.c., che sancisce la corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, e vieta al giudice di assumere decisioni che vadano oltre i limiti della domanda.

Tale principio trova la sua giustificazione nel fatto che gli interessi che nel contenzioso ordinario vengono sottoposti all'esame del giudice hanno natura privata e coinvolgono esclusivamente le parti in giudizio.

Diverso e, invece, il discorso relativo al procedimento disciplinato dall'art. 2409 cod. civ., i cui provvedimenti "sono atti di volontaria giurisdizione che non assumono carattere contenzioso neppure quando contengono la revoca degli amministratori e dei sindaci, essendo disposti nell'interesse della societa ad una corretta amministrazione, si esauriscono in misure cautelari e provvisorie e, pur coinvolgendo diritti soggettivi, non pronunciano al riguardo per definire un conflitto tra parti contrapposte con attitudine ad acquisire autorita di giudicato sostanziale" (Cass. n. 6365/2001, in Giust. civ. Mass., 2001, 937; Corte d'Appello di Firenze, 18 settembre 2001, in Foro padano 2002, I, 576, con nota di di gravio; Corte d'Appello di Palermo, 22 marzo 2002 e Tribunale di Trapani, 10 Agosto 2001, entrambe in Societa, 2002, 868, con nota di Salafia).

L'interesse della societa cui si e fatto riferimento "trascende quello dei singoli soci" (Cass. n. 928/2003, in Dir. e prat. soc., 2003, 56, con nota di Ferrari) ed involge, invece, "l'interesse pubblico alla corretta gestione contabile, alla verita dei bilanci e dunque alla corretta amministrazione delle societa" (Corte d'Appello di Roma, 3 gennaio 2000, in Giur. it. 2000, 331).

Da cio deriva che l'eventuale "eccezione di nullita relativa all'ispezione ex art. 2409 c.c., che avrebbe accertato fatti non oggetto di specifico quesito da parte del tribunale, deve ritenersi infondata, in quanto sussistono ragioni di interesse pubblico che implicano l'utilita di accertamenti su fatti non dedotti specificamente nell'ambito di una procedura non improntata al principio dispositivo". E cio, anche in considerazione del potere di iniziativa del pubblico ministero, "che si reputa esercitato in relazione ai motivi nuovi, nel momento in cui li faccia propri con una specifica richiesta avanzata al tribunale nel corso della procedura gia iniziata" (Tribunale di Padova 7 dicembre 2000, in Giur. merito, 2001, 674).

Ne consegue che, essendo i provvedimenti assunti in tale sede "dettati a tutela di interessi meritevoli, per i quali l'intervento dell'autorita giudiziaria e richiesto ai soli fini di attuazione del diritto obiettivo e non gia per la risoluzione di interessi contrapposti delle parti" (Cass. n. 9257/2000, in Dir. fall. 2000, II, 857), trova ampia giustificazione la deroga al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato sancito dall'art. 112 c.p.c.

Se, infatti, e assolutamente plausibile e condivisibile l'impostazione secondo cui debbano ricadere esclusivamente sulla parte le conseguenze derivanti dall'eventuale omissione in cui la stessa dovesse incorrere nella predisposizione della domanda avente ad oggetto interessi di natura privatistica, non altrettanto puo sostenersi qualora la questione posta al vaglio del Tribunale coinvolga posizioni soggettive di portata generale, posto che cio significherebbe affidare all'iniziativa del ricorrente anche la tutela di terzi estranei al rapporto sociale, o quantomeno non direttamente coinvolti in esso.

Terzi estranei che, nella fattispecie in esame (che ha visto coinvolta una nota societa calcistica), vengono considerati non solo i creditori sociali, "ma anche tanti altri soggetti esterni alla societa, quali gli abbonati, gli sportivi in generale, l'intera comunita in cui e insediata ed opera l societa, e in definitiva tutti quei soggetti che con termine riassuntivo vengono indicati stakeholders".

Il ruolo del Tribunale, pertanto, e quello di individuare le soluzioni idonee a rimuovere le irregolarita di gestione ed i loro effetti, essendo il conseguimento di tale fine l'unico rimedio che garantisca l'eliminazione in radice di qualsivoglia lesione di posizioni soggettive. Ed e evidente che questo risultato puo essere raggiunto solo se i giudici siano liberi di adottare qualsiasi strumento cui l'ordinamento consenta loro di far ricorso, prescindendo dai limiti posti dal contenuto della domanda del ricorrente, e dalla sua visione, potenzialmente parziale, dei problemi, che affliggono o potrebbero affliggere la gestione della societa.

Amministratore giudiziario e poteri dell'assemblea

Passando ad esaminare il secondo punto di interesse del decreto in esame, non puo non rilevarsi l'eccessiva cripticita della norma, ingiustamente relegata nelle disposizioni transitorie e finali, la quale si limita a disporre che "all'amministratore giudiziario possono essere attribuiti per determinati atti i poteri dell'assemblea", senza specificare quali siano (se ve ne siano) i limiti al potere discrezionale attribuito al Tribunale, e soprattutto quali siano i "determinati atti".

E' indubbio che ci si trovi davanti ad una norma speciale, non suscettibile di applicazione analogica, che consente un allontanamento dall'ordinario meccanismo di funzionamento delle societa di capitali solo in presenza di un presupposto, rappresentato dalla presenza di irregolarita tali da precludere la concreta operativita di tale meccanismo.

In nessun altro caso l'assemblea potra essere privata della titolarita del procedimento di formazione della volonta sociale. Diversamente ragionando, si finirebbe per "configurare specifici poteri "extra ordinem " del gestore, cosi, in sostanza, introducendo, in particolare quanto alla iniziativa in materia di azione di responsabilita, una deroga alla disciplina generale che individua nell'assemblea l'organo depositario delle decisioni di promuovimento della stessa" (Tribunale di Milano, 22 marzo 2002, inForo padano 2002, I, 724, con nota di Gannilivigni).

Deve, infatti, considerarsi che, pur in presenza di amministratore giudiziario regolarmente nominato, il controllo da questi operato sull'attivita di gestione "non puo, di norma, estendersi al punto di esautorare la volonta ed i poteri dell'assemblea nell'ipotesi in cui questa eserciti le sue prerogative sugli oggetti su cui e chiamata ad esprimersi" (Tribunale Napoli, 5 Dicembre 2002, Dir. e prat. soc., 2003, f. 17, 79, con nota di Balsamo).

Il primo presupposto che giustifica l'attribuzione all'amministratore giudiziario dei poteri normalmente di prerogativa dell'assemblea e, ovviamente, l'impossibilita di un regolare funzionamento dell'organo deliberante. Impossibilita che deve essere "obiettiva o verificata, ancorche volontaria" (Tribunale di Napoli 5 dicembre 2002, cit.).

In tali casi, nessun dubbio sul fatto che all'amministratore giudiziario possa essere attribuito il potere di approvazione del bilancio di esercizio (contenente, oltre ad una rappresentazione fedele e corretta dell'esercizio conclusosi, le necessarie rettifiche conseguenti all'esito dell'ispezione) e della ricostruzione contabile della societa negli anni precedenti, ancorche da egli stesso redatti (Tribunale di Verona 15 luglio 1996, in Societa 1997, 75, con nota di Patelli; Tribunale di S.Maria Capua V., 19 marzo 2002, in Societa 2002, 997, con nota (di Afferni e Gusso).

Volendo trovare un criterio cui uniformare l'applicazione della norma, non manca chi ha sostenuto che "i poteri dell'assemblea che possono essere eventualmente conferiti all'amministratore giudiziario sono quelli che attengono esclusivamente alla sfera della gestione e non gia a diverse competenze assembleari - quali la modifica dello statuto - che nulla hanno a che vedere con la gestione" (Corte d'Appello di Catanzaro, 6 marzo 1997, in Giur. comm. 1998, II, 571). La tesi, pero, deve cedere davanti al dato letterale della norma, che non facendo distinzione tra assemblea ordinaria ed assemblea straordinaria, autorizza la formulazione di ipotesi meno restrittive. E cosi, e stato disposto che l'amministratore giudiziario provveda alla modifica dello statuto sociale, nel senso di prevedere un collegio sindacale, e provveda poi alla nomina dei relativi componenti (Tribunale di Verona, 31 gennaio 1991, in Giur. merito 1993, 91).

A questo punto, puo ipotizzarsi una soluzione intermedia, che ravvisa la possibilita di conferire all'amministratore i poteri dell'assemblea anche per eventuali modifiche statutarie, purche esse siano funzionali al ripristino della corretta gestione della societa. E, sotto questo profilo, se, da un lato, sembra potersi affermare che l'istituzione del collegio sindacale, con conseguente nomina dei membri, non lasci adito a dubbi, dall'altro dovrebbe rimanere esclusa qualsiasi attivita dell'assemblea che istituzionalmente implichi, oltre all'assenso dei soci, anche un loro successivo comportamento positivo in esecuzione della delibera. Si pensi in tal senso alle delibere aventi ad oggetto finanziamenti da parte dei soci, con particolare riferimento alle delibere di aumento di capitale, che comportano anche una modifica all'atto costitutivo.

Cio in quanto, se, come visto, presupposto per l'attribuzione di tali poteri e l'impossibilita di regolare funzionamento dell'assemblea, non si vede per quale ragione i medesimi soggetti che reiteratamente non hanno voluto adottare una determinata delibera, dovrebbero poi eseguirla spontaneamente, non disponendo evidentemente l'amministratore giudiziario di mezzi di coercizione in tal senso.

Alla luce di quanto esposto, puo lasciare un po' perplessi la decisione del Tribunale di Trieste, che ha conferito all'amministratore giudiziario "i poteri dell'assemblea per operare sul capitale, per consentire l'apporto di conferimento in denaro in almeno 1.000.000,00", soprattutto se si considera che un precedente aumento di capitale deliberato fino ad ? 1.000.000 era stato sottoscritto solo per la meta.

Non deve, pero, essere tralasciata l'ipotesi, ancorche assolutamente residuale, nella quale l'aumento di capitale sia voluto da una minoranza non sufficiente a deliberarlo, e, una volta deliberato, venga sottoscritto anche dalla maggioranza che, in caso contrario, vedrebbe compromessa la propria posizione dominante nella compagine sociale, o da terzi. In tal caso, ben avrebbe fatto il Tribunale a conferire tali poteri all'amministratore giudiziario, individuando l'unico sistema per rimuovere lo stallo decisionale e consentire alla societa di rifinanziarsi.

Autore: Avv. Eugenio Tamborlini - tratto dal sito dottrinaediritto.ipsoa.it

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